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E come sta la Francia?
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Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna, Italia... La lista degli Stati dell’eurozona devastati dalla crisi e dall’euro si allunga. E come sta la Francia sotto l’euro? La Francia, la cui relazione speciale con la Germania dai tempi di De Gaulle e Adenauer costituisce il pilastro europeista?

Vediamo. Tra il 1999 e il 2012, il cugino d’oltralpe ha perso la metà della sua quota di mercato mondiale: passata dal 6,5 al 3,5% degli scambi internazionali. «La Francia sta scomparendo dai radar del commercio mondiale», si allarma il super-europeista e massonico Le Monde. «Solo la Grecia ha fatto peggio di noi», dichiara Patrick Artus, economista principe del’Ecole Polytéchnque e del gruppo Natixis: «Quanto possiamo durare?».

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È una domanda tragica: la Francia, come il più grosso «Stato forte» a fianco della Germania, è chiamata a contribuire al 22% del Fondo Salva-Stati (EFSF) impegnandosi per quasi 90 miliardi di euro; una contribuzione che salirà al 35% via via che Spagna e Italia, come Stati deboli in difficoltà, non riusciranno a pagare la loro quota al Fondo, ed anzi avranno bisogno di essere sostenute. Sempre meno «Stati forti» (presunti) devono sostenere un numero crescente di Stati «deboli», impegnando centinaia di milioni in più dalle loro finanze sempre più pericolanti. Il rating della Francia è stato già degradato a gennaio; è evidente che il degrado continuerà e si aggraverà, e il costo per loro del denaro da prendere in prestito salirà fino a diventare insostenibile; anzi lo stesso rating del Fondo Salva-Stati perderà il suo AAA, e faticherà a trovare capitali sui mercati se non a costi insostenibili... è il nodo scorsoio in cui l’eurocrazia ha infilato il collo degli europei.

La bilancia commerciale francese è passiva da dieci anni, in significativa coincidenza con l’adozione dell’euro. E il buco fa passi da gigante: era di soli 230 milioni nel 2003, schizza a 24 miliardi solo due anni dopo nel 2005, e supera i 70 miliardi nel 2011; una crescita esponenziale. Ormai il deficit della bilancia dei pagamenti tocca i 5,8 miliardi al mese (dato di aprile)... Resiste l’alta moda e il lusso, resistono i cosmetici e i farmaceutici e l’industria aeronautica, ma il resto «è un bagno di sangue» secondo Artus: industrie che spariscono a ritmo accelerato per mancanza di competitività.

In dieci anni, le esportazioni francesi in Europa sono calate di 100 miliardi di euro: «Cifra che corrisponde all’incirca alle quote di mercato all’export guadagnate dalla Germania nello stesso periodo», dice un altro famoso economista, Michel Didier. L’export verso i Paesi emergenti, BRIC ed altre tigri, è sconfortante: verso la Cina, le esportazioni francesi rappresentano il 3,2%, quelle di Berlino il 6,1%: il doppio. Nel decennio, i margini di profitto delle industrie francesi si sono dimezzati.

Non c’è dubbio che l’euro è la causa di questo strangolamento. Nel 2004 l’euro si cambiava a 0,82 dollari, in aprile 2008 era salito a 1,60 (oggi è sceso un poco a 1,25, ma non abbastanza). Non potendo più svalutare per sostenere le sue esportazioni, l’industria francese ha subito gli effetti della sua storica specializzazione nei prodotti di gamma media: quando l’euro si rivaluta del 10%, le vendite francesi calano del 9%. Quelle tedesche però aumentano del 2%; nel mese di aprile in cui il passivo della bilancia commerciale francese ha raggiunto i 5,8 miliardi, la Germania ha registrato un attivo commerciale di 14,4 miliardi di euro.

Questo pone il problema: come per l’Italia, la moneta forte e (sostanzialmente) straniera chiamata euro ha messo a nudo le debolezze strutturali della società e dell’economia nazionale. Lo Stato francese è senza confronto meglio amministrato del nostro; ma è entrato nell’euro con l’orario a 35 ore: pretesa «conquista socialista» che si paga cara nella esasperata competitività della mondializzazione, in un mondo interdipendente dove la concorrenza è sui salari. Dove non solo i cinesi lavorano 70 ore, ma i tedeschi hanno accettato significative riduzioni dei salari reali.

Curiosamente, le 35 ore sono una misura popolare tra i francesi; ed esiste come una storica propensione della Francia a cercare di risolvere i problemi delle grandi crisi con manovre «socialiste» sui salari. Anche negli anni ’'30, in piena grande depressione, il Fronte Popolare andò al potere e credette di alleviare la spaventosa stretta recessiva con la riduzione delle ore lavorate (allora passarono da 48 a 40, con l’idea ben nota anche ad una certa sinistra nostrana: «Lavorare meno per lavorare tutti») e con l’aumento per legge dei salari del 10%-15%: il risultato fu, naturalmente, una ancor più atroce disoccupazione.

Ai giorni nostri, tra il '99 e il 2007 il costo del lavoro francese è rincarato del 2,3%; poco, ma nello stesso periodo il costo del lavoro tedesco è sceso del 10,8%. E il neo-presidente François Hollande ha subito promesso una replica delle misure «socialiste» e fallimentari d’antan, pensione a 60 anni e tassazione al 70% dei grandi redditi... e naturalmente le nozze gay («Dì qualcosa di sinistra»).

Per caso – un caso simbolicamente significativo – la presidenza Hollande s’è inaugurata con una zuffa tra concubine presidenziali: tra l’ex moglie Segoléne Royal («la madre dei miei figli») e la compagna attuale, la giornalista Valérie Trierweiller («la donna della mia vita»): quest’ultima – soprannominata Rottweiler per la sua arroganza aggressiva – aveva twittato a favore di Olivier Falorni, il candidato-rivale della Royal a Charente-Maritime. Il che ha fatto sospirare a L’Express se con una simile consorte all’Eliseo, Hollande creerà un ministero della Gelosia; e al sito di destra Polémia annotare, con amaro sarcasmo, che in Francia «la futilità ha sostituito la sovranità».

Un assaggio di tale futilità s’è visto a Roma, all’incontro a quattro fortemente voluto da MarioMonti e tradottosi nell’atteso fallimento (la Merkel ha educatamente detto no a tutto e non è rimasa nemmeno per cena, è volata a Danzig a vedere la partita), dove Hollande ha (ri)proposto gli eurobond, già ripetutamente negati dalla Merkel e dall’intero popolo tedesco, ed oggi ormai completamente inutili.

Peccato davvero. Perchè mai come oggi la leadership francese servirebbe per unificare le vittime dell’euro, ormai in maggioranza – Spagna e Grecia, Portogallo e Irlanda e Italia – mettendo da questa parte il suo peso storico e politico, e in primo piano il suo stesso interesse nazionale, danneggiato come abbiamo visto: dopo i PIIGS, non c’è dubbio che toccherà alla Francia subire l’attacco dei mercati e l’aumento dello spread; anche la sua economia è progressivamante desertificata dalla moneta unica. E anzi la rovina può arrivare prima e d’improvviso, sotto forma del collasso bancario generalizzato in Europa con una distruzione atomica delle sue economie.

Sono insomma presenti le condizioni di urgenza ed emergenza, e di prestigio e peso politico-economico, per cui l’inquilino dell’Eliseo spezzi «il mito catastrofico dell’amicizia franco-tedesca» (1) e ponga a Berlino questo dilemnma: o lascia che la BCE monetizzi i debiti pubblici svalutando l’euro, oppure è tempo che dall’euro esca la Germania. Indicandole la porta. Lo farà Hollande? Mah...

(Sì, lo so: è un progetto enunciato anche da Berlusconi, oggi riscopertosi anti-euro. Ma quando Berlusconi parla, non significa nulla. Non sarebbe capace di attuare un simile programma, e nemmeno lo vuole realmente attuare. L’abbiamo visto alla prova, ci basta un campione della futilità alla volta).





1) L’esortazione è dell’economista Frédéric Lordon. Ecco il passo: «Il est maintenant temps de prendre conscience quil ny aura aucune solution de survie de la monnaie européenne, et en fait de lUnion tout entière, sans une modification radicale de la position allemande — et lacceptation de tout ce qu’elle a toujours refusé: révision profonde des missions de la banque centrale, autorisations dactions ponctuelles de création monétaire au profit des Etats, abandon du dogme de léquilibre fiscal structurel, contrôle des capitaux, etc. — et lon évalue dici la probabilité de la chose… La solution est donc ailleurs quà Berlin: à Paris! Elle suppose de renoncer enfin au mythe catastrophique du «couple franco-allemand» et daccepter dentrer en rude confrontation avec lAllemagne» (Euro, terminus?).


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