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Stupidità europide, col pilota automatico
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Questo esempio lo devo all’economista Gustavo Piga. Lo copio-incollo direttamente dal suo blog, post del 29 maggio:


«Immaginatevi Obama che va in tv, e annuncia che domani l’Alabama, o il Vermont, dovranno versare una multa pari allo 0,2% del loro PIL statale perché per 3 anni consecutivi non hanno raggiunto il deficit su PIL del 3%?

Ma dai. Mai e poi mai. Perché le unioni di popoli basate sulle punizioni e non sulla solidarietà; le unioni basate sulla contabilità e non su di un progetto ideale… falliscono. Senza se e senza ma.

Lo dico perché alle ore 14 il Commissario Rehn annuncerà cosa fare della famosa multa al Belgio che per il terzo anno consecutivo ha superato il rapporto del 3% del deficit-PIL. E chissà mai perché li avrà superati quei limiti: forse per il salvataggio dell’ennesima banca, dal nome Dexia? O forse a causa della recessione auto-imposta dall’Europa?

Una multa di 750 milioni di euro. Che sarebbe messa in un deposito infruttifero, fino a quando il Belgio non si dovesse ravvedere. Il fior fiore dei giuristi europei sta in questo momento lavorando a costo del contribuente europeo per dimostrare la validità giuridica di una tale decisione.

Bellissimo. In una unione che continua amorire per mancanza di domanda interna ed eccesso dirisparmio, si sta considerando di obbligare un intero Paese a risparmiare per punizione. Speriamo bene che tutti i politici, Letta compreso, europei siano in questo momento attaccati al telefono a ricordare a Rehn che è solo un tecnico e che la Politica, quella con la P maiuscola, spetta a chi rappresenta democraticamente le esigenze delle persone».


Patetico appello: la Politica con la P maiuscola, è proprio quella che l’Europa ha eliminato. Per Politica (con la P maiuscola) s’intende la capacità dei governi di prendere iniziative discrezionali; a questa capacità, i governi europei hanno rinunciato. E non è nemmeno esatto dire che hanno ceduto questo potere (la sovranità) all’entità Europa. No: l’hanno ceduta a dei testi, a dei regolamenti. Come nota l’economista Lordon, «tutta la politica economica europea è stata fissata irrevocabilmente in testi di valore quasi costituzionale». Togliamo il «quasi». Di valore costituzionale, visto che i nostri politici hanno inserito quei testi nella Costituzione nazionale: patto di stabilità, rientro dal debito, l’assurda norma di non superare il 3% di deficit annuo (numero arbitrario) che oggi procura una multa al Belgio (sicché un Paese in crisi viene per giunta costretto a cacciare altri quattrini e immobilizzarli invece di usarli). Non possono far altro che obbedirli.

L’origine di questa patologia democratica dovrebbe essere nota a Piga: fin dal dopoguerra la Comunità Europea è stata costruita apposta per «neutralizzare» la politica, considerata dai banchieri americani che avevano in mano il piano Marshall (Lazard, essenzialmente) la causa delle continue guerre europee. Essi incaricarono il loro delegato, da nessun popolo votato, Jean Monnet, di distribuire gli aiuti del piano Marshall solo a condizione di rinunce alla sovranità. Ma a lungo, questa azione è proceduta surrettiziamente, appoggiata a delegati dei vari Paesi selezionati fra il «europeisti», ossia al corrente del massonico disegno.

L’accelerazione fatale è avvenuta al momento della creazione della moneta unica: per farvi entrare la Germania riunificata (perché era quello lo scopo dell’euro: incatenare il gigante) si sono accettate le sue condizioni. E le condizioni tedesche sono consistite appunto nella «neutralizzazione costituzionale» delle possibilità di una politica congiunturale, ossia di atti di governo sovrani in caso di congiunture di crisi. La Germania non voleva pagare i conti delle cicale, aveva almeno chiaro il suo interesse nazionale. Il suo modello è stato accettato da Francia, Spagna, Italia e tutti gli altri. Ciò che avviene oggi, non ne è che la conseguenza inevitabile.

L’Europa unita è stata voluta così: col pilota automatico innestato. E per impedire che una hostess, un passeggero, uno scimpanzé – insomma chiunque dotato di istinto di sopravvivenza – fosse un giorno tentato di afferrare i comandi, la cabina di pilotaggio è stata concepita senza comandi: la cloche non c’è, le manopole per dare potenza ai motori sono azionate da un altro ente, la Banca Centrale Europea – unica Banca Centrale della storia che è stata privata costituzionalmente del potere di prestatore di ultima istanza.

Ci restano gli strumenti di misura sul cruscotto: così possiamo contemplare, paralizzati dal terrore, l’orizzonte artificiale che ci segnala che stiamo volando fuori assetto, l’altimetro che ci dice che stiamo precipitando a velocità accelerata, e gli avvisatori di stallo e di prossimità del suolo che urlano «pericolo!». Fuor di metafora: vediamo che nei primi tre mesi del 2013 si sono verificati 3500 fallimenti, con un aumento del 12% rispetto allo stesso trimestre dell’anno prima, e altre 23 mila imprese negli stessi tre mesi hanno avviato procedura d’insolvenza o liquidazione volontaria; insomma il motore dell’economia (specie del Nord e Nord Est) sta implodendo per mancanza di credito, tassazione eccessiva (per rientrare nel Patto di Stabilità) e insomma non riceve più carburante. Il segnalatore di calo del Pil si corregge di continuo, mostrando una caduta sempre più verticale: meno 1,3 sul Pil per il 2013 dice il governo, no meno 1,5 dice l’Ocse, e alla fine l’Ocse si fissa: meno 1,8 (1), quasi meno 2, forse alla fine – visto come questo strumento è regolarmente troppo ottimista – meno 2,5. Caduta libera.

Che significa una cosa: riduzione di gettito fiscale, ali appesantite da altri milioni di disoccupati da mantenere con le provvidenze sociali ormai a secco, e rientro nella «procedura per deficit eccessivo» da cui siamo appena usciti, a quanto dice il governo Letta invitandoci ad esultare. «Basta non sforare il 3% per avere nuovi margini di spesa», ci dice il patetico governo: naturalmente però «non nel 2013, dove i margini sono stati mangiati dal pagamento del debito commerciale, quanto nel 2014. Qui c’è un obiettivo di un deficit all’1,8%. La differenza col 2,9 massimo ammesso, è ciò che si può recuperare. Sono i famosi 7-12 miliardi, a seconda delle fonti». Ovviamente, la promessa di un deficit dell’1,8% nel 2014 sarà impossibile; ma per allora l’avremo dimenticata. Saremo tutti morti.

Il fatto è che né Letta né alcun altro può cambiare alcunché; è entrato nella cabina di pilotaggio, ed ha scoperto che non c’è alcuna cloche. E l’autopilota che conduce obbedisce ad un piano di volo fissato 50 anni fa dalle massonerie internazionali, e bloccato per sempre dalla volontà tedesca, che noi abbiamo iscritto nella Costituzione. Tutto quel che può fare il governo è diffondere speranza fra noi passeggeri morituri: l’Europa ci ha promosso, adesso ci darà più flessibilità; aspettiamo a settembre, le elezioni tedesche, vedete la Merkel si sta già ammorbidendo...

Non è vero. Le condizioni che la Germania ha posto non erano negoziabili all’inizio, e non lo saranno in futuro: nemmeno se la Merkel perde le elezioni, nemmeno coi socialisti al governo. Anche loro sono col pilota automatico, e per di più ci guadagnano. A Bruxelles hanno risposto all’ottimismo di Letta chiarendo: l’uscita dalla punizione per deficit eccessivo «non è un giudizio frutto di flessibilità extra. Abbiamo solo applicato il Patto di Stabilità». Ossia ancora una volta, innestato il pilota automatico – quello che ci obbliga, in piena depressione-deflazione, a sottrarre ogni anno un 50 miliardi di euro alle tasche e all’economia italiane, nello sforzo impossibile di riportare il nostro debito pubblico dal 132% attuale al 60 per cento: come vuole la Germania e come abbiamo scolpito nel bronzo costituzionale. E da Bruxelles sono arrivate a Roma le raccomandazioni che accompagnano l’uscita dalla procedura di deficit eccessivo. «Veri diktat che legheranno le mani al governo», commenta il sito Wall Street Italia. Ma non è una novità: abbiamo ceduto il potere sovrano al pilota automatico, il quale è sorvegliato – non gestito, nemmeno loro possono – da massoncelli di terza categoria come i Barroso, i Rehn, gli Oettinger, Tajani.

S’intende che hanno persino ragione a suggerirci cose che i nostri governi non vogliono fare: riduzione delle spese pubbliche invece che aumento della tassazione, per esempio. Oltre al nodo scorsoio europoide, infatti, restiamo con le nostre immani e incurabili magagne domestiche i nostri vizi interni irrimediabili, perché non c’è alcuna volontà politica di rimediarli.

Un esempio, l’ha raccontato l’economista Giavazzi al Radio 24 qualche giorno fa. Giavazzi era stato incaricato da Corrado Passera, allora ministro dello Sviluppo (sic) nel governo Monti, di spulciare nella spesa pubblica i fondi che potevano essere recuperati o meglio usati. Con poca fatica, Giavazzi – su indicazione della Confindustria – ha mostrato che lo Stato spende inutilmente 10 miliardi di euro in «sussidi e incentivi alle industrie»: anzi i miliardi sono 30, ma almeno 10 servono solo a favorire e tenere in vita aziende decotte. La stessa Confindustria non vuole questi sussidi ed incentivi, e propone di toglierli per avere in cambio una defiscalizzazione delle paghe per i nuovi assunti: ossia una diminuzione del costo del lavoro sui giovani al primo impiego, che favorirebbe le assunzioni. La voce del buonsenso.

Ebbene: il ministro Passera non è riuscito a far passare questa riforma. Perché? «Perché i dirigenti del ministero si sono apposti con successo», ha detto Giavazzi: i dirigenti ministeriali che detengono l’incarico di distribuire i «sussidi ed incentivi alle industrie», si sono opposti perché avrebbero perso la loro poltrona, il loro potere e il loro stipendio da 300 mila euro e più. «Sono dirigenti molto potenti», ha commentato Giavazzi, «ostacoli formidabili all’amministrazione». E sono ancora lì, mentre Passera – dopo il debole e fallito tentativo di disciplinarli – è scomparso dalla scena.

Adesso Alesina e Giavazzi hanno passato la loro analisi al ministro Saccomanni: 50 miliardi di spesa pubblica da riqualificare in investimenti pubblici per dar lavoro alle imprese: farà la fine del tentativo Passera. Questa è l’Italia. Nessuna vera spending review è possibile, perché bisognerebbe cacciare i grand commis che operano nell’ombra per i propri interessi individuali, e che sono inamovibili. E su questo livello «i diktat di Bruxelles» non hanno alcuna influenza. Nemmeno conosciamo i nomi, di questi sabotatori che noi paghiamo così profumatamente. Operano «sotto» il pilota automatico, e sono gli unici ad avere qualche vera leva di potere in mano. Anche questo, però, è un effetto collaterale dell’europeismo come è stato inteso in Italia: cancellata la nozione stessa di «interesse nazionale», non esiste più alcuna istanza che lo difenda, anzi nemmeno che lo esprima e lo formuli. I grand commis, esecutori del supposto interesse nazionale, sono rimasti a fare il loro proprio. In piena irresponsabilità. Le procure che chiudono l’Ilva e silurano i contratti con l’India facendoci gettare a mare 500 milioni di euro, sono un altro esempio di irresponsabilità e incomprensione davanti all’interesse nazionale. Ma appena si gratta, di casi simili se ne trovano a centinaia.

Sicché bisogna premettere: nessuna eventuale ripresa di sovranità porterà il minimo vantaggio a questo Paese, se prima non sarà ripulito da queste concrezioni di parassiti più pericolosi e costosi ancora dei «politici», e che sgavazzano al disotto della «politica» che non esprime più Politica con la P maiuscola. Solo dopo la loro eliminazione, si può tornare a spiegare come e in che senso strappare il pilota automatico che ci sta facendo precipitare.

L’Unione Europea ha tolto alla politica, con la scusa che si abbandonava a spese pubbliche allegre, ogni possibilità di creazione monetaria. Ciò è stato ottenuto con la creazione della Banca Centrale Europea, che tutti (anche i nostri politici) hanno voluto col pilota automatico: ossia totalmente sconnessa dalle politiche di bilancio e fiscali degli Stati membri. I fondatori eurocratici, con tutto il loro liberismo, anno considerato il denaro qualcosa di così sospetto, da dover essere posto sotto severa sorveglianza da parte di un ente su cui gli stati non avevano il diritto nemmeno di criticare. E con l’unico mandato di combattere l’inflazione.

In periodo di deflazione, capite quanto serva il pilota automatico innestato. La neutralizzazione della politica e della sovranità monetaria, scolpita in Costituzione, ha posto tutti gli ingredienti per la Grande Depressione in atto, che è più grande ancora di quella del ’29-39, e che ci siamo tolti i mezzi per contrastare.

Ci siamo cancellati dalla memoria il fatto che è del tutto naturale e legittimo che sia lo Stato ad usare il denaro come leva per l’attività economica, per sovvenire ai bisogni di certi gruppi sociali, per metterne altri a contribuzione del bene comune. La «monetizzazione» oggi demonizzata, è sempre stata la prerogativa che definisce lo Stato in quanto tale. Onnipresente nella storia, quest’atto fondamentale di creazione monetaria è stato utilizzato regolarmente in periodi come quello che attraversiamo. Quando il credito si prosciuga e le banche si ritirano dall’economia perché strapiene di «sofferenze», innescando il circolo vizioso che porta alla sparizione della liquidità e dunque al collasso delle imprese sane, solo lo Stato può «navigare controcorrente» approntando linee difensive contro l’avvitamento del ciclo.

La sua Banca Centrale può accordare prestiti senza limiti alle entità finanziarie che subiscono la svalutazione dei loro investimenti e il ritiro massiccio di capitali. Ad un altro livello, la banca centrale compra gli «attivi a rischio» che il mercato non vuole più, detenuti da banche e imprese. Ciò per evitare la «deflazione da debito» che già il grande economista Irving Fisher indicava come il Male Assoluto. L’uso della Banca Centrale della sua liquidità creata previene la svendita generalizzata degli attivi, dei titoli e degli altri valori in mano ad operatori senza liquidità; svendite che provocherebbero la spirale ribassista spinta, se non contrastata, alla volatilizzazione di ogni investimento, finanziario e reale, – ciò che appunto sta avvenendo in Italia.

La Banca Centrale, infine, può mettere a disposizione del governo sovrano le somme per rilanciare la domanda aggregata, ossia per innescare la crescita e la ripresa economica; così a poco a poco la moneta creata dal nulla e «vuota» si riempie di ricchezza reale prodotta dal lavoro e dalle imprese. Questa era la nozione diffusa e comune che governava gli stati e i governi, prima che si sottoponessero al pilota automatico.

Oggi, i politici si sentono dire che non possono permettersi di spendere un euro in più, e i massoncelli di terzo livello che si sono annidati al vertice dell’eurocrazia, sono lì ad imporre a tutti – a chi lo merita e a chi no – gli automatismi costituzionalizzati. La BCE ha limitato i suoi interventi al minimo prescritto, mentre le economie di sempre più Paesi europei deperivano e i governi venivano più strettamente ammanettati nella cabina di pilotaggio senza cloche.

S’è dimenticato che una Banca Centrale non è limitata da nulla nella sua facoltà di creare denaro, quando un governo si può trovare a corto di fondi e non in grado di salvare la sua economia. È essenziale ricordare come funziona – funzionava – il monopolio della creazione di moneta e come può e deve essere messo al servizio dell’interesse generale, rilanciare l’economia e l’occupazione. Mancando ciò, l’azione dello Stato è inefficace, e si genera «la povertà in mezzo all’abbondanza» già denunciata da Keynes, e che noi vediamo salire attorno a noi. Lo Stato deve (poteva) mettere a disposizione l’insieme delle sue possibilità, compresa la creazione monetaria, al servizio della società nazionale; nessuna realtà concreta giustifica l’obbligo di mantenere i deficit dell’anno entro il 3%. Il deficit non deve conoscere alcuno ostacolo ed alcun limite, che non sia l’adempimento della ragion d’essere stessa dello Stato, ossia il ritorno al pieno impiego (degli impiegabili, non dei fancazzisti).

Questa dottrina è oggi cancellata e condannata alla damnatio memoriae. Oggi, l’Economist può rallegrarsi dei risultati mostruosi della dottrina vigente sull’Europa: si rallegra che in Spagna il costo del lavoro è calato del 7%, che la bilancia dei pagamenti spagnoli è passata da un deficit del 10% nel 2007 a un lieve attivo previsto per il 2013; naturalmente al prezzo di un tasso di disoccupazione astronomico, specie dei giovani, che pare un prezzo degno di esser pagato. Se mai, l’Economist raccomanda un’altra stretta di vite sul deficit pubblico: fra il 2009 e il 2013 è passato dall’11% al 7% del Pil. Non basta ancora; tirate ancora la cinghia, spagnoli, fate la fame, lavorate per 400 euro mensili. E solo allora i «mercati» torneranno a prestarvi i soldi. Che i mercati siano prosciugati in questa fase, e che i soldi debba crearli la BCE, è ovviamente fuori dal pensiero. (On being propped up)

E la Grecia? Secondo l’Economist, «ha fatto meglio del previsto, ma ha ancora molto da fare». È riuscita, la Grecia, ad arrivare ad un eccedente primario (prima dei pagamenti degli interessi) o quasi, ci arriverà nel 2014. Per il 2015, gli ideologi ottimismi prevedono addirittura «un ritorno alla crescita», alimentato secondo loro da un gran rilancio del turismo – come se milioni di turisti avessero voglia di passare le vacanze circondati da affamati – e dall’arrivo di nuovi fondi europei (ah, dunque non è proprio un risanamento naturale) e dalla vendita di monopoli pubblici (i compratori fanno la fila, in Grecia). D’accordo, ciò ha richiesto l’arretramento di un quarto del Pil (-25%), una disoccupazione al 27%, la distruzione di un milione di posti di lavoro (su una popolazione di 11 milioni) nel settore privato... ma che volete. La cura deve continuare. (Up, but not out)

E nessuno che abbia il coraggio di dire quanto questa presentazione dei «risultati» dell’europeismo sia rivoltante: il crollo del costo del lavoro greco è il crollo dei salari e del potere d’acquisto delle famiglie, degli esseri umani, aggravato per giunta dall’enorme disoccupazione (quella giovanile tocca il 64%). La UE adotta uno spaventoso esperimento di regressione sociale, non dissimile da quello del comunismo staliniano contro i coltivatori diretti in Ucraina n egli anni ’30 – al solo scopo di mantenere la Grecia nell’euro. I Paesi «aiutati» sono trattati con la stessa violenza spietata con cui i «fondi avvoltoio» trattano le imprese dissestate che comprano per un boccon di pane.

La UE è divenuto un progetto mostruoso e inumano , un cancro che corrode l’Europa: la cultura che ha prodotto i più pensatori della Politica, da Platone ad Aristotile, da Machiavelli a Carl Schmitt, è oggi in mano a un pilota automatico neutralizzatore della politica, controllato da massoncelli di terza fila. Non s’è mai visto un aereo precipitare da più alte quote.

In Italia, si spiano speranzosi le supposte «aperture» tedesche. È vero che Schaeuble ha cominciato a dire che se si adottasse il modello di welfare americano (ossia la cancellazione dello Stato sociale), in Europa «ci sarebbe la rivoluzione non domani, ma oggi»: senza però negare che la cancellazione dello Stato sociale resta nei progetti di «riforma» tedeschi per l’Europa. Qualche nervosismo su possibili rivolte popolari per le folli e del tutto inutili austerità imposta dalla neutralizzazione tedesca del politico, nonostante tutto, serpeggia. D’improvviso, si attribuiscono a Berlino delle preoccupazioni per l’enorme quantità di giovani disoccupati. Il nostro ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, fa finta di credere che una svolta è alle porte: «Dobbiamo salvare una intera generazione di giovani spaventati. Abbiamo la gioventù meglio istruita della storia, e la stiamo lasciando con le mani in mano...». Parole sante. Ma i fatti? La Merkel ha invitato i ministri europeisti a chiacchierare della disoccupazione giovanile a Berlino, il 3 giugno: la solita riunione europea seguita da annunci. E poi? Ah sì: «La Germania ha intrapreso iniziative per contrastare la disoccupazione nel blocco monetario», ci dicono le agenzie, «stringendo accordi bilaterali con Spagna e Portogallo».

Questo si chiamava, quando la Politica aveva la P maiuscola, Divide et Impera. Berlino rompe il fronte, naturalmente lasciando ostentatamente fuori l’Italia: «Ingovernabile come Romania e Bulgaria» (Oettinger), e «il consolidamento del bilancio deve continuare»: per noi soli, mentre la Francia ha avuto – servile – un allungamento di due anni per rientrare nell’assurdo 3%. È chiaro che per Berlino l’avversario è l’Italia: il solo Paese concorrente davvero, che ha le manifatture e le industrie. Per fortuna, manifatture ed industrie le stiamo obliterando noi stessi, con l’aiuto di magistrati che ci rendono dipendenti dall’acciaio straniero e i governi coi grand commis anonimi intesi a tassare fino alla morte (nostra, non loro). Ci lasceranno andare fuori dall’euro quando avremo strangolato l’ultima industrietta esportatrice nostra.

E non che Schaeuble, nei suoi accordi bilaterali, abbia offerto tanto a Spagna e Portogallo. «Siamo onesti, non c’è soluzione rapida, non c’è alcun grande piano», ha ammesso Werner Hoyer, capo della Banca Europea d’investimenti. Non c’è nulla, a parte un 6 miliardi di fondi europei messi da parte già da prima dai leader europoidi per la disoccupazione giovanile: fondi che cominceranno ad essere sganciati dal 2014, e devono durare fino al 2020. Ma questa elemosina già è bastata perché Rajoy sia andato, scodinzolando, a leccare a mano germanica. E Hollande ha esaltato le «riforme di Schroeder», ossia vorrebbe adottare la riduzioni della Hartz IV per imporle alla Francia, se avesse il coraggio di fare qualunque cosa, questo spettro che fa rimpiangere Sarko.

* * *
 

Intanto gli italioti fanno vincere il PD. Più precisamente: rispetto alle comunali precedenti, gli hanno fatto perdere -43%, ma al Pdl hanno fatto perdere il -65% dei voti. Rispetto alle politiche di tre mesi fa, il Pd «vincitore» ha lasciato per strada 191.032 voti (-41%) e il Pdl, 104 mila (-34%). L’assenteismo alle stelle non induce costoro a demordere o a cambiare; nient’affatto, continueranno a farsi pagare carissimo il puro fatto di assistere impotenti il pilota automatico che ci fa precipitare.

E poi c’è il M5S, la speranza... Bisogna riconoscere che gli americani non avevano perso tempo a prendere le misure della «novità rivoluzionaria» di Grillo e Casaleggio. Come ha rivelato lo spione Bisignani nel suo «L’uomo che sussurrava ai potenti», l’ambasciata Usa aveva convocato Grillo per misurarlo già nel 2008; un invito a pranzo che l’uomo che-non-parla-con- nessuno accolse scodinzolando. Da questo incontro nacque un rapporto dell’ambasciatore Spogli al Dipartimento di Stato, datato 7 marzo 2008. Vi si legge «Molte idee di Grillo sono utopiche e irrealistiche. Ma a dispetto della sua visione politica incoerente, la sua prospettiva dà voce a una parte dell'opinione pubblica non rappresentata altrove. Un’ossessione per la corruzione. Nessuna speranza per l’Italia». Anzi, proprio questo era il titolo che Spgli ha apposto in cima al rapporto: «Nessuna speranza per l’Italia».

Bella sintesi, bisogna ammetterlo. Qualunque cosa pensiate degli yankees.





1) Si noti che questo miserevole risultato (-1,8%) sarebbe ancora peggiore, se non fosse per l’export, che le nostre imprese continuano eroicamente a migliorare nonostante le tasse, le bollette carissime, la burocrazia da desootismo ottomano e i magistrati che pongono tutti gli ostacoli immaginabili: +3%. Esclusivamente alle imprese esportatrici si deve la riduzione del disastro: allora tassiamole!, gridano nei Palazzi. La domanda interna: -2%, gl’investimenti delle imprese: -3,9%, la spesa pubblica per consumi: -1,9. «Per il 2014 l’Ocse si inventa per l’Italia un PIL che cresce dello 0,5% (corretto in 0,4% dopo sole due settimane), con un fantastico+5,2% dell’export che compensa una domanda interna semprein calo». (Gustavo Piga).
2) I tedeschi hanno bisogno di trattenere nella moneta unica il Portogallo, perché questo Paese serio ha davvero voglia di andarsene. Il libro più venduto in Lusitania in questi mesi si intitola «Perché dobbiamo uscire dall’euro», ed è scritto dal professor Joao Ferreira do Amaral, docente all’Instituto Superior de Economia e Gestao (ISEG); un saggio lodato sia dal capo della Suprema Corte lusitana, Luis Antonio Noronha Nascimento come anche il segretario generale del Partito comunista portoghese, Jeronimo de Suosa. Il professore scrive: «nel 1992 il Portogallo si è messo ai piedi di una Commissione Europea che parlava sempre e maggiormente tedesco e rispondeva solo alle richieste di Berlino. Non c’è mai stato un referendum, i cittadini non sono stati consultati. Le elites portoghesi, le quali pensavano di beneficiare dei fondi strutturali europei, hanno così rinunciato alla nostra moneta e sovranità. Il resto è storia». Il libro è al vertice delle classifiche portoghesi; e qual è il libro al vertice delle classaifiche dei più venduti in Italia? «Inferno» di Dan Brown. È detto tutto.

 

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