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Si predica l’abolizione delle province per non cercare i veri risparmi
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Il risparmio pubblico derivante dall’abolizione delle province sarebbe irrisorio anche nelle migliori delle ipotesi

Sul Fatto quotidiano on line, l’economista Andrea Giuricin (Austerity, su le tasse ma anche la spesa pubblica. In barba alla spending review) si esibisce nell’ennesima stanca, ritrita litania contro la mancata abolizione delle province.

Ammette che si è tentato di far qualcosa per ridurre la spesa pubblica, come la riduzione dell 27% della spesa sulle auto blu. Ma, afferma che bisogna “essere chiari: i grandi sprechi sono altrove. Un esempio fra tutti. Il taglio delle Province, la cui eliminazione totale porterebbe a due miliardi di euro di risparmio all’anno“.

Da un lato, è confortante osservare che il Giuricin si sia accorto che il “risparmio” sulla spesa per le auto blu è semplice populismo d’accatto. Anche perchè, ancora il Dipartimento della funzione pubblica per primo insiste nel convincere i cittadini che la spesa riguardi solo le vere auto blu, quelle con conducente che accompagna i politici, mentre la stragrande parte è fatta di auto di servizio per capi cantiere, geometri, infermieri, assistenti sociali, messi notificatori (per un approfondimento).

Dall’altro lato, invece, non si può che constatare l’assenza di idee vere per un risparmio serio sulla spesa pubblica. Le province, dunque, secondo Giuricin sarebbero un “grande spreco”.
Poniamo che sia vero. Le province concorrono sul totale della spesa pubblica, pari a 805 miliardi, per 11 miliardi, cioè l’1,37%. Sarebbe questo il “grande” spreco?
Non possiamo immaginare che non si conosca la composizione della spesa pubblica per settori:

Settore

Spesa

Amministrazione Centrale

141 miliardi di euro

Previdenza

311,7 miliardi di euro

Interessi sul debito

86 miliardi di euro

Regioni

182 miliardi di euro

di cui 114 spesa sanitaria

Comuni

73,3 miliardi di euro

Province

11 miliardi di euro

Fonti: Banca dati Siope 2012;  Nota di aggiornamento Decisione di Finanza Pubblica sett. 2012

Dunque, lo Stato spende 141 miliardi, le regioni ne spendono 182, i comuni 73. Ma il “GRANDE” spreco sono gli 11 miliardi delle province. Ribadiamo, l’1,37% della spesa totale.
Afferma, il Giuricin, rifacendosi ad uno studio dell’Istituto Bruno Leoni al quale ha contribuito, che dall’abolizione delle province discenderebbe un risparmio di 2 miliardi.
E’ un dato teoricamente possibile, stiracchiando oltre misura tagli ed economie di scala (chi scrive, nel 2011 stimò i 2 miliardi come un traguardo possibile, ma inverosimile).

Il Ministro Giarda, nel suo rapporto, stimò un risparmio massimo di 500 euro, per altro basato solo su astrazioni e valutazioni statistiche, senza minimamente guardare ai bilanci e alle spese.
La Cgia di Mestre ritiene che si possano risparmiare 510 milioni.

Un approccio più sistematico ed attento alle reali voci di bilancio fa oscillare l’eventuale risparmio tra i 600 e i 750 milioni.
Diamo per buoni i 2 miliardi di risparmio immaginati (senza dimostrazione alcuna) da Giuricin: si otterrebbe, abolendo le province, una minore spesa pari allo 0,25% della spesa pubblica totale. Se, come più probabile, la riduzione delle spese non andasse oltre i 750 milioni, il risparmio sarebbe dello 0,0932%. Non c’è che dire, un grande risultato di risparmio! Se pensiamo che ogni F35 costa 130 milioni, basta acquistare 6 aerei all’anno per 15 anni (per completare la flotta di 90 previsti) e l’eventuale risparmio derivante dall’abolizione delle province va totalmente in fumo per 3 lustri.

Ma, in realtà, il risparmio sarà comunque inferiore, poichè tutti i fautori dell’abolizione delle province si ostinano a non prendere in considerazione gli immani costi che deriverebbero dalla loro abolizione: la necessità di una legge costituzionale, la riallocazione del personale, la modifica dell’intero sistema tributario e finanziario locale (gettiti e trasferimenti che si spostano o ai comuni o alle regioni), patrimonio immobiliare immenso (scuole superiori e strade) da volturare, subentro o revisione o risoluzione (con penali) in una quantità innumerabile di contratti di appalto e servizi, accollo della parte del patto di stabilità gravante sulle province verso gli enti che subentrerebbero, rischi di contenziosi, lentezze, rigidità connaturate a simili imprese. Insomma, anche gli economisti dovrebbero rendersi conto che se per chiudere e liquidare una tabaccheria occorrono mesi, la soppressione delle province difficilmente sarebbe più celere e meno costosa…

Si conoscono già le principali due obiezioni a chi osserva che è più la spesa dell’impresa nel chiudere le province. La prima osservazione è: “sono enti inutili”.
E’ facile osservare che non è tanto inutile l’ente in se e per se, quanto quello che l’ente è chiamato a fare. Affermare che le province sono inutili è facile: lo dicono tutti i media, sarà così! Basta semplicemente non sapere di cosa si occupano, per convincersi della loro inutilità. Eppure, c’è un però. In questi giorni si parla di riforma della disciplina del lavoro, rilancio dell’occupazione, Garanzia Giovani? Le province sono competenti a gestire i servizi per il lavoro e della formazione. Il Ministro Carrozza ha molto insistito per finanziare l’edilizia scolastica, ottenendo l’obolo di 300 milioni? All’edilizia scolastica delle scuole superiori provvedono le province. Dai possibili tagli di cui si discute in questi giorni, Governo e regioni hanno fin qui escluso il trasporto pubblico locale? I collegamenti delle “corriere” nei territori sono assicurati dalle province. Le quali, inoltre, si occupano dell’approvazione dei piani urbanistici dei comuni, dell’ecologia e ambiente (discariche, cave, forestazione), spesso anche della promozione turistica locale e della classificazione delle strutture ricettive.

Ammettendo l’eventuale inutilità dell’ente (che invece è necessario, perchè svolge funzioni troppo grandi per i confini comunali, troppo piccole per la competenza regionale), è evidente che le funzioni da esse svolte non verrebbero abolite con la loro abolizione, ma dovrebbero traslare verso altri enti.

Ecco perchè i risparmi sarebbero irrisori. Se, poi, l’idea è quella di scimmiottare la Sicilia, creando “forme associative” al posto delle province, il risultato è di compiere un’opera di modifica dell’ordinamento insensata: si elimina l’ente intermedio tra comuni e regioni, per crearne un altro, privo di legittimazione popolare, molto più debole perchè espressione associativa, con la sicurezza che ne aumenterebbero numero e, conseguentemente, costi di amministrazione.

La seconda osservazione, scontata, è: “ma da qualche parte occorrerà pure iniziare, anche se si risparmia poco, comunque è risparmio”.

Abbiamo visto prima che anche nella migliore delle ipotesi (l’irreale taglio di 2 miliardi di spesa) il risparmio dall’abolizione delle province sarebbe pari allo 0,25% della spesa pubblica totale (senza contare gli immani costi conseguenti).

E’, forse, necessario chiedersi se, quando si ritiene necessario tagliare le spese di un soggetto, persona fisica o giuridica o Stato, risulti logico pensare di “partire” dal tagliare grandezze finanziarie irrisorie, nemmeno sufficienti a finanziare l’acquisto di cacciabombardieri. La massa delle spese di Stato, regioni e comuni è di 396 miliardi, cioè il 49,2% del totale. Qualsiasi regola economica, finanziaria e del mero buon senso consiglierebbe di cercare in quella massa risorse vere e significative di risparmio.

C’è un elemento che i tifosi dell’abolizione delle province non dicono mai. Fino al 2009 la spesa delle province era di 13 miliardi. Non è che spendessero più allegramente: molte delle loro funzioni sono finanziate da trasferimenti di Stato e regioni, che per effetto del d.lgs 112/1998 si sono liberati di funzioni e competenze, attribuendole alle province che, dunque, le gestiscono al loro posto. Con il peggioramento della crisi e le modifiche sempre più paradossali al patto di stabilità, Stato e regioni hanno pensato bene di lasciare in capo alle province le stesse funzioni, ma tagliando i trasferimenti. Con l’ultima spending review (il d.l. 95/2012) è stata completata l’opera. Le province, dunque, nel volgere di pochissimo tempo hanno già subìto un taglio di 2 miliardi, pari al 18% del loro volume di spesa.

Piccola idea: perchè non si taglia del 18% la massa della spesa di Stato, regioni e comuni? Il risparmio sarebbe di 71 miliardi. Si riuscirebbe a coprire, così, quasi l’intero costo degli interessi sul debito (di circa 85 miliardi).

Queste semplicissime osservazioni dimostrano che l’attenzione rivolta all’abolizione delle province è solo motivata da due ragioni. La prima: è un metodo per distrarre le folle, il popolo. Gli si fa credere che un problema inesistente, la spesa delle province, sia decisivo per abbattere i “costi della politica” (la Relazione di parificazione del Bilancio dello Stato approvata dalla Corte dei Conti dimostra che i costi delle province sono i più bassi in termini assoluti), così da ottenere consenso per l’eventuale, inutile e controproducente abolizione, facendo leva sul sentimento di rancore dei cittadini verso la politica, che viene in tal modo catalizzato e concentrato solo verso le odiate province, mentre Stato, regioni e comuni continuano a spendere e spandere. La seconda: giornalisti, economisti e, comunque, “tifosi” dell’abolizione delle province ottengono editoriali sulle prime pagine, ospitate, interviste, insomma visibilità ed “immagine” molto appaganti: dunque, perchè non “investire” su questo ed ergersi a tribuni della plebe sull’Aventino contro le province.

Purtroppo questo meccanismo perverso appare inesorabilmente destinato a creare una situazione di caos avvenire devastante. Eppure gli stessi 2 miliardi e più di risparmi si potrebbero ottenere SUBITO, senza modificare la Costituzione, senza scomodare tutti i complessi problemi derivanti da un riordino dell’organizzazione statale così vasto come quello conseguente all’abolizione delle province: solo tra incarichi di consulenze e collaborazioni esterne ed assunzioni di dirigenti esterni, la spesa ammonta a circa 3,5 miliardi. Basta una leggina semplice semplice: le consulenze sono radicalmente vietate, la dirigenza a contratto viene abolita. Di colpo si ritrova una disponibilità finanziaria anche superiore a quella derivante dall’abolizione delle province. Non solo: le amministrazioni (province comprese) spendono un mare di denari in contributi per sagre, feste, manifestazioni, patrocini, per non meno di 1 miliardo l’anno.
Inutile chiedersi perchè si svii l’attenzione sulle province: con le consulenze, le collaborazioni, i contributi, i politici esercitano il proprio potere, alimentando costi della politica veri e totalmente improduttivi, che, però, sono funzionali al loro consenso.

E’ chiaro e dimostrabile che chi a gran voce insiste per abolire le province, consapevolmente o inconsapevolmente, va a caccia di facile consenso e celebrità, ma copre anche i veri sprechi e l’esercizio distorto del potere.

Luigi Olivieri

Fonte >  Leggioggi


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