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A scuola di perdizione
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La nuova educazione di Stato

La scuola, sotto l’ombrello legittimante delle normative internazionali europee recepite con solerzia dall’ordinamento interno, si sta trasformando, con rapidità sconcertante, in un laboratorio della follia del gender e della più spinta pedo-pornografia. La poderosa macchina da guerra messa in campo dal movimento omosessualista internazionale, forte delle sue potenti lobbies e dei relativi formidabili finanziamenti, è riuscita a penetrare negli uffici governativi – in particolare in quelli che hanno a che fare con la Pubblica Istruzione, o che agiscono in sua vece (Pari Opportunità, UNAR) – ed a condizionare i programmi scolastici dalla scuola materna all’Università.

Così, su pressante sollecitazione delle istituzioni centrali e locali, nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado – ma anche nelle scuole cattoliche che, quasi dovessero scontare un complesso di inferiorità, si lanciano in clamorose fughe in avanti – si stanno attivando in orario curricolare (e spesso all’insaputa dei genitori) corsi di educazione all’affettività ed alla sessualità, per i quali vengono stanziate ingenti risorse di denaro pubblico.

L’intento dichiarato è quello di educare gli alunni alla conoscenza di sé e all’autostima, al rispetto dell’altro, all’accettazione delle diversità, al superamento degli stereotipi sessuali e sociali, alla pacifica convivenza in contrasto anche al fenomeno del c.d. bullismo. Ma dietro queste formule attraenti si nasconde in realtà una propaganda micidiale, che sta investendo ogni ambito della vita sociale e che ora mira ad impossessarsi dei bambini e degli adolescenti proprio attraverso l’educazione scolastica di Stato.

Si pretende di inoculare loro: che maschio e femmina non si nasce, ma si diventa come e quando si vuole secondo la percezione che si ha di sé stessi ed anche in contrasto col dato biologico; che la famiglia non si fonda sull’unione tra l’uomo e la donna, ma su ogni forma di convivenza, anche tra persone dello stesso sesso; che l’omosessualità è una normale variante della sessualità, da promuovere come un valore per la società; che fin dalla più tenera età è necessario conoscere il linguaggio e le pratiche della sessualità (tanto per intenderci, e giusto per fare un esempio, nelle direttive dell’OMS si parla di “esplorazione del proprio corpo e di quello altrui” e di “masturbazione infantile precoce” per la fascia di età da 0 a 4 anni).

In sintesi si mira:

- alla destrutturazione dell’identità sessuale del bambino durante la sua formazione;

- alla demolizione della famiglia;

- alla promozione della omosessualità e delle sessualità “diverse”;

- alla erotizzazione precoce dei bambini, secondo una visione pansessualista della esperienza umana.

Nel corso degli ultimi decenni si è assistito alla progressiva erosione di quei princìpi etici in cui la società bene o male si riconosceva compatta, senza distinzione di credo religioso e di fede politica, perché indiscussi capisaldi di ogni consesso umano. In questo processo di sfilacciamento del tessuto sociale, la legge ha sempre avuto il ruolo decisivo di far scattare il cambio di paradigma etico: ciò che viene reso giuridicamente lecito diventa automaticamente accettabile anche dal punto di vista morale; la norma ha il potere di affievolire il disvalore percepito dalla coscienza collettiva, che tende via via ad identificare il bene e il male con ciò che la legge consente e non consente. La natura (intesa come ciò che afferisce intrinsecamente all’umano) viene sacrificata sull’altare della autodeterminazione, della libertà onnipotente, e viene di fatto vilipesa da un “diritto positivo” che, nel frattempo, ha perso per strada la sua funzione.

Divorzio, aborto, fabbricazione degli esseri umani in laboratorio, eutanasia, sono tutte tappe in certo modo previste e prevedibili di questa avanzata antiumana, sempre peraltro oliata dalle forze sedicenti cattoliche dell’apparato politico e clericale.

Ma ora ci troviamo di fronte ad un passaggio ulteriore, che si sta realizzando con una accelerazione impensabile, e che ci coglie – questo sì – davvero impreparati e inermi.

Dopo l’attacco alla vita più indifesa, la vita nascente e morente, e alla struttura stessa della famiglia, l’obiettivo è stato puntato sull’educazione dei bambini e degli adolescenti. L’invasione del campo della educazione è l’ultima tappa di questa avanzata, ed è anche la prova provata che si tratta di un vero e proprio piano di matrice totalitaria lanciato su scala internazionale da fortissimi gruppi di potere. In senso cronologico seguiranno certamente passaggi ulteriori, perché una volta rotte le paratie l’onda montante non può che avanzare (se ora si propagandano l’indifferentismo sessuale e l’omosessualismo, sono alle porte pedofilia e incesto, e poi sarà la volta di zoofilia e di chissà cos’altro, si giungerà al cannibalismo legalizzato forse…), ma dal punto di vista logico questa è la tappa che assorbe tutto il resto: è infatti qualcosa a cui, nel disegno diabolico, nessuno deve sfuggire.

Il cerchio si chiude: tolta di mezzo la famiglia, espropriata del suo ruolo educativo, si hanno finalmente in pugno le nuove generazioni, da allevare come polli in batteria in ossequio all’ideologia dominante: da programmare, da indottrinare, da omologare. Teniamo presente, poi, chi saranno questi bambini: saranno i sopravvissuti – letteralmente – tra quelli che, sempre più, verranno prodotti, selezionati, congelati, comprati, scartati, eliminati se difettosi o non corrispondenti ai desiderata di adulti variamente accoppiati (tanto, si sa, basta l’amore).

Per realizzare appieno la costruzione di questo mondo nuovo di ominidi tutti uguali, eterodiretti ma persuasi ad essere fieramente autodeterminati e capaci di controllare e comandare persino la natura (vedi gender), il primo scoglio da abbattere per avere a disposizione soltanto individui destrutturati e plasmabili a piacimento è la famiglia.

È già successo con tutte le rivoluzioni totalitarie; ma quella “silenziosa” che ci tocca in sorte di vivere è la più insidiosa, perché per tanto tempo ha lavorato sottotraccia e ora si presenta con uno spiegamento capillare di forze sotto le vesti subdole della normalità: il nemico è ovunque, non si riconosce più nemmeno dalla divisa che indossa, ed è saldamente titolato dal mito del progresso.

La stagione di tutte le libertà inaugurata alla fine degli anni ’60 è davvero finita nel pozzo di tutte le follie. Le idee degenerate che pretendono di creare, di inventare la realtà delle cose, hanno osato abolire la legge morale naturale e, al fondo, la legge di Dio che la sostanzia. Contro questa legge immutabile è stata ora innalzata l’idolatria delle pulsioni e dei capricci dell’uomo, delle sue voglie e delle sue ambizioni, delle sue viltà, dei suoi egoismi primordiali e delle sue miserie; di una pura animalità non più al guinzaglio della ragione. E la nostra capacità di reazione è incredibilmente fiaccata, siamo tutti mediaticamente traviati, ipnotizzati dagli imbonitori di turno che ci martellano in testa in gergo televisivo le nuove categorie dell’irrealtà, e siamo così indotti a recitare a soggetto nel teatro dell’assurdo.

Nel quadro di questo graduale scollamento dalla realtà, la verità delle cose è stata scalzata via dalla fluidità delle opinioni e dalla suggestione collettiva. L’arma risolutiva si rivela, ancora una volta, la legge dello Stato, che non presuppone più un’etica, ma la costruisce a piacimento dell’eletto di turno e del suo tutore mediatico, in ossequio alla dittatura egemone degli organismi sovranazionali.

È così che l’ultimo attacco portato alla vita umana, alla vita individuale e a quella collettiva, proveniente dal mostruoso programma di educazione sessuale, risponde al disegno di colpire i più piccoli, di distruggere in loro il senso del pudore ed il senso di cose che appartengono ad un altro tempo della vita. Di violentare la loro libertà morale e la loro sensibilità attraverso l’iniziazione forzata all’esperienza dei fenomeni legati alla sfera sessuale.

C’è, in tutto questo, la feroce invidia dell’adulto per l’innocenza di cui non è più capace, e che vuole rapinare a chi non è in grado di difendersi.

C’è la precisa volontà di costringere la famiglia a consegnare i propri figli, quali vittime sacrificali, al Leviatano statale.

Questi programmi, infatti, sono approntati in seno a quegli organismi internazionali (OMS e affini) nati per combattere la vita e la famiglia in nome del benessere, della salute, della solidarietà, dell’equità, della democrazia, dell’autodeterminazione, del rispetto delle diversità, al fine di essere recepiti negli ordinamenti interni. E l’intenzione manifestata apertamente è quella di sollevare i genitori – che sarebbero per definizione sprovvisti di adeguati strumenti tecnici – dall’onere di accompagnare i propri figli nella crescita. L’educazione viene trasferita di autorità allo Stato, che la esercita per mezzo dei suoi “esperti”, secondo i famigerati modelli di ben noti regimi totalitari.

Ora, in condizioni normali, sarebbe legittimo chiedersi se tutto ciò non sia frutto di un delirio paranoide e maniacale. Invece, i tempi sono tali che il programma è stato commentato con malcelato compiacimento persino dal più diffuso organo di stampa “cattolico” — il quale, invero, si adopera instancabilmente per normalizzare ogni dissenso, sino a renderlo tanto innocuo da non disturbare il manovratore. Il che contribuisce poi a spiegare l’apparente inerzia delle persone, private della normale capacità di reazione da un’informazione fuorviante e capziosa, somministrata anche da chi spende, abusandone, la qualifica rassicurante di “cattolico”.

Il vero problema – a ben vedere – è proprio questo: che una mostruosità conclamata possa, anziché venire rigettata come un’allucinazione, essere assorbita quasi passivamente da una società narcotizzata che ha perso i naturali criteri di giudizio.

Proviamo ad analizzare le cause del fenomeno.

L’uomo-misura-di-tutte-le-cose, quello che si dà le proprie leggi senza un parametro superiore, approda inevitabilmente al proprio suicidio. Un po’ come la barca che perde il timoniere o gli strumenti di bordo, e non vede più le stelle sopra di sé a darle l’orientamento. Molto di quello che accade oggi è già accaduto nelle antiche città bibliche, nella dissoluzione della società romana, negli orrori rivoluzionari e di ogni regime sanguinario.

Di orrori, l’uomo è sempre stato capace, ma fin quando ha avuto un dio od un’etica superiore a cui rispondere, ha sentito pur sempre le proprie nefandezze come trasgressione, come peccato: e il peccato riconosce la legge che lo precede, la quale legge, a sua volta, non è cancellata dall’eventuale perdono. Resta vigente, a segnalare il dover essere.

La degenerazione della società attuale – che è la somma di tante degenerazioni –, ha un aspetto nuovo rispetto al passato: il peccato, ora, è cancellato perché è cancellata la legge, sostituita da un suo simulacro, dalla volontà legittimatrice dell’uomo sotto le spoglie della legge. Il senso della trasgressione è così riassorbito. O meglio, la trasgressione è normalizzata.

L’approdo ultimo di questa corsa verso il baratro è il desiderio – autentica libidine – di appropriarsi dell’infanzia, per distruggerne l’innocenza, quella dote unica con cui ognuno viene al mondo.

Il bambino coglie d’istinto ciò che appartiene all’anima, quindi alla parte spirituale dell’uomo, perché egli è vicino all’origine delle cose; si sente dipendente, e per natura riconosce una legge superiore. La sua innocenza, infatti, si manifesta anche nel senso del pudore – il pudore del corpo e quello dei sentimenti – così come nel senso del sacro, nella percezione del mistero. Tutto questo entrerà prima o poi in conflitto, in lui, con le pulsioni naturali della crescita. Ed è qui che entra in gioco l’educazione, che ha il compito di comporre questo dissidio in vista di una maturazione complessiva dell’individuo.

Da sempre, la funzione dell’adulto è stata quella di mettere la propria sapienza, che è conoscenza di sé e della vita, al servizio di chi quella vita deve ancora imparare. E-ducere significa “tirare fuori” ciò che di buono è connaturato, quel seme naturale che è racchiuso in ciascuno di noi, insegnando a controllare l’istinto.

Nel nostro tempo questo rapporto atavico tra il bambino e chi ha la responsabilità di accompagnarlo nella vita è stato già incrinato e, a poco a poco, capovolto: l’adulto, tanto spesso incapace di custodire il mondo sacro dell’infanzia perché incapace di immedesimarsi in una sensibilità di cui ha perduto il ricordo, vi proietta una nostalgia che gli fa osservare il bambino come lo specchio dei propri desideri, delle proprie curiosità, dei propri rimpianti, delle proprie ambiguità.

Ma ora, improvvisamente, si va oltre tutto questo: l’adulto onnipotente allunga le sue mani sul bambino per appropriarsene come un giocattolo da fabbricare e manipolare a piacimento, e magari da distruggere e buttare via. Quale fenomeno isolato, in fondo, è ciò che è raccontato dalle favole di sempre, che mettono in guardia il piccolo dalle insidie dell’uomo nero. L’uomo nero, adesso, è un mostro diffuso, e indossa le vesti borghesi dell’accademico, del burocrate, del politico, dello scienziato, del filosofo impegnato, del moralista di avanguardia, persino del prete “aggiornato”. Costoro, tutti insieme – agghiacciante paradosso! – si presentano come esperti benefattori, sensibili alle presunte esigenze delle vittime disvelate attraverso l’occhio, penetrante e infallibile, della psicologia militante. Il rapporto, comunque, è definitivamente quello tra un soggetto ed un oggetto: è la prevaricazione dell’uomo sull’uomo, dell’uomo più forte nei confronti del suo simile più debole e privo di difese.

Come si diceva, però, le perversioni di oggi esigono anche un crisma di rispettabilità. Non ammettono di essere catalogate nel libro della patologia o del peccato, ma pretendono di essere accolte nel vivere comune senza intoppi. Per questo presentano delle credenziali, soprattutto spendono buone referenze per eliminare l’ostacolo del senso comune, cioè per abbattere le difese naturali della società, la quale spontaneamente è portata ad individuare i germi distruttori annidati nel suo tessuto ed è abituata ad espungerli.

Si procurano, quindi, una duplice legittimazione: giuridica e morale.

La prima viene concessa agevolmente attraverso l’autorità usurpata dalle famigerate organizzazioni internazionali, dove la pochezza dei singoli è mascherata dall’ipertrofia dell’apparato. E poi attraverso la contraffazione della parola “diritto”, che serve a coprire lo strapotere della libertà individuale ed ogni suo possibile arbitrio. Non essendo ancorati ad alcun criterio oggettivo, i nuovi diritti sono la piattaforma della libertà senza limiti, buoni per qualunque tipo di rivendicazione sganciata dal principio di responsabilità. Il concetto di “diritto” ha subìto una torsione semantica, da giuridico è diventato politico, perdendo la sua specificità: in una società insieme edonista e ideologizzata, si chiama “diritto” ogni aspirazione individuale che possa essere sostenuta politicamente.

In tutto questo – in un mondo che ha il vezzo di presentarsi comunque, onusianamente, come il tempio dei “diritti dell’uomo” – manca però ancora l’afflato etico. Non basta la pretesa consacrazione giuridica; si vuole che queste aberrazioni, oltre che legittime, siano considerate anche buone: il traviamento precoce del bambino deve avvenire – è il colmo – per andare incontro alle sue esigenze psicofisiche!

In una parola, tutto è giustificato spudoratamente dall’amore. E qui c’è l’appropriazione indebita di un principio cattolico – che ora torna utile a tutti, credenti e no – piegato come un ferro caldo per ogni uso. Resa possibile dal fatto che è stato lo stesso cattolicesimo ad avere perso spesso per strada la propria direttrice fondamentale, nell’ansia di diventare il nuovo ammortizzatore sociale. Perché anche per la chiesa nuova, quella affidata alle cure dei vari Kasper, Maradiaga, Galantino, quella aggiornata e in felice corteggiamento del mondo (da cui è oculatamente ricambiata), in principio non è il Verbo, ma l’Amore. E l’amore che non discende dal Verbo, cioè dalla ragione superiore di Dio, dal Logos, può essere soltanto il rifugio ultimo della fuga dalla responsabilità e della fuga dalla verità.

Con l’impossessamento dell’innocenza e della libertà dei bambini, con la pretesa di oltraggiare l’infanzia, si è giunti dunque all’ultimo approdo di una degenerazione collettiva. Che è venuta da lontano ed ha corroso prima lentamente, ora con inaudita voracità, le fondamenta fragili di una società già fiaccata da un pensiero malato e autodistruttivo.

Curioso che in un tempo in cui la parola d’ordine è quella del rispetto della dignità e della libertà della persona, proprio la dignità e la libertà dei più deboli vengano sfregiate, al riparo di una maschera grottesca di ipocrisia.

A chi non voglia contribuire a questo sfacelo non rimane che raccogliere le proprie forze e spendersi senza parsimonia per risvegliare, nella marea che avanza e che tutto sembra inghiottire, almeno lo spirito di autoconservazione. E per inceppare l’ingranaggio bisogna rompere il muro del suono, denunciare la prepotente mistificazione in atto, che è anzitutto terminologica. Sostituire al linguaggio convenzionale imposto, il linguaggio della realtà.

Chesterton, in una sua famosissima frase, come molte altre profetica, lo preconizzò: “Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate”: per dimostrare – diremmo noi – che gli uomini si dividono in maschi e femmine.

Ogni regime totalitario compie un’operazione di manipolazione e perturbazione dell’universo linguistico, logico e concettuale, al fine di uccidere gli anticorpi naturali e di generare assuefazione in via omeopatica. Il totalitarismo silenzioso nel quale ci tocca in sorte di vivere, pur mascherato sotto forme sedicenti democratiche, non si sottrae a questo meccanismo collaudato. E infatti, per farci digerire quella che ci dovrebbe apparire come un’invasione di ultracorpi, ricorre ad un repertorio di parole-chiave, martellanti, suadenti, di formule vuote ripetute allo sfinimento sinché entrano nell’uso comune. E a quel punto il gioco è fatto.

Il primo comando che dobbiamo darci, quindi, è quello di non cadere in questa trappola, di non concedere al nemico di accettare il suo linguaggio finto e artefatto, di non scendere sul suo terreno intessuto di feticci lessicali (quali inclusione, discriminazione, diversità, omofobia, bullismo omofobico, stereotipi sessuali, salute riproduttiva…). L’errore più grande commesso dal mondo simil-cattolico (del cattolicesimo adulto ed adulterato) che ha determinato di fatto la disfatta dei valori di riferimento dei quali avrebbe dovuto essere il baluardo, è proprio quello di immettersi, con strabiliante spirito di adattamento, nel meccanismo perverso che macina via via la verità, di giocare sempre costantemente in difesa, di condurre ridicole e controproducenti battaglie di retroguardia. Anziché mantenere ben salda, e proclamare a gran voce, la verità tutta intera di cui la Chiesa, corpo mistico di Cristo, è eterna depositaria.

Quindi: a chi va in giro a dire con disinvoltura che la realtà è solo uno stereotipo e che può essere sostituita a piacimento da ogni fantasia compulsiva, per quel piccolo margine di libertà che la titanica pretesa di edificare il mondo nuovo avrà la bontà di riservarci, continueremo a sostenere che la pioggia è bagnata. Continueremo a sostenere, anche, l’idea balzana per cui l’uomo è fatto in modo un po’ diverso dalla donna, con tutte la conseguenze del caso, pur rendendoci conto delle meraviglie del progresso per cui due uomini o due donne insieme, ora, possono finalmente avere dei bambini... in fondo anche Giove, a suo tempo, partorì Minerva dalla propria testa.

Ai prelati di ogni ordine e grado, agli organi d’informazione dell’episcopato, ai dirigenti e ai docenti delle scuole sedicenti cattoliche tutte prese dalla fregola dell’aggiornamento per mettersi in linea con le nuove direttive interne e internazionali, a tutto l’esercito di fedeli cresciuto alla scuola del dialogo e nutrito delle categorie tutte terrene della uguaglianza-fratellanza-libertà (ricorda qualcosa?), basti un veloce ripasso del versetto del Vangelo di Marco che, lapidario, recita:

«Chi scandalizzerà anche uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare».

Elisabetta Frezza



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