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Finanza: nessuna regola, come prima
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Lo dice il New York Times: persino i pezzi grossi di Wall Street sono stupefatti dal fatto che l’amministrazione Obama non abbia imposto alla finanza regole severe, «viste le pessime performances del settore, e l’entità degli aiuti statali che abbiamo ricevuto per restare a galla».

Per tutti parla Byron Wien, già capo delle strategia d’investimento di Morgan Stanley, ed oggi presidente di Blackstone Advisory Services: «C’era la generale sensazione che si sarebbero poste in essere una quantità enorme di regolamentazioni aggiuntive, per scongiurare che ciò che è avvenuto si ripetesse. Fino ad oggi, non abbiamo visto nulla».

Persino Kenneth Griffin, fondatore di Citadel Investment Group, un hedge fund che gestisce 13 miliardi di dollari (dunque uno speculatore di prima grandezza) invoca dai pubblici poteri delle regole «che impongano alle banche fallite di chiudere, anzichè consentire loro di operare indefinitamente con i soldi dei contribuenti».

Perchè quello che sta avvenendo è evidente a qualunque osservatore: coi fiumi di denaro ricevuti a tasso zero (o sotto-zero) dallo Stato, le banche fallite continuano nelle più dementi speculazioni finanziarie e fanno pure profitti (facile con denaro regalato), mentre non prestano un soldo alle imprese, e nemmeno alle famiglie. Affossando l’economia reale ogni giorno di più.

«Sono stati fatti molti passi che peggiorano la situazione, e non la migliorano nel senso di puntellare strutturalmente i mercati di capitali», dice Griffin: «Dobbiamo cambiare le regole per correggere i difetti fondamentali del sistema finanziario».

«Il momento opportuno sta per passare», aggiunge Robert Shiller, economista di Yale che aveva previsto (al contrario di Giavazzi, Alesina e Mario Monti, nostri «economisti») lo scoppio della bolla immobiliare; «La gente accetta cambiamenti duri in tempi di crisi, ma ora vedo che torna un clima di compiacenza».

Quando gli stessi speculatori si sorprendono di non essere stati rimessi in riga, c’è davvero qualcosa che non va nella gestione della crisi da parte di Obama, dei suoi ministri e i loro servi europei. Adesso discutono su come limitare i bonus degli speculatori, cosa ovvia, su cui non si dovrebbe nemmeno discutere, ma questa non è una «riforma del sistema», è solo fumo negli occhi e propaganda.

Una intera folla di economisti sta dicendo al governo che la ripresa non ci sarà finchè le grandi banche insolventi non verranno spezzate ordinatamente in entità più piccole, anzitutto separando le attività commerciali da quelle speculative.

Fra questi: Joseph Stiglitz, Nobel; Ed Prescott, altro Nobel. Glenn Hubbard, rettore d’economia della Columbia Business School, e capo dei consiglieri economici sotto il presidente Bush padre. Thomas Hoenig, presidente della Federal Reserve di Kansas City. Anna Schwartz, lucidisssima novantenne, co-autrice con Milton Friedman (il guru dei liberisti monetari) dell’opera capitale di Friedman sulla Grande Depressione. Simon Johnson, già ecomonista al Fondo Monetario ed oggi docente al MIT, Massachusetts Institute of Technology. Sheila Bar, la direttrice del FDIC, l’ente governativo che «garantisce» i depositi dei risparmiatori fino a centomila dollari se le banche falliscono. Camden Fine, presidente dell’Independent Community  Bankers of America, che rappresenta 5 mila banchieri, e secondo cui l’attuale de-regolamentazione finanziaria è «una bottiglia Molotov». Luigi Zingales, rispettatissimo docente alla Chicago Boot School of Busines, e il suo amico Nouriel Roubini.

Anche la Banca dei Regolamenti Internazionali ha avvertito che «la riluttanza dei pubblici poteri di ripulire le banche, molte delle quali sono oggi proprietà pubblica di fatto, può solo ritardare la ripresa».

Persino Stanley Fischer, governatore della Banca Centrale di Israele, sta dicendo che - come minimo - le dimensioni dei giganti finanziari «troppo grandi per fallire» devono venire limitate per legge. Questa presa di posizione è particolarmente istruttiva, in quanto questo Fischer, l’israeliano, è stato, al MIT, il relatore della tesi di dottorato di... Ben Shalom Bernanke, il governatore attuale della Federal Reserve.

Israele ed USA sono davvero una cosa sola. Anche Paul Krugman, fresco del suo Nobel, consiglia di nazionalizzare, almeno temporaneamente, le banche colossali e insolventi.

Ma gli economisti operativi nel governo Obama, Geithner, Summer, e il già citato Ben Bernanke, non solo non danno ascolto a questa folla di consigli, anzi, hanno fatto positivamente il contrario: hanno reso le banche «troppo grosse per fallire» ancora più grosse, consentendo o imponendo  fusioni e inglobamenti con banche già fallite.

Secondo Bloomberg, Tim Geithner, il segretario al Tesoro che Obama si è scelto (o gli è stato fatto scegliere: Geithner è stato nella Kissinger Associates, è membro del Council on Foreign Relations, è stato governatore della FED di New York, la più vicina ai desideri di Wall Street) e Lawrence Summers, oggi direttore del Consiglio Economico Nazionale di Obama  (già segretario al Tesoro di Clinton, e mentore di Geithner) sostengono addirittura di non avere l’autorità per fare a pezzi le grosse banche; che non è liberista porre limiti politici «al successo di una impresa americana» (sic);  e che l’attività  bancaria  e quella d’investimento (speculativo) sono ormai congiunte in modo così intricato, che imporre il disinvestimento di singole unità o attivi approfondirebbe il caos.

Queste scuse non confermano solo l’ovvio, ossia il potere che le grandi banche d’affari hanno sul governo; dicono che la situazione del sistema finanziario è così patologica e incestuosa, si regge su una tale quantità di menzogne, frodi e illusionismi, che il governo USA e i suoi esperti sono  realmente terrorizzati di metterci mano; pensano che l’America non può permettersi di rimettere il sistema in ordine, perchè ne provocherebbero il collasso definitivo, e con ciò il ridimensionamento storico della stessa  grandezza economica americana, oggi fittizia.

Perchè in realtà non c’è niente da inventare. Basterebbe  come minimo rimettere in vigore la legge Glass-Steagall, che fu introdotta negli anni ‘30, nel pieno della grande depressione. Questa legge decretò la separazione fra le attività bancarie commerciali e quelle d’investimento, ossia la commistione che aveva provocato la crisi del ‘29. Era la ricetta giusta, perchè il mestiere di valutare prestiti ad imprese e ad artigiani è completamente diverso da quello della speculazione pura, e richiede competenze professionali diverse, e inconciliabili. Inoltre, la Glass Steagall dettava che i depositi dei risparmiatori non potessero essere impiegati in operazioni ad alto rischio; per queste, le banche «d’affari» avrebbero dovuto chiedere il denaro a investitori consapevoli.

Ma con la speculazione i profitti sono superiori che concedendo fidi o i mutui (il rendimento perseguito per anni, è stato «almeno il 15%»); appunto per questo la lobby finanziaria ha premuto per l’abolizione della Glass Steagal. Ciò avvenne nel 1999, sotto Clinton.

«Non è una coincidenza che meno di dieci anni dopo l’abolizione della legge Glass-Steagall, i mercati finanziari siano collassati», ha detto il presidente della Independent Community Bankers of America.

No, non è una coincidenza. Le stesse cause hanno prodotto gli stessi effetti del ‘29, moltiplicati nella nuova versione dalle dimensioni dell’immensa leva (debito) che gli speculatori hanno usato per speculare, dalle fantasiose invenzioni della finanza creativa, dalle cifre colossali in gioco, dalla globalizzazione, e dall’indebitamento della famiglie unito alla de-industrializzazione americana (ed in parte europea).

Ora, Obama ha promesso una «profonda e completa riforma» del sistema finanziario. Ma come abbiamo visto, i suoi «esperti» ministri, il banchiere centrale e i consiglieri, sono troppo spaventati per mettere mano a qualunque seria soluzione, sapendo che l’economia americana ne uscirebbe solo come una frazione di quella gonfiata e illusoria di oggi. Continuano a cercare di creare un mercato secondario per gli attivi tossici (che hanno fatto comprare allo Stato), e la Federal Reserve compra persino i Buoni del Tesoro americani tramite centrali off-shore, per far credere che Cina, Giappone ed altri stranieri hanno ancora fiducia nel debito pubblico USA: una frode in più nella grande frode. Vanno avanti con questi mezzucci alla Madoff, nella speranza che le cose si rimettano a posto.

La  commissione del Congresso che dovrebbe elaborare le nuove regole ha parlato per bocca di uno dei suoi membri, Jeb Hensarling, repubblicano del Texas: la situazione «sta cominciando a guarire da sola», sicchè ogni intervento «sarebbe inappropiato o anche controproducente». Ben Shalom Bernanke conferma: «La recessione è, tecnicamente, finita».

Amen. Anzi, Shalom. Del resto, le grandi banche d’affari sono i massimi contributori alle campagne elettorali di senatori e del presidente.

Sicchè, una volta ancora, quelle di Obama sono solo parole al vento.

Il che è una tragedia, perchè le regolamentazioni devono essere concordate ed accettate da tutti gli Stati del mondo, possibilmente già al prossimo G-20; se gli Stati Uniti non vi si piegano, nulla sarà fatto. E’ da sottolineare che qualunque altro Stato che avesse, come gli USA, provocato un simile disastro finanziario, una perdita irreversibile (1) di ricchezza di trilioni di dollari in tutto il mondo, milioni di disoccupati, il crollo del 30% dell’economia reale occidentale e giapponese, e accumulato un debito assolutamente impagabile, sarebbe duramente disciplinato dalla comunità internazionale,  e messo sotto amministrazione controllata dal Fondo Monetario. Ma è la potenza militare più grossa del mondo, ha le portaerei e i missili a testata atomica: è per questo, e solo per questo, che gli altri Stati devono accettare di farsi coinvolgere nella sua rovina. Anche intellettuale (2).

Dunque non ci resta che aspettare la prossima esplosione dei mercati americani, che ci trascineranno a fondo definitivamente.

Si ha già un’idea di dove avverrà lo scopppio: nel settore dei mutui e prestiti «interest only». Che cosa sono?

Sono mutui in cui il debitore ha scelto, su proposta della banca, di non pagare le quote di restituzione del capitale per cinque, sette o anche dieci anni, e nel frattempo di pagare solo gli interessi. Solo dopo cinque, 7 o 10 anni comincia a ripagare interessi più capitale, con un raddoppio improvviso del rateo.

La cosa è così demenziale, che c’è da domandarsi: chi è tanto sciocco da accendere un mutuo «interest only», sapendo che dopo 5 o 10 anni il suo aggravio sarà raddoppiato?

Il fatto è che le banche offrivano i prestiti «interest only», anzi andavano a caccia di gente da indebitare in questo modo, con questo seducente ragionamento: il valore degli immobili sta salendo; voi che avete comprato la casa a 100 «interest only», fra cinque o dieci anni, prima che scatti il pagamento del capitale, la venderete a 200, facendoci anche un guadagno! Entrate anche voi, straccioni, nel fantastico mondo della speculazione!

Le case, come sappiamo, hanno smesso di rincarare dal 2007. Anzi i prezzi sono crollati. Così, oggi, il prezzo mediano di una casa in USA è di 178 mila dollari, mentre l’ammontare del mutuo medio «interest only» è  di 324 mila dollari. I debitori non potranno vendere la casa prima, nè farci un guadagno; si dovranno tenere la casa svalutata, e pagarci un rateo di mutuo rincarato di colpo di almeno il  30%. Diciamo che chi pagava 1.800 dollari mensili (oltre il 6% su un mutuo di 350 mila dollari) si troverà a pagarne di colpo 2.300, e in più con la casa che vale la metà del mutuo che s’è accollato. Semplicemente, farà fallimento.

E quanti sono i mutui in essere di questo tipo? Secondo stime credibili, li hanno accesi almeno 2,8 milioni di americani, per un ammontare di almeno 908 miliardi di dollari. E i primi 71 miliardi cominceranno a essere gravati della quota capitale (ossia rincarati) nei prossimi 12 mesi. Il rincaro colpirà americani probabilmente disoccupati, o il cui reddito è stato decurtato dalla perdita dei valori mobiliari e immobiliari  che detenevano. Non occorre dire che questi mutui esplosivi sono stati nel frattempo «cartolarizzati» dalle banche che li hanno inventati, ossia trasformati in obbligazioni e rifilati a chissà quanti fondi e risparmiatori: rendono il 6%!

Cosa volete di più! Ora, sono barili pieni di tossici, che stanno per bucarsi (3).





1) La perdita dei livelli del prodotto interno lordo dei Paesi dell’OCSE è «irreversibile», perchè è scomparsa la porzione di domanda interna che era finanziata dall’enorme indebitamento. I prodotti interni lordi erano artificialmente ingrossati dal credito facile, ed è questa parte che scompare (in USA, i prestiti bancari sono diminuiti del 14%). La crisi dunque implica la correzione verso il basso di tutto ciò che era stato dimensionato a quel livello artificialmente alto del PIL. Per le imprese, ciò significa che dovranno ridurre la loro capacità di produzione (oggi eccessiva) e dunque l’occupazione; per gli Stati, che dovranno ridurre le spese pubbliche. Siccome l’adeguamento delle imprese alla nuova situazione è molto più veloce di quello degli Stati, le finanze pubbliche si degraderanno acutamente (anche perchè i pubblici dipendenti non si lasciano licenziare, nè decurtare gli stipendi). Del resto, l’abuso del credito per stimolare la domanda nei Paesi occidentali  nell’ultimo decennio ha deformato «strutturalmente» l’economia: i beni e i settori legati al credito si sono ingigantiti a detrimento degli altri. Per i Paesi occidentali, sono stati favoriti sia i beni durevoli  di consumo - che non sono più beni prodotti all’interno, ma massicciamente importati (come le TV al plasma, i cellulari, i computer) - sia i settori interni legati all’immobiliare e alla distribuzione, che utilizzano forza-lavoro non qualificata. Il decennio del credito facile nella globalizzazione ha avuto dunque anche questo esito patologico per l’Europa e gli USA: i lavori qualificati distrutti (nelle industrie) sono sostituiti, quando lo sono, con lavori poco o nulla qualificati, nell’edilizia ad esempio (uno dei motivi per cui siamo inondati da immigrati, disponibili ai lavori non-qualificati). Queste le riflessioni dell’economista francese Patrick Artus di Natixis (http://cib.natixis.com/flushdoc.aspx?id=48559). Per l’economista francese, bisogna «ridurre l’esigenza di redditività del capitale», perchè se essa resta alta come prima della crisi, la riduzione irreversibile della crescita imporrà alle imprese di comprimere fortemente i salari, per retribuire gli azionisti come prima. Nel caso italiano, si tratterebbe di «ridurre la pretesa di redditività» dei dipendenti pubblici, troppo numerosi, e i cui stipendi restano troppo alti, inamovibili, durante la crisi.
2) Un segno del fallimento intellettuale è la pseudo-diagnosi, nata in USA e ripetuta qui, che l’errore del Tesoro USA è stato «di lasciar fallire Lehman Brothers», perchè questo «ha creato il panico» che ha innescato la crisi. C’è sotto l’idea che se non si fosse «lasciata fallire» Lehman, la giostra poteva continuare come prima; più che un’idea, è un sintomo della non-volontà di capire cosa è successo, e della incapacità di pensare fuori dal pensiero unico imposto dalla speculazione.  Non si vuole ammettere che, se non Lehman, sarebbe fallita qualche altra banca speculativa, perchè  il trucco di super-indebitare una popolazione de-industrializzata e perciò a reddito calante, non poteva continuare all’infinito. Quei debiti per giunta furono mescolati e impacchettati dalle banche, per non tenersi il rischio nei libri contabili, e rifilati a terzi. Con questa aggravante: mescolarono nei pacchetti debiti «buoni» (di debitori solvibili) con debiti «sub-prime», di insolventi. E’ esattamente la stessa frode in commercio del salumaio che fa il salame macinando carne fresca di maiale aggiungendoci però di nascosto un 10% di carne verminosa di cane; il salumaio andrebbe in galera. Le banche invece si  stupiscono - da quando la cosa si risà - che i loro salami (detti obbligazioni garantite dal debito) non li vuole nessuno: ma se sono fatti al 90% di carne buona! E’ solo panico ingiustificato! (e lo Stato gli compra la merce avariata). Come  acutezza e dignità intellettuale,  questa analisi fa il paio con quella di  Berlusconi: la causa della crisi è solo dovuta alla «sfiducia», e basta un po’ di «ottimismo» per risalire la china.
3) Magari vogliono dire qualcosa i quattro suicidi eccellenti di personaggi dlela finanza USA in 48 ore. O non erano abbastanza ottimisti? Rockefeller & Co’s CEO committed suicide: report (Reuters) - James McDonald, chief executive officer of investment management firm Rockefeller & Co, committed suicide on Sunday in Massachusetts, the Wall Street Journal said, citing people familiar with the matter. Newport Beach financier Danny Pang dies at 42 (LATimes) - Newport Beach financier Danny Pang died early Saturday at a local hospital, according to the Orange County coroner’s office. The cause of death has not been determined and an autopsy is planned for Sunday, said Larry Esslinger, supervising deputy coroner. Financier Finn Casperson dead in apparent suicide (Inquisitr) - Ex-CEO of Beneficial Corp. Finn H.W. Casperson was found dead in an apparent suicide behind an office building in Westerly, Rhode Island. Dying Blagojevich fundraiser said he overdosed, mayor says (CNN) - Police are investigating the death of the former chief fundraiser for ex-Illinois Gov. Rod Blagojevich as a «death-suicide,» an Illinois mayor said Sunday.



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