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L’intervista di Molinari a Erdogan
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Il succo dell’intervista

Il 4 febbraio 2018 Maurizio Molinari (il Direttore del quotidiano La Stampa di Torino) ha intervistato Recep Tayyip Erdogan (premier alla guida della Turchia a partire dal 2003 e suo Presidente dal 2014).

Mi sembra opportuno dedicare qualche breve riflessione a quest’intervista, perché Erdogan dopo il colpo di Stato intentato contro di lui il 15 luglio 2016 e - si dice dagli esperti, favorito, se non organizzato, da Israele e dagli Usa - si è eretto a paladino della Siria di Assad (che prima del golpe, da lui sventato grazie alle informazioni dell’intelligence russa, aveva avversato favorendo l’Isis, che ora combatte), della Palestina, schierandosi a fianco della Russia di Putin (dalla quale recentemente ha acquistato le batterie anti-aeree S-400) e dell’Iran…

Ora è proprio l’Iran il primo problema della politica attuale di Erdogan. Infatti la Turchia, che è musulmana sunnita, cerca di fare pro Palestina/Siria/Libano ciò che da vario tempo sta facendo l’Iran musulmano sciita. Ci si domanda, da parte dei politologi, se Erdogan lo faccia per eliminare e rimpiazzare l’Iran o per lavorare in sinergia con lui, unendo le forze sunnite e sciite a favore di quella parte del Medio Oriente che viene martoriata dal 1948 (Palestina), dal 1975-1982 (Libano) e dal 2010 (Siria) sino ad oggi.

Il secondo problema è il grande nemico di Erdogan: l’Arabia saudita, musulmana sunnita, ma totalmente schierata a favore dello Stato d’Israele  e degli Usa e che ha favorito l’Isis sin dal suo nascere nella sua lotta in Medio Oriente contro la Siria, il Libano e l’Iran.

Si verrebbero, quindi, a formare due campi bellici fortemente esplosivi contrapposti, vicini ad una polveriera qual è la Siria/Palestina/Libano e composti da una parte dall’Arabia saudita (appoggiata da Usa e Israele) e dall’altra parte dall’Iran che appoggia assieme alla Turchia, con il potente aiuto della Russia, la Palestina, il Libano e la Siria.

Le ultime prese di posizione del Presidente statunitense Donald Trump a favore di Gerusalemme totalmente unificata e unicamente in mano allo Stato d’Israele a discapito della Palestina e delle confessioni cristiane e musulmane hanno acceso ancor di più una miccia mai sopita totalmente come è la questione palestinese, la quale infiamma il Medio Oriente e il mondo intero dati gli appoggi russi concessi alla Palestina e statunitensi a Israele.

L’intervista del 4 febbraio è coincisa con la visita che il 5 Erdogan ha reso in Vaticano a papa Bergoglio proprio per unire e compattare sempre di più il fronte, che nella sede dell’Onu (21 dicembre 2017) si è schierato nella massima parte a favore della Palestina e della internazionalizzazione di Gerusalemme contro la mossa a sorpresa di Trump seguìto solo da Israele e da altri cinque piccoli Paesi dipendenti economicamente dagli Stati Uniti d’America.

Vediamo cosa ha detto Erdogan a Molinari.

Il Presidente turco sostiene che lo status internazionale di Gerusalemme va preservato, inoltre “Gerusalemme non è una questione solo dei musulmani”, perciò “la dichiarazione unilaterale di Trump è contraria alla legge internazionale. Infatti nessuna nazione ha il diritto di adottare passi unilaterali e ignorare la legge internazionale su una questione che interessa miliardi di persone. […]. Lo status della città deve essere preservato, sulla base delle risoluzioni Onu, assicurando a musulmani, cristiani ed ebrei di vivere in pace, fianco a fianco. […], mantenere lo status, assicurare i luoghi santi di tutte e tre le religioni e riconoscere i diritti del popolo palestinese è di assoluta importanza”.

Certamente per l’Europa la Turchia, anche se ha ragione quanto alla questione palestinese, rappresenta una vera e propria minaccia. Infatti Erdogan è un musulmano integralista, il quale, pur non arrivando agli eccessi dell’Isis, sostiene che “Essere religioso, la fede, per me è tutto. […]. Sogno che la Turchia sia tra i primi dieci Paesi più sviluppati del mondo. Siamo al quinto posto in Europa e al sedicesimo nel mondo, l’obiettivo è entrare tra i primi dieci”. Inoltre la Turchia conta 80 milioni di abitanti quasi tutti musulmani, ha un esercito ben fornito e agguerrito. Se entrasse nell’Europa odierna, debole e senza radici, già invasa da milioni di musulmani non solo la inquinerebbe, ma la fagociterebbe molto facilmente.

La questione di Gerusalemme

L’Impero ottomano o turco nel 1070 conquistò la Palestina (che iniziò a chiamarsi così, o meglio “Syria-Palestina” dal 135 d. C) o Terra Santa, la quale dopo la distruzione di Gerusalemme (70 d. C.) e della Giudea (135), con la conseguente dispersione degli ebrei in tutto il mondo allora conosciuto, divenne quasi interamente abitata da cristiani. Occorre dire che se gli Arabi in genere furono abbastanza tolleranti nei confronti dei cristiani i Turchi si mostrarono prepotenti e persecutori.

L’Europa rispose alle prepotenze turche con la Prima Crociata (1099). Goffredo di Buglione il 15 giugno 1099 entrò in Gerusalemme, ma nel 1187 la Terra Santa ricadde nelle mani degli islamici e vi rimase ininterrottamente sino al 1948. L’Impero ottomano (alleato dell’Austria-Ungheria), perdendo la Prima Guerra Mondiale, nel 1917 perse anche la Palestina, che con un “mandato”  fu assegnata dalle Nazioni unite alla Gran Bretagna.

Il 2 novembre 1917 lord Balfour nella sua tristissima “Dichiarazione”, inserita nel “Trattato di pace” con la Turchia sconfitta, parlava di “Focolare ebraico” in Palestina.

Negli anni Venti-Trenta iniziarono le grandi immigrazioni di alcune decina di migliaia di ebrei in Palestina e i loro insediamenti “a macchia di leopardo” in terra palestinese scatenarono una prima reazione araba.

Il 15 maggio 1948 nacque lo Stato d’Israele. Nel 1949 la Palestina perse il suo nome per far posto allo Stato d’Israele e la sua unità politica, essendo stata divisa in due: la Cisgiordania sotto la Giordania e la striscia di Gaza sotto l’Egitto.

Occorre specificare che Gerusalemme, data la sua storia e la presenza in essa di cristiani (I secolo), musulmani (VII secolo) e ebrei (solo a partire dagli anni Venti/Trenta del XX secolo e soprattutto dal 1948, avendola lasciata in massa, tranne qualche eccezione che confermala regola, nel 135) con i suoi monumenti archeologici e i luoghi di culto era considerata dall’Inghilterra, che aveva ricevuto un “mandato” su di essa dall’Onu il 29 novembre del 1947 un “Corpo Separato” amministrato dalle Nazioni Unite e non da Israele, né dagli islamici (la famosa “Risoluzione Onu 181”). Infatti Gerusalemme è la Città Santa dell’Antica Alleanza, ove è vissuto e morto Cristo, divenendo Città deicida (rimpiazzata da Roma come Città Santa della Nuova ed Eterna Alleanza) e dalla quale per i musulmani Maometto sarebbe volato in cielo. Tuttavia Ben Gurion, che aveva promesso di accettare la “Risoluzione 181” del 1947, il 15 maggio 1948 invase Gerusalemme ovest e se ne impossessò senza l’approvazione dell’Onu.

Pio XII nel 1948/49 scrisse tre Encicliche sulla situazione della Terra Santa in cui insisté sulla “internazionalizzazione” di Gerusalemme contro il pericolo di un’occupazione di essa da parte d’Israele (che avvenne nel 1948 per Gerusalemme ovest e per Gerusalemme est nel 1967). Il Governo israeliano si trasferì da Tel Aviv a Gerusalemme nel 1950, considerando unilateralmente Gerusalemme capitale indivisibile di Israele e solo d’Israele. La politica vaticana riguardo alla Terra Santa (nonostante la svolta teologica di Nostra aetate) non è cambiata, rimanendo contraria all’annessione di Gerusalemme al solo Stato ebraico ed ancor oggi, nonostante il Concordato stipulato da Giovanni Paolo II con Israele nel 1994, la S. Sede parteggia per l’internazionalizzazione di Gerusalemme, che non è, non può e non deve essere solo israeliana. Si capisce, quindi, la gravità della mossa di Trump.

Nel 1967, con la “Guerra dei 6 giorni”, Israele invase de facto anche Gerusalemme est; i Palestinesi mantennero solo il 23% della vecchia Palestina e il restante 78% fu occupato dallo Stato d’Israele. Tuttavia de jure Gerusalemme resta una città internazionale: non è  la capitale dello Stato d’Israele, le ambasciate straniere si trovano a Tel Aviv (capitale d’Israele) e non a Gerusalemme. Inoltre nel 1931 la Moschea di Al-Aqsa (che sorge sulle rovine del Tempio) fu concessa dalla Gran Bretagna ad un Ente musulmano (Al-Waqf) assieme al Muro del pianto (che non è un resto del Tempio di Gerusalemme, ma una maceria di un recinto limitrofo al Tempio interamente distrutto), ove gli ebrei possono pregare (al suo fianco e non sopra di esso) solo col permesso di tale Ente.

Si capisce, quindi, come la “passeggiata” di Sharon il 28 settembre del 2000 sul piazzale della moschea di Al-Aqsa (sopra il “muro del pianto”) abbia scatenato la Seconda Intifada e come la decisione di Trump di riconoscere Gerusalemme capitale dello Stato d’Israele e di installarvi l’ambasciata statunitense sconvolga gli equilibri già precari creatisi nel 1948/1967.

Conclusione

La teologia e la politica cristiana verso Israele coincidono. Infatti teologicamente la Chiesa di Cristo è il “Vero Israele”, la sola erede legittima dell’Antica Alleanza, alla quale l’Ebraismo talmudico non è stato fedele, anzi l’ha rotta rifiutando il Messia e mettendolo in croce.

Come disse San Pio X a Teodoro Herzl (il fondatore del Sionismo), che gli chiedeva di pronunciarsi a favore di un futuro Stato d’Israele: “Sino a che gli Ebrei negheranno la divinità di Cristo il Vaticano non potrà pronunciarsi a favore di un futuro Stato ebraico”.

La questione teologico/politica è riconducibile a quella teologica di sempre: Gesù è il Messia? Da questa domanda e dalla risposta che le si dà dipende il corso della storia, che in questi tempi sta imboccando una via apocalitticamente anticristica.

La primitiva grandezza del popolo ebraico fu quella, poi persa, di essere stato eletto da Dio per darci il Messia e farcelo conoscere, ma a questa grandezza si aggiunse, con l’Incarnazione del Verbo e il suo rifiuto da parte d’Israele nella sua quasi totalità, una estrema miseria: poiché Israele, influenzato dall’Apocalittica e dal Messianismo[1], iniziò (circa 170 anni a. C.) a ritenere che il Messia sarebbe stato grande perché ebreo e addirittura a mettere Israele al posto del Messia. Per il fariseismo (di ieri e di oggi) sono il sangue e la razza che salvano, non la fede. Il Messia o il popolo d’Israele capitanato da un Messia militante avrebbe conquistato tutto il mondo e sottomesso i goyim.

Invece S. Paolo nell’Epistola ai Romani rivela che il “vero Israele” - fedele a Dio, al Patto stretto con Lui e al Messia - è come “la radice e il tronco [i Patriarchi e gli Apostoli, ndr] di un olivo fruttifero [la Nuova Alleanza o Chiesa di Cristo, ndr]”, ma soltanto pochi (“una reliquia”) in Israele avrebbero mantenuto tale fedeltà a Dio, per cui da “olivo fruttifero” Israele sarebbe diventato, a causa della sua infedeltà, un “olivastro selvatico e infruttuoso”, ossia un “ramo secco tagliato dalla radice”. I Gentili convertiti a Cristo sarebbero diventati il “ramo una volta selvatico, ma poi innestato sulla radice e il tronco dell’olivo fruttifero” al posto del “ramo reciso” (Israele deicida). Tuttavia prima della fine del mondo “tutto Israele si convertirà” (Rom., XI, 26).

È in questa prospettiva teologica che occorre vedere e risolvere il problema ebraico. L’Apostolo delle Genti ci rivela ancora che “I Giudei hanno ucciso il Signore Gesù, i Profeti, ci perseguitano, non piacciono a Dio e sono nemici di tutti gli altri uomini, non volendo che predichiamo loro il Vangelo” (1 Tess., II, 15).

Per cui non si tratta di una questione biologica e non bisogna odiare la razza o il popolo ebraico, ma pregare per la sua conversione, facendo tuttavia attenzione a preservarci dal suo contagio dottrinale e morale, che avversa il Cristianesimo e la divina Rivelazione.

Il neo-paganesimo è una falsa reazione e soluzione del problema ebraico. Per esempio Voltaire (il campione dell’Illuminismo e il padre della Rivoluzione francese) nel XVIII secolo ha odiato Israele e il Cristianesimo, non ha distinto tra Antico Testamento, Nuovo Testamento e Giudaismo talmudico, ritenendo il Cristianesimo un’appendice di quest’ultimo, oltraggiando anche Cristo, che è l’unico vero antidoto al veleno talmudico. Se scendiamo dalla nostra radice spirituale cristiana e ci immergiamo nel temporale, nel biologico, nel culto della nostra razza, allora diventiamo gli schiavi del Giudaismo talmudico, che detiene il primato in questo campo malvagio.

L’unico rimedio ai mali che ci affliggono oggi (si veda la guerra che incendia il Medio Oriente da oltre 50 anni e che rischia di infiammare il mondo intero) è la nostra sincera conversione a Cristo.

d. Curzio Nitoglia



[1] Monsignor Francesco Spadafora definisce l’Apocalittica e il Messianismo: «odio atroce conto i Gentili, morbosa attesa della rivoluzione e della liberazione futura di Israele. All’Apocalittica si deve la formazione del più acceso nazionalismo  ebraico, che sfocerà nella ribellione all’Impero romano. Tramite essa si spiega la fiducia cieca dei Giudei per straordinarie rivincite nazionali vaticinate dai ‘falsi profeti’» (F. Spadafora, Dizionario Biblico, III ed., 1963, Roma, Studium, voce “Apocalittica”, p. 42).

 
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