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Le lezioni da trarre dal grande scisma d’Occidente
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Una delle tante volte che un cieco volle guidare un altro cieco… e finirono tutti e due nella fossa

“Historia magistra vitae”. Il perché dell’articolo

Non tratto in maniera esauriente questo periodo della storia ecclesiastica[1], ma lo riassumo per capire come si sia potuti arrivare, in concreto, al trionfo della dottrina conciliarista (insegnata comunemente nel XV secolo) e, quindi, alla negazione del primato di Pietro e del Papa, e ciò allo scopo di trarne una lezione morale per noi, che viviamo in un periodo di crisi nella Chiesa analogo a quello del Grande Scisma d’Occidente (infatti il Concilio Vaticano II ha proposto pastoralmente la “Collegialità episcopale”[2], che è una forma più sfumata di “Conciliarismo”, il quale fu insegnato al Concilio di Costanza/Basilea, ma non infallibilmente), affinché non commettiamo gli stessi errori che furono commessi allora:

1°) l’errore del Concilio che, pur essendo inferiore al Papa e non avendo nessun potere su di lui, lo giudica e lo depone dichiarandolo non-Papa; 2°) e di contro l’adulazione e il servilismo di chi obbedisce ad ordini illeciti, che possono esser dati anche dall’Autorità ecclesiastica[3], come è avvenuto storicamente (non solo nel periodo studiato in questo articolo) e “contro il fatto non vale l’argomento”[4]. In tali casi bisogna limitarsi a credere e fare ciò che la Chiesa ha sempre insegnato e fatto (S. Vincenzo da Lerino, Commonitorium, III, 5), evitando le novità[5] che possono eccezionalmente infiltrarsi nel governo della gerarchia ecclesiastica anche al suo sommo Vertice.

Il Papato avignonese (1309-1377)

Alla morte di papa Gregorio XI (27 marzo 1378) la situazione della Chiesa era preoccupante a causa dell’indebolimento dell’autorità del Papato (a séguito dello scontro tra papa Bonifacio VIII e Filippo il Bello re di Francia, che avrebbe voluto far deporre il Papa da un Concilio dopo averlo fatto schiaffeggiare ad Anagni).

Nel 1378 la sede pontificia, dopo un periodo abituale, duraturo e costante di circa settanta lunghi anni consecutivi (e non in maniera accidentale, eccezionale, rara ed episodica), era tornata da Avignone a Roma da un solo anno. Infatti nel 1305 era stato eletto Papa, col nome di Clemente V, il francese Bertrand de Got, arcivescovo di Bordeaux, che era un uomo debole ed in balìa della prepotenza del re di Francia, il quale guidava le decisioni del Papa e fece in modo che questi trasferisse la sede papale da Roma ad Avignone nel 1309, dando inizio al triste periodo noto come “cattività avignonese” (contro il quale si batterono S. Brigida di Svezia e S. Caterina da Siena) durato sino al 1377, in cui la Chiesa sembrava essere stata diminuita (parzialmente e pro tempore) della sua nota della Cattolicità o universalità apparendo infeudata ad una sola Nazione per di più con forti velleità universalistiche, sciovinistiche[6].

Ma non vi erano solo questi disordini disciplinari e di governo nella Chiesa. Infatti Clemente V annullò la Bolla di Bonifacio VIII Clericis laicos e alcune parti della Bolla Unam Sanctam del medesimo Bonifacio VIII ed inoltre canonizzò, in polemica con Bonifacio, Celestino V (il quale da alcuni veniva considerato il vero Papa forzato ad abdicare, mentre Bonifacio sarebbe stato un usurpatore, proprio come oggi qualcuno ritiene vero Papa Benedetto XVI costretto ad abdicare e Francesco I un usurpatore). Nihil sub sole novi, da San Pietro alla fine del mondo.

È per questo motivo che lo studio del Papato avignonese e del Grande Scisma d’Occidente può risultare moralmente e spiritualmente utile per noi, che viviamo in un periodo di profonda crisi nella Chiesa, forse superiore a quello del Grande Scisma.

Gesù vuole che la sua Chiesa sia governata da Pietro e dai suoi successori “ogni giorno sino alla fine del mondo”, con una catena apostolica mai interrotta (successione apostolica o Apostolicità della Chiesa). Ora se Cristo ha voluto stabilire la struttura della Sua Chiesa in questo modo (Una, Santa, Cattolica e Apostolica), non si capisce come (secondo la tesi di Cassiciacum), senza contraddirsi, voglia Lui stesso governarLa per mezzo secolo senza Papi (in atto), supplendo e rimpiazzando il Papato poiché non ci sono più Papi da oltre cinquanta anni. Ma allora il volere di Cristo è stato vanificato? Le porte dell’inferno hanno prevalso? La Chiesa da Lui fondata ha perso la sua divina istituzione e costituzione (monarchica, petrina e apostolica)? Absit!

La gravità della situazione ecclesiale da Giovanni XXIII e Francesco I

Il pontificato di Francesco I getta, oggettivamente, le coscienze dei cattolici fedeli in uno stato di dubbio, di smarrimento, di sospetto. È un fatto che non può essere negato e che porta alcuni a soluzioni estreme. Ora bisogna ammettere che lo stato attuale è talmente buio e oscuro da rendere difficile il veder chiaro, come durante il Papato avignonese un grande teologo e Santo (il domenicano Vincenzo Ferrer) si schierò con uno degli antipapi ritenendolo vero Papa, pur essendo egli un valente teologo tomista e quindi assertore del primato del Papa sul Concilio per cui “prima Sede a nemine judicatur” (cfr. S. Tommaso d’Aquino, Summa contra Gentiles, lib. IV, cap. 76).

Quindi non bisogna meravigliarsi se nel combattere la buona battaglia di resistenza contro il neo-modernismo qualcuno usi armi “non convenzionali” o reagisca esageratamente. Se ciò lo scusa davanti a Dio non toglie la libertà di esporre la dottrina cattolica (educatamente, pacatamente e senza insultare nessuno) quale è stata insegnata dai Padri, dai Dottori scolastici e dal Magistero ecclesiastico, facendo attenzione a non prendere per “luogo teologico” un grande teologo (p. M.-L. Guérard des Lauriers) o un “profeta” ed anzi “più che un profeta” (dr. Plinio Correa De Oliveira) o un vescovo integerrimo (mons. Marcel Lefebvre).

A questo proposito lascia perplessi la tesi secondo cui un soggetto che non è Papa (in atto) può eleggere dei cardinali, i quali pur non essendo cardinali (in atto) possono eleggere validamente un Papa, che non è Papa (in atto) e nonostante ciò la Chiesa perdurerebbe e le porte dell’inferno non avrebbero prevalso contro di Essa - pur durando questa situazione da mezzo secolo, che è un periodo abituale, duraturo e costante e non è un qualcosa di raro, episodico ed eccezionale - grazie alla distinzione tra Papa in potenza e Papa in atto (che è certamente propria della teologia, come i concetti di materia e forma, potenza e atto si applicano ai sacramenti, al peccato, all’atto virtuoso… ed anche al Papa).

Il buon senso risponde: “nemo dat quod non habet / nessuno dà quel che non ha”, cioè se un soggetto non è Papa non può eleggere i cardinali (“agere sequitur esse / per agire [da Papa] bisogna prima essere [Papa])”, i quali se non son cardinali non possono eleggere un Papa (come un soggetto se non è prete in atto non può consacrare validamente in atto). Da una verità di ordine metafisico (la distinzione reale di potenza/atto, materia/forma, essenza/essere negli enti creati), di cui si è sempre servita la teologia, la suddetta tesi, con un passaggio indebito, arriva ad un “bizantinismo teologico”, che riduce la Chiesa di Cristo ad un’entità senza Papa, senza Vescovi con giurisdizione, senza Sacerdoti, senza Sacramenti (in atto).

Ora come «i Sacramenti sono istituiti per tutti e sono alla portata di tutti i fedeli. Quindi anche la valutazione dei loro elementi [materia/forma/intenzione oggettiva] deve essere fatta in base a un criterio accessibile a tutti e non riservato a una élite di persone» (P. Palazzini, Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1953, vol. X, col. 1579, voce “Sacramenti”). Così anche la valutazione dell’ubicazione della Chiesa cattolica deve essere fatta in base a un criterio accessibile a tutti e non riservato a un club filosofico di pochi intellettuali, essendo la Chiesa una Società soprannaturale fondata da Cristo per la salvezza eterna di tutti gli uomini, di tutte le razze, le età e le condizioni sociali, assistita da Lui “tutti i giorni sino alla fine del mondo” (Mt., XXVIII, 20).

Attenzione, quindi, a non voler restringere la Chiesa universale (divinamente dotata di Gerarchia e Sacramenti sino alla fine del mondo) ad una “chiesa virtuale e immaginaria”, riservata ad un cerchio molto ristretto di “eletti”.

La Chiesa della Nuova ed Eterna Alleanza è stata fondata da Gesù direttamente su Pietro e i suoi successori e non sui teologi, i profeti e i soli vescovi, che senza il Papa non possono nulla. Quindi i luoghi teologici di cui ci si deve servire per risolvere un problema tanto delicato come quello odierno sono 1°) la S. Scrittura, 2°) la Tradizione apostolica, 3°) le decisioni o il Magistero della Chiesa, dei Concili e dei Papi, 4°) l’insegnamento moralmente unanime dei Padri, dei Dottori scolastici, 5°) la sana ragione, la filosofia perenne e la storia (Melchior Cano, Libri XII de locis theologicis, Roma, ed. T. Cucchi, 1900, 3 voll.)

Nel periodo della cattività o prigionia avignonese (analoga a quella babilonese, nell’Antica Alleanza, di Israele), non vi era solo una situazione di disordine disciplinare all’interno della Chiesa asservita al re di Francia col rischio di ridursi quasi a una “chiesa” nazionale, ma vi erano anche alcune deviazioni dottrinali, che possono eccezionalmente introdursi nell’insegnamento non infallibile dei Papi, senza con ciò inficiare il dogma dell’infallibilità pontificia né il primato del Papa[7].

Il successore di Clemente V fu Giovanni XXII (1316-1334), che come dottore privato sosteneva la tesi teologicamente erronea secondo cui le anime dei giusti non godono la Visione Beatifica dopo la morte ma solo dopo il giudizio universale, tesi difesa anche dal cardinale Jacques Fournier poi suo successore (1334-1342) col nome di papa Benedetto XII[8]. L’ortodossia teologica dei Papi avignonesi (che son considerati dalla Chiesa veri Papi) non brillava certamente: è un dato di fatto e “contro il fatto non vale l’argomento”; ma ciò non deve portarci a negare il primato del Papa, la sua infallibilità (a certe determinate condizioni definite dal Concilio Vaticano I) e l’indefettibilità del Papato. Il Concilio Vaticano I infatti, ha definito (DB 1839) che il Papa in quanto Papa (o seduto sulla cattedra di Pietro, “ex cathedra Petri”), se definisce come divinamente rivelata una dottrina riguardante la Fede e la Morale ed obbliga a crederla come assolutamente necessaria alla salvezza, è assistito dall’infallibilità.

Il Regalismo e il Conciliarismo come rimedio al disordine imperante nella Cristianità e nella Chiesa

Fu allora che, per risolvere il problema postosi in materia politica e religiosa dei rapporti tra re/Papa e Concilio 1°) Jean de Jandun e Marsilio da Padova compilarono il Defensor pacis sostenendo la superiorità dell’imperatore sul Papa (Gallicanesimo politico) e 2°) Guglielmo di Occam radicalizzò tale tesi e la estese alla Chiesa tutta, teorizzando la superiorità del Concilio sul Papa (Conciliarismo teologico).

Purtroppo tale teoria conciliarista fu sottoscritta, nel dicembre 1352, anche dal cardinale avignonese Stefano Aubert durante il conclave che lo elesse Papa col nome di Innocenzo VI (1352-1362), dichiarandola nulla soltanto sei mesi dopo non appena il Papa fu lui stesso (6-VII-1353). Anche qui non si può negare una certa deficienza di purezza dottrinale dei Papi di quell’epoca[9].

Il Grande Scisma d’Occidente (1378-1417)

Dopo ben 75 anni il conclave finalmente si tenne a Roma nel 1378, ma siccome la maggioranza dei cardinali era francese (11 su 16) ci si aspettava e si temeva ancora l’elezione di un Papa francese, mentre il popolo romano reclamava un papa romano o perlomeno italiano.

Questo incidente (“parvus error in principio fit magnus in fine”), dopo 70 anni di “cattività” della Chiesa in Avignone, dette luogo ad altri 40 anni di confusione e dissidi nella Chiesa, che vanno sotto il nome di Grande Scisma di Occidente. Un’epoca (costante, abituale, duratura) che solo a studiarla fa venire il mal di testa tanto è confusa e caotica ed è la migliore confutazione pratica ed evidente delle “tesi” perfezioniste sulla natura del Papato e della Chiesa gerarchica.

L’elezione del Papa fatta sotto la minaccia di violenza

I cardinali riuniti in conclave, sotto la pressione della massa agitata del popolo romano, l’8 aprile 1378 elessero (in maniera non scevra da timore[10] e quindi non canonicamente regolare ed ineccepibile[11]) Papa l’arcivescovo di Bari Bartolomeo Prignano natio di Napoli, che prese il nome di Urbano VI (1378-1389).

La sua elezione non era stata ancora annunziata quando la folla inferocita irruppe nelle sale del conclave per timore che fosse stato eletto un francese, i cardinali si dettero alla fuga, ma i romani si tranquillizzarono poiché era stato eletto un italiano anche se non natio di Roma. Anche qui si può notare facilmente come lo svolgimento del conclave non è stato il più rigorosamente canonico e legale possibile, ma l’accettazione di esso ha convalidato o sanato in radice ogni dubbio d’illegalità (cfr. nota n. 19).

Filosoficamente l’accettazione de facto di un tiranno temporale che si è impossessato del potere equivale alla convalidazione o sanazione in radice che lo rende legittimo governante (cfr. nota n. 19), così - teologicamente - il Papa dubbio se accettato dalla Chiesa diventa Papa indubitato (cfr. nota n. 14).

Il giorno seguente (9 aprile) Urbano VI fu intronizzato e venne incoronato il 18 aprile.

Accettazione dell’elezione da parte dei cardinali

I cardinali assistettero alla cerimonia di incoronazione e parteciparono all’attività pastorale del nuovo Papa. Quindi è pacifico che i cardinali lo riconoscevano come Papa: anche se l’elezione dell’8 aprile era stata fatta sotto il timore della rappresaglia del popolo romano e dunque in se stessa non era libera da pressioni violente esterne[12], tuttavia l’atteggiamento successivo dei cardinali la riconosceva, la convalidava, la sanava[13] e l’interpretava praticamente come canonicamente valida.

Perciò anche se l’elezione canonica di Alessandro VI (un simoniaco che non aveva alcuna volontà oggettiva di procurare il bene della Chiesa, ma solo il bene materiale della sua famiglia) o di Paolo VI (perché modernista) ha avuto degli impedimenti (volontà oggettiva di non fare il bene della Chiesa), il riconoscimento di Alessandro VI/Paolo VI come Papa da parte della Chiesa li ha resi da Papi dubbi, Papi indubitati (vedi nota n. 14).

Infatti in caso di dubbio sull’elezione di un Papa o sul fatto che sia veramente Papa poiché non ortodosso o non correttamente e legittimamente eletto, la soluzione data dalla sana teologia è che “l’accettazione pacifica di un Papa da parte di tutta la Chiesa è il segno e l’effetto infallibile di una elezione e di un pontificato validi[14].

Perciò l’elezione di Urbano VI è considerata dalla Chiesa come legittima (“Papa indubitatus”) e legittima è stata riconosciuta la successione romana dei Papi che son succeduti a lui: Bonifacio IX (1389-1404), Innocenzo VII (1404-1406), Gregorio XII (1406-1415). Mentre la successione avignonese non è riconosciuta come valida dalle cronotassi ufficiali, perciò Clemente VII (1378-1394) e Benedetto XIII (1394-1423) son ritenuti dalla Chiesa ufficialmente antipapi[15].

I cardinali ricorrono alla dottrina del “Papa eretico” per sciogliersi dall’obbedienza al “Papa accettato”

  Santa Caterina
Purtroppo Urbano VI procedette con un rigore talmente eccessivo[16] per reprimere gli abusi che allora affliggevano la Chiesa che i cardinali francesi (presso i quali soprattutto si era introdotto lo spirito del Conciliarismo gallicano e che S. Caterina chiamava “dimoni incarnati”) fuggirono a Napoli e di lì scomunicarono il Papa dichiarandolo decaduto[17]. Era l’inizio di una serie di sbagli che a partire da un errore teologico (superiorità del Concilio sul Papa) porteranno ad una situazione catastrofica nella Chiesa (tre Papi contemporanei, che presumono tutti e tre di essere il vero e unico Vicario di Cristo).

 

Poi a Fondi i cardinali indissero un conclave illegale (come illegale è la destituzione del Papa, che non ha superiori su questa terra e non può essere deposto da nessuno e neppure da parte del Concilio, che è inferiore al Papa come il corpo è inferiore al Capo e il gregge al Pastore) ed elessero un antipapa, il quale prese il nome di Clemente VII[18], adducendo come pretesto che l’elezione di Urbano VI era stata forzata dal popolo romano e quindi invalida, mentre in un primo tempo essi l’avevano accettata pacificamente e quindi convalidata o sanata in radice (cfr. nota n. 19).

Clemente VII pose la sua residenza ad Avignone e aprì una nuova Curia formata da 13 cardinali francesi. Così la Cristianità si divise in due parti: la romana o urbaniana e l’avignonese o clementina, che pur essendo illegittima aveva ottenuto un forte séguito politico: la Francia, il regno di Napoli, la Savoia, la Spagna, la Sicilia, la Scozia e alcuni territori della Germania meridionale.

Papa Urbano VI rispose scomunicando l’antipapa Clemente VII cosicché “nominalmente tutta la Cristianità si trovava scomunicata!” (K. Bihlmeyer - H. Tuechle, Storia della Chiesa, vol. 3, L’epoca delle riforme, Brescia, Morcelliana, VII ed., 1983, p. 62). Nasceva così il Grande Scisma d’Occidente che sarebbe durato quasi 40 anni (1378-1417).

Inoltre sei cardinali fedeli al Papa romano Urbano VI suggerirono al re di Napoli Carlo III di prendere prigioniero il Papa e di metterlo sotto cautela poiché malato di mente, ma il Papa lo seppe e fece giustiziare i cardinali (K. Bihlmeyer - H. Tuechle, Storia della Chiesa, vol. 3, L’epoca delle riforme, Brescia, Morcelliana, VII ed., 1983, p. 65).

Il Conciliarismo prende piede

La dottrina del primato del Papa cominciava a vacillare e il Conciliarismo divenne la dottrina quasi comune di quell’epoca tristissima. Infatti la teologia si dette da fare per ovviare a tale situazione. L’Università di Parigi, “che si era assunta i compiti del magistero ordinario” … nihil sub sole novi… (H. Jedin, Storia della Chiesa., Milano, Jaca Book, 1977 ss., vol. V/2, p. 199), nel 1381, con i due professori tedeschi Enrico di Langestein e Corrado di Gelnhausen, raccomandò la convocazione di un Concilio generale, che secondo loro era superiore al Papa, per dirimere la situazione, mentre la complicò ulteriormente: “L’ottimo è nemico del buono”.

Alla morte del Papa romano si sperava che i cardinali fedeli a lui avrebbero riconosciuto, mediante una convalidazione o sanatio in radice[19], come Papa legittimo l’antipapa avignonese e viceversa alla morte dell’antipapa avignonese si sperava che i cardinali riconoscessero il Papa romano e la situazione si sarebbe aggiustata, sanata, convalidata praticamente (cfr. nota n. 19). Ma le cose andarono diversamente per ancora altri tre Papi (Bonifacio IX, 1389-1404; Innocenzo VII, 1404-1406; Gregorio XII, 1406-1415) ed un altro antipapa (Benedetto XIII, 1394-1423).

Il conciliabolo di Pisa (1409) tenta di risolvere la situazione

Sennonché la maggioranza dei cardinali romani, stufi della situazione, nel 1408 si staccarono dall’obbedienza al Papa di Roma (Gregorio XII) e nel medesimo anno anche i cardinali avignonesi si staccarono dall’obbedienza all’antipapa Benedetto XIII. Quindi i 13 cardinali romani e la curia avignonese si radunarono a Livorno nel giugno 1408 e decisero di convocare un Concilio universale a Pisa per il 25 marzo del 1409.

Naturalmente il conciliabolo (dacché senza Papa) di Pisa fu dominato dalla tesi conciliarista e in base alla ipotesi teorica (del tutto improbabile e per nulla certa) del Papa eretico[20] depose sia il Papa (Gregorio XII) che l’antipapa (Benedetto XIII) come eretici e scismatici notori il 5 giugno del 1409 ed elesse un nuovo antipapa il 26 giugno 1409, che prese il nome di Adriano V (1409-1410). Così si ebbero tre Papi, di cui due antipapi e un vero Papa, ma non riconosciuto da mezza Chiesa.

“Il tentativo di ristabilire l’unità della Chiesa mediante un Concilio terminò senza successo” (H. Jedin, Breve storia dei concili, Brescia, Morcelliana, 1983, VI ed., p. 101). Anzi peggiorò notevolmente lo stato già caotico in cui versavano gli uomini di Chiesa e specialmente la Gerarchia.

La situazione andrà normalizzandosi solo quando l’antipapa pisano Giovanni XXIII, spinto (quasi a forza) soprattutto dall’imperatore e moralmente anche dai cardinali e dai fedeli, convocò un Concilio a Costanza (1413/1414) in cui il Papa romano Gregorio XII acconsentì “liberamente” (anche se spinto quasi a forza dall’imperatore) alla rinuncia e alla elezione di un nuovo Papa, che prese il nome di Martino V (1415); l’antipapa avignonese Benedetto XIII venne deposto, ma non accettò la deposizione però non ebbe più séguito da parte dei cardinali, dei fedeli e dell’imperatore e si ritirò a fare il “papa” privato a Peñìscola vicino Valencia ove morì come antipapa impenitente nel 1423. Infine pure Giovanni XXIII, l’antipapa pisano, accettò la sua deposizione. Così ebbe fine il Grande Scisma soprattutto per l’ingerenza del potere politico negli affari ecclesiastici, il che non è in sé corretto da un punto di vista giuridico e teologico, ma de facto et per accidens sistemò, convalidò e sanò una situazione di crisi (cfr. nota n. 19) cosicché la Chiesa ha riconosciuto la validità di questi atti pur essendo in sé non perfettamente a norma di legge canonica e di dottrina dogmatica. La Chiesa è anche una società giuridica composta di uomini e come tale, con un po’ di buon senso e di spirito storico e giuridico, bisogna prender atto dello stato di fatto che si viene a creare nella sua storia.

Il XVI Concilio ecumenico di Costanza (1414-1418)

Alla morte dell’antipapa pisano Alessandro V (1410) era stato eletto un altro antipapa pisano col nome di Giovanni XXIII (mentre permanevano il vero Papa romano: Gregorio XII e l’altro antipapa avignonese: Benedetto XIII) e fu proprio allora che il re d’Ungheria Sigismondo, appena eletto re tedesco nel 1411, si interessò alla questione del Grande Scisma e intervenne pesantemente nelle questioni ecclesiastiche colla buona intenzione di risolvere la crisi che travagliava la Chiesa e l’Europa intera[21]. “La politica determinò lo sviluppo degli affari della Chiesa” (H. Jedin, Storia della Chiesa., Milano, Jaca Book, 1977 ss., vol. V/2, p. 196). Come si vede non sempre il Papa è all’altezza della sua Missione, anche questo è un fatto e “contro il fatto non vale l’argomento” del Papato ideale e virtuale, ma non reale e attuale. La Chiesa accetta lo stato di fatto e la convalidazione o sanatio in radice anche se l’elezione canonica non è avvenuta secondo tutte le regole della teologia e del diritto canonico (cfr. nota n. 19).

Il re Sigismondo spinse fortemente l’antipapa Giovanni XXIII ad indire un Concilio ecumenico a Costanza per il 1° novembre del 1414. Giovanni stesso venne a Costanza a presiedere il Concilio, convocato materialmente da un antipapa e indetto formalmente da un re.

Durante lo svolgimento del Concilio si optò per spingere alle dimissioni tutti e tre i “Papi” (il vero Papa romano e i due antipapi avignonese e pisano). Il 3 marzo del 1414 Giovanni XXIII aveva promesso di abdicare, ma nella notte del 20 marzo fuggì da Costanza travestito. Egli avrebbe voluto sciogliere il Concilio, ma re Sigismondo riuscì a farlo imprigionare e a far aprire il processo per la sua destituzione. Qui è addirittura il re che prende il posto del Concilio e si ritiene superiore ad un Papa presunto tale, che viene deposto in quanto Papa inadempiente e non in quanto anti-papa.

Il Concilio senza il “Papa” (che era fuggito) si fece forte di sé e dell’aiuto del re e continuò conciliariter anche senza Papa (o meglio antipapa) per ricreare l’unità della Chiesa con questa motivazione: “il Concilio ha la sua potestas direttamente da Cristo. Quindi anche il Papa deve obbedienza alla potestas Concilii. Perciò ogni fedele, fosse anche il Papa, che si oppone a una decisione conciliare deve essere punito” (G. Alberigo, Storia dei Concili Ecumenici, Brescia, Queriniana, 1990, p. 226).

Attenzione! I decreti del Concilio di Costanza e Basilea, che hanno insegnato la teoria del Conciliarismo, ma non l’hanno definita né l’hanno resa obbligatoria per la salvezza dell’anima non sono infallibili. Perciò come riguardo al Vaticano II si può parlare in senso largo e figurativo di “Chiesa collegiale”, così riguardo a Costanza/Basilea si può parlare di “Chiesa conciliare”.

Come si vede il Concilio di Costanza agì secondo la falsa dottrina del Conciliarismo mitigato (ripreso ed edulcorato ulteriormente dal Vaticano II), data la situazione in cui viveva la Chiesa di allora con la presenza simultanea di tre “Papi”. Il 29 maggio perciò il Concilio depose il Papa o meglio l’antipapa Giovanni XXIII, che accettò obtorto-collo la decisione giuridica conciliare sotto la pressione fisica del re Sigismondo e passò il resto della sua vita a Firenze con il titolo cardinalizio.

Inoltre il Concilio vietò, nella XII sessione, ogni elezione del Papa fatta senza il consenso del Concilio (Conciliorum Oecomenicorum Decreta 416, Istituto Scienze Religiose, Bologna, III ed, 1973).

Il vero Papa, Gregorio XII, non poneva resistenza alla sua destituzione. Quindi accettò la sanazione in radice (cfr. nota n. 19) del Grande Scisma coll’andare a Costanza per essere deposto, ma “non poteva andare ad un Concilio convocato da Giovanni XXIII; era necessario che egli stesso lo convocasse e questo diritto gli fu riconosciuto dal Concilio[22] e così il 4 luglio il suo cardinale Giovanni Dominici indisse il Concilio e subito dopo annunciò il ritiro del proprio Papa” (H. Jedin, Storia della Chiesa, Milano, Jaca Book, 1977 ss., vol. V/2, p. 202) nella XIV sessione il 4 luglio 1415 (COD 421, Istituto Scienze Religiose, Bologna, III ed, 1973).

Il Concilio di Costanza (1414-1418) non voleva abolire il Papato, come qualcuno ha scritto, ma certamente ne voleva limitare e diminuire il prestigio ed anche il Primato, lo stesso avverrà al Concilio di Basilea del 1431 (cfr. G. Alberigo, Storia dei Concili Ecumenici, Brescia, Queriniana, 1990, p. 228).

L’antipapa avignonese Benedetto XIII venne deposto dal Concilio di Costanza in quanto eretico nella sessione XXXVII il 26 luglio del 1417 (COD 437), ma Benedetto non accettò la decisione del Concilio e rimase graniticamente fermo nella convinzione di essere Papa sino alla sua morte avvenuta nel 1423.

Finalmente l’11 novembre del 1417 a Costanza venne eletto un unico Papa “dal collegio cardinalizio e dai sei rappresentanti delle cinque nazioni lì presenti” (H. Jedin, Storia della Chiesa, Milano, Jaca Book, 1977 ss., vol. V/2, p. 203): il cardinale Oddo Colonna che prese il nome di Martino V.

In breve a Costanza (1414-1418) si votò per nazioni non per teste o per Vescovi. Questo tipo di votazione è unicamente propria al Concilio di Costanza in cui i Vescovi si trovarono in minoranza rispetto alle Università, ai dottori in teologia e in diritto canonico (cfr. H. Jedin, Breve storia dei concili, Brescia, Morcelliana, 1983, VI ed., p. 102).

Ancora a Costanza si stabilì (ma non si definì infallibilmente) che “ogni membro della Chiesa (compreso il Papa) deve obbedienza al Concilio ecumenico. Il Concilio non può abolire il potere papale, ma può limitarlo quando lo esige il bene della Chiesa. il legame tra Cristo e la Chiesa è indissolubile, quello del Papa con essa no. Il potere viene al Concilio immediatamente da Cristo e quindi tutti, anche il Papa, gli debbono obbedienza” (H. Jedin, Breve storia dei concili, Brescia, Morcelliana, 1983, VI ed., p. 103-104).

Il Decreto “Frequens”, che fu approvato nella XXXIX sessione del 9 ottobre 1417 stabilì che i Concili dovevano essere resi un’istituzione stabile e quindi una specie di istanza di controllo decennale sul Papato (H. Jedin, Breve storia dei concili, Brescia, Morcelliana, 1983, VI ed., p. 107).

È vero che papa Martino V non ha ratificato formalmente i Decreti di Costanza, ma ciò è avvenuto non per la sua purezza dottrinale, bensì perché la maggioranza del Concilio era partecipe della teoria conciliarista e non avrebbe tollerata l’ingerenza del Papa nel/sul Concilio (cfr. H. Jedin, Breve storia dei concili, Brescia, Morcelliana, 1983, VI ed., p. 112).

Tuttavia pur condannando la teoria di appellarsi al Concilio contro il Papa, Martino V si attenne al Decreto Frequens (cfr. H. Jedin, Breve storia dei concili, Brescia, Morcelliana, 1983, VI ed., p. 113).

Il XVII Concilio ecumenico di Basilea (1431-1437)

A partire da queste tendenze conciliariste, recepite e non definite dal XVII Concilio ecumenico di Costanza, il 23 luglio 1431 si aprì il XVIII Concilio ecumenico di Basilea (1431-1437) in cui “il conflitto tra il primato del Papa e il Conciliarismo era inevitabile” (H. Jedin, Breve storia dei concili, Brescia, Morcelliana, 1983, VI ed., p. 113). Siccome non era presente nessun Vescovo ma solo i loro rappresentanti e i dottori in teologia e in diritto canonico, papa Eugenio IV (1431-1447) il 18 dicembre del 1431 sciolse il Concilio, ma il Concilio, a causa delle teorie conciliariste, si rifiutò di obbedire, anzi addirittura si riaprì il Concilio sine Papa, si intimò al Papa di abrogare lo scioglimento di esso e si citò il Pontefice per render conto di tale “abuso” dinanzi al Concilio. Il conflitto tra Papa e Concilio durò due anni (1431-1433), ma alla fine il Papa cedette e vinse il Concilio e il Conciliarismo.

Il 15 dicembre del 1433 papa Eugenio IV ritirò il decreto di scioglimento del Concilio e dichiarò il Concilio di Basilea come legittimo XVIII Concilio ecumenico della Chiesa.

Nel frattempo il Concilio di Basilea aveva cominciato a mettere in atto (senza definire infallibilmente) la teoria conciliarista della superiorità del Concilio sul Papa e si stabilì come supremo potere nella Chiesa al di sopra di papa Eugenio IV.

Basilea fu soprattutto un Concilio di teologi e canonisti, i Vescovi furono meno di un decimo dei partecipanti, il Papa era ritenuto del tutto contingente alla vita del Concilio e della Chiesa.

Nel 1436 avvenne una seconda rottura e stavolta definitiva tra Papa e Concilio riguardo al luogo in cui avrebbe dovuto continuare il Concilio iniziato a Basilea. Il Concilio e i conciliaristi ritenevano di continuarlo a Basilea o ad Avignone, mentre papa Eugenio IV optava per Firenze. Dopo lunghe tergiversazioni il 18 settembre 1438 il Papa trasferì il Concilio da Basilea Ferrara, ma la maggioranza dei teologi e dei Vescovi rimase a Basilea. Qui i conciliaristi stravinsero e “dichiararono la superiorità del Concilio sul Papa e il 25 giugno 1439 deposero come eretico papa Eugenio IV ed elessero un altro Papa [antipapa] che prese il nome di Felice V. il medesimo Conciliarismo che aveva aiutato a Costanza a ricomporre il grande scisma, ne provocò un altro a Basilea” (H. Jedin, Breve storia dei concili, Brescia, Morcelliana, 1983, VI ed., p. 117).

Il XVII Concilio ecumenico continua a Ferrara-Firenze (1438-1445)

Nel frattempo la posizione politica di papa Eugenio IV si era rafforzata poiché i Greci scismatici avevano accettato di partecipare al Concilio di Ferrara (9 aprile 1438 – 15 gennaio 1439) per ricomporre l’unione con la Chiesa e sotto il Papa. Ma per mancanza di denaro il Papa si vide costretto a spostare il Concilio da Ferrara a Firenze il 16 gennaio 1439.

Al Concilio di Firenze (16 gennaio 1439 – 24 aprile 1442) si discusse sul Primato del Papa, che “come successore di S. Pietro e Vicario di Cristo è il Capo della Chiesa intera e del Concilio ecumenico” (H. Jedin, Breve storia dei concili, Brescia, Morcelliana, 1983, VI ed., p. 118).

Grazie alla riunione dei Greci scismatici detti Ortodossi con il Papato, papa Eugenio IV riprese forza sul Concilio di Basilea (che era restato ivi anche dopo la convocazione del Concilio di Ferrara-Firenze) e il Conciliarismo, ma non aveva ancora vinto l’errore conciliarista. Infatti Francia e Germania appoggiavano le teorie conciliariste del Concilio di Basilea (divenuto un conciliabolo il 9 aprile 1438 quando non volle riconoscere il Concilio convocato dal Papa e si autoconvocò ancora a Basilea sine Papa), non riconoscevano il Concilio di Ferrara-Firenze. Il conciliabolo di Basilea post 1438 riprendeva e riconfermava l’errore conciliarista della superiorità del Concilio sul Papa (H. Jedin, Breve storia dei concili, Brescia, Morcelliana, 1983, VI ed., p. 120).

Il cardinal Giovanni de Torquemada nella sua Summa de Ecclesia ribadì il Primato del Papa, ma la teoria conciliarista non aveva ancora ricevuto il colpo di grazia. Per questo non bastavano i soli teologi, occorreva l’intervento di un Papa che oltre a ribadire la vera dottrina del Primato di Pietro si adoperasse per una vera riforma della Chiesa, la quale aveva fortemente risentito di tutti questi avvenimenti iniziatisi col Papato avignonese circa due secoli prima.

Purtroppo “il Papato non imboccò l’unica via atta realmente a scalzare il Conciliarismo in verbis et in factis, quella cioè d’iniziare con tutta serietà la vera riforma della Chiesa (come farà il Concilio di Trento)” (H. Jedin, Breve storia dei concili, Brescia, Morcelliana, 1983, VI ed., p. 122).

Il XVIII Concilio ecumenico Lateranense V a Roma (1512-1517)

Il 19 aprile del 1512 papa Giulio II convocò il 18° Concilio ecumenico della Chiesa (dopo del quale vi saranno solo il Tridentino dal 1545 al 1563, il Vaticano I dal 1869 al 1870 e il Vaticano II dal 1962 al 1965) detto Lateranense V. alla morte di Giulio II (21 febbraio 1513) fu eletto Leone X.

Questo Concilio si tenne a Roma per prendere le distanze dai Concili “conciliaristi” di Costanza e Basilea. Infatti esso “venne tenuto non solo a Roma, ma sotto la presidenza del Papa, fu frequentato quasi esclusivamente da Vescovi (non da teologi e canonisti). Il suo programma fu fissato dal Papa, i funzionari furono nominati da lui. I suoi Decreti ebbero orma di Bolle papali e non Documenti conciliari/[sti]” (H. Jedin, Breve storia dei concili, Brescia, Morcelliana, 1983, VI ed., p. 123).

Tuttavia mancava la buona volontà di tradurre i Decreti del Concilio in atto e di calarli in pratica. Ma la fede senza le opere è morta. Leone X non era un Papa riformatore come lo furono quelli del Tridentino e Pio IX nel Vaticano I. Perciò quando si chiuse il V Concilio Lateranense (16 marzo 1517) la situazione pratica della Chiesa restava invariata e il terreno era propizio alla pseudo-riforma di Martin Lutero, che 1l 31 ottobre del 1517 affiggeva le sue 95 tesi protestantiche sul portone della cattedrale di Wittemberg. “Se un cieco [Lutero] guida un altro cieco [Leone X], tutti e due cadranno nella fossa [Protestantesimo e Papi rinascimentali]”. Occorrerà attendere il 1545-1563 quando con il XIX Concilio ecumenico di Trento non solo si affermerà la verità, ma la si vivrà in maniera coerente come fece Gesù che “cominciò a fare e a insegnare”.

Il Vaticano II (Collegialità) tra il Vaticano I (Primato di Pietro) e il Concilio di Costanza/Basilea (Conciliarismo)

Il cardinal Franz König è stato il paladino della sacramentalità dell’episcopato e della Collegialità vescovile contro il Primato petrino[23], ossia per lui l’episcopato non è il terzo grado dell’Ordine sacerdotale[24], ma è un Ordine a parte ed i vescovi non ricevono la giurisdizione dal Papa per missione canonica, ma direttamente con la consacrazione vale a dire da Dio stesso, onde essi sono assieme al Papa il soggetto della potere di giurisdizione che si suddivide in supremo magistero (insegnare) e imperium (governare, cioè dirigere i fedeli in ordine alla vita eterna) o potestà legifera, giudiziale e coattiva ecclesiastica, mentre per la dottrina cattolica[25] il soggetto del magistero e dell’imperium è il Papa, che se vuole può associare a sé ad tempus il corpo dei vescovi sparsi nel mondo o riuniti in Concilio.

Nel 1964 a Costanza dove si commemoravano i 550 anni del Concilio ivi svoltosi il card. König cercò di contrapporre in una sintesi hegeliana il Conciliarismo di Costanza-Basilea e il Primato petrino del Vaticano I.

Secondo König Costanza/Basilea & Vaticano I sono i due estremi (“tesi-antitesi”, la “sintesi” sarebbe il Vaticano II) che impoveriscono la Chiesa, la quale al Vaticano II non ha espresso la dottrina della Collegialità episcopale in maniera così radicale (Conciliarismo) come a Costanza e neppure il Primato di Pietro e suoi successori, in maniera così stretta come nel 1870 al Vaticano I. Il Vaticano II era per lui una sorta di coincidentia oppositorum o di sintesi, che equilibrava Costanza/Basilea (tesi) col Vaticano I (antitesi), per darci il Vaticano II (sintesi)[26].

L’attitudine di coloro che dichiarano Papi nulli i Papi del Vaticano II è simile a quella di coloro che deponevano il Papa durante il Grande Scisma e lo svolgimento del Concilio di Costanza/Basilea.

La debolezza intrinseca del Conciliarismo

Spesso nei tempi di crisi nella Chiesa, a causa di un Papa non all’altezza del suo compito o per altri motivi, si è pensato di risolvere la soluzione appellandosi non più al Papa, ma al Concilio, al grande teologo, al “profeta” o al vescovo di ferro ritenuti superiori al Papa, ma il rattoppo è peggiore del buco poiché per restaurare la Chiesa se ne cambia la divina istituzione.

Un disordine pratico (un Papa “eretico” o incapace, che semina il caos nell’ambiente ecclesiale) non si corregge, infatti, con un grave errore teologico per di più ereticale: la superiorità del Concilio sul Papa (Conciliarismo). Così facendo si distrugge la costituzione divina della Chiesa come monarchia fondata da Gesù su uno solo (Pietro e i suoi successori sino alla fine del mondo) e la si rimpiazza con una costituzione aristocratica. Il Papa sarebbe come un re costituzionale, che può essere giudicato, corretto e rimosso dall’Episcopato (riunito in Concilio o sparso nel mondo), che è superiore al Papa come il tutto è superiore ad una singola parte. Quindi il Papa è sottomesso al Concilio o è pari ad esso collegialmente.

Gesù ci insegna: “Se un cieco guida un altro cieco tutti e due finiranno nella fossa” (Lc., VI, 39-40), vale a dire se il Papa non si comporta bene (nella fede, nella morale e nel governo della Chiesa) e lo si fa aiutare (deponendolo e dichiarandolo non-Papa) dall’Episcopato ritenuto superiore al romano Pontefice, allora il male diventa maggiore perché comune non più al solo Papa ma anche all’Episcopato (nel caso che quest’ultimo voglia seguire tale ipotesi ereticale).

La conclusione è ovvia: «il rimedio ad un male così grande come “un Papa scellerato” e la crisi nella Chiesa in tempi di caos è la preghiera e il ricorso all’onnipotente assistenza divina su Pietro, che Gesù ha promesso solennemente» (Gaetano, Apologia de Comparata Auctoritate Papae et Concilii, Roma, Angelicum ed. Pollet, 1936, p. 112 ss.).

Gaetano, inoltre, cita l’Angelico (De regimine principum, lib. I, cap. V-VI) il quale insegna che normalmente i più propensi a rivoltarsi contro il tiranno temporale sono i “discoli”, mentre le persone giudiziose riescono a pazientare finché è possibile e solo come extrema ratio ricorrono alla rivolta. Quindi ne conclude che se occorre aver molta pazienza con il tiranno temporale e solo eccezionalmente si può ricorrere alla rivolta armata e al tirannicidio, nel caso del Papa indegno o “criminale”[27], non solo non è mai lecito il “papicidio” e la rivolta armata, ma neppure la sua deposizione da parte del Concilio.

La soluzione della crisi neo-modernista nella Chiesa

Nella situazione odierna occorre riconoscere, senza adulare i cattivi Pastori né aver paura di essere disprezzati 1°) che delle novità si sono infiltrate nella pastorale della Gerarchia ecclesiastica a partire da Giovanni XXIII (“contra factum non valet argumentum”) e perciò si può “non ubbidire nelle cose cattive e non adulare i malvagi prelati[28]”; 2°) che, tuttavia, i Papi “conciliari”, pur avendo mal usato del loro sommo Potere, lo conservano. Pertanto non deve pretendere che l’Episcopato collegiale, l’eminente teologo, il “profeta” o la sola Tradizione senza Magistero vivente possano rimettere la Chiesa in ordine, ma bisogna, come consigliava il de Vio, ricorrere alla preghiera e alla riforma di se stessi perché negli uomini di Chiesa ritorni l’ordine, che solo Dio tramite il Papa e col concorso delle cause seconde (come avvenne a Costanza) può restaurare nella Chiesa.

In breve l’aiuto di Dio è assolutamente necessario alla Sua Chiesa ed esso non manca mai, purtroppo è la non corrispondenza degli uomini alla grazia di Dio che vanifica il buon risultato della vera riforma della Chiesa in capite et in membris. Quindi occorre un Papa che ribadisca la verità nella sua purezza e soprattutto che la cali in pratica con una riforma dei costumi e della vita cristiana. Inoltre occorre un Episcopato che sia disposto a collaborare col Papa, altrimenti il Papa da solo può soltanto definire la verità ma non farla vivere a chi la rifiuta con ostinazione. Allora i fedeli aiutati dai buoni Pastori, nella dottrina e nelle opere, potranno ritornare alla piena pratica della vita liturgica, spirituale, morale e contribuire alla restaurazione dello spirito cristiano all’interno della Chiesa.

Oggi purtroppo si riscontra una deficienza di sana dottrina 1°) nel Papa (Francesco I); 2°) nell’Episcopato (compresa quella parte che combatte per il mantenimento della Legge naturale, ma neglige la questione dogmatica sulla continuità reale o solo verbale tra Vaticano II e Tradizione apostolica); 3°) un rilassamento nei fedeli così mal guidati da cattivi Pastori. Ora tale situazione richiede un intervento straordinario della onnipotenza divina che dopo averci chiamato con Misericordia dovrà intervenire con la Giustizia e con il castigo. A mali estremi, estremi rimedi.

“Quel che temo, in questi tempi, è più una seduzione che una persecuzione. I nemici della Chiesa, oggi, si credono e si dicono cristiani, ma favoriscono l’eresia e lo scisma. Ciò che li rende molto pericolosi è la generale debolezza della fede presso i cattolici, l’amore sregolato dei piaceri mondani, la licenza immorale generalizzata. La maggior parte dei cristiani è cristiana solo di nome. Gesù non è conosciuto né amato soprannaturalmente. Quindi mi sembra necessario che per guarire una società così gravemente ammalata Dio castigherà duramente, ma assieme misericordiosamente: infatti Dio colpisce soprattutto per guarire. (Le Très Révérend Père Marie-Théodore Ratisbonne. D’après sa correspondance et les documents contemporains, Parigi, Poussielgue, 1903, tomo II, p. 488).

d. Curzio Nitoglia



[1] Se qualcuno volesse approfondire il tema può studiare L. Von Pastor, Storia dei Papi dalla fine del medioevo, 16 voll., Roma, 1910-1934; A. Fliche – V. Martin, Storia della Chiesa, Torino, Siae, 1942 ss. ; H. Jedin, Storia della Chiesa, 13 voll., Milano, Jaca Book, 1977 ss.

[2] Cfr. Lumen gentium n. 22.

[3] Arnaldo X. Da Silveira, Può esservi l’errore nei documenti del Magistero ecclesiastico?, “Cristianità”, n. 13, 1975. L’Autore cita i migliori teologi, che, riguardo a questo tema, si son basati sulla Tradizione apostolica e la S. Scrittura lette alla luce del Magistero della Chiesa. È per questo che mi permetto di citarlo non facendone una “tesi” che pretende di essere l’unica “specificazione di un atto di Fede” senza cui è impossibile salvarsi l’anima.

[4] Per fare un esempio lampante e chiaro a tutti, quando Francesco I ha detto che “non è peccato non andare a Messa la Domenica, ma è peccato erigere muri tra noi e chi non è come noi”, vale ciò che si spiega a tutti i bambini che studiano il “Piccolo Catechismo di San Pio X.” Il IV Comandamento (che ha come oggetto diretto il prossimo) ci ordina di obbedire ai genitori, ma se il padre ci dovesse dire di non andare a Messa la Domenica e violare il III Comandamento (che ha come oggetto diretto Dio stesso), allora occorre obbedire a Dio e non agli uomini. Ciò non significa deporre Francesco I considerandolo come non-Papa e neppure obbedirgli per servilismo e adulazione.

[5] Per esempio la Collegialità episcopale, che diminuisce il primato del Papa, è stata insegnata durante il Concilio Vaticano II (Lumen gentium n. 22) in maniera pastorale e non infallibile, in una maniera molto simile, anche se più sfumata, all’errore conciliarista non solo radicale ma anche mitigato.

[6] Cfr. I Papi e gli antipapi, Milano, Tea, 1993, voce Clemente V, a cura di Massimo Montanari, p. 90.

[7] Cfr. A. X. Da Silveira, Qual è l’autorità dottrinale dei documenti pontifici e conciliari?, “Cristianità”, n. 9, 1975; Id., È lecita la resistenza a decisioni dell’Autorità ecclesiastica?, “Cristianità”, n. 10, 1975; Id., Può esservi l’errore nei documenti del Magistero ecclesiastico?, “Cristianità”, n. 13, 1975.

[8] Cfr. I Papi e gli antipapi, Milano, Tea, 1993, voce Benedetto XII, a cura di Bruno Andreoli, p. 92.

[9] Anche i Papi romani non furono immuni da tale errore diventato una “moda” teologica in quei tempi.

[10] Dato il coraggio eroico dei cardinali in genere e lo spirito pacifico e alieno da ogni violenza del popolo scatenato…

[11] Come vorrebbero i perfezionisti dell’ecclesiologia del Papato solamente virtuale quando non è perfettissimamente formale.

[12] In teologia morale si studia che certe azioni giuridiche (per esempio, nel caso nostro un’elezione) sono rese invalide se vengono imposte sotto la spinta di un grave timore, oppure son rese rescindibili dietro richiesta di coloro ai quali sia stato incusso il timore (per esempio, i cardinali riuniti in conclave). Cfr. E. Jone, Compendio di teologia Morale, Torino, Marietti, 1964, VI ed., p. 9-10; S. Tommaso d’Aquino, S. Th., I-II, q. 6, a. 5.

[13] Cfr. nota n. 19 sulla convalidazione o sanatio in radice.

[14] F. X. Wernz – P. Vidal, Jus canonicum, Roma, Gregoriana, 3 voll. 1923-1938, tomo II, p. 437, nota 170; cfr. F. Suarez, De Fide, disp. X. Sez., V, n. 8, p. 315. Il cardinal Louis Billot insegna: “nel caso dell’ipotesi della possibilità di un Papa ritenuto eretico, l’adesione della Chiesa universale sarà sempre in se stessa, il segno infallibile della legittimità di tale o tal altro Pontefice” (De Ecclesia Christi, Roma, Gregoriana, 1903, vol. I, pp. 612-613).

[15] Cfr. K. Bihlmeyer - H. Tuechle, Storia della Chiesa, vol. 3, L’epoca delle riforme, Brescia, Morcelliana, VII ed., 1983, p. 58 ss.

[16] “S. Caterina da Siena non mancò di ammonire il Papa in questo senso” (K. Bihlmeyer - H. Tuechle, Storia della Chiesa, vol. 3, L’epoca delle riforme, Brescia, Morcelliana, VII ed., 1983, p. 61).

[17] S. Vincenzo Ferrer, invece, si schierò con altrettanto zelo e vigore per Benedetto XIII, che in realtà era antipapa, e chiamava il Papa romano Urbano VI che era il vero Papa “sedotto dal demonio ed eretico” (K. Bihlmeyer - H. Tuechle, Storia della Chiesa, vol. 3, L’epoca delle riforme, Brescia, Morcelliana, VII ed., 1983, p. 62). È molto difficile veder chiaro a mezza notte…

[18] Cfr. I Papi e gli antipapi, Milano, Tea, 1993, voce Urbano VI, a cura di Antonio Maria Bozzone, p. 95.

[19] La “convalidazione” riguarda un fatto successivo (accettazione da parte dei cardinali o della Chiesa docente e discente) ad un atto giuridico annullabile (l’elezione di un Papa), per cui quest’ultimo atto giuridico perde la sua annullabilità e de facto diviene perfetto (Papa in atto riconosciuto come tale) o sanato in radice. La convalidazione avviene in genere automaticamente con il protrarsi della situazione, ossia l’accettazione da parte della Chiesa per le questioni spirituali o dello Stato per le questioni civili. La convalida viene detta anche “sanazione in radice” e si applica in senso stretto al contratto del Matrimonio e lo convalida essendo in partenza invalido. Essa comporta 1°) la cessazione dell’impedimento, che rendeva invalido il contratto; 2°) la dispensa di rinnovare il consenso; 3°) la retrodatazione ipso facto al passato senza dover percorrere tutte le tappe all’indietro. Quindi, rimosso l’ostacolo, il consenso o il contratto diventa efficace e non deve essere rinnovato. Cfr. A. Gennaro, Sanazione in radice, in Perfice munus, 1932, p. 349 ss.; P. Palazzini, De sanatione in radice, Roma, 1954; F. Crarnelutti, Teoria generale del diritto, Roma, 1940; R. Danieli, in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1950, vol. IV, coll. 480-481, voce Convalidazione; F. Roberti – P. Palazzini, Dizionario di Teologia Morale, Roma, Studium, IV ed., 1968, vol. I, p. 425, voce Convalidazione.

[20] I Dottori della Chiesa ne hanno discusso come pura possibilità teorica ipotetica (“ammesso e non concesso che il Papa possa cadere in eresia…”). Senza arrivare ad un accordo unanime e mai ad una probabilità e men che mai ad una certezza, ognuno ha espresso la sua ipotesi come possibile al massimo poco probabile o molto improbabile, ma giammai una tesi certa. Riguardo alla possibilità che il Papa cada in eresia vi sono sostanzialmente quattro soluzioni, riassunte da A. X. Da Silveira, che mi permetto di compendiare senza farne un dogma di Fede. La prima ipotesi (san Roberto Bellarmino, De Romano pontifice, libro II, capitolo 30; Francisco Suarez, De fide, disputa X, sezione VI, n.° 11, p. 319; cardinal Louis Billot, De Ecclesia Christi, tomo I, pp. 609-610) sostiene che un Papa non può cadere in eresia dopo la sua elezione, ma analizza anche l’ipotesi puramente teorica (ritenuta solo possibile) di un Papa che può cadere in eresia. Come si vede questa ipotesi non è ritenuta per certa dal Bellarmino né dal Billot, ma solo speculativamente possibile. La seconda ipotesi (che il Bellarmino qualifica come possibile, ma molto improbabile, ivi, p. 418) sostiene che il Papa può cadere in eresia notoria e mantenere il pontificato; essa è sostenuta solo dal canonista francese D. Bouix (†1870, Tractatus de Papa, tomo II, pp. 670-671) su ben 130 autori. La terza ipotesi sostiene, ammesso come possibile e non concesso come certo, che se cada in eresia il Papa perde il pontificato solo dopo che i cardinali o i vescovi abbiano dichiarato la sua eresia (Cajetanus, De auctoritate Papae et concilii, capitolo XX-XXI): il Papa eretico non è deposto ipso facto, ma deve essere deposto (deponendus) da Cristo dopo che i cardinali hanno dichiarato la sua eresia manifesta ed ostinata. Infine la quarta ipotesi sostiene che il Papa, se cade in eresia manifesta, perde ipso facto il pontificato (depositus). Essa è sostenuta dal Bellarmino (ut supra, p. 420) e dal Billot (idem, pp. 608-609) come solo possibile e meno probabile della prima ipotesi, ma più probabile della terza. Come si vede, si tratta solo di ipotesi, di possibilità teoretiche, neppure di probabilità, e mai di certezze teologiche (Cfr. A. X. Da Silveira, La Messe de Paul VI: Qu’en penser?, Chiré-en-Montreuil, DPF,1975, Hypotèse théologique d’un Pape hérétique, pp. 213-281; V. Mondello, La dottrina del Gaetano sul Romano Pontefice, Messina, Arti Grafiche di Sicilia, 1965, cap. V, Il Papa eretico e il Concilio, pp. 163-194).

[21] Cfr. G. Alberigo, Storia dei Concili Ecumenici, Brescia, Queriniana, 1990, p. 224 ss.

[22] Come se il Concilio fosse superiore al Papa.

[23] AS. , vol. III, cap. III, p. 55.

[24] Diaconato, sacerdozio, episcopato, cfr. S. Th., III, qq. 34-40; “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, voce “Ordine” di A. Piolanti; cfr. Conc. Tr. sess. XXIII, can. 6, DB 938-968.

[25] Cfr. S. Th., II-II, q. 39, a. 3; Ernesto Ruffini, La gerarchia della Chiesa negli Atti degli Apostoli e nelle Lettere di S. Paolo, Roma, 1921; L. Billot, De Ecclesia Christi, Roma, 1927; A. Ottaviani, Institutiones Iuris Publici Ecclesiastici, Roma, 1936, 1° vol.; Id., Doveri dello Stato cattolico verso la Religione, Città del Vaticano, Libreria del Pontificio Ateneo Lateranense, 2 marzo 1953, M. Rampolla Del Tindaro, La città sul monte, Roma, 1938; Pio XII, Ad Apostolorum principis del 29 giugno 1958, appena due anni prima della preparazione del Concilio e quattro prima del suo inizio.

[26] F. König, Der Pendelschlag von Konstanz, in Die Furche, 30 luglio 1964. Qualche mese prima in una conferenza fatta sempre a Costanza aveva paragonato il rinnovamento conciliare al movimento del mare in cui l’onda presenta un flusso e un riflusso, così all’attuale fase conciliare della storia della Chiesa sarebbe succeduta un’altra fase, la quale - attenzione - non annullerà la prima ma la consoliderà, cfr. J. Grootaers, I protagonisti del Vaticano II, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1994, p. 155, nota 27.

[27] V. Mondello, cit., p. 65.

[28] Cajetanus, De comparatione Papae et Concilii, ed. Pollet, 1936, cap. XXVII, p. 179, n. 411.

 
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