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Impiccare i banchieri? Il dibattito è aperto.
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Ricordate Toni Blair? Il Primo Ministro laborista più amato da neocon e likudnik, perchè trascinò il suo Paese nella guerra di sterminio contro l’Iraq? In una recente intervista, è saltato fuori con questa frase:

«Non dobbiamo cominciare a dire che la società starebbe meglio se impiccassimo in piazza una ventina di banchieri’...» (Tony Blair: hanging bankers won't help).

Si può umanamente capire l’inquietudine di Blair per il suo collo, dato che – a compenso del bene fatto ai suoi amici (1) – è oggi nel libro-paga della banca d’affari JP Morgan come «consulente» (senior advisor) a un milione di dollari l’anno. Ma la domanda è un’altra: dove Blair ha colto la frase, che apparentemente cita, sulla ventina di banchieri da impiccare per risanare la società? Si scopre che, in varie sedi, il dibattito è aperto.

Il noto analista finanziario Nouriel Roubini, in una video-intervista a Bloomberg ai primi di luglio, ha lamentato che «Nessuno è andato in galera da quando è cominciata la crisi finanziaria. Le banche, loro, fanno cose che sono illegali e tutt’al più gli danno lo schiaffetto di una multa. Se certa gente finisse in galera, magari sarebbe una lezione per qualcuno. O appenderne in piazza alcuni...» (Mainstream Economist: We Might Need to Hang Some Bankers to Stop Criminal Looting).

Ancora più incredibile l’editoriale scritto per Bloomberg da Neil M. Barofsky: perchè questo nome sconosciuto al grande pubblico non è un analista privato e indipendente, ma – nientemeno – l’ex ispettore generale del governo USA, ministero del Tesoro, per la sorveglianza del TARP (Troubled Asset Relief Program), il colossale salvataggio con cui l’allora ministro Paulson (di George W. Bush) spese 700 miliardi di dollari per comprare dalle banche in rovina i titoli tossici di cui s’erano riempite, accollando il conto ai contribuenti. Barofsky doveva perseguire le frodi e gli abusi relativi all’assegnazione dei fondi TARP. Ha dato le dimissioni nel marzo 2011, dopo aver condotto 140 indagini e proposto l’incriminazione di dozzine di personaggi; compito impossibile, ha gettato la spugna. Oggi questo giurista ha scritto un vero e proprio appello alla rivolta popolare:

«Gli americani devono perdere la fiducia nel loro governo. Devono fortemente disapprovare i politici e regolatori comprati (captured) che hanno distribuito i dollari delle tasse alle banche senza esigere da loro che ne rendano conto. Il popolo americano deve sentirsi rivoltato da un sistema finanziario che premia il fallimento e protegge coloro che lhanno portato al collasso, e che sicuramente lo faranno ancora».

«Solo da questa opportuna e giusta rabbia possiamo sperare le riforme che un giorno libereranno il nostro sistema dalla presa immorale delle mega-banche che lhanno in pugno e lo corrompono» (Bungled Bank Bailout Leaves Behind Righteous Anger).

Sono anni che alti economisti, fra cui Joseph Stiglitz, insistono sul punto: l’economia non si riprenderà fino a quando non saranno perseguiti i banchieri che hanno commesso le frodi, perchè fino a quel giorno non si ricreerà la fiducia che è essenziale in ogni business:

«Penso che si debba fare quel che si fece per la crisi delle S&L (le casse di risparmio ai tempi di Reagan, ndr.) e sbattere concretamente molti di questi individui in prigione. Assolutamente. Quelli (che hanno commesso) non sono reati da colletti bianchi nè piccoli incidenti. Ci sono state vittime. Vittime in ogni parte del mondo».

Ma Stiglitz, benchè Nobel, esprime posizioni lontane dai centri di potere che contano. Adesso il discorso sulla punizione sta diventando in qualche modo mainstream – probabilmente come conseguenza della fallita speranza che il potere politico trovasse la volontà e la forza di imporre una regolamentazione della finanza.

Notevole il caso di una ex analista di Bear Stearns e dirigente di Goldman Sachs, la fascinosa Nomi Prins, che è passata dall’altra parte della barricata guadagnandosi nuova fama con una serie di saggi fulminanti sull’ambiente che conosce benissimo: saggi che fin dal titolo evocano una serie di precisi reati penali, da «pillage» (saccheggio) a «pick-pocketing» (borseggio) e «mugging» (rapina con violenza). La sua opera principe fa il verso ad un libro della Clinton sull’educazione, «It takes a Village», ed è intitolata: «It takes a Pillage», sottotitolo : Behind the Bonuses, Bailouts, and Backroom Deals from Washington to Wall Street, ossia: Dietro i bonus, i salvataggi e gli accordi di corridoio fra Washington e Wall Street.

Un professore di economia, L. Randall Wray della University of Missouri-Kansas City, sulla stessa lunghezza d’onda, ha descritto la crisi e i suoi effetti come il risultati di enormi delitti:

«I ladri hanno preso possesso del sistema finanziario? No, si sono impadroniti dellintera economia e del sistema politico armi e bagagli (...). Hanno sbattuto fuori operai dal lavoro, sbattuto fuori i proprietari dalle loro case, hanno tolto ai pensionati le pensioni, e alle municipalità i loro redditi ed attivi. I finanzieri stanno forzando a chiudere scuole parchi, piscine pubbliche, stazioni di pompieri, centri per anziani, biblioteche. Stanno forzando governi nazionali a mettere all’asta al miglior offerente il loro retaggio culturale. Tutto deve essere svenduto a prezzi manipolati da una ventina di trader nelle più grosse e più corrotte istituzioni che il mondo abbia conosciuto. E siccome hanno comprato i politici, i decisori, i tribunali, nessuno li ferma. E nemmeno se ne discute, perchè molte amministrazioni e università sono state parimenti comprate...».

«Il Top 1% diverrànno i nuovi signori feudali», conclude Wray. Che vede una sola soluzione: «Che il 99% occupi, chiuda e obliteri Wall Street» (Randy Wray: Why We’re Screwed).

L’idea della giustizia sommaria è la conclusione implicita di questo discorso: dove fallisce il diritto, diventa legittima la violenza politica. Almeno in USA, dove ogni ragazzino studia a scuola il celebre detto di Thomas Jefferson, per cui «Lalbero della libertà va di tanto in tanto annaffiato col sangue dei tiranni e dei patrioti».

Paul Craig Roberts – ex viceministro del Tesoro nell’Amministrazione Reagan – nel commentare lo scandalo sulla manipolazione del tasso Libor da parte della Barclays Bank, finisce implicitamente alle stesse conclusioni, anzi additando colpevoli più degni della forca:

«Per quanto infami siano, il capo esecutivo di Barclays Bob Diamond, Jamie Dimon di JP Morgan, Lloyd Blankfein di Goldman Sachs non sono i malvagi peggiori. I peggiori delinquenti sono l’ex segretario al Tesoro e presidente di Goldman Sachs Robert Rubin, che ha spinto il Congresso a cancellare la legge Glass-Steagall: la legge che fu messa in vigore nel 1933 per prevenire proprio gli eccessi finanziari che producono l’attuale crisi della finanza (I colpevoli peggiori)  sono i firmatari del progetto di legge Gramm-Leach-Bliley, che ha cancellato la Glass-Steagall».

Insomma Paul Craig Roberts chiama in causa i politici, o meglio quei «tecnico-politici» prestati al governo dalle grandi banche: abbiamo qualcuno anche noi in Italia, e in Europa. La novità è che Roberts dà la motivazione ideologica che in USA fu dietro questa decisione fatale:

«La rimozione di ogni restrizione agli imbrogli della finanza, di ogni limitazione alle banche, era parte della hubrys da 'fine della storia'. Il capitalismo aveva vinto la lotta contro il socialcomunismo. Ormai convalidato, il capitalismo non aveva più bisogno di fare quelle concessioni allo Stato sociale e alla regolamentazione che il capitalismo aveva adottato allo scopo di competere col socialismo. I freni posti al capitalismo potevano ormai essere eliminati perché i mercati si auto-regolavano, come dichiarò fra gli altri il presidente della Federal Reserve Alan Greenspan. La crisi attuale è stata causata dalla deregolamentazione; dalla cancellazione della Glass-Steagall, dall’abrogazione dei limiti alla leva di debito, dalla mancata regolamentazione dei derivati, dall’annullamento dei limiti alla posizioni speculative sui mercati dei futures. Non c’è dubbio che JP Morgan, Goldman Sachs e altri hanno perseguito il massimo profitto di riffa e di raffa, ma la possibilità di farlo viene dal trionfalismo neocon per la storica vittoria del 'capitalismo democratico' sui sistemi socio-politici alternativi».

Gilad Atzmon, nel suo ultimo, divertentissimo urticante libro sulla psico-patologia della tribalismo ebraico (The Wandering Who?, 2011), accusa più precisamente il capo della Federal Reserve del tempo, l’ebreo Alan Greenspan, di «aver dato al presidente (Bush jr.) uno stupefacente boom economico» perchè «sapeva molto bene che finchè gli americani stavano bene, comprando e vendendo case, il presidente avrebbe potuto continuare ad applicare la Dottrina Wolfowitz, distruggendo i cattivi arabi nel nome della democrazia, delletica e persino dei diritti delle donne».

A questo scopo, Greenspan il sayan ridusse eccessivamente i tassi e incoraggiò l’indebitamento; incoraggiò e lodò gli strumenti derivati e persino i subprime come «tecniche che estendono il credito più efficacemente a un più alto ventaglio di consumatori» (quelli che non avevano soldi). Proclamò «spendere è patriottico», e chi non aveva soldi spendesse pure, «pagherà più tardi». Giunse ad azzardare che l’economia americana non avrebbe più conosciuto crisi perchè era salita «beyond history», al di là delle leggi della storia. Tutto ciò il tempo necessario per scatenare la guerra all’Iraq e liberare Israele da un avversario che la preoccupava, dice Atzmon; oggi è la rovina, ma orma lo scopo dei sayanim incistati ai vertici del potere USA è raggiunto.

Ma se queste erano le motivazioni, gli scopi occulti e le ideologie che hanno portato i politici americani allo scioglimento di ogni regola del capitalismo selvaggio, la domanda è più urgente per i politici italiani (ed europei). Anche da noi deputati, senatori, ministri, capi di governo si sono affrettati ad abrogare le leggi analoghe alla Glass-Steagall, che cioè da noi vietavano la commistione fra banche commerciali e banche d’affari, che esistevano dagli anni '30 appunto per scongiurare il ripetersi della grande Depressione: perchè? A quali lobby e interessi hanno obbedito? Nessuna critica, anzi inni e lodi giornalistiche e di economisti alla nuova efficienza della «banca universale», ossia insieme cassa di risparmio e speculatrice di ventura (coi soldi dei depositanti). Da chi sono stati comprati? Nè si sono sentiti banchieri centrali rispettatissimi, e venerati maestri, obiettare contro la leva-debito eccessiva delle banche, invocare regole per i derivati più folli, minacciare i rigori della legge per i giochi più spericolati. Perchè erano sul libro paga di Goldman Sachs?

In Italia, in Europa, non c’era nessun motivo di imitare gli americani nel loro trionfalismo da «fine della storia», di smantellare le regolamentazioni e esporre lo Stato sociale alle grandinate della globalizzazione, nè di mettere gli Stati sotto il tallone dei «mercati». I politici che dovrebbero rappresentarci l’hanno fatto senza ragione; nè le destre nè le sinistre hanno lanciato alcun allarme, tentato la minima opposizione al nuovo capitalismo da rapina che si stava configurando. Infine, dopo il disastro provocato dalle loro cancellazioni, dalle loro irresponsabilità e mancata sorveglianza, invece che agire per riparare i danni, i politici da noi eletto hanno ceduto il governo ai noti «tecnici» della Trilateral e di Goldman Sachs, certificando la loro inutilità dopo aver certificato il proprio tradimento, e mantenendo però gli stipendioni come nostri presunti «rappresentanti». Hanno dato il timone al noto tecnico, che su indicazione delle banche d’affari e degli altri poteri forti euro-massonici, deve tenere l’Italia nell’euro a qualunque costo: costo, s’intende, per gli italiani.

Non so dove William Pfaff abbia preso la notizia. Ma in uno dei suoi ultimi articoli, racconta che «Mario Monti, ha (in uno dei ricorrenti vertici europoidi) chiesto ai tedeschi se vogliono competere con i prodotti del Nord Italia, prezzati, per esempio, in una nuova lira che valesse il 30-40% in meno dei prezzi delle esportazioni italiane attualmente prezzati in euro» ('Making Europe Work').

Dunque Monti sa qual è la cura ai nostri problemi; ma la usa solo come minaccia per indurre i tedeschi a qualche concessione «per salvare l’euro». Certamente non è lui l’uomo che attuerà questa misura risanatrice, il ritorno alla lira. Però sa che questa è la soluzione.

Impiccare i banchieri? O i politici traditori, come propone Paul Craig Roberts? Almeno in America, sta partendo il dibattito. Parliamone.




1) Tra i servizi resi da Toni Blair ai suoi manovratori, non va dimenticata la sua, diciamo, parabola religiosa. Per un certo periodo la sua fede e quella di sua moglie Cherie è stata di stampo New Age: una maga amica di Cherie, Carole Caplin, introdusse i due a rituali comprendenti «scudi bio-elettrici», «collane magiche», e bagni di rinascita in costume da bagno con strofinamento reciproco di frutta sul corpo. Il 23 giugno 2007 Blair si è rivelato un convertito al cattolicesimo, dandone comunicazione formale quel giorno a Papa Benedetto XVI: ricevuto – come Magdi ‘Cristiano’ Allam – con tappeti rossi dall’ingenuo Vaticano, la pecorella ritrovata ha immediatamente preso posizione criticando la Chiesa per la sua opposizione all sacerdozio femminile e alle nozze finocchie. Nel maggio 2008 Toni Blair ha creato la sua Toni Blair Faith Foundation (Fondazione della Fede di Toni Blair) e lanciato la «Faith and Globalisation Initiative» con l’università di Yale (USA, quella dove prospera la società Skull & Bones). Fede e Globalizzazione, Dio e & Mammona, ecco la nuova vera religione del neo-cristiano e degli amici suoi. Va ricordato che uno dei più annosi amici di Blair è sir Michael Abraham Levy, il massimo raccoglitore di fondi per il partito laborista britannico, a cui Blair deve la sua triplice rielezione nel più durevole governo laborista della storia (serviva un lungo mandato per la Lunga Guerra al Terrorismo Globale). In cambio, Sir Levy è stato nominato da Blair «special envoy» per il Medio Oriente, carica che ha tenuto per nove anni, garantendo l’oggetività e la imparzialità della posizione di Londra sul conflitto israelo-palestinese.



 
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