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«Tutto questo potrà soltanto degenerare»
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Riprendiamo questo articolo di Antonio M. Mastino, che è l’animatore del blog Papalepapale e un cattolico a tutto tondo, che stimo e ammiro. So che queste sue, apparse sul quotidiano online QELSI, sono parole che non ha scritto a cuor leggero. Le perplessità che esprime, le condivido completamente.

L’esplicita durezza delle sue critiche al Papa può stupire; si vede che le ha ritenute necessarie. Ad un lettore che commentava questo suo articolo, Antonio M. Mastino ha risposto:

Io credo che il tutto potrà soltanto degenerare. Ci stiamo preparando misteriosamente così a qualcosa di enorme che sento alle porte, e mi fa anche paura
.


Maurizio Blondet
 



LA SERA ANDAVAMO A SANTA MARTA

Se Eugenio diventa papista e Francesco repubblichino

Nell’intervista ufficiale a Padre Spadaro di Civiltà Cattolica, quel gesuita del Papa dice: «…il Papa mi aveva parlato della sua grande difficoltà a rilasciare interviste. Mi aveva detto che preferisce pensare, più che dare risposte di getto in interviste sul momento. Sente che le risposte giuste gli vengono dopo aver dato la prima risposta: “non ho riconosciuto me stesso quando sul volo di ritorno da Rio de Janeiro ho risposto ai giornalisti che mi facevano le domande”». So’ soddisfazioni certi sdoppiamenti di personalità in un pontefice!

Ma non mi sorprendono: pure da cardinale, in un libro-intervista, consapevole del suo fare autoritario e precipitoso, aveva riconosciuto che «ho imparato col tempo che quando prendo su due piedi, incalzato dagli eventi, una decisione, è immancabile quella sbagliata: quella giusta è la seconda, dopo averci pensato su». Una lezione che sembra aver dimenticato da papa, purtroppo.

Dunque il Papa ammette di non sentirsi a proprio agio e riconosce la necessità di dover magari correggere qualcosa: eppure ci ricasca, è più forte di lui, telefona a Scalfari e gli fissa un appuntamento per una intervista. Mi ha colpito su fb il commento di uno studente 20enne, siciliano: «Francesco e Eugenio fanno a gara a chi dice cose più insensate e confuse e continuano per tutto il tempo dell’intervista a farsi reciproche scappellate. Due personaggi narcisisti e boriosi: sono fatti apposta per andare d’accordo».

L’intervista a Spadaro e quella a Scalfari, dunque. Quest’ultima specialmente. Dove in alcuni passi sembra contraddire l’intervista ufficiale. E poi quel sentore…. come se volesse o avesse voluto dare ragione alle interpretazioni, ma diciamo pure all’ermeneutica che Scalfari ha dato della famosa Lettera del papa a Repubblica. Che oramai, oltre ad essere da immemorabili il giornale più clericale immaginabile, persino nel suo anticlericalismo lo è, ultimamente, al pari di certi atei, parla solo di cose di Chiesa: sembra l’Osservatore Romano dei ricchi, che sostituisce quello dei poveri che sta in Vaticano. Tant’è che ormai le lettere papali al quotidiano radical-chic vengono direttamente annoverate tra gli atti ufficiali della Santa Sede e come parti di magistero son presentate. Moriremo tutti repubblichini anziché cattolici?

Ci si sforza di capire, accettare senza colpo ferire tutta questo stillicidio, questo profluvio di chiacchiere papaline che vengono dopo sue reprimende del giorno prima contro le “chiacchiere in Vaticano”, questa quotidiana colata lavica di amenità e stravaganze bergogliose, ma è sempre più difficile. Capire e accettare supinamente. La confusione, il disorientamento c’è e aumenta ogni giorno per un cattolico che cerca di fare apostolato. Tuttavia stavolta non taceremo, non essendo l’intervista magistero ma sue opinioni, strane e discutibili “secondo me” su una immagine di Chiesa alquanto soggettiva, onirica certe volte.

IL PAPA NON DEVE CAMBIARE LA CHIESA, PERCHÉ NON È SUA: DEVE SERVIRLA

Non siamo chiamati a “cambiare” la Chiesa: questo è l’insegnamento di tutti i santi, ma a servirla, mentre Francesco non vede l’ora di cambiarla come la vuole lui, ammesso sappia davvero cosa vuole.
Domanda di Scalfari a riguardo dell’esempio di san Francesco: «Lei dovrà seguire la stessa strada?»

«Non sono certo Francesco d’Assisi e non ho la sua forza e la sua santità. Ma sono il Vescovo di Roma e il Papa della cattolicità. Ho deciso come prima cosa di nominare un gruppo di otto cardinali che siano il mio consiglio. Non cortigiani ma persone sagge e animate dai miei stessi sentimenti. Questo è l’inizio di quella Chiesa con un’organizzazione non soltanto verticistica ma anche orizzontale. Quando il cardinal Martini ne parlava mettendo l’accento sui Concili e sui Sinodi sapeva benissimo come fosse lunga e difficile la strada da percorrere in quella direzione. Con prudenza, ma fermezza e tenacia».

Animati dagli stessi sentimenti? Ma questa è una Chiesa soggettiva: chi non la pensa come lui, non ha questa immagine di Chiesa è messo fuori automaticamente, ipso-facto? Nessuno, insegna Benedetto XVI, neppure il Papa può imporre una Chiesa come la vuole lui: non è un caso che per tutto febbraio ha detto in ogni incontro “ridare la Chiesa a Cristo”; e san Pio X diceva restaurare “omnia in Christo”. Qualcuno ha visto (come al solito le risposte di Francesco possono facilmente interpretarsi nell’uno e nell’altro senso) un’altra prospettiva, diametralmente opposta, in queste affermazioni: «No, no. “Animati dai miei stessi sentimenti” io lo intendo invece in un altro modo. Non una Chiesa soggettiva, ma una Chiesa che sente con il Papa». Tutto può essere ormai, persino che ci sia un significato ortodosso nelle cose che dicono i papi.

Ma la Chiesa “secondo Martini”? Ma che sciocchezza è mai questa? Il Consiglio di cardinali “animati” dai suoi stessi sentimenti? Ma che stravaganza è mai questa? Se sono animati dagli stessi suoi sentimenti, non ci sarà alcun contraddittorio, non ci saranno proposte differenti, alla faccia della libera espressione, e in definitiva non serviva neppure un “consiglio” per farsi dire “hai ragione”. Un Consiglio si fa anche con persone che non la pensano come te, ma che dottrinalmente sono impeccabili; diversamente si è creato un consiglio soggettivo, una gabbia con dei pappagalli dentro. Ammaestrati.

Poi il solito vecchio slogan che puzza di putrefazione ma che fa sempre felici i giornalisti: “la Chiesa deve aprirsi alla modernità” e poco c’è mancato, ma era tra le righe, che dicesse “adeguarsi”. Ma la Chiesa è segno di contraddizione e lo sarà sempre, e mai potrà “adeguarsi” alla modernità, né ad alcun partito, né ad alcun sentimento mondano.

“La chiesa deve aprirsi alla modernità”, ma che vuol dire? A parte le tecnologie dinanzi alle quali ci leviamo il cappello, vogliamo renderci conto o no che la modernità come il mondo la concepisce non solo ha fallito ma è agonizzante, ha superato se stessa e stiamo già alla post-modernità? Che significano ‘sti slogan? a chi giovano? Il guaio è che Bergoglio sa bene in cosa consista questa modernità e l’ha denunciato parecchie volte: nella solitudine, l’isolamento dell’uomo, la rottura dei legami d’affetto, l’anarchia dell’egoismo, la morte morale dell’uomo nato come essere sociale, la dittatura cioè dell’individualismo secondo la dottrina liberal, ossia quanto di più anticristiano possa immaginarsi. Lo sa, ma fa finta che no. Per non dispiacere a Scalfari. Ma è a Cristo e al popolo cattolico che tra mille tempeste ogni giorno naviga a vista, a questi e non a Repubblica deve rendere conto.

EPPURE DIO “E’ CATTOLICO”. E IL PAPA?

Dice Scalfari: «Le sono grato di questa domanda. La risposta è questa: io credo nell’Essere, cioè nel tessuto dal quale sorgono le forme, gli Enti». A momenti gli scappava fuori l’Ente, Essere, ci mancava solo il Grande Architetto per completare la terna massonica.

E il papa a lui: «E io credo in Dio. Non in un Dio cattolico, non esiste un Dio cattolico, esiste Dio. E credo in Gesù Cristo, sua incarnazione. Gesù è il mio maestro e il mio pastore, ma Dio, il Padre, Abbà, è la luce e il Creatore. Questo è il mio Essere. Le sembra che siamo molto distanti?».

Aveva ragione Rino Camilleri, lo scrittore cattolico, quando nel 2009 firmò il libro, a questo punto profetico, “Dio è cattolico?”. E nell’intervista a domanda rispose:

«Lei sostiene che l’unico Dio è cattolico. Perché?»

Cammilleri: Nel mio pamphlet un certo Teofilo, un uomo «in ricerca» (come si direbbe oggi) chiede a me chi è Dio. Perché a me? Perché sa che sono un credente. Io (cioè, l’Autore) rispondo per come so farlo. E gli snocciolo i motivi che hanno portato me a ritenere molto probabile che Dio, se esiste, sia cattolico. Cioè, sia esattamente Quello che da duemila anni predica la Chiesa di Roma.

«Perché non potrebbe essere musulmano, ebreo, o di qualche altra religione?»
Cammilleri: Oggi, per quanto riguarda la religione, quel che manca è la domanda, non certo l’offerta. Teofilo è uno che a un certo punto, come Pascal, si è detto: se Dio non esistesse bisognerebbe inventarlo. In effetti, uno che si accorge della necessità di un Dio ha già compiuto gran parte del percorso. Ma, quando si guarda intorno, si trova all’interno del supermarket del Sacro, con gli scaffali che presentano una grande varietà. Per definizione, solo una può essere quella giusta, perché Dio, se esiste, non ha alcun interesse a indurci in confusione. Tutto il mio libro è teso a far sì che Teofilo si rivolga direttamente alla Fonte per conoscere la verità.

Così Camilleri. E’ vero, sostiene una mia amica, che «probabilmente Francesco intende dire che Dio “non è cattolico” nel senso che Dio non è mai rinchiuso in qualcosa, ma che è cattolico è patristico lo dicevano i Padri per intendere proprio la sua universalità». Ma alla fine anche questa mia amica allarga le braccia affranta, dopo il suo tentativo di capriola teologica, e si sfoga: «… se dice di essere il Papa della cattolicità ma poi dice che “Dio non è cattolico”… al diavolo!… non è possibile dover spiegare ogni singola battuta…».

APRIRE “LA REPUBBLICA” OGNI MATTINA COME FOSSE IL VANGELO

C’è pure un aspetto positivo in questa fiumana di parole inarrestabili che esondano da Santa Marta sino quasi ad affogare la cristianità: è da un pezzo che il papa ha rinunciato a dirsi solo “vescovo di Roma”, e del resto il suo autoritarismo sarebbe poco giustificabile con una così sola macilenta qualifica. Anche davanti a Scalfari si riferisce a se stesso dicendo “sono vescovo di Roma e papa della cattolicità”; solo l’altro giorno si era riferito a se stesso in terza persona come “padre”. Abbiamo fatto progressi. Mi aspetto che da un giorno all’altro dichiari la sua natura divina.

Adesso, però, comincia ad essere ora di smettere di fare il piacione tutti i giorni su tutti i giornali, di misurare le parole, dirne di meno e lavorare un po’ di più e in silenzio. Prima che si renda del tutto indifendibile (e Dio solo sa il veleno che ogni giorno ingoiamo per non essere tentati di perdere la pazienza), anche perché è evidente la grande confusione che sta creando tra i cattolici: un giorno ne dice una, un altro una diversa, mezze frasi oblique sempre buttate là senza chiarire, volutamente ambigue e per giunta l’unica cosa chiara che rimane, poi, è l’ermeneutica di Scalfari: io, lo dico chiaro, non mi regolo in base ai papi, ma alla dottrina, però mi rendo conto che i papi possono annullare del tutto i miei sforzi. La confusione tra i cattolici c’è, l’avverto io stesso su di me, e sono un militante cattolico, ossia cerco… cercavo di fare apostolato di quella che, mi sembrava essere, così mi dicevano da Roma, la “verità”. Anche ecclesiologica. Ora ho dubbi di sorta, e ogni volta che il papa parla si moltiplicano questi dubbi non le certezze, che anzi vacillano. Va bene come Gesù lasciare le 99 pecore per rincorrere quella smarrita che in questo caso è Scalfari, ma giocare tutto il giorno a nasconderella con Scalfari lasciando il gregge a cavarsela de sé, mi pare troppo.

Non possiamo leggere Repubblica ogni mattina per capire se stiamo in grazia di Dio, peggio: se siamo cattolici o meno. Non vogliamo morire repubblichini, ma cattolici!
Bergoglio è ora che la smetti per 5 minuti di parlare. A ruota libera

QUEL VECCHIO GIACOBINO CHE STA MORENDO PAPISTA: SCALFARI

Siccome io so vedere pure l’aspetto positivo delle cose (e per carità di patria tacciamo su quello ridicolo), perché non sono un ottimista ma un realista, ammetto che questo passo del racconto del vecchio Scalfari, lungi dall’essere patetico, è in un certo senso struggente, mentre forse non volendo si descrive tremebondo come un liceale d’altri tempi che è stato chiamato direttamente dal preside in presidenza. Eppure in quest’approccio c’è del buono.

LA TELEFONATA DI FRANCESCO A SCALFARI

Erano le due e mezza del pomeriggio. Squilla il mio telefono e la voce alquanto agitata della mia segretaria mi dice: «Ho il Papa in linea glielo passo immediatamente ».
Resto allibito mentre già la voce di Sua Santità dall’altro capo del filo dice: «Buongiorno, sono papa Francesco». Buongiorno Santità — dico io e poi — sono sconvolto non m’aspettavo mi chiamasse. «Perché sconvolto? Lei mi ha scritto una lettera chiedendo di conoscermi di persona. Io avevo lo stesso desiderio e quindi son qui per fissare l’appuntamento. Vediamo la mia agenda: mercoledì non posso, lunedì neppure, le andrebbe bene martedì?».
Rispondo: va benissimo.
«L’orario è un po’ scomodo, le 15, le va bene? Altrimenti cambiamo giorno». Santità, va benissimo anche l’orario. «Allora siamo d’accordo: martedì 24 alle 15. A Santa Marta. Deve entrare dalla porta del Sant’Uffizio».
Non so come chiudere questa telefonata e mi lascio andare dicendogli: posso abbracciarla per telefono? «Certamente, l’abbraccio anch’io. Poi lo faremo di persona, arrivederci».

Commenta una mia amica di CL, Giuliana: «Però il vecchio Barbapapà fa tenerezza. Pensa, un uomo che per tutta la vita è stato ancorato alla sua certezza che Dio non esiste e che ora si trova davanti un papa che lo ascolta, che non lo giudica, che parla con lui semplicemente. Forse è spiazzato da tanta umiltà, forse un fascino nuovo lo sta prendendo. Magari no, magari è tutto chiasso pubblicitario per vendere copie. Ma se anche un piccolo spiraglio si aprisse nella sua anima… sai come schiatta Satanasso?!». Sarà!, ma sono poco propenso alla versione romantica delle cose: ho vissuto abbastanza, tra chiese e giornali, per essere bastantemente scettico. Ma poi è la stessa donna che rompe questo incantesimo rosa e ritornata alla tetragona realtà, e pure in questa ci vede del rosa: «Perché incontra Scalfari? Perché Scalfari è uno che conta nel pensiero dominante di questo Paese, e Bergoglio è un gesuita. Quindi non è scemo». Ossia, vuole dire, usa la stessa tecnica che usarono in Giappone i gesuiti: convertendo i samurai, cioè i vertici di quella società, automaticamente si convertivano i servi e tutti i loro sudditi. Non è un caso che di cattolicesimo, passato quel momento, in Giappone non vi sia rimasto quasi niente. Aggiungo io.

Questi vecchi giacobini come Scalfari, che nascono anticlericali, vivono da ateisti, finiscono per morire, a 90 anni, papisti… Che strazio! Mentre per noi il problema è riuscire a morire almeno cristiani, se non cattolici. Scalfari ha chiuso l’intervista con queste parole: «Se la Chiesa diventerà come lui, Francesco, la pensa e la vuole sarà cambiata un’epoca».

Peccato che la Chiesa che Scalfari vuole, non è quella fondata dal Cristo.

Antonio M. Mastino



 
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