>> Login Sostenitori :              | 
header-1

RSS 2.0
menu-1
al_qaeda_3_6_mesi_550.jpg
Entro sei mesi, attentato di Al Qaeda
Stampa
  Text size
Sere fa, mentre torno di notte a casa in auto, mi capita di fare zapping su Radio Radicale. La solita Nirenstein parla col direttore della radio, Bordin. E’ la solita trasmissione notturna di propaganda israeliana. Ad un certo punto, Bordin dice: «Ormai tutti ammettono che Osama bin Laden è vivo e operativo».

Tutti ammettono. Vivo e operativo. Da dieci anni non c’è uno straccio di video di bin Laden, persino i messaggi che l’Intel Center (Rita Katz) dirama non sono altro che dubbi messaggi vocali «la cui autenticità non può essere controllata» come badano a dire persino i media ufficiali, con vecchie  foto fisse dello sceicco...

Provo un senso di straniamento. Tutti ammettono? Vivo e operativo? Quei due che si parlano nella notte vivono in un mondo parallelo? Peggio. Come apprendo il giorno dopo, trasmettono le nuove direttive della disinformazione di Washington, preludio all’attacco all’Iran.

Il 2 febbraio, in un’audizione al Senato a Washington, i tre capi dell’intelligence hanno assicurato che «Al Qaeda e i suoi affiliati si sono dati un’alta priorità di eseguire un attentato sul suolo americano entro i prossimi sei mesi».

Lo ha detto Dennis Blair, il direttore della National Intelligence, che aveva al fianco il capo della CIA Leon Panetta, il capo dell’FBI e il capo della DIA, Defense Intelligence agency. Tutti concordi, per la prima volta, ad affermare che Al Qaeda è viva e operativa. Come ha detto Bordin, «tutti ormai ammettono».

Si tratta di un cambiamento di 180 gradi, che persino il New York Times ha notato: «Le valutazioni di Dennis C. Blair sono state molto più tetre che nell’audizione dell’anno scorso, quando egli sottolineò i notevoli  progressi ottenuti nel debilitare Al Qaeda, e disse che ‘il primario allarme per la sicurezza negli Stati Uniti’ era costituito dal collasso economico globale, non dalla prospettiva di un attentato di grandi dimensioni».

William Boykin
   Dianne Feinstein
Contrordine. Oggi Blair, imbeccato da Dianne Feinstein (che presiede la Commissione senatoriale sull’ Intelligence) che gli ha chiesto «di valutare la possibilità di un attentato in USA nei prossimi tre-sei mesi», ha risposto «La priorità è certa, direi». Nota il New York Times: «Una risposta che è stata confermata dai massimi dirigenti della CIA e dell’FBI».

Dunque bin Laden è tornato vivo. Ormai lo dicono «tutti».

«Gli USA tornano alla casella di partenza», commenta il sito belga Dedefensa: «Il terrorismo è (ri)diventato la minaccia primaria per il regime americano (...). Questa evoluzione dà la misura dello straordinario arretramento delle valutazioni americaniste sul mondo, dopo il breve miglioramento, all’inizio del mandato di Obama, che aveva fatto credere alla possibilità che la nuova Amministrazione rompesse con la politica e l’ideologia che domina gli USA dall’11 settembre 2001». E’ Obama ad essere morto, è uno spettro che si aggira alla Casa Bianca. Osama invece è vivissimo.

E’ la nuova direttiva; quella a cui si è allineato Berlusconi non da solo (anche Sarkozy e la Merkel hanno minacciato l’Iran): ormai «tutti» si preparano al pretesto per colpire l’Iran.

L’offerta di Ahmadinejad di consegnare l’uranio iraniano per l’arricchimento all’estero non è stata nemmeno ascoltata – esattamente come l’offerta che fece Saddam all’ultimo minuto, di evitare l’invasione dell’Iraq andando in esilio.

«Dobbiamo reclutare il mondo intero per combattere Ahmadinejad», ha ordinato martedì 2 febbraio il presidente israeliano Shimon Peres; tutti obbediscono e gli eventi subiscono un’accelerazione stupefacente. A cominciare da Berlusconi, l’allineamento dell’Occidente è istantaneo.

Joe Biden, il vicepresidente americano, ha replicato all’offerta di Ahmadinejad: il regime iraniano «sta piantando i semi della propria distruzione». Alla riunione dei 27 ministri degli Esteri europei, il vice di Kouchner, Pierre Lellouche, ha incitato l’Europa intera alla guerra: «Siamo in trattative con l’Iran da sei anni, hanno rifiutato la totalità delle proposte occidentali, e adesso, ad ascoltare quel che dice il portavoce iraniano, si tratta di passare ad un arricchimento del 20% dell’uranio in Iran, che corrisponde alla soglia di militarizzazione» (1).

E’ una sfrontata menzogna: per usi militari, l’uranio deve essere arricchito al 90%. E Ahmadinejad non ha detto che vuole arricchire al 20% l’uranio in Iran, ma all’estero.

Questo tipo di menzogne della favola di Esopo sul lupo e sull’agnello («Mi intorbidi l’acqua», disse il lupo all’agnello che beveva più sotto) ha un significato ed una provenienza inequivocabile: attacco imminente.

E’ il risultato di una intensissima campagna che ha visto impegnati tutti i dirigenti israeliani, in tournée in Europa, specie quella dell’Est (l’Ovest era già guadagnato). Netanyahu è stato in Polonia e, per la prima volta, ha visitato Varsavia per colloqui bilaterali. Il ministro degli Esteri, il razzista Avigdor Lieberman, è andato in Ungheria. Il suo vice, quel Danny Ayalon che ha voluto umiliare l’ambasciatore turco, è andato in Slovacchia.

«Noi restituiamo l’abbraccio a quelli che ci abbracciano», ha detto uno degli alti responsabili israeliani: evidentemente sono state fatte promesse in cambio dell’allineamento di quei Paesi, fragili entità alle prese con guai finanziari e politici. E da notare che queste tournées diplomatiche sono state accuratamente programmate per coincidere con la giornata della Memoria, celebrata per la prima volta come una festività obbligatoria in tutte le scuole italiane ed europee.

Come l’Italia di Berlusconi, Polonia, Ungheria, repubblica Ceca e Romania hanno votato all’ONU contro il Rapporto Goldstone: liquidato; in cambio riceveranno «abbracci». In Germania è andato il presidente, Shimon Peres, e la Merkel ha fatto coprire Berlino di bandiere del nuovo Reich, la stella di David.

Ha ragione Bordin con i suoi israeliani radicali: ormai tutti ammettono che Osama bin Laden è vivo e vegeto, e farà l’attentato. Che poi Al Qaeda non c’entri nulla con Teheran, è un fatto su cui si sorvolerà. Anche di Saddam si disse che era alleato di bin Laden.

William Boykin
   Assad
«Israele sta spingendo la regione verso la guerra», ha detto presidente siriano Assad, uno dei pochi che non vivono nel mondo parallelo creato dal Reich. Assad reagiva all’aggressione appena pronunciata da Avigdor Lieberman, il ministro razzista giudaico: «Chiunque ritenga che concessioni territoriali (da parte di Israele) staccheranno la Siria dall’asse del male, si sbaglia. Alla Siria il mondo deve far capire che deve abbandonare le sue pretese sulle alture del Golan», il territorio siriano occupato da Sion.

Niente, nessuna concessione. L’asse del male è tornato. (President Assad: Israel Pushing Region towards War)

Siamo proprio tornati alla casella di partenza. Il perchè l’ha spiegato Daniel Pipes, israelo-americano, un neocon che torna dall’era Bush (inventore fra l’altro della parola «islamofascismo»):  il presidente Obama non ha altro modo di salvare la sua presidenza se non «bombardando l’Iran per distruggere le capacità nucleari del Paese».

L’America alle corde economicamente, schiacciata dal debito, è chiamata a fare l’ultimo sforzo. Obama ha promesso un congelamento di tutte le spese pubbliche per tre anni, con una vistosa eccezione: nessuna riduzione delle spese militari.

Anzi: la capacità di spesa del Pentagono è stata aumentata dai 626 miliardi di dollari dell’anno scorso a 708 miliardi. Il bilancio del Pentagono si avvicina ad ingoiare un trilione l’anno, su 3,7 trilioni del bilancio federale di previsione per il 2011: è qualcosa di mostruoso, quando si valuta che gli USA hanno già speso un trilione per le guerre in Afghanistan ed Iraq, senza un qualunque esito che si possa chiamare un successo. Il Congresso approva, e approvano i grandi media, senza una sola protesta.


«Quando si includono i costi delle guerre in corso, la spesa del Pentagono è cresciuta del 70% in termini reali dal 2001», nota Travis Sharp, del Center for a New American Security. Tra l’altro, nei costi in bilancio non sono comprese le spese di sostituzione degli equipaggiamenti, armi e materiali usurati nelle due guerre in corso (o tre o quattro: combattenti americani sono in Pakistan, Yemen, Somalia) nè quelli per l’assistenza ai soldati feriti; assistenza minima, ma che peserà per decenni sui bilanci futuri.

Sì, l’America è tornata alla casella di partenza, quella su cui puntarono Bush, Cheney e i loro manovratori neocon. Il Pentagono ha appena diffuso il «Quadriennial Defense Review», il rapporto che descrive le direttive strategiche generali imminenti: se i precedenti rapporti dettati da Rumsfeld e Wolfowitz vantavano la capacità americana di «combattere due importanti guerre convenzionali simultanee», oggi si insiste sulla necessità di combattere simultaneamente contro «minacce multiple e diffuse». Più soldi per droni, truppe speciali, elicotteri. Sia contro «Stati fratturati o falliti», sia contro «il cambiamento climatico» (sic), ma soprattutto contro «il cyberspazio», descritto come una minaccia e dunque «un rilevante campo d’azione per il ministero della Difesa». (US defense envisions multiple conflicts)

La Rete, ecco il nemico. AQIW, Al Qaeda in the Web. Anche Dennis Blair della National Intelligence, nella sua audizione al Congresso, ha messo l’accento su «attentati islamici» che possono colpire la Rete.

«Attività maliziose sulla Rete stanno avvenendo su scala senza precedenti, con sofisticazione straordinaria», ha detto Blair: sta crescendo «la minaccia di un attacco alle telecomunicazioni e ai server e reti di computer da parte di gruppi di nemici sempre più sofisticati».

E’ proprio vero: non si riesce a soffocare la libera informazione, come dimostrano i fallimenti dell’allarmismo climatico (hacker russi «altamente sofisticati» hanno rivelato le mail fra i ricercatori pagati per falsare i dati scientifici) e il fallimento dell’allarmismo sulla influenza suina, debellata dalle informazioni sul web. E il rapporto Goldstone, sparito dai media e liquidato all’ONU, continua a vivere sulla Rete.

E’ proprio vero: Osama bin Laden è vivo e operativo, specie sul web. Osama bin Laden sono milioni di navigatori che non si lasciano informare dai media ufficiali. AQIW siamo noi. Lo dice anche il New York Times: l’intelligence americano teme «un devastante attacco coordinato contro l’apparato tecno-comunicativo della nazione, qualcosa che chiamano una “cyber-Pearl Harbor”».

Siamo tornati alla casella di partenza. Nel 2000, Rumsfeld, Cheney e i neocon firmarono un apppello al futuro presidente USA, in cui auspicarono «una nuova Pearl Harbor» per indurre l’opinione pubblica americana ad accettare un costosissimo riarmo: «Rebuilding the American Defense», come auspicava l’appello dei neocon.

La nuova Pearl Harbor caldamente desiderata si realizzò l’11 settembre. Ora siamo avvertiti: ci sarà un attentato di Al Qaeda sul territorio USA entro tre-sei mesi. E sarà il pretesto per mettere la Rete sotto controllo del Pentagono. Un Patriot Act globale elettronico.

Del resto Robert Gates, il ministro del Pentagono, era stato messo a quel posto durante l’amministrazione Bush, e Obama non l’ha sostitutito. E’ una garanzia per il complesso militare-industriale, che ha bisogno di guerre qualunque, e in questo converge con Israele.

Sull’occupazione del Pentagono da parte delle industrie militari, osservatori qualificati si pongono delle domande inquietanti. Su TomDispatch, un organo informativo internet molto addentro alle cose, William Astore (ex colonnello dell’USAF, oggi docente al Pennsylvania College of Technology) si domanda se alle elezioni del 2016 gli USA avranno come presidente un generale in servizio, in un Paese completamente militarizzato.

«Se la nostra grande recessione conitnua, se lavori decenti diventano sempre più rari, se i media continuano ad eccitare la paura e l’odio, se le truppe reduci da guerre perdute accuseranno i politici di non essere stati abbastanza duri, se uno o due attentati terroristici avverranno sul suolo americano, questo Paese non sarà pronto ad accettare un golpe, sotto qualunque nome si nasconda?». (Tomgram: William Astore, Going Rogue in Combat Boots)

La risposta del colonnello Astore è paradossale: «Nessun Cesare americano marcerà su Washington con le sue legioni per decapitare il governo. Perchè non ne ha bisogno». Il Congresso sta già dando al Pentagono, e alle industrie militari che pagano i senatori, tutti i fondi che esigono. Firmano assegni in bianco uno dopo l’altro, «crocifiggendo gli americani ad una croce di ferro». Perchè dovrebbero fare un putsch? Le burocrazie sono già un colpo di Stato permanente. Non hanno che da continuare così, senza assumersi la responsabilità di far qualcosa per il disastro economico.

Poco dopo, Tom Engelhardt (il direttore di Tom Dispatch) dà ragione ad Astore. Ogni nuovo assegno in bianco, scrive, «è un ulteriore piccole golpe del Pentagono. Ciascun assegno in bianco fa crescere il peso dell’establishment della sicurezza in un modo che gli autori di “Sette Giorni a Maggio” non potevano nemmeno immaginare».
«Sette Giorni a Maggio» è il titolo di un film del 1964 (regia di John Frankenheimer, con Burt Lancaster e Kirk Douglas) che descriveva appunto un putsch militare (sventato alla fine) a Washington.

Nella storia, proprio comandi umiliati e sconfitti sono stati l’innesco di colpi di Stato. Notevole il fatto citato da Engelhardt: di ritorno da una visita sul campo in Pakistan, sull’aereo ufficiale, Robert Gates s’è fatto proiettare appunto «Sette Giorni a Maggio». Ancor più notevole, che l’abbia voluto far sapere. (Seven Days in January)

Osama bin Laden è vivo, Al Qaeda è tornata e farà un attentato in USA. Entro tre-sei mesi.




1)
Lellouch a nome di Kouchner (con Frattini e i tedeschi) hanno tentato di indurre l’Europa ad anticipare le più dure sanzioni contro l’Iran, prima ancora che fossero sancite dal Consiglio di Sicurezza ONU, con una manifestazione di servilismo per Israele molto significativa. E’ infatti incerto se Pechino e Mosca, membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, aderiranno agli embarghi; si trattava di far pressioni mostrando un’Europa inquadrata sotto il dettato del Reich. L’unico a dissociarsi è stato, sia detto a suo onore, il ministro svedese Carl Bildt, che ha definito «brutali» le sanzioni, strumenti da usare solo con cautela, e non prima della decisione del Consiglio di Sicurezza.


La casa editrice EFFEDIEFFE, diffida dal riportare attraverso attività di spamming e mailing su altri siti, blog, forum i suddetti contenuti, in ciò affidandosi alle leggi che tutelano il copyright ed i diritti d’autore.


Home  >  Americhe                                                                                   Back to top

 
Nessun commento per questo articolo

Aggiungi commento


La Dittatura Terapeutica
L’unica ed estrema forma di difesa da questo imminente, sottovalutato, tragico pericolo particolarmente grave per l’Italia, è la presa di coscienza
Contra factum non datur argomentum
George Orwell con geniale e profetico intuito, previde l’oscuramento delle coscienze, il tramonto della civiltà, l’impostura e apostasia dalla verità che viviamo, quando scrisse “nel tempo...
Libreria Ritorno al Reale

EFFEDIEFFESHOP.com
La libreria on-line di EFFEDIEFFE: una selezione di oltre 1300 testi, molti introvabili, in linea con lo spirito editoriale che ci contraddistingue.

Servizi online EFFEDIEFFE.com

Archivio EFFEDIEFFE : Cerca nell'archivio
EFFEDIEFFE tutti i nostri articoli dal
2004 in poi.

Lettere alla redazione : Scrivi a
EFFEDIEFFE.com

Iscriviti alla Newsletter : Resta
aggiornato con gli eventi e le novita'
editorali EFFEDIEFFE

Chi Siamo : Per conoscere la nostra missione, la fede e gli ideali che animano il nostro lavoro.



Redazione : Conoscete tutti i collaboratori EFFEDIEFFE.com

Contatta EFFEDIEFFE : Come
raggiungerci e come contattarci
per telefono e email.

RSS : Rimani aggiornato con i nostri Web feeds

effedieffe Il sito www.effedieffe.com.non è un "prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata", come richiede la legge numero 62 del 7 marzo 2001. Gli aggiornamenti vengono effettuati senza alcuna scadenza fissa e/o periodicità