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Eresia da Londra: la City è «socialmente inutile»
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La finanza speculativa della piazza finanziaria di Londra? «E’ cresciuta molto al di là delle dimensioni in cui è socialmente utile». Una buona parte delle attività della City sono «socialmente inutili». I giganti della speculazione devono essere rimpiccioliti. E come?

«Se l’imposizione di maggiori riserve di capitali non bastano, penserei ad una tassa mondiale sulle transazioni finanziarie. Una Tobin Tax, che è stata il sogno degli economisti dello sviluppo: una fonte sensata di introiti per finanziare infrastrutture pubbliche globali».

Se a dire queste cose fosse un no-global, o il nostro Tremonti, passi: si tratta di eresie da economisti alternativi e da isolati utopisti. Ma se a sostenere l’inutilità delle banche è il pari d’Inghilterrra che presiede la Financial Services Authority, ossia la massima autorità di controllo dei mercati finanziari nel Regno Unito, allora vuol dire che l’eresia è penetrata nel tempio del capitalismo terminale. E forse, i colossi della speculazione devono cominciare a preoccuparsi.

L’eretico del tutto imprevisto è Lord Adair Turner, barone di Ecchinswell. Oltre che presidente della Financial Services Authority, è stato dirigente della CBI, la Confindustria britannica, nonchè banchiere d’affari in proprio, come vicepresidente della Merrill Lynch Europe fino al 2006. Una figura di prima grandezza, per prestigio e autorità anche intellettuale, nel panorama internazionale delle politiche finanziarie.

Lord Turner ha violato i dogmi su cui si regge la City (per non parlare di Wall Street) durante una tavola rotonda organizzata dalla rivista «Prospect» (1). Non più tardi di due settimane prima, la sua Financial Services Authority (FSA) aveva emanato un «codice di condotta» sui grassi bonus che si pagano i dirigenti delle banche d’affari, un codice concepito in modo da ridurre la propensione al rischio in cerca di profitti immediati (di cui i bonus sono una percentuale). Ventisei grandi banche dovranno seguire questo codice «volontariamente», o se no - in alternativa - mettere da parte più capitale (aumentare le riserve inpoerose) per far fronte a rischi superiori.

Come un sol uomo, la City è insorta: ridurre i bonus significa far «perdere competitività» alla piazza di Londra! Perderemo i nostri cervelli speculativi migliori, che andranno a guadagnare di più a Wall Street!

La minaccia ha un peso, visto che l’attività puramente speculativa conta per un quarto del prodotto lordo britannico. Oltre la City, l’economia britannica ha poco altro. Ma il flemmatico lord Turner ha replicato: non vedo perchè la FSA, la mia autority, dovrebbe proporsi la «competitività della City» come suo mandato primario.

Scosso questo dogma prima intoccabile (tutta l’Inghilterra deve faticare per mantenere competitiva la City), Turner ha appunto aggiunto che lo Stato deve difendere le attività socialmente utili. E la City ha di molto superato la sua utilità sociale. Troppe sue banche sono diventate gigantesche, e devono essere riportate alle misure «socialmente utili», magari con norme d’autorità.

In breve, lord Turner ha praticamente detto che gli speculatori sono dei parassiti della società, dalla quale estraggono profitti e bonus eccessivi. Anzi, ha rincarato: tassare i bonus e i profitti non basta, perchè non sono tanto i bonus la causa del disastro finanziario - non ne sono che il sintomo - ma le banche d’affari in sè: esse sono diventate ipertrofiche, hanno troppo approfittato di una «deregulation» caricaturale, grazie alla quale hanno potuto inventare «mercati» di dubbia utilità sociale. Fra questi, ha indicato le «fixed income securities» (le cartolarizzazioni dei mutui, ad esempio), il «trading», «i derivati e i fondi hedge», la «gestione di fondi», eccetera. Di fatto tutte le attività irreali con cui la finanza s’è ingrassata, irresponsabilmente, in questi anni.

Se dunque non basta tassare i bonus o imporre alle banche maggiori accantonamenti di riserve (per renderle più coscienti dei rischi che in questi anni hanno rifilato ad altri), ha detto Lord Turner, bisogna pensare ad altri provvedimenti regolativi. Aumentare il capitale minimo richiesto per esercitare l’attività borsistica, farla finita con la speculazione moltiplicata dall’«effetto-leva», che consente di speculare senza possedere nulla. Bisogna mettere fine allo statuto privilegiato delle banche, per cui esse «non possono essere lasciate fallire», mentre le imprese falliscono tutti i giorni, senza salvataggi statali.

Bisogna trovare un modo, se non di punire la speculazione, di calmarla, frenarla. E qui Lord Turner ha auspicato esplicitamente la Tobin Tax.

Per chi non ricordasse, l’economista (Nobel 1981) James Tobin, che è scomparso nel 2002, propose di applicare una lievissima imposta su ogni transazione, su ogni compra-vendita di titoli di ogni tipo. Una tale imposta, poniamo dell’1%, non danneggerebbe chi, per esempio, compra futures sul petrolio o sul grano per effettivamente ritirare le merci alla scadenza. Ma diverrebbe proibitiva per chi compra o vende futures migliaia di volte al giorno, al solo scopo di speculare sulle variazioni momentanee dei prezzi. Il prelievo fiscale, per chi compra e vende la stessa merce mille volte, sarebbe del 1.000%.

Sarebbe la fine per quei trading automatici, generati da supercomputer, che attuano o simulano centinaia di migliaia di compravendite istantanee all’ora, la specialità di Goldman Sachs.

Per l’ideologia liberista che i super-banchieri hanno creato a proprio vantaggio, e che è diventata senso comune finanziario, la Tobin Tax è l’estrema eresia.

Anche adesso, alla proposta di Truner, ha replicato un banchiere, Simon Gleeson, legale della banca d’affari Clifford Chance Llp: «E’ un’idea stupida quanto intelligente: una marca da bollo sulle transazioni colpisce gli introiti lordi delle banche, laddove altre forme di tassazione scremano i profitti».

Come si sa, l’ortodossia finanziaria vuole che si colpiscano i redditi: non a caso hanno hanno imposto, anche a noi piccoli contribuenti, l’imposizione diretta sui redditi, a preferenza della imposizione indiretta sui capitali o sugli scambi. Colpire i profitti è «morale»; colpire i guadagni di capitale è immorale.

La principale obiezione dell’ortodossia speculativa contro la Tobin Tax è però questa: essa è «inapplicabile». Perchè, per non «distorcere i mercati» e la «concorrenza», essa dovrebbe essere adottata in modo eguale e simultaneo da tutti gli Stati. Ciò che, secondo loro, è irrealistico.

Ma ora lo è meno, per il fatto stesso che Turner abbia sollevato la questione. Sono sostanzialmente due i governi oggi contrari alla Tobin Tax mondiale: Washington, a nome dei suoi padroni di Wall Street, e Londra, a nome della City. Ora una voce autorevole a Londra comincia a dire che si può fare (2).

Il 5 settembre prossimo, proprio a Londra si riuniscono i ministri delle Finanze del G-20, in preparazione della riunione di Pittsburgh (USA) prevista a fine settembre. Basterebbe l’accordo dei venti, e la Tobin Tax può essere introdotta anche domani (e gli introiti che genera, usati per finanziare gradi opere pubbliche in tutto il mondo).

Il nostro Tremonti, finora isolato nelle sue critiche del sistema, potrebbe trovare un insperato alleato in Lord Turner di Ecchinswell. Spero che  gli abbia già fatto una telefonata.




1)
Adair Turner, «How to tame global finance», Prospect, 27 agosto 2009.
2) Persino il Financial Times, pur dando a Lord Turner dello «svampito» per la sua proposta della Tobin Tax, ammette a denti stretti che «la sua provocazione merita ascolto». Andrew Hill, «Lord’s Turner pay provocation deserves proper hearing», Financial Times, 26 agosto 2009. «The so-called Tobin tax is the weapon of choice for those seeking to curb speculation and fund public goods such as international development and the fight against global warming. The endorsement of the idea by the Financial Services Authority’s chairman will incense many in the Square Mile. After all, until the credit crunch, Job One for City lobbyists was to win reduction or abolition of a different transaction tax - stamp duty on equities (…). But Lord Turner has a perfect right to start stirring up discussion about how to shrink a wholesale financial sector that has, he says, «swollen beyond its socially useful size». As it happens, better tools than the Tobin tax are at regulators’ and policymakers’ disposal if they choose to impose a crash diet on the City».



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