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Il manuale per mentire bene
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«Not for distribution or publication»,  dice la stampigliatura sulla copertina. Invece Newsweek ha recentemente rivelato e pubblicato (solo online, a scanso di pericoli), questo manuale di 116 pagine, edito a cura della fondazione «The Israeli Project» (1), che insegna ad israeliani, giornalisti e politici giudei e filo-giudei in genere, come trattare i fatti più ripugnanti del regime israeliano (apartheid, oppressione, blocco di Gaza, massacri, omicidi mirati) «in modo da convincere chi ascolta in senso pro-isreliano».

E’ una preziosa raccolta di argomenti, tattiche retoriche e strategie di intervento in talk show e dibattiti. L’ha scritto Frank Lutz, un sondaggista ebreo-americano ed esperto di ricerche di mercato, che lavora per Fox News. Preziosa anche per chi non è ebreo nè filo ebreo, perchè vi troverà la spiegazione degli «argomenti» usati dai vari Nirenstein, Ferrara, e da tutti gli altri propagandisti palesi e occulti che ci propinano ogni giorno la storia del piccolo popolo costantemente minacciato nella sua esistenza.

manuale_mentire.jpgIl manuale ha un titolo che farebbe invidia a Orwell: «Global Language Dictionary». Difatti insegna a sfruttare la neo-lingua «globale» del politicamente corretto per presentare Israele in buona luce umanitaria. Elenca un certo numero di  «parole che funzionano» (che sono favorevoli allo scopo) e «parole che non funzionano»: per essempio, non dite mai che le case arabe vengono demolite perchè non rispondono agli standard edilizi, non è un buon argomento... Dite invece che «siete per la pace e non per gli insediamenti», questo funziona, è umanitario e politicamente corretto.

Potete leggere integralmente  l’incredibile documento qui: http://www.newsweek.com/id/206021

Impagabile il primo capitolo, «25 regole per una comunicazione efficace».

Ecco il punto 1: «Il primo passo è conquistare la fiducia e l’amicizia verso Israele, mostrando che avete a cuore la pace per ENTRAMBI (maiuscolo nel testo, ndr), israeliani e palestinesi, e in particolare, per un miglior  futuro per ogni bambino. Cominciate la conversazione con messaggi sperimentati come: Israele s’impegna a un futuro migliore per tutti, israeliani e palestinesi alla pari. Israele vuole che le sofferenze e il dolore cessino, ed è impegnata a lavorare coi palestinesi verso una soluzione pacifica e diplomatica, entro cui entrambe le parti possano avere un futuro migliore. Che questo sia il momento della speranza sia per il popolo israeliano che per quello palestinese».

L’addestramento al discorso pro-sionista si addentra nei paricolari: evitate di dire «tolleranza», dite invece «rispetto reciproco». Ripetete spesso la frase «vivere  insieme, fianco a fianco, in pace», perchè «è il mezzo migliore per evocare la soluzione a due Stati senza però nominarla» nè impegnarsi esplicitamente a realizzarla. Se qualche malvagio nemico vi ricorda che Israele sottopone Gaza a sanzioni gravissime da anni, trasformate la parola «sanzioni» in «diplomazia economica». E  ripetete quanto più volte possibile «la parola «bambini» e il concetto che volete «dare un futuro sia ai bambini palestinesi sia a quelli israeliani perchè possano crescere, andare a scuola e vivere senza la costante paura di attacchi». Ciò fa bene al cuore e mostra quanto siete umani.

Per esempio, se vi tiran fuori l’argomento del muro che avete costruito per 700 chilometri per rinchiudervi i palestinesi, rispondete come consiglia il punto 2:

«In via di principio, noi crediamo che è un diritto elementare dei bambini di essere allevati senz’odio. Chiediamo alla leadership palestinese di smetterla con la cultura dell’odio nelle scuole palestinesi, di cui 300 sono intitolate alla memoria di attentatori suicidi. In via di principio, i bambini non devono essere allevati col desiderio di uccidere altri o se stessi. Eppure tutti i giorni i capi palestinesi promuovono una cultura dell’odio che spinge i bambini, anche i più piccoli, a diventare attentatori suicidi».

A questo proposito, evocate Hamas: anzi, dite costantemente «Hamas-sostenuta dall’Iran» (Iran-backed Hamas), e non semplicemente Hamas.

«Iran-backed  Hamas nella sua TV pubblica a Gaza usa programmi per bambini per glorificare i bombardieri suicidi. In via di principio nessun bambino dev’essere strumentalizzato in questo modo. I bambini palestinesi meritano di megli.

A questo punto, potete sperare con fiducia che gli ascoltatori non conoscano quello che Israele scrive nei «suoi» libri di testo, l’odio che insenga nelle sue scuole talmudiche e che spira dalla sua TV in ebraico, ne la costante paura in cui i bambini palestinesi vivono dei vostri cecchini, se per giocare si avvicinano al Muro, e che ad essere ammazzatti siano il papà e la mamma o la nonna: gli ascoltatori non lo sanno, grazie a media che ne tacciono.

Punto tre: «Distinguete chiaramente il popolo di Palestina da Hamas. Gli americani provano un immediato sentimento di simpatia per i palestinesi, e un’immediata ostilità per la leadership palestinese. Hamas è un’organizzazione terrorista, e questo gli americani ormai l’hanno introiettato. Ma se date l’impressione di attaccare la gente palestinese (anche se ha votato Hamas) piuttosto che la sola leadership, perderete l’appoggio degli ascoltatori».

Si noti la parentesi: per i giudei sionisti, il popolo palestinese è colpevole perchè ha votato Hamas.

Ma è meglio dissimulare questo odio indiscriminato. Le «parole che funzionano», in  questo caso, sono suggerite così:

«I palestinesi meritano leader che si occupino del bene del popolo, non che si intascano centinaia di milioni di dollari in assistenza dall’America e dall’Europa, li mettono in banche svizzere, e li usano per finanziare il terrorismo anzichè la pace. I palestinesi hanno bisogno di libri, non di bombe. Vogliono strade, non missili».

Se qualcuno, stranamente ben informato, vi obietta che siete voi israeliani che costruite strade rubando terra ai palestinesi e vietando loro il transito in esse; se obietta che anche voi non siete proprio così desiderosi di «pace», ecco le parole che funzionano: «Ci sono molti ostacoli alla pace e alla prosperità in Medio Oriente. Israele capisce che la pace si fa con gli avversari, non con gli amici. Ma la pace si può fare solo con avversari che vogliono fare la pace con te. Organizzazioni terroriste come Iran-backed Hezbollah, come Iran-backed Hamas, come la Islamic Jihad sono, per definizione nemiche della coesistenza pacifica, e decise a impedire la riconciliazione. Vi chiedo: come trattare con gente che vi vuole morti?».

Eh sì, non si può. Per questo mettiamo alla fame la gente di Gaza (pardon, usiamo la diplomazia economica), li teniamo svegli con i «bang» dei nostri caccia di notte, e li inceneriamo periodicamente col fosforo. Ricordate ai vostri interlocutori la sofferenza intollerabile del popolo israeliano, bersaglio dei razzi di Iran-backed Hamas. Senza timore dell’umorismo nero involontario:

«Possiamo non essere d’accordo sui metodi politici... Ma c’è un principio fondamentale in cui chiunque nel mondo è d’accordo: un popolo civile non bersaglia donne e bambini per ucciderli».

Interessante e comico il punto 5: «Non pretendete che Israele è esente da errori e mancanze (mai dire ‘colpe’, ma mancanze). Non è vero e nessuno ci crede. Pretendere che Israele non commette errori non passa alla prova dei fatti.  Ottiene solo l’effetto di far dubitare gli ascoltatori della verità delle altre cose che dite».

«Adottate l’umiltà: ‘So che nel tentativo di difendere i suoi bambini (bambini, bambini, bambini) dai terroristi Israele ha accidentalmente colpito (mai dire ‘ammazzato’) gente innocente. Lo so, e mi addolora. Ma cosa può fare Israele per difendersi? Se l’America (o l’Italia) avesse ceduto tanta terra sua in cambio della pace, e questa terra venisse usata per il lancio di razzi sull’America, che cosa farebbero gli americani? Israele è attaccata da migliaia di razzi dagli Iran-backed palestinian terrorists a Gaza. Cosa doveva fare Israele per proteggere i suoi bambini?».

Ci sono «parole che funzionano» che potete aggiungere: «Quando il terrore finisce, Israele non avrà più bisogno di fare posti di blocco per ispezionare gente e merci. Quando il terrore finisce, non ci sarà più bisogno dello sbarramento di sicurezza».

In Cisgiordania non c’è il minimo terrorismo, eppure ci sono 500 posti di blocco che angariano ogni giorno i palestinesi. Bisogna sorvolare, tanto gli interlocutori non l’hanno visto in TV.

Punto 6: «Attenti al tono che usate. Non prendete un tono di superiorità o condiscendenza». E Luntz spiega: «Siamo in un momento storico in cui gli ebrei in generale e gli israelani in  particolare non sono più  percepiti come un popolo perseguitato. Anzi, tra il pubblico americano ed europeo, specie quello informato, istruito, sofisticato, gli israeliani sono visti spesso come occupanti e aggressori».

Per esempio, non è bello usare espressioni come: «Noi siamo pronti a permettere loro di costruire... un  governo, rapporti commerciali o trasporti. Non si deve dare l’impressione che essi ‘sono subordinati agli israeliani’».

Punto 8: «Ricordate a chi vi ascolta, continuamente, che Israele vuole la pace». In un dibattito, «l’interlocutore che è percepito come il più incline alla pace vince il dibattito. Ogni volta che uno fa un appello alla pace, la reazione è positiva. Se dovete riguadagnarvi il favore degli ascoltatori,  «pace» dev’essere il cuore del messaggio che trasmettete».

Punto 20: «Qualunque domanda vi facciano, portate il discorso su un messaggio profittevole per Israele. Quando vi pongono una domanda diretta, non avete l’obbligo di rispondere (...). Una regola semplice è ripetere lo stesso messaggio, ancora e ancora, fino a farvi venire la nausea: questo è proprio il punto in cui  il pubblico si sveglia (...). Ma non confondete il messaggio con i fatti. Il punto è che voi dovete trasmettere il messaggio, ossia che Israele è una democrazia che vuole la pace».

Punto 21: «Fate qualche concessione. In ogni dibattito TV o in un’intervista approfittate dell’opportunità di dare un po’ di ragione  all’altro. Non  su un argomento importante. Non dovete indebolire qualche punto essenziale della politica estera di Israele, non è questo lo scopo. Ma le semplici parole, ‘non hai torto’, fanno meraviglie sul pubblico».

Punto 22: «Mai, mai, MAI parlare in modo apodittico e declaratorio. Mai. Gli americani e gli europei pensano per sfumature... Ogni volta che dite ‘mai’, ‘completamente’, ‘sempre’, la reazione immediata è negativa. Ammorbidite il tono».

Seguono liste di frasi fatte politicamente corrette, da inseire nel discorso. Esempio:

«Prima la pace, i confini politici poi»: Dice Luntz: «E’ la frase migliore quando si tratta di far capire che la soluzione a due Stati non è realistica».

Se… se… se… allora: «Mettete a carico di Hamas il compito di fare la prima mossa per la pace usando i se, e non dimenticate di finire con un duro ‘allora’ per mostrare che Israele desidera un partner di pace: ‘Se Hamas riforma… Se Hamas riconosce il nostro diritto di esistere… Se Hamas rinuncia al terrorismo… Se Hamas aderisce agli accordi internazionali di pace… allora siamo pronto a fare la pace anche oggi».


«‘Islam estremista’»: E’ il miglior termine da usare per descrivere i terroristi. Evitate termini tipici dell’era Bush, come Islamofascismo».

Nessuno deve essere costretto a lasciare la sua casa: «Questa è la frase vincente quando vi tirano fuori la questione degli insediamenti. Usate il principio di reciprocità (sic) per spiegare che proprio come non ci si aspetta che gli arabi lascino le loro case in Israele, gli ebrei in uno Stato palestinese devono poter restare nelle loro».

«Un passo per volta, giorno dopo giorno»: Questa frase, spiega Luntz, «è essenziale per abbassare le aspettative e ridurre le pressioni su Israele ad affrettarsi a un accordo che non è nel suo interesse e minaccia la sua sicurezza».

«Lavoriamo a una soluzione»: Spiegazione: «Gli americani non si aspettano che la disputa tra Israele e gli arabi si risolva subito, ma devono assolutamente essere convinti che Israele sta lavorando alla ricerca di una soluzione accettabile per tutte le parti coinvolte». «Questo dà l’impressione di un’intenzione positiva. Suggerisce l’idea di progresso, suggerisce speranza. Sono  le tre componenti importanti di una comunicazione di successo».

«Il conflitto è sull’ideologia, non sul possesso della terra; sul terrore, non sul territorio»: Spiega Luntz: «In tal modo, eviterete di usare l’argomento che Israele ha un motivo religioso per non cedere la terra. Un simile argomento religioso appare estremista a gente che non siano i cristiani rinati o gli ebrei».

«Non paragonate l’Iran alla Germania Nazista. E’ comprovato che, benchè la situazione sia simile, il mondo non la beve. Anzi, indebolisce la  vostra credibilità».

«Evocate l’interesse mondiale a che l’Iran non diventi nucleare. Se l’argomento è solo la protezione di Israele, il bisogno di azioni preventive viene rifiutato. Dà l’impressione che Israele si occupa solo di sè e della sua posizione come la nazione militare più potente dell’area».

«Le colonie sono necessarie per la sicurezza di Israele. Dite al pubblico che gli insediamenti non sono stati creati a caso. Sono essi in cima alle montagne e in aree militarmente delicate per dare uno spazio i di sicurezza tra gli israeliani e i loro vicini arabi».

Ancor meglio, l’autore del manuale suggerisce il seguente argomento: «Se avremo una vera pace, allora israeliani e palestinesi dovranno vivere fianco a fianco. L’idea che dove ci sono i palestinesi non ci deve essere nessun ebreo, che devono essere aree ‘jew-free’, è razzista. Noi non diciamo che vogliamo espellere gli arabi da Israele (è quel che ha proposto Lieberman, ndr), sono cittadini di Israele, godono di pari diritti (sic). Non si capisce perchè la pace richiederebbe una pulizia etnica contro gli ebrei che vivono in territorio palestinese. Non lo accettiamo. La pulizia etnica è inaccettabile, da qualunque parte provenga».

A questo proposito, si raccomanda vivamente di evitare frasi come: «Chi pensa che il conflitto è dovuto alLa volontà di Israele di tenersi tutta la terra, ha torto marcio. E’ una impressione che alcuni cercano di promuovere, ma non è la nostra realtà, non è la nostra politica».

Una  frase così scopre troppo le reali ultime intenzioni israeliane.




1) The Israel Project è una fondazione «culturale» nata nel 2002, finanziata da Jennifer Laszlo  Mizrahi, presidente della Laszlo & Associates, uno studio di «comunicazione strategica» che lavora a contratto con la Casa Bianca da Clinton in poi. Ha lo scopo di «educare la stampa e l’opinione pubblica su Israele per promuovere la sicurezza, la libertà e la pace». La sua base in Israele ha fornito «informazioni» a 80 mila giornalisti, ed offre interviste esclusive a membri del governo.  Inoltre, offre ai giornalisti stranieri giri in elicottero su Israele (Intellicopter Tours) per mostrare loro quanto è piccolo e indifeso lo Stato ebraico. Trecento giornalisti televisivi hanno approfittato di questo regalo; quasi tutti i reportages dei nostri TG con immagini dall’alto vengono da qui. Inoltre, la fondazione tiene ogni anno corsi a studenti sui metodi di manipolazione dei media, di intervenire in dibattiti e di come organizzare eventi pro-Israele.

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