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Verso il gold standard. Senza dirlo
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Quando Mario Draghi ha decretato la creazione dal nulla di un trilione di euro per prestarlo alle banche all’1%, ha fatto finta di pretendere dalle suddette banche dei «collaterali» in garanzia. Come quando ottenete un mutuo la banca vi ipoteca la casa (è il collaterale), i collaterali che queste banche hanno offerto sono per lo più «attivi finanziari»: titoli di debito, pubblico o privato, obbligazioni, azioni. Si è detto allora che le banche hanno portato alla BCE vagonate di collaterali «dubbi» – sbolognando i loro rischi alla Banca Centrale, che adesso li detiene a suo pericolo.

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Il fatto è che oggi, nella gravissima recessione e crisi del debito in atto, sono ben pochi i collaterali «sicuri» da dare in garanzia.

Per «sicuri» si intendono titoli emessi da un debitore non a rischio di fallimento. O non erosi dall’inflazione. Soprattutto, collaterali «liquidi», ossia facilmente vendibili sul mercato per fare cassa. Guardate al mercato immobiliare in Italia: non è più liquido. I titoli del debito pubblico di tanti Paesi, fra cui il nostro, sono ritenuti a rischio default e non sono facilmente esitabili. Le obbligazioni delle imprese, in difficoltà, non sono da meno.

Insomma, nel mondo dove c’è un enorme bisogno di ottenere denaro in prestito, c’è una scarsità estrema di «collaterali sicuri» da dare in garanzia. Basti ricordare che la Fiat, nella sua forma di finanziaria, ha provato a partecipare all’asta BCE per avere soldi all’1%, ed è stata rifiutata per «poco collaterale» (invece Volkswagen, Peugeot e Renault sono stati accettati).

È per questo che quei pochi che la finanza crede «sicuri», come i Bund tedeschi, vengono richiesti anche se danno un interesse nullo o negativo. Anche certi Treasury Bond americani danno interesse zero, perchè la finanza li ritiene sicuri, e li vuole ad ogni costo. C’è una epica caccia ai collaterali solidi, da conferire per avere soldi.

A questo punto, non c’è collaterale più sicuro della «arcaica reliquia» odiata dai finanzieri: l’oro. Lo ha fatto notare il professor Lew Spellman, della McCombs School of Business at the University of Texas di Austin, che conclude: qui si sta tornando – involontariamente – al regime di «tallone aureo» (Gold Standard), ossia alla situazione, adottata per secoli, che appoggiava le monete all’oro, cambiabili in oro, o coperte parzialmente dall’oro delle Banche Centrali. (Warren Buffet and the New Calculus of Gold)

I depositi in oro non danno interessi. Ma attualmente, nemmeno i Bund e i Treasury Bills danno interessi, «e alla fine i Buoni del Tesoro scadono, mentre l’oro no».

La fame di collaterali è «la conseguenza del super-indebitamento; buoni collaterali in giro sono pochi per sostenere il peso del debito complessivo esistente», spiega Spellman:

«Questo squilibrio riduce la capacità delle banche di fare fidi e mutui ai loro clienti, delle Banche Centrali alle banche commerciali, al sistema bancario-ombra di finanziarsi sul mercato Repo overnight. Per questo cresce l’uso dell’oro come collaterale: in un mondo di collaterali discutibili, è il buon collaterale per eccellenza».

Già. Come s’è detto più volte, il valore di ogni «attivo» finanziario, denaro compreso, è il passivo di qualcun altro, che può non pagare il suo debito. L’oro ha il proprio attivo in se stesso, non dipende da altro. Come disse Alan Greenspan da giovane, molto prima di divenire governatore della Federal Reserve, «Gold is money, in extremis». Fate quel che volete per escluderlo dai circuiti economici, ma quando le cose si fanno dure per il sistema basato sul debito, e per la moneta-debito creata dal nulla dalle banche per prestarla ad interesse, l’oro «torna» ad essere la moneta accettata da tutti.

Nel 2011, come si legge nel rapporto annuale della Banca per i Regolamenti Internazionali (BIS), le Banche Centrali di vari Paesi hanno ritirato 635 tonnellate d’oro che conservavano nei caveau della BIS, il più grosso ritiro degli ultimi dieci anni, e un rovesciamento della tendenza normale, che è di conferire oro alla Banca Centrale delle Banche Centrali.

Quali Paesi hanno ritirato tanto, e perchè?

L’oro viene usato per operazioni di swap fra Banche Centrali; non se lo vendono (tra l’altro, la vendita delle riserve auree per ragioni di bilancio è vietata dalla euro-zona) ma se lo scambiano a termine per avere liquidità. Nel caso migliore, quando uno Stato ha bisogno di aiuto dalla comunità globale delle nazioni. Nel caso peggiore, quando uno Stato ha perso ogni credibilità sui mercati finanziari ed è totalmente sfiduciato dalla comunità statuale. Ma esiste anche il caso intermedio, dove lo Stato ha perso la fiducia dei mercati (che non gli comprano più i BOT) ma sta aspettando di ricevere aiuti dalla comunità internazionale.

È il caso della Grecia. Mentre aspettava che gli Stati dell’euro decidessero se e come «salvarla» (o salvare i loro banchieri), Atene aveva comunque bisogno giorno per giorno di liquidità, e i mercati non gli facevano credito. Quasi sicuramente ha usato le sue riserve auree per ottenere valuta in extremis, per i bisogni immediati di chiudere i debiti che venivano a scadenza, sotto forma di prestiti ad un tasso sopportabile.

La Grecia ha 111 tonnellate d’oro, del valore di circa 4 miliardi di dollari. Niente, in confronto al debito ellenico di 150 miliardi. Eppure l’accorto uso della riserva ha scongiurato un collasso finanziario del Paese che si sarebbe immediatamente tradotto in uno tsunami finanziario dell’intera eurozona, fughe di capitali, crolli bancari e completa paralisi creditizia: un danno, il cui costo è semplicemente inestimabile, di miliardi di euro, oltre alla perdita dell’intero debito greco. Il che ci fa capire che l’attuale valutazione delle riserve greche, sui 4 miliardi, è semplicemente ridicola. Il prezzo è da sempre manipolato, per ovvii motivi.

Eppure... A ritirare dalla BIS, oltre alla Grecia, saranno state l’Italia, il Portogallo (che ha riserve per 382,5 tonnellate), e la Spagna (282), per gli stessi motivi. La Cina ha vietato l’esportazione di oro e sta accumulando quello estratto in casa, con la evidente mira di fare dello yuan la prossima moneta di riserva internazionale, in concorrenza col dollaro.

Nell’ultimo mese, una dozzina di Banche Centrali si sono data ad acquistare oro: dal Messico che ha preso acquistato 12,81 tonnellate ed oggi ha riserve per 122,6 ton., alla Turchia, che ha ragggiunto le 209,6 avendoci aggiunto 11,5 tonnellate fresche, all’Argentina (ha comprato 7, oggi ne ha quasi 62), dal Kazakstan all’Ucraina, fino alla Russia, Paese aurifero, che ha aggiunto 16,5 tonnellate alle sue già enormi riserve di quasi 900.

Quanto ai privati italiani, le esportazioni di oro in Svizzera sono aumentate del 35% anno su anno a febbraio, dopo essere aumentate del 65% già nel 2011: 120 tonnellate, più delle riserve di Stato greche, che i nostri privati hanno messo al sicuro da Monti-Goldman Sachs e il suo Befera. Evasori, evasori!, o forse benefattori senza volerlo, quando tornerà il gold standard?

Del resto, che cos’altro fare quando si sa che il debito pubblico USA è triplicato dal 2001 ad oggi, salendo in un decennio da 5,7 a 17,7 trilioni di dollari, e che sul mondo incombe una montagna di derivati – tutta roba basata sul debiti di qualcuno, che non pagherà – pari a molte volte il PIL globale? Quanto tempo occorrerà perchè i cinesi o gli altri investitori comincino a capire che i Treasury Bills, non sono poi un «collaterale sicuro»?

Allora il sistema monetario su cui si è costituita la grande usura – un mondo dove gli Stati hanno ceduto la prerogativa di emettere moneta, lasciandola sostituire con l’orwelliana «emissione di debito» – collasserà, e la domanda dell’oro salitrà alle stelle.

«Le forze di mercato stanno portando ad un ritorno di fatto al Gold Standard», scrive Spellman:

«Gli manca solo un quadro di diritto e di riconoscimento legale. Ma qualcosa è stato già proposto: il comitato di Basilea per la Supervisione Bancaria, che elabora le regole per il capitale a livello globale, sta studiando di rendere l’oro un asset bancario del Tier 1».

Ossia, appunto, il più sicuro degli attivi.



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