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Calanda: il miracolo dei miracoli
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Jean Martin Charcot era un celebre neurologo francese; ed anche l’esponente di spicco del positivismo antireligioso che, nel XIX secolo, permeava soprattutto gli ambienti scientifici francesi. Uno degli scopi principali che si era prefisso, era quello di dimostrare, come Lourdes potesse essere ricondotta, soltanto ad una serie di fenomeni di isteria singola o collettiva. Con molto sussiego soleva affermare che: «Consultando il catalogo delle guarigioni cosiddette ’miracolose’, non si è mai costatato che la fede abbia fatto rispuntare un arto amputato».

Anche lo scettico ed «incredulo» Félix Michaud gli faceva eco affermando: « Nessun credente avrebbe l’ingenuità di sollecitare l’intervento divino, perché rispunti una gamba tagliata. Un miracolo del genere, che pur sarebbe decisivo, non è mai stato costatato. E possiamo prevederlo, non lo sarà mai».

Nel 1894 Èmile Zola celebre romanziere e famoso panflettista del caso Dreyfus, oltre che profeta del positivismo letterario, come Charcot lo era di quello scientifico, si recò a Lourdes sicuro che tutto quello che avveniva in quel piccolo villaggio dei Pirenei non fosse altro che il frutto di illusioni, allucinazioni, fantasmi non escludendo nemmeno la frode. Con un sorriso ironico davanti alla grotta di Massabielle, dove la Vergine era comparsa a Santa Bernadette Soubirous, affermò: « Vedo molti bastoni, molte stampelle, non vedo però alcuna gamba di legno».

Né a questo coro di scettici poteva mancare un italiano, Ambrogio Donini, discepolo prediletto di quell’Ernesto Buonaiuti, sacerdote scomunicato per modernismo, nei bei tempi in cui la Chiesa cattolica esercitava ancora la sua auctoritas: un «cattolico maturo» come lo si definirebbe oggi. Sebbene fosse il più noto storico marxista delle religioni, con sicurezza, affermò: «Neanche i sostenitori più sprovveduti della possibilità di interventi divini prodigiosi, osano più evocare ’miracoli’, che sarebbero davvero ’soprannaturali’, come la ricrescita di gambe o di braccia amputate».

Ebbene nessuno di questi soloni e grandi scienziati razionalisti, era a conoscenza di quanto era avvenuto il 29 marzo del 1640 a Calanda una cittadina della provincia di Teruel, in Aragona, a 118 chilometri da Saragozza; che oggi conta a mala pena quattromila abitanti e che allora era davvero un piccolissimo villaggio a ridosso dei Pirenei. Quel giorno la Vergine del Pilar riattaccò, questo è il termine giusto, la gamba amputata un paio d’anni prima a Miguel Juan Pellicer: la cosa straordinaria non era soltanto che un arto venisse fatto «ricrescere», ma che invece venisse riattaccata, al suo moncherino, proprio quella gamba che i chirurghi avevano amputato due anni prima e che poi era stata seppellita nell’apposito spazio del cimitero di Saragozza, dove l’operazione di amputazione era stata eseguita.

Il contesto storico

Tutto quello che riguarda questa vicenda è speciale. Quel 1640 fu davvero un anno molto importante per la Spagna, un vero e proprio giro di boa della sua parabola di prima potenza mondiale. Essa è costretta a dare definitivamente l’addio alla sua presenza come potenza di primo piano nella scena mondiale, quell’Impero su cui non tramontava mai il sole, si sfalda e si dilegua, termina il Siglo de Oro: la Catalogna insorge contro il potere centrale di Madrid, i francesi di Richelieu passano i confini «naturali», dei Pirenei con i loro agenti ed infiltrati e la guerra che si combatte sul suolo dell’impero spagnolo dura da ventidue anni.

Anche il Portogallo si distacca e riassume di nuovo una sua identità nazionale, che fino ad ora, si era fusa e confusa con il grande impero spagnolo. Ma siccome le disgrazie non arrivano mai sole, le guerre di religione che vedono la cattolicissima Spagna contrapposta alle potenze protestanti, principi tedeschi, svedesi, inglesi che soffiano sul fuoco del continente per accrescere la loro potenza marittima. Ovviamente la Francia continua a seguire la sua spregiudicata politica di alleanze politiche che prima l’aveva vista appoggiare la Sublime Porta in funzione antispagnola, ai tempi di Lepanto, ora briga con la Svezia per cercare di scalzare la sua rivale di sempre, dal centro Europa. In questo trova degli ottimi alleati nei banchieri dei Paesi Bassi che hanno fatto diventare Rotterdam ed Amsterdam il centro di floridissimi scambi economici per le rotte atlantiche. Amsterdam veniva chiamata il centro «privilegiato» di acquisizione di diamanti grezzi da tagliare, sviluppòuna concentrazione di lavoro tale da potersi definire monopolistica.

I Paesi Bassi, fortemente protestantizzati, si distaccano dalla cattolica Spagna, pensando che questa mossa e le grandi risorse finanziarie a disposizione, li avrebbero messi in un situazione di forte predominanza nei confronti di tutta l’Europa continentale ed anche nei riguardi della stessa Gran Bretagna.

Anversa già dal XVI secolo acquistò straordinaria importanza a livello europeo, e sulle banchine del suo porto, sulla Schelda, iniziarono ad approdare in gran numero navi cariche di mercanzie provenienti da ogni dove: bianche e carezzevoli lane inglesi, zucchero di canna indiano, cuoi, odorose spezie, drappi inglesi, legname svedese, allume italiano, ma soprattutto diamanti che venivano dalle Indie Orientali, fatti affluire dalla Compagnia Olandese delle Indie Orientali. Bruges come piazza commerciale, terminal dei commerci veneziani, decade ed i Welser ed i Fugger si trasferiscono nella capitale delle Fiandre.

La separazione definitiva delle Provincie Unite sarà sancita, nel 1648 dalla Pace di Vestfalia: ma i grandi banchieri olandesi avevano sbagliato i conti, di fatto da lì a poco il baricentro dei commerci atlantici e dell’estremo oriente passerà a Londra dove si sono insediati i Rotheschild che vanno a braccetto, nella loro folgorante ascesa, con quella della potenza marittima e commerciale inglese.

A tutto ciò, colmo dei colmi, si aggiunge la bancarotta delle finanze statali e lo scoppio di una terribile epidemia di peste a cui seguirà una carestia che finirà per decimare i superstiti. Il ruolo della Spagna, almeno dal punto di vista politico, diventerà sempre più marginale, trascinando con sé, in questo rovinoso crollo, anche l’Hispanidad.

Quel 1640 era importante anche sotto l’aspetto della storia religiosa. Ricorrevano, infatti, i sedici secoli dall’apparizione reale e corporale della Vergine all’apostolo Giacomo (Sant’Iago) sulle rive dell’Ebro dando così inizio al culto del Pilar nel cui nome si svolse il prodigio dell’apparizione.

A Loviano il vescovo Cornelio Jansen pubblica l’Augustinus libro che diventerà la bibbia dei giansenisti, il quale era fortemente avverso alla devozione mariana, alla religiosità popolare, ai pellegrinaggi, alle processioni ed a quella quotidianità religiosa dei semplici, che si catalizzava nella grande attenzione nei confronti dei miracoli. Jansen predicava una fede «pura» con una salvezza esclusivamente riservata ad una élite di sapienti, dalla coerenza adamantina tra dottrina e vita, quindi caratterizzata da un forte rigorismo morale. Il Miracolo arriva per smentire e rafforzare tutte quelle cose che Jansen negava.

Il personaggio del Miracolo

Miguel Juan Pellicer nacque il 25 marzo del 1617, e come buona consuetudine fu battezzato lo stesso giorno, festività dell’Annunciazione a Maria data molto significativa nel mondo dei simboli e delle ricorrenze liturgiche e che, in questo caso, lega già dalla nascita il piccolo Miguel alla Vergine Maria. In quella stesa data, nel 1858, Nostra Signora dirà a Bernadette Soubirous; «QUE SOY ERA IMMACULADA COUNCEPCIOU» Io sono l’Immacolata Concezione. Ma non basta il giorno in cui Miguel nasce è un sabato, già di per sé giorno legato alla Madonna, ma per di più è un Sabato Santo cioè la vigilia di Pasqua. Era il secondo di otto tra fratelli e sorelle di Maya Miguel Pellicer e di Maria Blasco due modesti agricoltori che i loro concittadini definiranno, come dagli atti del futuro processo che riconoscerà il Miracolo, come dei buoni cristiani, persone timorate di Dio, devoti alla sua Santissima Madre, di buoni e lodevoli costumi, delle persone, insomma, semplici e poveri lavoratori.

Miguel ricevette solo un’istruzione di catechesi orale che gli impartì il parroco prima che potesse ricevere la Prima Comunione: per tutta la vita restò analfabeta! Ma in lui la fede cattolica fu sempre forte e nello stesso tempo, come in tutti i semplici, basilare, ma davvero granitica legata, oltre che alla devozione a Maria anche alla pratica dei sacramenti : confessione ed eucarestia, in primis.

Tutte le notizie che possediamo in maniera copiosa vengono dagli archivi della parrocchia, che oltre a queste testimonianze storiche, comprendevano anche una copia del processo di riconoscimento del Miracolo scritta in maniera dettagliatissima da due notai diversi. Questi archivi furono «miracolosamente» preservati dalla furia distruttrice degli anarchici e dei «rojos» durante la guerra civile spagnola del 1936, come vedremo meglio in seguito.

Miguel tra il 1636 e il 1637, quindi, tra i diciannove ed i vent’anni, lascia la casa paterna per non essere di peso alla famiglia numerosa e con scarse risorse finanziarie. E si trasferisce a Castellòn de la Plana nei pressi di Valencia dove lavora, come bracciante, presso uno zio materno.

La zona dell’ex regno mussulmano di Valencia, era particolarmente bisognosa di braccia, soprattutto dopo la cacciata dalla Spagna dei «moriscos» (1) e, quindi, a Miguel il lavoro non mancava di certo. Un giorno della fine di luglio del 1637 mentre guidava un «chirròn» (2), trainato da due muli verso la fattoria dei parenti, forse a causa di un improvviso colpo di sonno, cosa molto comune nei mesi estivi a causa del gran caldo, del lavoro intensissimo e della mancanza di una quantità di sonno notturno adeguata in quella stagione, il ragazzo cadde dal dorso di uno dei muli che cavalcava (al notaio che lo interrogava in merito all’incidente dirà per sua disattenzione). Cadendo finì sotto la ruota del carro (3), essa gli schiaccia la gamba appena sotto il ginocchio fratturandogli la parte centrale della tibia. Lo zio cerca di farlo curare e lo porta prima all’ospedale di Castellòn, poi subito dopo, all’Hospital Real di Valencia che dista un sessantina di chilometri.

I registri dell’ospedale ci sono pervenuti intatti e da quelli che annotavano il ricovero dei nullatenenti, si sa che il ricovero avvenne il 3 agosto e dettagliatamente descrivono anche come il ferito era vestito: con abiti laceri e di colore «bigio». Se poniamo l’accento su ciò è per rimarcare quello che abbiamo cominciato a vedere ed ancor meglio vedremo in seguito, cioè l’esattezza e la meticolosa precisione che ci resta su tutto questo straordinario caso: siamo anni luce lontano dai «si dice» e dai «si narra» che spesso fanno da contorno all’agiografia dei miracoli e degli eventi straordinari: qui è tutto nero su bianco!

Nell’Hospital Real resta soltanto cinque giorni durante i quali inutilmente gli furono somministrati vari rimedi. Conoscendo bene la fama di cui godeva il Real y General Hospital de Nuetra Señora de Gracia, ma soprattutto sentendo il fortissimo impulso di mettersi sotto la protezione della Vergine del Pilar, chiede ed ottiene il salvacondotto per potersi recare nella città dell’Aragona. Il viaggio è un vero e proprio calvario: dura cinquanta giorni, sotto una canicola estenuante. L’impresa al limite del disumano è resa possibile anche dalla vastissima rete di ricoveri per pellegrini ed infermi che si irradia per tutta la Spagna (4).

Il «passaporto del malato» di cui è stato fornito all’ospedale valenciano, impone, cosa veramente che ha del sublime, a chiunque abbia un mezzo di trasporto il «dovere religioso» di dare un passaggio al povero invalido ed anche, ad ogni battezzato, di prestargli aiuto e soccorso. Badate bene non si costringe nessuno a far niente, gli si impone di mettersi davanti alla propria coscienza e di estrinsecare un «dovere» religioso: questa è una cosa stupenda che la dice lunga sul grado di permeanza del sacro nella società spagnola di allora e che più avanti vedremo rafforzata da un altro tipo di atteggiamento che la gente tiene nei confronti del mutilato.

In fondo chi meglio di chi soffre è quella «Imago Christi», quasi una teofania e dargli magari anche una carezza, una parola di conforto, un bicchiere d’acqua rende degni della vita eterna, in quanto ciò è fatto con il cuore e con lo spirito di donazione e gratuità.

Quando arriva a Saragozza è già ottobre: ha la gamba fratturata piegata e legata con una cinghia, l’appoggia su una gamba di legno e cammina con le stampelle: ha evitato di passare per Calanda, vergognandosi di farsi vedere dai suoi in quello stato miserando.

Giunto nella capitale dell’Aragona, prima di presentarsi all’ospedale, seppure febbricitante, vuole andare nel Santuario della Vergine del Pilar: si confessa e si comunica, la salute dello spirito è prioritaria rispetto a quella del fisico!


La Vergine del Pilar con il drappo della Protrettrice della Spagna


Nel Real Hospital de Gracia viene ricoverato prima nel reparto febbricitanti, poi passato in quello di chirurgia, che è dedicato a San Michele Arcangelo, di cui porta il nome e che è anche il co-patrono di Calanda. Qui i medici, costatata l’inefficacia dei rimedi applicatigli nei primi giorni dopo l’incidente, ma soprattutto in presenza di uno stato di gravissima cancrena decidono che per salvargli la vita l’unica strada percorribile è l’amputazione dell’arto. Questo è l’esito di un consulto presieduto dal professor Juan de Estanga primario del reparto, docente all’Università di Saragozza e stimatissimo professionista in tutta l’Aragona. Faccio notare come questo luminare si metta a disposizione di un nullatenente, di un povero disgraziato senza pretendere denaro, senza nemmeno prendere in considerazione un’ipotesi contraria alla sua deontologia professionale ed al suo dovere religioso. L’operazione viene eseguita alla metà di ottobre: l’arto viene tagliato qualche dita sotto il ginocchio. Anche i medici che compirono con il professor Estanga l’operazione furono interrogati e resero testimonianza nella causa di accertamento del miracolo. In realtà le cause furono due una condotta dal Capitolo del Santuario del Pilar e l’altra dalla Curia Arcivescovile di Saragozza.

L’operazione in pratica fu eseguita senza somministrazione di alcun anestetico se non una cera quantità di bevanda alcoolica e narcotica: per l’impiego in medicina dei primi anestetici, come etere o cloroformio, dovranno passare ancora due secoli. Durante la dolorosissima operazione e cauterizzazione dell’arto, Miguel invoca, tra gli spasimi atroci, in continuazione la Madonna del Pilar. L’arto ancora sanguinante viene raccolto da uno dei medici e trasportato nella cappella dove vengono deposti i cadaveri; qui mostra l’arto al cappellano Don Pascual del Cacho. Poi insieme ad un collega, provvederà al seppellimento della detta gamba amputata, in un apposito settore del cimitero dell’ospedale. Il parroco testimonierà di aver preso visione dell’arto, di essere al corrente del suo seppellimento in terra consacrata e di aver poi cercato di recare conforto adeguato al paziente che versava in uno stato di grande prostrazione.

Anche qui s’impone una riflessione come prima a proposito del viaggio e del «dovere religioso» di prestare aiuto. Il corpo, secondo il cristiano, è destinato alla resurrezione finale, quindi si deve rispetto e venerazione anche per i resti anatomici che da esso potessero provenire e trattarli a guisa di rifiuti costituiva, nell’accezione comune, vero e proprio sacrilegio. Se solo facciamo un attimo mente locale a come vengono trattati oggi queste parti anatomiche o, peggio, a come vengono considerati i corpicini dei feti dopo l’aborto, ci deve assalire un senso di motivata vergogna e di ribrezzo per il nostro comportamento più o meno indifferente se non complice. «Prodotti abortivi» che vengono inceneriti, o venduti a ditte di cosmesi per ricavarne prodotti di bellezza, o addirittura, come in Cina, mangiati per curare asmatici, o per rigenerare tessuti o altro: davvero certe aberrazioni umane o meglio disumane, gridano vendetta al cospetto di Dio.

Il medico testimoniando al processo, affermerà di aver seppellito l’arto in maniera orizzontale in una regolamentare buca profonda un palmo buca che, due anni e mezzo dopo, verrà trovata vuota. Trascorsi alcuni mesi dall’operazione perfettamente riuscita, seppure non sia ancora in grado di poter adoperare una protesi di legno, strisciando a terra e trascinandosi perfino sui gomiti, Miguel si reca al Santuario del Pilar che dista circa un chilometro dall’ospedale.

Qui arrivato ringrazia la Vergine di avergli comunque salvato la vita chiedendole la grazia di continuare ad essere un suo devoto e poter avere la possibilità di servirla: alla Madonna protettrice di Spagna chiede anche la grazia di poter vivere del suo lavoro, nonostante la sua mutilazione. La Virgen del Pilar farà per lui molto, molto di più premiando la sua fede e la sua totale devozione a lei. Quando, nella primavera del 1638, viene dimesso dall’ospedale, l’amministrazione lo fornisce di «pierna de palo y muleta» cioè gamba di legno e di una stampella.

Per quanto possibile non viene abbandonato: i Canonici del Capitolo del Santuario del Pilar gli concedono, per vivere, di poter chiede, in nome di Dio, l’elemosina nella cappella di Nostra Signora della Speranza che sta presso la porta della chiesa verso l’Ebro. Questa figura di giovane infelice, attira non solo l’attenzione, ma suscita la compassione degli abitanti di Saragozza che allora, come oggi, numerosi si recano almeno una volta al giorno « a salutare la Vergine», avendo la città venticinquemila abitanti sono migliaia quelle che lo riconoscono e che con incredulità e meraviglia due anni e mezzo dopo lo rivedranno con entrambe le «sue» gambe in giro per la città.

Miguel ogni mattina, prima di mettersi al suo posto per mendicare, assisteva alla messa nella Santa Capilla davanti alla piccola immagine della Vergine che sta posta sopra il famoso pilastro di diaspro il Pilar, appunto, che ogni giorno viene ricoperto con drappi preziosi e diversi. Poi espone la sua mutilazione in modo che tutti possano vederla.

Ma non basta, ha preso l’abitudine di chiedere, a fine giornata, agli inservienti che abbassano le lampade ad olio che ardono davanti all’immagine della Madonna per pulirle, di poter avere un po’ d’olio di quelle lampade votive. Con esso si unge il moncone della gamba e ciò nonostante che il professor de Estanga, che lo ha eseguito l’amputazione, lo ammonisca e lo sconsigli in quanto l’umidità che provoca l’unzione può ostacolare la cicatrizzazione completa del moncherino. L’assistenza che Miguel riceve sia durante la degenza in ospedale, sia anche molto tempo dopo è quanto di meglio gli possa essere offerto sia da un punto di vista scientifico, sia anche sotto il profilo dell’umanità, in quei tempi. Oltre tutto l’assistenza è completamente gratuita, ma anche molto, diciamo, affettuosa ed in linea con il concetto di carità cristiana. A ciò va aggiunto che questa assistenza medica non è finanziata da un asfissiante prelievo fiscale, bensì da una volontaria e libera elemosina: un ricco ed un povero ottengono lo stesso tipo di trattamento paritario ed assolutamente non discriminatorio, o differente a seconda delle proprie possibilità economiche, per cui chi più può spendere meglio viene trattato. Ed anche questo è un miracolo! Ma nella Spagna del secolo precedente San Giovanni di Dio forse che non aveva fondato i suoi «ospitalieri» quei «Fatebenefratelli» che avrebbero scritto pagine di sublime abnegazione verso gli infermi, soprattutto verso i più poveri e di più ripugnanti?


Basilica di Nuestra Señora del Pilar


De Estanga dopo aver tecnicamente e scientificamente ammonito il suo paziente aggiunge: «Fatta salva la fede nel potere di intercessione della Madre di Dio». Strano, ma tutto sembra essere una serie di consequenzialità, sì casuali, ma che sottendono l’imminente verificarsi di qualche evento soprannaturale; Miguel che è analfabeta non può aver letto la Sacra Scrittura, ciò nonostante quando Cristo affida la missione agli apostoli, il Vangelo di Marco dice con chiarezza: «Essi predicavano la conversione della gente, scacciavano molti demoni, ungevano di olio gli infermi e li guarivano».

Se la questua è stata copiosa, Miguel si può permettere di dormire all’osteria «de las Tablas», non molto distante dalla chiesa del Pilar, altrimenti passa la notte su una panchina sotto il porticato del cortile dell’ospedale, dove è conosciutissimo e dove viene aiutato e dove tutti gli vogliono bene. L’osteria «de las Tablas» è gestita da un certo Juan de Mazas e da sua moglie Catalina Xavierre: entrambi verranno convocati al processo per riconoscere quel cliente che avevano visto spessissimo senza una gamba e che dopo il miracolo rivedono con tutte e due.

Nella primavera del 1640, Miguel decide di tornare a casa e di ritrovare i suoi genitori che non vede da tre anni. E questo anche su esortazione di due sacerdoti di Calanda don Jusepe Herrero, che è il vicario della parrocchia in cui è stato battezzato e don Jaime Villanueva beneficiario della stessa chiesa. I religiosi lo hanno riconosciuto, insieme ad altri compaesani, mentre chiedeva l’elemosina sulla porta della Basilica del Pilar. A don Jusepe confessa il suo cruccio e dichiara: « Come posso tornare dai miei, io che sono partito contro la loro volontà, bello e sano e che ora mi ritrovo con una gamba in meno?». Don Jusepe lo rassicura sull’affetto che i genitori nutrono per lui ma gli promette anche che, tornato in paese, parlerà con loro in suo favore.

Il viaggio di avvicinamento a casa non è meno doloroso di quello che ha sostenuto da Castellòn fino a Saragozza. Dapprima trova un passaggio su un carro fino a Fuentes de Ebro, aiutato da due compaesani, i quali poi lo devono abbandonare in quanto hanno un impegno in paese e non possono tenere il suo passo, a ragione, troppo lento: quindi Miguel è costretto ad appoggiarsi quasi esclusivamente sulle stampelle in quanto la gamba di legno, facendo attrito sul moncone, gli procura sofferenze notevoli. Giunto Samper incrocia un mulattiere che al processo dichiarerà di averlo visto «rotto e stanco», ma che nonostante il dover e di assistenza ai bisognosi non può dargli un passaggio, non tanto per malanimo o disprezzo, ma perché le sue bestie sono già sovraccariche. La Provvidenza gli viene incontro e Miguel riesce a far arrivare una richiesta di aiuto ai suoi genitori grazie ad un suo compaesano. Questi gli mandano incontro un asinello che viene condotto da un garzone della sua famiglia di sedici anni un certo Bartolomé Ximeno: anche nelle famigli meno abbienti, all’epoca, si potevano trovare questi domestici giovanissimi, provenienti da famiglie molto numerose, ai quali, in cambio di lavoro, si offriva vitto e ricovero, da qualche parte, quando non potevano tornare a casa a passare la notte. E la fatidica notte del miracolo Bartolomé stava sistemando il suo giaciglio nella cucina dei Pellicer.

Quando alla fine di un viaggio durato una settimana, Miguel può finalmente riabbracciare, dopo tre anni, i suoi genitori, è un giorno della seconda settimana di Quaresima: lo scorrere del tempo è, tra questa gente di fede, scandito dalla liturgia della chiesa.

La preparazione al Miracolo

Ovviamente Miguel non può svolgere, mutilato come è, alcun tipo di lavoro se non molto marginale, ma nello stesso tempo non vuole essere un peso per la famiglia, quindi decide di continuare a chiedere l’elemosina. La cosa, per un mutilato come era lui, al tempo non costituiva un disonore, caso mai, al contrario, un dovere.

Qui, cosa davvero sublime, dobbiamo costatare che la gente esercitare una carità nei confronti di un povero mutilato era anche un atto di giustizia ed era considerato un vero onore spartire un pane, anche se piuttosto scarso, con un povero ed i mendicanti erano reputati dei veri e propri benefattori in quanto permettevano alla gente di poter esercitare una forma di aiuto ai bisognosi ed ai poveri, che seguendo la sacra scrittura, era condizione necessaria per poter accedere alla vita eterna. Insomma la carità era la chiave che permetteva di poter accedere al Paradiso.

Quanto abbiamo già evidenziato, a proposito del dovere religioso di ogni persona di soccorrere un ammalato, anche qui si ripresenta una situazione davvero molto significativa che esprime quanto profondamente fosse radicato il cristianesimo nelle coscienze di quel popolo. Tutto ciò non era né formalismo vuoto, né tanto meno scadeva in una forma di superstizione, ma era veramente l’accettazione totale della dottrina cristiana ed esprimeva la consapevolezza personale e collettiva che il sacro era dentro di noi. Quindi accadeva che un mendicante quando diceva grazie per l’elemosina ricevuta, si sentiva rispondere che era chi aveva fatto l’atto di carità che doveva ringraziare lui, avendogli permesso di compiere un’opera meritoria che gli avrebbe accorciato la strada per il Paradiso: trovo questo la cosa più sublime e più elevata che un credente possa esprimere. Ed a ciò si aggiunga l’atteggiamento altrettanto elevato delle autorità che rilasciano un documento in cui si attestava che il soggetto era stato regolarmente battezzato e spiegava le cause della sua invalidità. Nessuno poteva fare il furbo fingendosi invalido e, soprattutto, non era possibile mutilare da piccoli i bambini per spingerli, poi a mendicare cosa questa veramente aberrante e raccapricciante, purtroppo prassi tollerata, in un mondo in cui si rende lecita l’uccisione di una vita in formazione nel grembo materno, senza che ciò desti un moto di ribellione e di rabbiosa reazione.

Questo peregrinare di Miguel di casolare in casolare su un asinello rende il suo stato di mutilazione evidente a tantissime persone soprattutto in una zona a scarsa densità demografica: l’apparizione di questo giovane mutilato colpisce e fa ricordare: la gente gli fa offerte in natura gli dona del pane prezioso soprattutto in periodi, come sotto la Pasqua, quando la farina comincia scarseggiare ed il raccolto del frumento è ancora lontano. La relazione stampata subito dopo il prodigio e tradotta in italiano settecentesco così si esprime: «Così disponeva Iddio, acciocché vi fossero più testimoni della malattia, come anche della santità del miracolo». Insomma la Divina Provvidenza sta tessendo la sua tela per preparare e sensibilizzare la gente all’evento prodigioso che di lì a poco accadrà.

Ancora una volta voglio sottolineare come la Chiesa del tempo desse poi la massima rilevanza all’accaduto: tutto il mondo cristiano cattolico, verrà a conoscenza del miracolo: sì ci saranno ben due commissioni di inchiesta per l’accertamento della veridicità dei fatti, ci sarà anche un intervento puntuale e meticolosamente scrupoloso dell’evento certificato anche da organi dello Stato, ma soprattutto una volta accertata la verità non si faranno passare decenni per riconoscere il fatto soprannaturale in nome di una prudenza o meglio sarebbe dire di un’indifferenza od un fastidio allergico a tutto quello che sono i segni inviati dal cielo, per darci spinta e coraggio. Veramente c’è da chiedersi se oggi una forza luciferina spinga la gerarchia a scegliere certi tipi di comportamenti altrimenti inesplicabili.

Il Miracolo: 29 marzo 1640

Richard Wagner
  La Virgen del Pilar
Quel giorno era un giovedì, giorno che, nella tradizione cattolica, è legato all’istituzione dell’Eucarestia, mezzo e modo della salvezza e della redenzione. Ma era anche il giovedì della settimana di Passione cioè quella precedente la settimana Santa. Quindi alla Pasqua di Resurrezione mancano nove giorni tempo ritenuto importante una «novena» e tempo di nove giorni uguale a quello che intercorse tra l’Ascensione al cielo di Gesù e la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli e Maria riuniti nel Cenacolo, il giorno della Pentecoste. A ciò si aggiunge tutta una serie di 9 che si ripetono e la cui sequela non può, nel disegno divino, essere casuale; ciò ovviamente per chi crede.

Quel giorno era, dunque, il 29 ed erano passati esattamente 29 mesi dall’amputazione della gamba del giovane Miguel. Ma c’è di più, la cifra 9 è la stessa cifra della venuta della Santa Vergine a Saragozza, 9 erano le persone, compreso San Giacomo, a cui la Vergine apparve sulle rive dell’Ebro. Miguel quel giorno decide di non andare per la questua e di aiutare la famiglia, non stendendo la mano, ma svolgendo un piccolo lavoro di braccia che poteva fare tranquillamente: quindi si reca in un campo del padre e per 9 volte riempie le ceste dell’asinello di letame: la sua mancata partenza per la questua forse è legata al fatto che l’asinello quel giorno doveva essere impiegato per questo servizio. Per 9 volte le sorelle, il padre di Miguel e Bartolomé, il piccolo servo che abbiamo già nominato, scaricano il letame nel cortile della casa e rimandano l’asinello nel campo dove Miguel lo aspetta reggendosi a fatica sulla gamba di legno con l’aiuto della stampella.

A sera il dolore del moncone è forte dopo tanto sforzo compiuto, e per di più, tornando a casa, trova una sorpresa che di certo non lo avrà riempito di gioia: il governo impone alla sua famiglia un ospite per la notte, un soldato di cavalleria. Due compagnie di cavalleggeri stanno raggiungendo la frontiera con la Francia contro la quale la Spagna sta combattendo la guerra dei Trent’anni. Ma i soldati sono mandati lì anche per tenere a bada il malcontento che sta montando in Catalogna e che, come abbiamo già detto, di lì a poco esploderà in una rivolta sanguinosa contro il governo centrale, favorita ed aiutata dagli agenti di Richelieu.

Qui il lavoro della Provvidenza diventa un ricamo: Làzaro Macario Gòmez, il notaio del posto è incaricato di trovare l’alloggio ai militari nelle case del paese. Il militare ospitato in casa Pellicer non ha un nome, né fu possibile convocarlo al processo di accertamento del miracolo, ma rese testimonianza dell’evento soprannaturale al notaio e poi, cosa strana, il giorno dopo arrivato a Caspe, cittadina vicino al confine con la Catalogna, chiese ad un frate cappuccino di potersi confessare, dopo dieci anni che non lo faceva più. Coincidenza? Certamente sotto lo choc dell’evento che lo aveva svegliato e gli aveva impedito di dormire, davanti al fatto straordinario di cui era stato testimone, era stato indotto a riconsiderare, sotto una luce diversa, tutta la sua esistenza. Ed insieme ai suoi commilitoni, anche loro accorsi nella notte in casa Pellicer, la voce del Miracolo si spargerà con velocità in tutta la zona: e saranno proprio gli stessi soldati a mandare a Calanda il parroco ed il notaio di Mazalèon che già il 2 aprile ci potranno fornire una documentazione di una precisione estrema dell’accaduto con tanto di dichiarazioni testimoniali e rogito notarile ufficiale.

Miguel, quella notte deve cedere la sua stanza, il suo letto, la sua coperta al militare e si deve accontentare di un giaciglio di fortuna, che la madre gli prepara in fondo al letto dei genitori e, per coperta, deve accontentarsi del mantello del padre il quale essendo troppo corto gli lascia scoperto il piede. Verso le dieci di sera Miguel si ritira e si corica sul suo giaciglio: in casa oltre al soldato erano presenti i genitori, il piccolo servo e due estranei alla famiglia, due vicini di casa Miguel Barrachina e sua moglie Ursula che passavano la veglia della festa dell’Addolorata con gli amici Pellicer. Miguel lascia. Sul seggiolone della cucina, la sua gamba di legno, gli stracci che gli servono per appoggiare la sua gamba mutilata sopra di essa ed anche la stampella a cui si appoggia. Durante la veglia si è lamentato molto del dolore che sta soffrendo anche a causa del lavoro svolto durante il giorno e saltellando raggiunge il suo giaciglio in camera dei genitori.

Verso le dieci e mezzo la madre, munita di una lampada ad olio, va a vedere come si sia sistemato il figlio ed entrando nella camera sente «una fragranza ed un odore soave mai sentiti prima» e come verrà scritto nella relazione notarile questo odore persisterà per alcuni giorni dopo il Miracolo.

La madre di Miguel, Maria, rimane sorpresa da quell’effluvio profumato davvero insolito, si avvicina al figlio, vede che sta dormendo, ma vede anche, pensando di essersi sbagliata, che dal mantello spuntano due piedi incrociati l’uno sull’altro, si avvicina per essere sicura di ciò che vede e pensa che il soldato, si sia sbagliato e si sia coricato in camera sua, chiama il marito, perché chiarisca la situazione. Il marito sopraggiunto sposta la cappa che ricopre il corpo scoprendo l’impossibile: chi dorme sotto il mantello è proprio Miguel Juan. Cominciano a gridare per svegliare il figlio, il quale fa molta difficoltà a svegliarsi: sembra quasi versi in uno stato di coma o in qualcosa di simile a quello stato in cui si trova una persona sotto anestesia totale. Le grida fanno accorrere il giovane servo dalla cucina, il militare e gli altri membri della famiglia. Quando Miguel Juan riprende il suo normale stato di coscienza viene invitato dai genitori a guardarsi le gambe e visto di averne due intere, per prima cosa chiede al padre di perdonarlo per il male che gli può aver arrecato nella sua esistenza. La madre gli chiede se abbia avuto sentore di quello che gli stava capitando e lui dice che stava sognando di essere nella Santa Cappella di Nostra Signora del Pilar e che era intento ad ungersi, come faceva sempre quando era a Saragozza, la gamba con l’olio di una lampada. Il ragazzo comincia a muovere l’arto, ancora incredulo: insieme ai genitori esamina la gamba che si ritrova attaccato e, con somma meraviglia di tutti, si scopre che è proprio la sua gamba che gli è stata in qualche modo «riattaccata» al moncone. Infatti essa presenta dei segni inequivocabili: innanzitutto una cicatrice provocata dall’asportazione di una cisti che gli era stata tolta nella parte inferiore della gamba, dei segni di profondi graffi causati da una pianta spinosa e da ultimo i segni del morso di un cane sul polpaccio. Oltre naturalmente alla cicatrice provocata dalla ruota del carro che gli aveva fratturato la tibia.

Più tardi il 4 giugno 1640 in un Aviso Historico redatto da un famoso poligrafo aragonese residente a Madrid, il giorno prima dell’apertura del processo sull’accertamento della verità su questi fatti, riferisce che non si è trovata traccia della gamba che era stata sepolta nel settore degli organi recisi, nel cimitero dell’ospedale di Saragozza: quindi la Vergine del Pilar aveva riattaccato al moncone, esattamente quella gamba.

Accorrono anche i vicini di casa, si manda a chiamare il vicario parrocchiale quel don Jusepe Herrero che aveva convinto il ragazzo a ritornare a casa dei suoi genitori. Il vicario si porta dietro sia il giudice ed anche responsabile dell’ordine pubblico Martin Corellano il quale stenderà un dettagliato rapporto per le autorità di Saragozza, rapporto che verrà inviato alla corte di Madrid. Poco dopo arriva anche l’alcalde cioè il sindaco, il suo vice ed il notaio reale. Arriveranno anche due chirurghi locali Juan de Rivera ed il giovane Jusepe Nebot che ne aveva preso il posto, in quanto il primo era ormai in pensione. Essi esaminando da un punto di vista scientifico e professionale l’accaduto, avevano dovuto arrendersi all’evidenza dei fatti che aveva dissipato la loro normale iniziale incredulità.

Negli atti del processo, in uno speciale capitolo, si evidenzia come Miguel Juan riusciva sì a camminare con due gambe, ma era costretto ad appoggiarsi ancora alla stampella non potendo appoggiare bene a terra il piede destro. Il padre aveva anche notato come le dita della gamba «riattaccata» fossero ancora contratte, girate all’insù e di color violaceo. Dovettero trascorrere alcuni giorni prima che la gamba ed il piede destro riprendessero i colori naturali, le dita si distendessero e la gamba perdesse delle chiazze violacee che la punteggiavano. Inoltre il punto dove la gamba era stata «riattaccata» presentava una specie di cordone rossastro, come il segno di una saldatura, il quale resterà sempre come segno indelebile anche nel futuro: inizialmente l’arto destro ricomparso era di alcuni centimetri più corto dell’altro, la massa muscolare meno sviluppata: in due anni lo sviluppo del ragazzo era terminato mentre la gamba amputata era rimasta delle dimensioni e della lunghezza che aveva de anni prima. Tuttavia dopo alcuni mesi fu recuperata la piena normalità con l’altro arto.

Queste sono prove decisive che l’arto ricomparso era proprio quello che era stato amputato e seppellito nel cimitero dell’ospedale di Saragozza: la Vergine aveva voluto lasciare dei segni inequivocabili di questo suo intervento ed aveva permesso che non solo persone normali, od autorità civili, ma anche dei medici costata serro, senza difficoltà, l’accaduto e che rendessero di ciò piena e libera testimonianza.

Il primo aprile, terzo giorno dal miracolo, ormai la voce si è sparsa con rapidità ed arrivano a Calanda persone da altri vicini centri abitati. Da Mazaléon arrivano due sacerdoti don Marco Seguer ed il suo vicario, don Pedro Vicente, che accompagnano il Notaio Reale Miguel Andréu: essi redigeranno un rogito notarile diverso da quello fatto dal Notaio Reale di Calanda e accertante le stesse cose: siamo in presenza di un intervento divino certificato per Atto Pubblico. In pratica è come se oggi un miracolo avvenisse sotto gli occhi delle telecamere e che dei notai ne certificassero, con rogito, l’autenticità, sentiti dei luminari della medicina e di eminenti scienziati.


Uno dei tanti francobolli dedicati dalle Poste spagnole al miracolo


La famiglia Pellicer al completo qualche tempo dopo il riconoscimento ufficiale del miracolo da parte del capitolo della Basilica del Pilar e dell’Arcivescovado di Saragozza si recarono in pellegrinaggio per ringraziare ufficialmente la Vergine del Pilar per la grazia ricevuta e donare al santuario la gamba di legno e le stampelle che erano state fornite a Miguel dall’Hospital de Gracia di Saragozza. Purtroppo a causa degli eventi susseguitesi e che videro la Basilica anche bombardata dai soldati di Napoleone, i reperti probabilmente si sono perduti.

Durante la strada molta folla assiste al passaggio del miracolato, a Saragozza, che Miguel aveva lasciato solo un mese e mezzo prima, rimangono sbalorditi tutti: infatti ricordano benissimo il giovane che chiedeva l’elemosina nella Capilla del Santuario. Il più stupefatto di tutti è il professor Jaun d Estanga che ha eseguito l’operazione di amputazione e che ha curato, come abbiamo già visto, il giovane nel decorso post operatorio.

Alla fine, il 27 aprile 1641 dopo undici mesi di lavoro, con ben quattordici sedute pubbliche (5), a meno di tredici mesi dall’accadimento del fatto prodigioso questa era la sentenza che emise l’autorità ecclesiastica di Saragozza:

«Perciò, considerate tutte queste altre cose, con il consiglio degli infra scritti illustri dottori sia di Sacra Teologia, sia di Diritto Pontificio, affermiamo, pronunciamo e dichiariamo che a Miguel Juan Pellicer, nativo di Calanda, di cui si è trattato in questo processo, fu restituita miracolosamente la gamba destra che in precedenza era stata amputata e che non è stato un fatto operato dalla natura, ma opera mirabile miracolosa; che si deve giudicare e tenere per miracolo, concorrendo tutte le condizioni richieste dal diritto, perché si possa parlare di un vero prodigio nel caso qui in esame. Pertanto lo scriviamo tra i miracoli e, come tale, lo approviamo dichiariamo e utilizziamo e così diciamo».

LUdienza Reale

Abbiamo accennato al fatto che il responsabile dell’ordine pubblico di Calanda stilò un dettagliato rapporto sull’accaduto e lo inviò a Madrid all’attenzione del re. Il rapporto, come da iter burocratico, arrivò sul tavolo di don Gaspar Guzmàn il conte Duca de Olivares il più potente ed ascoltato ministro del re Filippo IV, il quale nonostante le sue numerose quotidiane preoccupazioni, si sentì in dovere di avvisare Sua Maestà dell’accaduto. Questi volle essere tenuto informato dell’esito del processo aperto per l’accertamento del Miracolo a Saragozza. Volendosi personalmente rendere conto dell’accaduto convocò Miguel Pellicer a corte. Recentemente è stato rintracciato un documento del Capitolo della Basilica del Pilar che attesta l’avvenuto acquisto di un vestito per il miracolato mettendolo in condizione di essere ricevuto da Sua Maestà.

Filippo IV di Spagna
  Filippo IV di Spagna, Pieter Paul Rubens
All’udienza reale fu invitato anche il corpo diplomatico accreditato presso la corte madrilena: quindi possiamo disporre di tutta una serie di rapporti inviati dagli ambasciatori ai loro governi. Lord Hopton, ambasciatore di Sua Maestà britannica, informò il suo re Carlo I, il quale nonostante fieramente sempre contrario a tutto ciò che arrivava dalla Spagna e nonostante considerasse delle «leggende papiste» le cose che riguardavano il cattolicesimo, fu molto colpito e si convinse della verità del Miracolo tanto da difenderlo, anche davanti agli scandalizzati teologi di corte.

Il re, cominciata l’udienza, iniziò a fare domande a Miguel che rispondeva imbarazzato e turbato, quando terminò il suo racconto sorse tra i presenti uno spontaneo moto di entusiasmo e di fede. Il re, molto impressionato, si rivolse al Protonotaio ed all’Arcidiacono Maggiore del Capitolo Reale i quali entrambi confermarono tutto quanto raccontato dal povero contadino.

Il re si alzò dal trono e, con gli occhi pieni di lagrime, disse: «A questo punto signori, non è più il caso di discutere e di cavillare. E’ il momento in cui occorre accogliere e venerare il Mistero rallegrandoci come cristiani.» L’ambasciatore inglese così narra:

«Avvicinatosi poi a Miguel, che lo guardava attonito, Filippo IV, re di tutte le Spagne, s’inginocchiò davanti al giovane contadino. Gli fece scoprire la gamba destra e baciò con devozione la cicatrice rimasta là dove l’arto era stato amputato e poi riattaccato». Soltanto la certezza di trovarsi di fronte ad uno straordinario e veramente eccezionale segno della Provvidenza divina poteva indurre un sovrano così importante a compiere un atto di modestia così grande.

Un tale avvenimento poteva essere, inoltre, sfruttato da un punto di vista propagandistico per contrastare la guerra senza quartiere che la Francia di Richelieu conduceva contro la Spagna da quasi trent’anni. Ebbene niente di tutto questo fu fatto troppo era il rispetto e la deferenza con cui i segni del soprannaturale venivano accolti, sia dalle persone comuni, sia dal Sovrano stesso.

L’unica cosa che Filippo IV fece, fu un devoto pellegrinaggio al Santuario del Pilar per ringraziare la Madonna e la richiesta di consacrazione della Spagna e di tutti i suoi domini a lei: ancora oggi la Virgen del Pilar è la protettrice della Spagna, della Hispanidad e della Guardia Civil un corpo di polizia simile ai nostri Carabinieri.

L’onda lunga del miracolo


Nel 1808 quando Napoleone istallò sul trono di Spagna suo fratello Luciano, non solo l’esercito, ma tutto il popolo spagnolo, prese le armi contro i francesi inneggiando alla Vergine del Pilar ed al suo miracolo.

Il fratello di Napoleone fu cacciato da Madrid. Napoleone seccato dalla brutta figura rimediata, intervenne direttamente e per disprezzo mandò il suo migliore e più caro dei suoi marescialli: Jeanne Lannes, con l’ordine di vendicarsi di Saragozza e della «sua superstizione fanatica per una decrepita Madonna» Saragozza fu distrutta dopo due mesi di una cruentissima lotta.

I morti fra i difensori furono quasi 60mila, un’ecatombe, ma i difensori della città combatterono strada per strada, casa per casa e lo sforzo difensivo e l’eroismo dimostrato erano fuori dal comune. Scoppiò anche un pestilenza, come spesso succedeva durante gli assedi, alla fine la bandiera bianca della resa fu issata quando i francesi cominciarono bombardare il santuario dove nonostante l’infuriare dei combattimenti mai era cessato il culto e le funzioni religiose. Ma la decisione del bombardamento fu un atto proditorio , un vero e proprio sfregio perpetrato contro la città. Infatti il santuario era stato adibito ad ospedale e tacitamente ci si era accordati per risparmiarlo. Dopo la resa della città Lannes fu implacabile nella vendetta contro Saragozza, non solo, perché aveva esercitato una strenua resistenza, ma perché questa era costata troppo cara alla sua truppa: dette ordine ai suoi soldati di sequestrare tutto il tesoro della basilica, cioè tutto quello che i fedeli avevano donato nei secoli. Il sacco del tesoro della chiesa avvenne tra lazzi e blasfemie il 22 febbraio 1808. A Lannes che arrogantemente se ne vantava, qualcuno ricordò le parole di un antico mistico: «Gesù Cristo sopporta e perdona ogni insulto che viene rivolto alla sua persona. Non sopporta, né perdona gli insulti fatti a Sua Madre».

Strana coincidenza, fatalità, casualità, ma appena tre mesi più tardi, il 22 maggio 1808, mentre era in pieno svolgimento la campagna contro l’Austria, ad Essling una palla di cannone spezzava entrambe le gambe al giovane maresciallo napoleonico. I chirurghi francesi furono costretti ad amputarle entrambe nonostante che il ferito li implorasse e insultasse allo stesso momento: voleva vivere, aveva solo quarant’anni ed era allo zenith della sua brillante carriera. Napoleone stesso si recò in lagrime al capezzale del suo beniamino spronando i medici, affinché tentassero l’impossibile per salvarlo: solo poco tempo prima lo aveva nominato duca di Montebello, proprio per ricompensarlo per la presa di Saragozza. Lannes morì poche ore dopo ormai privo di gambe. Tre mesi prima si vantava di aver depredato il Santuario di una Madonna la quale aveva sentito dire, mentre reagiva tra sghignazzi, che «le gambe le faceva ricrescere.» Ognuno può, da questo episodio storico, trarre le conseguenze che crede, ma la realtà resta comunque sempre la stessa.

Eugeni Tarle il più noto storico del periodo napoleonico, accademico russo sotto Stalin così scrisse: «L’Europa fu scossa, mortificata dal confronto tra l’eroico comportamento della Spagna e di Saragozza in particolare, e la pallida sottomissione di prussiani, austriaci e di tutti gli altri. Dalle rovine fumanti della indomabile capitale aragonese si levò un esempio che porterà finalmente alla rivolta».

Ed arriviamo ad epoche molto più vicine. Si dice che in Spagna tutti corrano dietro ai preti chi con in mano il cero per la processione, chi con il fucile per l’esecuzione. Quando il 18 luglio 1936 Sanjurjo, Mola e Franco si misero alla testa dell’Alzamiento Nacional, la Navarra si schierò con i generali nazionalisti in quanto la sua popolazione era molto religiosa ed aveva molto sofferto per la politica fortemente anticattolica del Governo repubblicano. A Calanda le cose erano tranquille e si arrivò addirittura ad una specie di accordo tra «destre» e «sinistre» tutti deposero, le armi e nessuno fu ucciso.

Nel 1938 dalla Catalogna quelle «colonne infernali» dei «rojos» cominciarono a risalire l’Ebro puntando su Saragozza alle cui porte furono fermati dai nazionalisti di Mola, aiutati dalla popolazione civile. I miliziani anarchici e trotzkisti il 27 luglio entrarono a Calanda: erano preceduti da una fama sinistra, per loro non c’erano regole se non quella di distruggere e incendiare, ma soprattutto il loro primo obiettivo era quello di dare la caccia a preti, religiosi e civili dichiaratamente cattolici.

Poche ore prima del loro arrivo in Calanda il parroco della chiesa del Miracolo che conservava, oltre ai registri parrocchiali, anche la documentazione completa del Miracolo stesso, mise tutto in una cassa di legno. Uscito dalla chiesa, a caso, si diresse all’abitazione di una vedova che era dirimpettaia alla chiesa medesima. La donna, guarda caso si chiamava Pilar: il sacerdote le disse di nascondere la cassetta e di non rivelare a nessuno di averla. In fondo lei era una donna indifesa di nessun tipo di interesse per quei facinorosi, quindi doveva essere al sicuro. Gli asaltos anarchici e «rojos» fecero irruzione nel paese uccisero 42 persone, tutte erano cattolici praticanti, o appartenere al clero. La loro colpa maggiore era quella di non essere comunisti libertari

Sette domenicani, che già dal 1931 avevano dovuto abbandonare Valencia per sfuggire ai «rojos» e che si erano rifugiati a Calanda sperando di poter pregare in pace, pur essendo stati ospitati da alcune famiglie amiche, si consegnarono spontaneamente: furono tutti fucilati dopo un processo farsa in cui venivano schiaffeggiati ed insultati.

Don Miguel nonostante tutto si era rifiutato di abbandonare il suo popolo e la sua chiesa. Anche lui si consegnò volontariamente ai «liberatori»i quali per prima cosa gli fecero togliere la talare e vestire da «proletario», acconsentirono alla sua richiesta di condividere la sorte dei domenicani. La sera del 29 luglio, fu fatto salire su di un camion insieme agli altri religiosi ritenuti colpevoli di essere «spacciatori di oppio dei popoli », fecero far loro il triste «paseo»tra schiaffi insulti e risate perché «il loro Cristo» non veniva a liberarli; quindi furono messi davanti ai fari del camion e fucilati.

Morirono tutti perdonando i loro aguzzini e gridando «Viva Cristo Rey»: don Miguel fu finito con un colpo di pistola alla testa. Era il 29 luglio come il 29 era il giorno del Miracolo. L’ora della fucilazione coincideva perfettamente con quella in cui il Miracolo si era compiuto: cioè tra le dieci e le undici di sera.

Pilar, la vedova a cui aveva affidato i documenti, rimase tappata in casa, nessuno la cercò, nessuno fece irruzione da lei e così la documentazione del Miracolo fu salva ed ora è esposta in Municipio gentro delle teche di vetro.

Forse anche questo un altro piccolo Miracolo del Miracolo compiuto dalla Vergine del Pilar!

Voglio, arrivati a questo punto, chiedere la collaborazione di chi, con tanta pazienza mi legge: vi chiedo di domandare ai vostri parroci se conoscono la storia del Milagro de los Milagros. Se non la sanno raccontategliela voi, poi chiedete le loro impressioni: siate cortesi scrivetemele in calce all’articolo.

Già che ci siete provate a chiedere anche al parroco, come mai la Chiesa di certe cose non ne parla proprio, non le divulga, non le mostra come esempio. Perché mai si ignora questo miracolo, o le apparizioni di Garabandal, perché non si raccontano le storie di Santi come San Marco d’Aviano, San Bernardino da Siena, san Giovanni da Capestrano, San Leopoldo Mandic, tanto per fare degli esempi.

Scrivetemi anche queste risposte per favore: forse comunque questa roba non essendo avvenuta dopo il Vaticano II, non conta un fico secco, è sicuramente solo paccottiglia, o peggio è sicuramente dannosa per la salute e la salvezza delle anime.

Grazie della vostra collaborazione.

Luciano Garofoli






1) I moriscos erano dei mussulmani che erano rimasti nelle loro terre anche dopo la “Reconquista” e che tra il 1492 ed il 1526 erano stati forzatamente convertiti alla religione cattolica. La stragrande maggioranza di loro era però rimasta ancora di fede mussulmana (gli ebrei, che subirono la stessa sorte, ebbero invece il nome dispregiativo di marranos). Nel 1499, il processo di conversione che non era stato accettato da queste popolazioni, sfociò in una rivolta scoppiata nell’Albaicin di Granada e nell’Alpujarra. Rivolta domata in maniera severa dai sovrani cattolicissimi. Tra il 1502 ed il 1526 la conversione forzosa, fu estesa anche alla Castiglia, alla Navarra, alla zona di Valencia e dall’Aragona, la terra di origine di Miguel Pellicer. Nel 1568 un’altra rivolta, guidata da Aben Humeya, scoppiò nella zona di Granata e presto sfociò in guerriglia che dette molto filo da torcere al re Filippo II, il quale alla fine fece domare la rivolta dal fratellastro Don Giovanni d’Austria, lo stesso che comanderà la flotta cristiana a Lepanto. Humeya fu assassinato dal cugino nel 1569 e la rivolta fu definitivamente domata nel 1571. Finalmente, dopo tutta una serie di misure repressive che andavano dalla proibizione di detenere i libri sacri islamici, alla proibizione delle usanze mussulmane, al rispetto delle festività civili entrate in uso nel periodo del dominio mussulmano, alla proibizione dell’uso della lingua araba parlata e scritta, fino ad una forte pressione fiscale. Questi elementi mussulmani, sempre molto in cerca di una revanche, intrattenevano rapporti in funzione antispagnola sia con i francesi (quelli dell’Aragona) sia con i turchi ed i berberi (quelli della zona della costa mediterranea). Alla fine nel 1609, si arrivò alla determinazione di espellere 300mila mussulmani creando un considerevole calo demografico della popolazione spagnola. Quindi erano necessarie braccia per rimpiazzare, specialmente nel settore agricolo, questo vuoto venutosi a creare all’improvviso. E’ chiaro che i lavoratori che andavano a lavorare nel Valenciano fossero particolarmente odiati e spesso oggetto di rappresaglie ed incursioni da parte dei pirati berberi ed arabi dell’Africa del Nord, i quali cercavano di sostenere le rivendicazioni dei fratelli cacciati che si erano rifugiati o in Tunisia o ad Istanbul. La crisi generatasi dalla cacciata dei moriscos fu alleviata solo grazie alla enorme quantità d’oro e d’argento che arrivava in Spagna dall’America del Sud.
2) Chirròn è un carro a due ruote che serviva per il trasporto del grano e di prodotti agricoli.
3) Sappiamo perfino la quantità esatta del grano che veniva trasportata dal carro: cosa davvero che ha dell’incredibile.
4) Qualcosa del genere esiste ancora lungo il Camino di Santiago di Compostela. Esiste anche una rete di alberghi, i Paradores, che ricevono i turisti a prezzi moderati, in palazzi storici bellissimi, la rete è stata creata ed è gestita dallo stato spagnolo.
5) Voglio far notare come la causa avvenga sotto gli occhi dei fedeli con una trasparenza ed una serietà come si conviene alla delicatezza della materia. E come possiamo criticare un regime ed un società civile che permette una così inattaccabile possibilità di acclaramento dei fatti? Questo è un sintomo di civiltà, di ordine, di moralità che supera qualsiasi tipo di diatriba democratica e che è resa possibile solo grazie alla totale permeabilità dei concetti cristiani nella società: è in sostanza Dio che guida il suo popolo con armonia e giustizia. Tutto ciò, mi duole affermarlo, si è completamente perduto non solo nella società civile, ma, cosa peggiore, proprio all’interno della chiesa dove ormai il segreto latomico la fa da padrone e dove qualsiasi cosa debba essere deliberata lo è all’interno dei Sacri Palazzi senza nessuna trasparenza e garanzia di nessun genere e tanto meno sotto il profilo morale. Ormai davvero “il fumo di Satana” è penetrato in Vaticano obnubilando le menti e seminando solo zizzania.


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