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La vera felicità
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«Una felicità è vera se si possiede ciò che si ama a condizione, però, che si ami ciò che è degno di amore» (Sant’Agostino)

La felicità è appagamento pieno delle proprie esigenze fisiche, materiali, psicologiche e spirituali. La felicità coincide con l’amore quando questi si identifichi con l’adesione totale e libera dell’essere e delle sue potenze con il Sommo Bene.

Sono quindi diverse le condizioni per raggiungere uno stato di beatitudine. La prima - sembra scontato dirlo, ma non lo è! - è la consapevolezza che la felicità sia una cosa assolutamente possibile per l’uomo. Forse per chi ha superato le disillusione e le amarezze della vita di cui fisiologicamente si nutre l’adolescenza, convinzione latente probabilmente nascosta nelle pieghe delle rughe che solcano il volto maturo di «chi la sa lunga» e «conosce la vita» la gioia piena non sembra di questa vita, e paia non risiedere nelle possibilità dell’umano potere.

Abbiamo il dovere di precisare: se è vero infatti che non è possibile presso l’uomo raggiungere le vette della vera beatitudine soltanto con le proprie forze, dipende tuttavia dalla volontà di ognuno affidarsi alla Grazia che può trasformare la vita e transustanziarla totalmente.

Questa quindi la prima condizione: fidarsi della verità delle parole del Vangelo: «Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena»; esiste una pienezza della gioia che dipende direttamente dall’ascolto interiorizzato e consenziente delle parole di Cristo: quindi è una gioia certamente possibile.

Seconda indispensabile condizione: amare. L’amore non è niente di più che il desiderio di bene per la persona amata. Il massimo amore pensabile è volere il sommo Bene per chi si ama; è per questo che l’amore soprannaturale dei consacrati vergini è in grado di superare ogni barriera umana ed essere al di sopra di ogni particolarismo, indipendentemente da qualsiasi sessualità. Amare Dio consisterà nel volere la sua Gloria: non c’è Bene più grande di Dio stesso, dunque amare Dio significherà niente altro che volere Lui, la sua Volontà realizzata sempre e ovunque.

L’amore non è affare relativo ad un particolare stato o contingenza. L’insufficienza altruistica è tuttavia parte della natura umana ferita dal peccato: tutto deve ruotare intorno a sé; tutto deve dipendere da quello che vogliamo noi o essere riconducibile al nostro punto di vista. Risulta pertanto difficile staccarsi da questo buco nero di egocentrismo esasperato: ma la morte mistica, uscire da sé, rinnegare se stessi, come insegna Gesù è un primo passo ineluttabile verso l’amore vero a Dio e al prossimo. Del resto tutte le culture e civiltà hanno intuito il bisogno di superare la precarietà di questo stato transeunte ma che attanaglia la propria persona ed in definitiva le scelte che di volta in volta si vogliano abbracciare. Rinnegare sé e prendere la propria croce è assumere la verità dei propri limiti, offrire se stessi a Dio, come si è, senza «se» e senza «ma», «evangelium sequi sine glossa».

L’amore è possesso dell’oggetto amato o della persona amata. Il possesso fa parte dell’amore vero. Non si tratta di un’acquisizione di qualcosa che viene dall’esterno, è semplice arricchimento intrinseco che origina dal volere il bene dell’altro.

«C’è più gioia nel dare che nel ricevere» insegna la Scrittura. La retribuzione è già nell’uscire da sé: il premio è già nel lavoro nella vigna del Signore.

Terza condizione (sicuramente vera) posta da Sant’Agostino: la volontà di amare abbia come obiettivo un oggetto degno di essere amato. In quest’ultimo presupposto sono coinvolte facoltà diverse dal semplice appetito sensibile o volitivo. Amare è scegliere la persona o la cosa da amare. Tale scelta di campo è un’opzione radicale fondante tutta la propria esistenza: la scelta del nostro oggetto d’amore cambierà il nostro modo di vivere e di essere.

«Dov’è il tuo tesoro, lì sarà il tuo cuore».

Saper discernere ciò che merita di essere amato e ciò che invece merita di essere ignorato o addirittura odiato (il peccato, per esempio), è un modus vivendi, un atteggiamento sostanziale del proprio essere.

La razionalità, l’intelletto, la ricerca devono quindi attivarsi per poter discernere con precisione, con cura e massima oggettività, ciò che merita di essere conosciuto davvero e definitivamente amato e ciò che non lo sia. L’amore, essendo uscita da sé ed adesione all’altro è in grado di trasformare dall’interno il donante: il donante si rende uno, per osmosi, al donato: questo «passaggio di essere», che è al contempo arricchimento, rende migliori se l’oggetto d’amore è Dio stesso (direttamente in Sé, o indirettamente, nelle sua volontà, quindi negli altri), peggiori se l’amore è non senso, ossia perversione verso il male (cosa che in ultima analisi coincide con la insignificanza e la perdizione). In questo caso, forse, neppure d’amore si tratta.

«A chi non ha sarà tolto anche quello che pensa di avere».

Stefano Maria Chiari
   

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