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Niente panico su David
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Un lettore (immagino non sia il solo) si dice «sconvolto» dal mio articoletto sull’origine di Israele: «Dando credibilità alle tesi del professor Finkelstein, che negano la storicità di avvenimenti come l’esodo dall’Egitto, il regno di Davide e di Salomone,  finisce per demolire la stessa base su cui si fonda la religione cristiana. Com’è possibile, infatti, credere ancora in Gesù,  figlio di Davide, se questi non è mai esistito?».

Anch’io mi confesso un pochino sconvolto, ma da questo fare di ogni erba un fascio, quasi che il modo di ragionare critico e limpido sia ormai tramontato in Occidente: qui non si tratta di «negare credibilità» all’archeologo Finkelstein per salvare la fede.
Una simile sottrazione di credibilità lascerebbe una fede in balia di cose peggiori, e non a caso credute da milioni di occidentali, del genere di Dan Brown, o del preteso «Vangelo di Giuda».
Con poca speranza, metto qualche puntino sulle «i».

La storicità di Gesù e quella di Davide sono due cose distinte e diverse.
Gesù è nato in epoca storica; su di lui esistono non poche testimonianze indipendenti dalla letteratura cristiana.
Le ricerche storiche e archeologiche più recenti - si pensi alla scoperta del frammento del Vangelo di Marco, il celebre 7Q5, identico a quello che conosciamo e databile attorno al 50 dopo Cristo, dunque precocissimo - hanno fatto giustizia di quella iper-critica storica otto e novecentesca (massonica) che per principio dichiarava incredibili le fonti cristiane, e «interpolazioni» quelle non-cristiane.
Ora si può dire che Gesù è davvero esistito, che ha vissuto nel tempo di Pilato, e che quel che raccontano Vangeli, Atti ed Epistole corrisponde a realtà.

Re Davide invece lo si dà per vissuto attorno al 1000 avanti Cristo: un’epoca preistorica e un’area (Oriente) dove più a lungo non si concepì la «storia» se non come «storia sacra», mitica.
Gli eventi anche più reali venivano raccontati e tramandati nella luce del sacro e del mito, come icone perenni e non come figure storiche.
Ovviamente, questo rende tutto un po’ più incerto.

Per fare un esempio: Giulio Cesare è veramente esistito.
Ma quando Cesare stesso dice che la sua nobilissima famiglia, Gens Julia, discende da Enea e per suo tramite da Venere, abbiamo il diritto di esercitare un certo scetticismo, che nulla toglie alla buona fede di Cesare, né alla sua esistenza.
E forse nemmeno a quella di Enea: solo che dobbiamo rassegnarci a non sapere quale nucleo di «realtà storica» si celi sotto questa figura di capostipite, di eroe eponimo, sicuramente esaltata e amplificata miticamente in epoche che non avevano le nostre preoccupazioni filologiche, critiche e scientifiche.

E’ possibile che Davide sia esistito davvero: eroe eponimo, fondatore, e magari erasolo, nella «realtà» quale noi la definiamo, un capo-pastore di una tribù che si chiamò tribù di Giuda.
Che una «casa di Davide» esistesse nell’835 avanti Cristo è confermato da una iscrizione di quella data, dove un Hazael re di Damasco vanta, in tono reboante, una sua vittoria militare: … «Ho ucciso [Acaz]iahu figlio di [Joram r] della Casa di David. E ho messo [le loro città a ferro e fuoco e ridotto] la loro terra [alla desolazione]».
Si tratta di una stele di basalto in aramaico trovata nel 1993 a Tel Dan, rotta e lacunosa e inoltre riutilizzata come pietra da costruzione in uno strato archeologico più recente.
Esiste anche una stele, trovata però nel 1898 (epoca meno scrupolosa quanto a rigore archeologico), per lo più gravemente danneggiata e ancor più frammentaria, dove la conferma è più indiretta:
un moabita, Mesha, racconta come si era ribellato al re d’Israele.
Il nome di Mesha appare nel 2 Re 3 come un vassallo ribelle del regno settentrionale d’Israele, e la stele pare mostrare che il regno d’Israele (del Nord) s’era alquanto esteso oltre il suo nucleo originario (1).

Ma ciò che Finkelstein non ha trovato, in decenni di scavi sul campo alla ricerca di conferme della narrativa biblica, sono le prove che un Davide (di Giuda, regno del Sud) abbia mai unificato Israele annettendo il regno del Nord: tanto più che era Giuda ad essere, dei due, il regno (se era un regno) più piccolo e arretrato economicamente di Israele (centro di commerci internazionali di vino e olio); e le conquiste che la Bibbia attribuisce a Davide richiedono «un’enorme organizzazione, uomini e armature».
Sono tutte cose che lasciano tracce archeologiche, e le tracce non si trovano.

Così non ci sono tracce di una Gerusalemme magnificente nel decimo secolo: e non vale l’obiezione che i grandi lavori di Erode abbiano cancellato gli strati inferiori, perché gli archeologi trovano sotto la Gerusalemme storica segni ben più antichi, del bronzo medio e del ferro; solo che nel decimo secolo mancano.
«L’interpretazione più ottimistica», secondo Finkelstein, è che la Gerusalemme del decimo secolo fosse piccola, «un caratteristico villaggio dell’altopiano».

Lo stesso dicasi per il successore di Davide, re Salomone, che la Bibbia descrive come favolosamente ricco e potente, dove l’argento era «abbondante come le pietre» (1 Re 10,27), dove Salomone aveva 700 principesse per mogli, senza contare le 300 concubine.
Né le immense opere architettoniche che la Bibbia attribuisce ai due re del regno unito sono in qualche modo rintracciabili.
Vogliamo, per salvare la fede cristiana, ridurci a credere che questo sia vero alla lettera?
Vogliamo far dipendere da questo la nostra fede in Gesù?

Ciò non significa nemmeno che la Bibbia - testo assai composito - sia un falso.
Anche se il Deuteronomio fu certamente elaborato nel 600 avanti Cristo da sacerdoti che lo attribuirono a Mosè di oltre un millennio prima, bisogna ripetere che allora non esisteva, nemmeno presso altri popoli, il rispetto filologico, scientifico e quasi museografico per i testi, quale oggi pratichiamo.
Anche gli esseni modificarono senza scrupoli i testi biblici a noi noti (nei loro, ad esempio, Giacobbe uccide Esaù, non si riconcilia con lui), ma qui «senza scrupoli» non va inteso «disonestamente», ma alla lettera: senza patemi d'animo.
Per le loro teste, la «verità» che possedevano dava loro il diritto, diciamo, di chiarificare i testi sacri secondo la loro ideologia.

Anche i Settanta di Alessandria tradussero la Bibbia in greco accentuandone i toni messianici, molti decenni prima della nascita di Cristo; una traduzione che poi i farisei rifiutarono perché dava troppo ragione ai cristiani, adottando i «masoretici», raccolte anteriori e locali varie, adattate alla bisogna. Su questo, sarà utile leggere Andrè Paul, «Et l’homme crea la Bible».
Solo oggi cerchiamo di confrontare certe asserzioni mitico-sacrali con altre fonti indipendenti.

Per esempio: a Tell El-Amarna si sono trovate 400 lettere degli scribi (i burocrati di uno Stato molto organizzato) che descrivono le condizioni sociali, politiche e demografiche della terra di Canaan del 14° secolo avanti Cristo; ma non dicono una parola di Israele e di israeliti.
Finkelsetin ha appurato che una parte di «cananei» diventarono «israeliti» oltre un secolo dopo, adottando usi diversi dai loro conterranei, e spesso coabitanti negli stessi villaggi, evidentemente perché avevano adottato un’altra religione, il monoteismo nazionale.
Così esistono racconti egizi sulla cacciata degli hyksos nel 157 avanti Cristo, che recano qualche punto di contatto con l’Esodo: ma gli ebrei erano hyksos?
O hanno raccolto e fatto propria  una complessa tradizione orale propria delle tribù nomadi con cui erano, per un lungo periodo preistorico, confusi e indistinti?

Certo è che forse quella degli hyksos non fu un’invasione, ma un «passaggio» consentito dall’impero egizio.
Esiste un papiro del 13° secolo avanti Cristo, dove il comandante di un fortino dice: «Abbiamo completato l’ingresso delle tribù di Shasu Edoma… per il nutrimento dei loro armenti».
Quando nei loro magri pascoli infuriava la siccità, gli Edoma (beduini, edomiti) bussavano alla porta del ricco regno, dove il grano non mancava, e ottenevano di far pascolare le greggi, e cibo in cambio di lavoro.

Dunque: non sappiamo se Davide fosse qualcosa di più di un piccolo capo-tribù, trasfigurato dal mito e dalla profezia, in vista - come cristiani, possiamo crederlo - di quel suo futuro Discendente.  Però è almeno certo che i popoli vicini paiono conoscere una «casa di Davide», una stirpe che diceva di avere Davide come capostipite.
Quasi certo che Giuseppe e Maria fossero di questa nobile stirpe.
E che questa stirpe durasse anche dopo la crocifissione, abbiamo una conferma storica interessante.

Egesippo, uno scrittore cristiano palestinese del II secolo, racconta che Vespasiano, dopo la presa di Gerusalemme, ordinò di far ricercare tutti i discendenti di Davide «affinchè non sopravvivesse presso i giudei alcun discendente della tribù del re».
Sulla base di testi incrociati ingegnosamente interpretati (come indizi in un’indagine di polizia), Marta Sordi ritiene che la ricerca sia avvenuta dopo la rivolta ebraica del 66 dopo Cristo: Roma sapeva bene che la rivolta era alimentata dalle profezie messianiche, e volle mettere sotto controllo
i discendenti della «gens» di Davide, a cui le profezie si riferivano.
Secondo Egesippo, furono arrestati due cristiani, parenti di Gesù e «nipoti di Giuda, detto secondo la carne fratello del Signore»; interrogati «su Cristo e sul suo regno, e quando sarebbe comparso», costoro risposero che il regno non è di questo mondo.
Inoltre, le loro mani callose dimostrarono che vivevano faticando, e non avevano beni di fortuna. Furono rilasciati.
Questi due parenti di Gesù, poveri contadini, vivevano ancora al tempo di Traiano (2).
Egesippo però sostiene che l’interrogatorio fu condotto di persona da Domiziano Cesare, che non andò mai in Palestina.
E’ dunque un’invenzione?

Non proprio, i particolari (i calli sulle mani, il mandato di comparizione ai due poveretti, nominato col termine tecnico «evocatus») sono troppo precisi.
E’ possibile che ad ordinare la ricerca sia stato Tito, non ancora imperatore, o lo stesso Vespasiano.
E che l’attribuzione a Domiziano risentisse dell’impressione lasciata nella memoria dalla persecuzione anticristiana di costui, di cui fu vittima ma scampò miracolosamente San Giovanni evangelista.
E’ sicuro infatti che Domiziano suscitò orrore facendo condannare persino dei suoi parenti, aristocratici della Gens Flavia, come Flavia Domitilla e Flavio Clemente, console nel 95 e martirizzato nello stesso anno: la fede in Cristo s’era diffusa nei quartieri più alti, e addirittura nel governo romano, persino prima che fra il popolino (che invece restò a lungo ostile, accusando
i cristiani di atti perversi del tutto inventati, i «flagitia»).
E’ un’altra delle cose che la nuova e più avanzata storiografia ha smentito.

Prima di lasciarsi prendere dal panico, e dalla voglia di togliere «credibilità» a seri studi scientifici, sarà meglio leggerli.
Se non altro, per imparare la differenza che passa tra i vari Dan Brown, e tra i veri archeologi e i veri storici.
Ciò rafforza la fede, credo, non la diminuisce.


1) Israel Finkelstein, Neil A. Silberman, «Le tracce di Mosè», Carocci, pagina 143.
2) Marta Sordi, «I cristiani e l’impero romano», Jaca Book, pagina 72 e seguenti.

 
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