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Maccabei 1
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La reazione “integrista” dei Maccabei al “modernismo” ellenizante di Antioco Epifane

Da Alessandro Magno (356 a. c.) alla costruzione della statua di Giove Olimpico nel Tempio di Gerusalemme (167 a. c.)

Alessandro Magno

Alessandro Magno (356 – 323 a. C.) sconfisse la Persia di Dario III nel 333 ad Isso, passò poi in Egitto (ove fondò la città di Alessandria), avanzò verso la Mesopotamia e batté di nuovo Dario III ad Arbela nel 331; quindi fu nominato re dell’Asia, inoltre conquistò tutta la Persia ed infine si spinse sino all’India (anno 326), fondando un immenso Impero euro/asiatico.

Alessandro era animato dall’idea ellenistica di fondere l’elemento greco e quello orientale in un Impero universale. Tuttavia, diversamente da quanto farà Antioco IV detto Epifane (da Epifania, ossia “Manifestazione di Dio” poiché Antioco IV si riteneva una “divinità”) nel 175 a. C., Alessandro Magno mostrò verso Israele una tolleranza religiosa benevola senza fargli subire danni e senza disturbarlo. Lasciò, infatti, come capo della comunità giudaica di Palestina il vecchio Sommo Sacerdote del Tempio di Gerusalemme, eletto dal Sinedrio, senza deporlo e nominarne lui stesso uno nuovo (cfr. Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, XI, 8, 7); pratica, questa, che fu inaugurata da Antioco contro la legge giudaica, la quale voleva che il Sommo Sacerdote fosse un discendente di Aronne scelto dal Sinedrio. A partire dall’Epifane i re Siri attribuirono, simoniacamente, la dignità del Sommo Sacerdozio al maggior offerente. Anche i Romani a partire dalla loro conquista della Palestina (64 a. C.) nominarono e deposero a loro arbitrio i Sommi Sacerdoti, utilizzando per lo più famiglie influenti, come quella di Anna (Lc., II, 3), cui successero cinque figli e il genero Caifa dal 18 al 36 d. C. (cfr. Antonino Romeo, Enciclopedia del Sacerdozio, Firenze, 1953, pp. 484-497, voce “Il Sommo Sacerdozio”).

L’Ellenismo

Con Alessandro Magno nacque l’Ellenismo quale infiltrazione della cultura greca in Oriente e, nel caso nostro, in Palestina: la Terra Santa dell’Antica Alleanza. “Alessandro fu un’impetuosa ondata di civiltà ‘occidentale’, che superò le secolari dighe e penetrò nel bel mezzo di una civiltà affatto diversa: quella orientale. […]. Chi arrestò e poi in parte spense e in parte si assimilò l’Ellenismo, fu Roma, allorché fu insediata da padrona nel Mediterraneo, in Asia e in Egitto. Ciò, ad ogni modo, soltanto nel I secolo avanti Cristo” (G. Ricciotti, Storia d’Israele, Torino, SEI, 1933, 2° vol., p. 48 e 51).

Con Alessandro Magno la civiltà greca si espanse in tutto l’Oriente, acquistando un carattere universale. Sul ceppo fondamentale della civiltà greca si inserirono elementi orientali e si venne formando una mentalità aperta e cosmopolita - respingendo ogni distinzione di Nazioni e razze e considerando tutti gli uomini come cittadini di una sola Patria - in cui confluirono tradizioni orientali/asiatiche e greche dal III secolo al I a. C.

Atene, in questo periodo ellenistico, perse il suo antico predominio culturale greco, che passò alle grandi città dei Regni ellenistici orientali: soprattutto Alessandria d’Egitto, Antiochia di Siria e Pergamo in Asia Minore; mentre - da un punto di vista commerciale - il cuore del mondo economico passò dalla Grecia (ove mantenne una certa importanza la città di Corinto) alle suddette Monarchie ellenistiche orientali con l’aggiunta di Efeso e di Rodi, sino al 64 a. C. (conquista romana, con Pompeo, della Siria e Palestina) e al 31 a. C. (conquista romana, con Ottaviano-Augusto, dell’Egitto) quando il centro della nuova civiltà si spostò verso l’Europa ed esattamente a Roma, chiamata, anche se impropriamente, “occidente” per rapporto all’Estremo, Medio e Vicino Oriente (India, Asia, Persia, Mesopotamia, Siria, Palestina, Egitto).

Don Angelo Penna scrive: “L’Ellenismo designa, con particolare riguardo alla cultura, il periodo storico, che va dalle imprese di Alessandro Magno sino all’espandersi dell’influsso di Roma; in pratica dal 323 a. C. alla battaglia di Azio nel 31 avanti Cristo. La conquista dell’Egitto, dell’Asia Minore, della Persia, della Siria e dell’India da parte di Alessandro portò a contatto diretto la civiltà ellenica con quelle orientali. […]. L’influsso è sensibile dell’Ellenismo in Oriente e viceversa è sensibile nella cultura, nella lingua e, forse più ancora, nella religione. Si determina un sincretismo fra gli elementi più disparati. […]. Anche gli Ebrei dovettero affrontare la nuova situazione. Alcuni aderirono con entusiasmo all’ideale ellenistico, ma in genere il popolo rimase ad esso refrattario. […]. Quando Antioco IV Epifane si propose di ellenizzare - importando il Politeismo con l’aiuto di alcuni Sommi Sacerdoti, che avevano comprato tale dignità - Gerusalemme e tutta la Palestina, si ebbe la violenta reazione maccabaica ‘integralmente’ monoteistica e veterotestamentaria, che fece fallire il tentativo. Nel periodo successivo, durante la dinastia Asmonea[1] ed Erodiana[2], si effettuò una penetrazione meno appariscente, ma abbastanza profonda. L’assimilazione era vista di buon occhio dal partito sacerdotale e aristocratico dei Sadducei (nella storia sacra si parla per la prima volta di Sadducei al tempo di Giovanni Ircano, vissuto nel 135 - 104 a. C., col 70 d. C., scomparso il partito dei Sadducei, assieme al Tempio e al Sacerdozio veterotestamentario, il Giudaismo rabbinico/talmudico fu diretto solo dal Fariseismo mediante la Torà o Tradizione orale. Tuttavia gli insegnamenti dei Sadducei riemersero con i Caraiti, che non accettavano la Tradizione orale, come i Sadducei, e che nell’VIII secolo d. C. ruppero col Giudaismo rabbinico/talmudico, oramai diretto dal Fariseismo a partire dal dopo-70, che si fondava e si fonda sulla Tradizione o Torà orale (Talmùd e Cabala[3]) messa per iscritto a partire dal II secolo d. C.; cfr. G. Flavio, Antichità Giudaiche, XII, 265; XIII, 288 ss.; XIII, 297; XIII, 372 ss.; XIII, 403 ss.; XVIII, 11 ss.), ma osteggiata dai Farisei (nati formalmente sotto il regno dei primi Asmonei, con Giovanni Ircano, 153 - 104 a. C.; cfr. J. Maier – P. Schafer, Piccola Enciclopedia dell’Ebraismo, Casale Monferrato, Marietti, 1985, pp. 224-225 e 535, voci “Farisei” e “Sadducei”; A. Unterman, Dizionario di usi e leggende ebraiche, Bari, Laterza, 1994, pp. 108-109 e 250-251, voci “Farisei” e “Sadducei”: G. Wigoder, Dictionnaire Encylopédique du Judaisme, Parigi, Cerf/Laffont, 1996, pp. 595-598, voce “Loi orale”; G. Flavio, Antichità Giudaiche, XIII, 297; XVIII, 16; XIII, 171 ss.; Id., Guerra Giudaica, II, 163 ss.), i quali avevano con loro il favore popolare. […]. In conclusione si può affermare che nella Diaspora, e tanto più in Palestina, l’Ellenismo sfiorò solo alcuni spiriti ‘aperti’, ma non penetrò mai a fondo tra gli elementi strettamente giudaici. In modo particolare non vi fu nessun sincretismo religioso. […]. Con l’avvento del Cristianesimo, poi, non si ebbe nessun sincretismo con l’Ellenismo, ma per i convertiti si trattò solo di accettare integra la Fede cristiana. S. Paolo propone a tutti la ‘stoltezza della Croce, scandalo per i Giudei e follia per i Pagani’ (Rom., I, 18). Quindi si tratta sempre di conversione, non di fusione sincretistica di correnti dottrinali diverse e tanto meno di un Cristianesimo addomesticato e annacquato [come lo avrebbe voluto lo Gnosticismo, ndr.]. […]. Egli propone il Cristianesimo come un blocco di verità da credere perché divinamente rivelate” (Francesco Spadafora diretto da, Dizionario biblico, Roma, Studium, III ed., 1963, pp. 206-208, voce “Ellenismo” a cura di A. Penna; sul Sacerdozio del Vecchio Testamento cfr. A. Romeo, Enciclopedia del Sacerdozio, Firenze, 1953, pp. 393-498, voce “Sacerdozio di Israele” ; per l’influsso dell’Ellenismo sulla religione dell’A. T. e del N. T., cfr. l’ottimo lavoro di L. Allevi, Ellenismo e Cristianesimo, Milano, 1934).

Ellenismo e Gnosticismo

Simile alla tendenza ellenizzante è l’errore dello Gnosticismo classico, che è “un sistema assai complesso di dottrine e di pratiche religiose a carattere filosofico, teurgico [= magico, in cui si pretende di contattare, mediante evocazioni, la divinità o le forze demoniache e di compire miracoli, ndr] e mistagogico [= di iniziazione ai misteri dell’antica Grecia, ndr], che s’inizia nel periodo alessandrino [con la scuola di Alessandria d’Egitto (III – V secolo d. C.), ispirata al Neoplatonismo, aperta al misticismo e al simbolismo, essa inizia con S. Clemente d’Alessandria († 211), prosegue con Origene di Alessandria († 255), S. Atanasio di Alessandria († 373) e S. Cirillo d’Alessandria († 444), ndr] in ambienti giudeo-pagani. Il principio fondamentale della Gnosi è questo: nella religione c’è una Fede comune o volgare, che può bastare al volgo, ma c’è anche un’alta scienza esoterica riservata ai dotti e agli iniziati (la Gnosi), che offre loro la capacità di auto-divinizzarsi e una spiegazione filosofica della Fede comune. La Gnosi, la prima eresia cristiana, può definirsi un filosofismo teosofico [= movimento esoterico che, in un sistema sincretistico di elementi cristiani/orientali e filosofici, ritiene possibile un contatto diretto con la divinità, ndr], il quale tende ad assorbire la Rivelazione divina per farne una filosofia religiosa esoterica [come il Modernismo, definito da Pio X ‘il collettore di tutte le eresie’ e ‘la Grande Eresia’ da Marcel de Corte, ndr]. Lo Gnosticismo ritiene che la salvezza o la Redenzione si ottenga esclusivamente mediante la pura conoscenza (Gnosis) esoterica o occulta e segreta dei misteri, che viene concessa solo agli iniziati o “spiriti eletti”. Esso è metafisicamente dualista: vi è un Dio buono, creatore dello spirito e un “Dio” malvagio, creatore della materia, che è intrinsecamente cattiva; quindi l’anima è assolutamente contrapposta al corpo, che è la prigione dell’anima. Esso si sviluppò in Siria con Simon Mago [= Simone il Samaritano può essere considerato il fondatore della Gnosi e il padre di tutte le eresie. Egli visse nei primi anni del Cristianesimo e chiese a S. Pietro di vendergli lo Spirito Santo (peccato di Simonia) per operare prodigi e magie; respinto dagli Apostoli rivendicò a sé il ruolo di Cristo, di lui parlano gli Atti degli Apostoli, VIII, 12-24. Tutte le notizie sui primi gnostici le troviamo soprattutto in S. Ireneo di Lione, Adversus haereses, per Simon Mago (cfr. Adv. haer., I, 23, 1), ndr] e in Alessandria d’Egitto con Basilide [originario della Siria, si trasferì ad Alessandria ed ebbe dei seguaci anche a Roma. Per lui, che si rifà all’Apocalittica giudaica o al pre/Gnosticismo (175 a. C. – 135 d. C.) Dio è il Signore dei Giudei ed ha voluto sottomettere a loro tutti gli altri popoli. Egli per primo dette allo Gnosticismo un’articolazione razionale di stampo neoplatonico e docetistico profondamente pessimista (in séguito alla devastazione di Gerusalemme, del suo Tempio e della intera Giudea), ed è vissuto nella prima metà del II secolo d. C.; Erik Peterson (Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1951, vol. VI, col. 881, voce “Gnosi”) è uno dei principali autori che fanno risalire la visione pessimista dello Gnosticismo alla distruzione di Gerusalemme e del suo Tempio nel 70; cfr. S. Ireneo di Lione, Adversus haereses, (I, 24, 4-5), ndr], Valentino [fu il maggiore ingegno dello Gnosticismo eretto a sistema. Nato ad Alessandria d’Egitto, vissuto tra il 130 – 160 d. C., fu il continuatore della Gnosi alessandrina di Basilide, rendendola più strutturata, complessa e ultimata. Venne a Roma verso il 140, si fece cristiano ma presto abbandonò la Chiesa e fondò una sua setta, che univa le dottrine del tardo Paganesimo con quelle ereticali cristiane. Morì a Roma poco dopo il 160. Egli parla di un Dio androgino: maschio e femmina (Abisso/Nozione). Da esso emana una serie interminabili di coppie o diadi, che sono Eoni formanti tutti assieme il Pleroma o la pienezza dell’Essere. Gesù ha portato sulla terra la vera Gnosi e l’elemento ‘pneumatico’ o spirituale che permette all’uomo ‘psichico’ o razionale, in cui l’anima è prigioniera del corpo legando lo spirito alla materia (uomo ‘ilico’), di liberarsi della materia e di tornare alla Luce; cfr. S. Ireneo di Lione, Adversus haereses, (I, 27, 4), ndr] e i rispettivi discepoli. Nonostante le varie differenze accidentali si può ridurre, sostanzialmente, la Gnosi presso a poco a questo schema: 1°) Dio è l’Ente totalmente inaccessibile, che non può avere nessun contatto fuori di Sé (trascendenza assoluta platonica/deismo illuminista). Opposta a Dio ed eterna come Lui c’è la materia, di natura malvagia (Manicheismo, Mazdeismo iranico/Catarismo/Luteranesimo); 2°) tra Dio e la materia c’è il Pleroma [= la perfezione e la pienezza del mondo intelligibile con tutte le sue emanazioni di Eoni, contrapposta alla miseria e limitatezza del mondo sensibile, ndr], il mondo intermedio soprasensibile (l’iperuranio platonico) abitato da Enti o Eoni (semidei), emanati da Dio e l’uno dall’altro; 3°) uno degli Eoni, il Demiurgo (il Dio del Vecchio Testamento, un “Dio” malvagio e ignorante) elaborò la materia intrinsecamente malvagia, che corrisponde al mondo attuale (Marcionismo); 4°) una scintilla del mondo superiore cadde un giorno nella materia malvagia e vi rimase imprigionata a soffrire (l’anima è prigioniera del corpo; Platone ripreso da Cartesio); 5°) un altro Eone buono (Cristo) discese nel mondo, prese un corpo solamente apparente (Docetismo) e morì per liberare lo spirito dalla materia (Salvezza = Liberazione dalla materia); 6°) accanto a queste teorie una morale rigorista, che spesso tende al rilassamento estremo e un culto idolatrico, superstizioso o magico (sul libertinismo gnostico cfr. H. Jonas, Lo Gnosticismo, Torino, SEI, 1991, pp. 204-238; H. Ch. Pétrement, Le dualisme chez Platon, Parigi, 1947, p. 268 ss.). Lo Gnosticismo fu uno dei pericoli più gravi per il Cristianesimo nascente [come l’Ellenismo fu uno dei pericoli più gravi per il Monoteismo dell’Antico Testamento e il Modernismo per il Cattolicesimo attuale a partire dal Novecento, ndr]; l’altro pericolo fu il Giudaismo postbiblico, tanto che Tertulliano era solito dire: “Sinagogae Judaeorum, fontes persecutionum”. S. Ireneo di Lione espone e confuta le dottrine dello Gnosticismo nei 5 libri dell’opera Adversus haereses” (P. Parente, Dizionario di Teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, pp. 184-185, voce “Gnosticismo”, V ed., Proceno di Viterbo, Effedieffe, 2018; cfr. l’ottimo saggio di Eric Peterson, Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1951, vol. VI, coll. 876 ss., voce “Gnosi”; B. Mondin, Storia della Teologia, Bologna, ESD, 1996, I vol., pp. 104-137, “Eresie gnostiche” e “Ireneo da Lione”; G. C. Benelli, La Gnosi. Il volto oscuro della storia, Milano, Mondadori, 1991; Ch. H. Puech, Sulle tracce della Gnosi, Milano, Adelphi, 1985; L. Benoist, L’ésotérisme, Parigi, PUF, V ed., 1950; H. Cornelis – A. Leonard, La Gnose éternelle, Parigi, Fayard, 1959; C. Nitoglia, L’Esoterismo, Verrua Savoia di Torino, 2002; L. Troisi, Dizionario dell’Esoterismo, Firenze, Nardini, 1994).

Per essere ancora più precisi si può distinguere la Gnosi dallo Gnosticismo. Infatti la Gnosi è una dottrina, mentre lo Gnosticismo è un insieme di sette esoteriche, che si basano sulla dottrina della Gnosi. La Gnosi, sostanzialmente, è panteistica e pretende che l’uomo, essendo una emanazione di Dio, sia divino nella sua natura e debba tornare alla Divinità, tramite dottrine o conoscenze salvifiche e tecniche o pratiche esoteriche/gnostiche auto-divinizzanti.

L’Anti-Gnosticismo

Il “Martello dello Gnosticismo” è senza dubbio S. Ireneo Vescovo di Lione (seguìto da molti altri Padri della Chiesa, di cui parleremo). Egli nacque a Smirne in Asia Minore (l’attuale Turchia) nel 135/140 circa. Si formò alla scuola di S. Policarpo (discepolo dell’Evangelista S. Giovanni, condannato al rogo nel 156 a 86 anni, scrisse un’Epistola ai Cristiani di Smirne). Non si sa quando lasciò Smirne per recarsi in Francia a Lione, ove venne ordinato prete e poi Vescovo. Egli si oppose allo Gnosticismo specialmente a quello di Valentino, divenendone il primo e principale avversario, lasciandoci i 5 Libri dell’Adversus haereses. De detectione et eversione falso cognominante agnitionis / Contro le Eresie. (Smascheramento e confutazione della falsa sedicente Gnosi), in cui spiega la dottrina dei principali autori gnostici e la confuta, esponendo poi la dottrina cattolica su Dio Padre e Cristo Redentore. Secondo lui lo Gnosticismo è falso e contraddittorio perché mai l’uomo, che ha un’intelligenza finita e limitata, potrà raggiungere la perfetta conoscenza (Gnosis) di Dio, che è infinito e illimitato (Adv. haer., II, 28, 3). Inoltre la pura ed esclusiva conoscenza o Gnosi senza la Carità, ossia le buone opere è vana (IV, 12, 2). Solo la Carità dà la perfezione alla conoscenza, alla Fede e ad ogni altra virtù. Inoltre la Gnosi deve accompagnarsi ed essere sottomessa alla Fede (Pistis) vivificata dalla Carità, che, praticamente, consiste nell’osservare i 10 Comandamenti di Dio (IV, 20, 1). Infine l’interpretazione esoterica della S. Scrittura è illusoria poiché l’unica regola per capirne il significato è la Tradizione apostolica, che è una dottrina pubblica predicata e tramandata per tutti i fedeli (I, 10, 2). Con questa dottrina egli confuta le interpretazioni soggettive e private della Scrittura del Protestantesimo e delle sette pentecostali e pneumatiche, che già allora infestavano il Cristianesimo apostolico, pretendendo che lo Spirito Santo avesse parlato a loro come aveva parlato agli Apostoli. Come si vede il Luteranesimo e il Pentecostalismo odierno non hanno inventato nulla di nuovo. La Tradizione si trova nella Predicazione vivente e orale degli Apostoli e dei Padri della Chiesa e in alcuni documenti messi per iscritto, in cui è racchiusa la Predicazione o Tradizione orale apostolica. Cade, così, la distinzione gnostica tra Tradizione scritta, pubblica o volgare (la Bibbia, per tutti gli uomini) e Tradizione orale elitaria (esoterica e segreta, per i soli iniziati). Dunque anche Guénon e Schuon non hanno inventato nulla di nuovo, ma hanno ripreso, recentemente, errori vecchi come il diavolo. S. Ireneo insegna chiaramente che la Tradizione è una sola: quella predicata pubblicamente dalla Chiesa a partire dagli Apostoli, che è anche “viva e vivente” perché continuata, interpretata e spiegata dal Magistero pontificio sino alla fine del mondo (cfr. V. Dellagiacoma, Ireneo. Contro le eresie, 2 voll., Siena, II ed., 1968; Id., Ireneo, La dottrina apostolica, Siena, III ed., 1982).

Origine dello Gnosticismo

Fino alla metà dell’Ottocento si conoscevano le dottrine dello Gnosticismo solo grazie alle opere contro gli gnostici di alcuni Padri ecclesiastici (Giustino, Prima Apologia, del 155 c.ca; Ireneo, Adversus haereses, fine III sec.; Ippolito, Philosophumena, del 220-230 c.ca; Clemente Alessandrino, Stromata, del 215 c.ca; Origene, Contra Celsum, del 248; Tertulliano, De praescriptione haereticorum, del 200 c.ca; Adversus Marcionem, del 207; Adversus Valentinianos, del 206; Epifanio, Panarion, del 374).

Verso la fine del Settecento, in Grecia, il dr. A. Askew, acquistò un Codice in lingua copta (un adattamento posteriore al VII secolo della lingua egiziana antica), detto Codex Askevianus dal suo nome, contenente l’opera gnostica Pistis Sophia, che fu pubblicata nel 1851 a cura di J. Petermann. Nel 1892, a cura di C. Schmidt, furono editi gli scritti gnostici del Codex Brucianus del V-VI secolo contenente il Mistero del Grande Logos. Nel 1896, C. Schmidt, segnalò all’Accademia di Berlino il Codice di Akmìn del II-III secolo, scritto in lingua copta, noto anche come Papyrus Berolinensis-8502. Queste scoperte fecero avanzare notevolmente, durante l’intero Ottocento, la conoscenza delle dottrine gnostiche a partire dalle opere degli gnostici stessi, che sostanzialmente concordavano con quanto riferitoci dai Padri della Chiesa.

Finalmente tra il 1945/1946, in Egitto, presso l’antico monastero di S. Pacomio di Khenoboskion, presso l’odierno villaggio di Nag-Hammadi, fu rinvenuta un’anfora contenete 13 Codici del V secolo, in papiro, contenenti 53 Trattati gnostici, che sono in corso di pubblicazione quasi ultimata. Questa notevole scoperta conferma ed arricchisce quanto si conosceva sullo Gnosticismo, grazie ai Padri ecclesiastici (II-IV secolo) e ai Codici scoperti o rinvenuti nel XVIII-XIX secolo.

Il professor Ugo Bianchi, tra il 13 e il 18 aprile del 1966, diresse a Messina un Congresso sullo Gnosticismo, cui parteciparono numerosi cattedratici, gli interventi dei quali vennero pubblicati l’anno successivo in un ponderoso volume, sotto il titolo Colloquio di Messina. Testi e discussioni pubblicati a cura di U. Bianchi (Leiden, Ed. Brill, 1967), che è una vera miniera per quanto riguarda l’esposizione delle dottrine gnostiche, la loro interpretazione e la ricerca dell’origine dello Gnosticismo.

Alcuni Autori (A. Harnack, R. Haardt, S. Pétrement), rifacendosi ai Codici-papiri di Nag-Hammadi letti alla luce dei Philosophumena di S. Ippolito († 236), allievo di S. Ireneo da Lione, ritengono che essa si trovi nell’Ellenismo. Altri (W. Bossuet, R. Reiteinstein, C. Colpe) la pongono nella religione dualistica persiana zoroastriana[4] e manichea[5]. Altri ancora che, già a partire dal 1966 (1° periodo) e soprattutto negli ultimi anni (2° periodo), rappresentano la sanior pars degli studi sulla retta interpretazione dello Gnosticismo (1° periodo: E. Peterson, R. farina, U. Bianchi, G. Quispel, K. Sturmer, R. Mc L. Wilson, A. Bohlig, R. M. Grant, G. Widengren, G. Jossa: durante il Colloquio di Messina. / 2°periodo: H. Ch. Puech[6], I. P. Couliano[7], H. Jonas[8], E. Gilson[9], M. Simon & A. Benoit[10], M. Idel[11], H. Serouya[12], dopo il Colloquio di Messina del 1966), seguendo i 53 Trattati contenuti nei 13 papiri ritrovati a Nag-Hammadi e interpretati alla luce di S. Ireneo (Adv. haer., I, 14, 2), di Epifanio (315 - 403), Vescovo di Salamina, (Panarion, XIX, 4, 3) e degli altri Padri che citeremo sotto, ritengono di dover cercare l’origine dello Gnosticismo nello spazio geografico in cui il movimento gnostico ebbe il suo centro, ossia nella Siria occidentale ed orientale (o Mesopotamia), nell’Egitto ed inoltre soprattutto nell’ambiente di lingua aramaica (Palestina). Ciò significa che, all’inizio, lo Gnosticismo fu un movimento giudaico il quale poi si infiltrò nel Cristianesimo per distruggerlo. Infatti dopo la distruzione di Gerusalemme e del suo Tempio, nel 70, e della Giudea, nel 135, il Giudaismo talmudico, si differenziò sempre più dal Mosaismo veterotestamentario, poiché in ambiente ebraico si cominciò a dubitare della onnipotenza, bontà e provvidenza di Dio. Quindi si sviluppò la Gnosi come conoscenza salvifica e auto-divinizzante della natura del “Sé” (l’uomo iniziato e Israele popolo eletto) e si ricercò un mezzo per permettere al “Sé” di fuggire e liberarsi da questo mondo materiale e malvagio, che aveva reso i Giudei prigionieri di Roma, e giungere ad un altro mondo spirituale, descritto dalla Letteratura Apocalittica/Messianica giudaica, che si è venuta formando a partire dal 175 a. C. Essa è una sorta di “Pre-Gnosticismo”, che è culminato - nel 70 d. C. con la distruzione di Gerusalemme e nel 135 della intera Giudea - nella negazione della onnipotenza di Jaweh (che aveva permesso la disfatta di Israele) e poi ha preparato lo “Gnosticismo classico” del II-III secolo e lo “Gnosticismo odierno” dopo la shoah (1942-45). Se Gerusalemme, il Tempio e la Giudea erano state distrutte, la S. Scrittura (Torà e Profeti) aveva ingannato Israele. Il “dio” della Torà e del Vecchio Testamento (Jaweh, la SS. Trinità e Gesù Cristo: il Verbo del Padre Incarnatosi) era un “dio” minore, impotente e malvagio. La Gnosi offriva ai Giudei la possibilità di trovare in Sé la salvezza, il “dio” buono, la divinizzazione o “indiamento”, tramite dottrine e pratiche esoterico/cabalistiche e rituali magici. Hans Jonas parla esplicitamente di “una certa connessione tra Gnosi e Càbala” (Lo Gnosticismo, Torino, SEI, p. 54). Il professor H. Serouya ritiene che la Càbala abbia un “valore squisitamente gnostico e risalga ad un’epoca remotissima” (La Cabala, Roma, Mediterranee, 1947, p. 169). Ghersom Scholem, che assieme a Moshe Idel è uno dei massimi conoscitori israeliti della Càbala, parla di “Gnosi ebraica” a proposito della Càbala (La Cabala, Roma, Mediterranee, 1992, p. 29). Inoltre lo Scholem asserisce che dopo la prima tragedia del Giudaismo: la distruzione di Gerusalemme, del suo Tempio (70) e poi della Giudea intera (135), ve ne fu una seconda (1492): l’espulsione degli Ebrei dalla Spagna ed infine una terza (1942-1945): la shoah, ossia la deportazione degli Ebrei askenaziti d’Europa orientale nei Lager da parte del III Reich germanico (la shoah ha dato luogo ad una teologia ebraica del ‘silenzio di Dio’, la quale mette in dubbio la sua esistenza o almeno l’onnipotenza e la provvidenza divine, cfr. H. Jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica, Genova, Il Melangolo, 1991; J. Heschel, The Earth is the Lord’s, New York, 1950; R. I. Rubinstein, After Auschwitz, Indianapolis, 1966; E. Fleischner, Auschwitz, New York, 1977; J. Neusner, Stranger at Home, Chicago-Londra, 1981). Il professor Dodd asserisce che la Gnosi giudaico/cabalistica tentò di infiltrarsi nel Cristianesimo e distruggerlo dall’interno (cfr. C. H. Dodd, The Bible and The Greeks, Cambridge, 1935), cercando di introdurvi una cosmogonia, che faceva parte delle dottrine segrete ebraiche (cfr. Strack - Billerbeck, Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Midrash, I vol., Monaco, 1922, p. 977; II vol., 1924, p. 186 e 307). Lo Gnosticismo classico, dunque, ha origini cabalistiche e pre-gnostiche (175 a. C. – 135 d. C.) anteriori al Cristianesimo e, nel II-III secolo, cercò di infiltrarsi nella Chiesa di Cristo, tramite idee messianistico/apocalittiche millenaristiche o chiliastiche/giudaiche, con il pretesto dell’interpretazione comune (ma abusiva da parte dei rabbini talmudisti) dell’Antico Testamento, al quale il Cristianesimo si rifaceva. Tuttavia la Chiesa riuscì a liberarsi da coloro che “non erano piantagioni del Padre” (S. Ignazio di Antiochia, Ad Trall., IV, 1; Ad Philad., III, 1; cfr. E. Peterson, cit., col. 881). Però rimase ancora nascosto per un po’, nel suo seno, un certo “Semi-Gnosticismo” soprattutto nell’Encratismo o Messalianismo: una setta, a sfondo manicheo, fondata nel II-III secolo da Taziano († 180 c.ca) e continuata da Cassiano († 410) e da Giulio Severo (V secolo), che condannava il mangiare le carni, il bere il vino e il matrimonio, ritenendo la materia intrinsecamente cattiva, ma esso infine fu fulminato nel IV secolo da S. Clemente Alessandrino e da Origene (cfr. I. Blau, Jewish Encyclopedia, V, 686; G. Scholem, Le grandi correnti della Mistica ebraica, Genova, Il Melangolo, 1990; Id., La Cabala, Roma, Mediterranee, 1992; Id., La Kabbalah e il suo simbolismo, Torino, Einaudi, 1980; Id., Le origini della Kabbalà, Bologna, Il Mulino, 1973; C. Nitoglia, Gnosi e Gnosticismo, Paganesimo e Giudaismo, Brescia, Cavinato, 2006, “Le origini dello Gnosticismo, pp. 5-42; E. Benamozegh, Gli Esseni e la Cabbala, Milano, Ed. Armenia, 1979; H. Bloom, La Kabbalah e la tradizione critica, Milano, Feltrinelli, 1981; G. Busi, Mistica ebraica. Testi della Tradizione segreta del Giudaismo dal III al XVIII secolo, Torino, Einaudi, 1985; A. M. Di Nola, Cabbala e mistica giudaica, Roma, Carucci, 1984; A. Safran, Saggezza della Kabbalah, Milano, Mondadori, 1990; L. Troisi, Dizionario della Kabbalah, Foggia, Bastogi, 1998).

Il grave pericolo dello Gnosticismo

Padre Battista Mondin parla di “un filone dell’Apocalittica giudaica” quale “uno degli elementi più importanti dell’eresie gnostiche”, alla luce degli scritti della “biblioteca gnostica ritrovata a Nag-Hammadi nell’Alto Egitto nel 1945” (Storia della Teologia, cit., p. 105; cfr. U. Bianchi, Le origini dello Gnosticismo. Colloquio di Messina: 13-18 aprile 1966, Leiden, Brill, 1967). Anche Erik Peterson (Enciclopedia Cattolica, cit., vol. VI, col. 880) e B. Violet, (Die Apocalypsen des Esra und des Baruch, Lipsia, 1924, p. 5 ss.) parlano esplicitamente di teorie gnostiche nella Letteratura Messianico/Apocalittica giudaica. L’Apocalittica (175 a. C. – 70/135 d. C.) è una sorta di “Pre-Gnosticismo”, che prepara lo “Gnosticismo classico” (II-III secolo d. C.), rifacendosi alla conoscenza o Gnosi esoterica auto-divinizzante di antichissima origine cabalistica.

Inoltre il Mondin ci fa capire che “la sfida portata dallo Gnosticismo alla Chiesa era assai grave e pericolosa. Esso minacciava di fagocitare il Cristianesimo dentro un movimento interreligioso, sincretistico ed esoterico [come l’Ellenismo e il Modernismo, ndr] e di impadronirsi della Chiesa e delle sue strutture dottrinali, liturgiche e missionarie per metterle a servizio della propria filosofia; mentre allo stesso tempo snaturava la sostanza stessa della Chiesa, trasformandola da Società spirituale, aperta a tutti (semplici e dotti, analfabeti e intellettuali, poveri e ricchi, barbari e civili, Giudei e Pagani) in una setta magico/filosofica elitaria per le classi colte” (B. Mondin, cit., p. 106).

I Tolomei e i Selucidi successori di Alessandro

Dopo Alessandro la Palestina venne governata dai Tolomei[13] d’Egitto sino alla battaglia di Panion[14] (nel 200 a. C.), una località sita sul fiume Giordano in Palestina, quando gli Egiziani o Tolomei furono totalmente sconfitti e rimpiazzati, in Samaria e in Giudea, dai Seleucidi di Siria[15], i quali, inizialmente, continuarono la politica di Alessandro in Palestina, senza urtare la religione jawehistica con l’imposizione forzata dell’Ellenismo. Quindi, i Giudei anche sotto i Seleucidi, almeno all’inizio, stettero sostanzialmente bene e non soffrirono persecuzioni.

“Tuttavia l’Ellenismo, benché non esplicitamente imposto, cominciò in maniera lenta ma inesorabile a penetrare nel territorio della comunità giudaico/jawehistica, e ciò sin dai tempi di Alessandro e ancor più dei Tolomei” (G. Ricciotti, Storia d’Israele, Torino, SEI, 1933, 2° vol., p. 250).

Antioco IV detto Epifane, ossia “Manifestazione di Dio”

Monsignor Francesco Spadafora scrive: “Antioco IV dei Seleucidi di Siria. Re abile, ma smisuratamente orgoglioso; persecutore della religione monoteistica dell’Israele dell’Antico Testamento. […]. Antioco divenne, nella letteratura canonica, il tipo dell’oppositore e della opposizione al Regno di Dio. I termini adoperati dal profeta Daniele (VII, 20; VIII, 1; IX, 24; XI, 36; XII, 1), circa 600 anni prima di Cristo, per descrivere la persecuzione di Antioco sono stati ripresi da Nostro Signore (Mt., XXIV, 21 ss.) e da S. Paolo (II Tess., II, 1-11) per predire, progressivamente, la grande persecuzione del Giudaismo maggioritariamente farisaico e rabbinico/talmudico contro il Cristianesimo (iniziata a Gerusalemme con la morte di Gesù nel 33 e, sempre ivi, continuata - nel 35 - col martirio di S. Stefano; aggravata - nel 42 - con quello di S. Giacomo il Maggiore e portata al colmo - nel 62 - con quello di S. Giacomo il Minore, dopo di che gli Apostoli lasciarono Gerusalemme e i Giudei per andare ad evangelizzare i Pagani, che accolsero il Vangelo a differenza della moltitudine dei Giudei), la terribile fine di Gerusalemme (70 d. C.) e la vittoria finale del Regno di Dio (Apoc., XX; Ezech., XXXVIII-XXXIX). I Padri della Chiesa vedono in Antioco il tipo più esatto dell’Anticristo finale” (Dizionario biblico, Roma, Studium, III ed., 1963, p. 34 e 35, voce “Antioco IV Epifane”; cfr. anche B. Rigaux, L’Antéchrist et l’opposition au royaume messianique dans l’Ancien et le Nouveau Testament, Parigi-Gembloux, 1932).

Antioco, l’Anticristo e l’Apocalisse

Anticristo

Monsignor Antonino Romeo spiega che «L’Anticristo è l’avversario per antonomasia di Cristo il quale, alla fine dei tempi, sedurrà con satanici prodigi e astuzie molti Cristiani, infine sarà annientato da Cristo nella sua Parusia. […]. L’Apocalittica messianistica giudaica vede solo l’aspetto politico nazionalistico del nemico di Dio, che è, pertanto, il nemico dei Giudei, ossia Roma, con cui s’identifica oramai il mondo pagano. […]. Nel Nuovo Testamento, invece, scompare la visuale nazionalistica giudaica, che identifica “nemico di Dio” e Paganesimo romano[16]. L’anti-messianismo diventa, anzi, una triste caratteristica del Giudaismo. […]. L’Apocalisse è il quadro profetico della lotta tra Cristo e l’Anticristo o piuttosto tra le due collettività (Chiesa e mondo incredulo), che fanno capo ad essi. […]. Leone XIII ha spesso denunziato la crescente “Grande Apostasia” del mondo moderno, deplorando “l’abominazione della desolazione nel luogo santo” (Allocuzione al Concistoro del 30 giugno 1889), il “continuo e presentissimo pericolo di apostatare dalla Fede” (Lettera al popolo italiano, 8 dicembre 1892), “l’avvento dell’Apostasia” (Lettera al card. Rampolla, 2 ottobre 1895). Pio X nella sua prima Enciclica (E supremi apostolatus cathedra, 4 ottobre 1903) ravvisa l’Anticristo nella Società atea e pagana a lui coeva e si chiede se l’Anticristo finale non sia già nato. Ripete lo stesso concetto nell’Enciclica ai Vescovi d’Italia sull’Azione Cattolica dell’11 giugno 1905. Idem nell’Enciclica Notre charge apostolique, 25 agosto 1910. Infine Pio XII fa la tragica constatazione: “Oggi lo spirito del male si è scatenato contro la Chiesa e contro ogni ordinamento umano, anzi contro lo stesso Dio e contro Gesù Cristo, con tanto accanimento, da far presagire prossima una soluzione definitiva” (Allocuzione del 7 aprile 1947)» (Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1948, I vol., coll. 1433-1441, voce “Anticristo”).

Monsignor Salvatore Garofalo concorda sostanzialmente con Monsignor Romeo e scrive: “L’Anticristo è un personaggio distinto da Satana, ma da lui sostenuto, che si manifesterà negli ultimi tempi, prima della fine del mondo, per tentare un attacco e un trionfo definitivo su Gesù e la sua Chiesa. […]. L’Anticristo-persona [l’Anticristo finale, ndr] si rivelerà nell’ultima fase della lotta anticristiana, che imperversa in tutti i secoli [Anticristi o un Anticristo iniziale, ndr] e prepara lentamente l’apparizione del ‘Figlio della perdizione’ alla fine dei tempi” (P. Parente – A. Piolanti diretto da, Dizionario di Teologia dommatica, Roma, Studium IV ed. 1957, p. 23, V ed. Proceno di Viterbo, Effedieffe, 2018, voce “Anticristo”; cfr. anche B. Allo, L’Apocalypse, III ed., Parigi, 1933; B. Rigaux, Les Epitres aux Thessaloniciens, Parigi-Gembloux, 1956).

Apocalisse

L’Apocalisse, spiega lo Spadafora, è proiettata “prevalentemente, ma non esclusivamente alla fine del mondo, mediante la predizione degli eventi che precederanno immediatamente e accompagneranno l’apparizione dell’Anticristo. […]. L’Apocalisse offre, con quadri diversi, una visione profetica della lotta perenne tra Cristo e Satana, con la vittoria del Regno di Dio militante e trionfante” (F. Spadafora, Roma, Studium, Dizionario biblico, III ed., 1963, p. 40, voce “Apocalisse”).

Inoltre lo stesso Spadafora scrive: “I Padri ecclesiastici proiettano sia Matteo XXIV (almeno dal versetto 21 in poi) sia II Tessalonicesi (capitolo II, 1-11) alla fine del mondo e considerano la manifestazione dell’Anticristo finale come il segno della seconda ed ultima venuta fisica di Gesù o Parusia (cfr. L. Billot, La Parousie, Parigi, 1920). […]. La profezia di Gesù (Mt., XXIV, 21 ss.) sostanzialmente afferma che nella lotta violenta, sanguinosa e senza quartiere che il Giudaismo talmudico condurrà contro la Chiesa nascente, non questa soccomberà, ma il primo. L’Apocalisse, con lo sguardo nell’indefinito futuro, afferma che la persecuzione accompagnerà sempre la Chiesa, la quale ne uscirà sempre vincitrice e purificata. […]. Il Vangelo di S. Matteo (cap. XXIV, 21 ss.) e S. Paolo (II Tess., II, 1-11) si riferiscono al nemico più feroce della Chiesa primitiva: il Giudaismo talmudico; ne predicono le persecuzioni, l’effimero trionfo e il tremendo castigo” (F. Spadafora, Dizionario biblico, cit., pp. 33-34, voce “Anticristo”; cfr. su questo sito: Mons. Umberto Benigni, Chi ha spinto Nerone a perseguitare i Cristiani?, dalla sua “Storia Sociale della Chiesa”, Milano, Vallardi, 7 voll., 1906 ss., ristampa, Verrua Savoia di Torino, Ed. Centro Librario Sodalitium, 2017 ss.).

Padre Marco Sales insegna che “l’Apocalisse annunzia il trionfo finale di Gesù Cristo e della sua Chiesa su tutti i loro nemici sia esterni che interni. […], l’Apocalisse riguarda, come dice S. Giovanni stesso (Apoc., I, 1) cose future, le quali presto si dovranno compiere. Per questo motivo l’Apostolo Giovanni chiama il suo Libro ‘Profezia’ (Apoc., I, 3; XII, 7, 19), e in tutti i tempi l’Apocalisse è sempre stata riguardata dalla Chiesa come un Libro profetico. […]. Gli esegeti sono ben lungi dall’accordarsi intorno alla significazione esatta delle diverse visioni descritte, benché tutti concordino nel riconoscere che il tema principale dell’Apocalisse è la seconda venuta di Gesù Cristo alla fine dei tempi” (Commento all’Apocalisse, II ed., 2016, Proceno di Viterbo, EFFEDIEFFE, pp. 16-21).

Infine Monsignor Antonino Romeo spiega che l’Apocalisse “ha come idea centrale l’antitesi tra i due Regni (Chiesa e mondo), tra Cristo e Anticristo, tra eletti e reprobi e l’antitesi è messa periodicamente in rilievo. […]. L’Apocalisse non espone gli eventi futuri in una serie continua e progressiva, ma descrive alcuni eventi supremi della lotta tra Cristo e Satana sino alla maturazione e all’esito conclusivo: è il Regno di Dio militante e infine trionfante. […]. L’Apocalisse predice le direttrici della storia spirituale dell’umanità dall’Incarnazione alla fine del mondo, senza attardarsi alle contingenze esterne particolari” (Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1948, I vol., coll. 1600-1615, voce “Apocalisse”).

Antioco

Monsignor Antonino Romeo scrive: “Antioco IV detto Epiphanés (‘il Manifesto, ossia la Manifestazione di Dio o dio stesso’), ma chiamato talvolta dai sudditi Epimanés, ossia ‘il pazzo’ è il Seleucide di cui più parla la Bibbia (Dan., XI, 11-45, I Macc., I, 11-67; II; III; VI, 1-16; II Macc., IV, 7-IX, 29). Fu il più esecrando persecutore dell’Israele monoteistico veterotestamentario. […]. Nel 189 a. C. fu portato in ostaggio a Roma (ove rimase 14 anni). Liberato (175 a. C.) dal nipote, il futuro re Demetrio I, che gli si sostituì come ostaggio. […]. Salito al trono (175 a. C.) Antioco fu re abile, ma smisuratamente orgoglioso (Dan., XI, 36; II Macc., V, 21; IX, 28), come dimostrano le sue monete (dopo il 166) in cui si dà il titolo divino di ‘Manifestazione / Epiphanés’ (della divinità, del ‘dio’ Apollo o Zeus), di Niceforo (vittorioso), di Theòs (Dio). […]. Il suo carattere e i suoi metodi sono descritti da Polibio (Storie, XXVI, 10; XXIX, 9; XXXI, 30; XXXVIII, 18): principe prodigo, vanitoso, amante del fasto e della popolarità, delle spese pazze, delle costruzioni e degli spettacoli sontuosi. […]. Smanioso di arte e di cultura, volle livellare i Giudei agli altri suoi sudditi, imponendo loro i ‘Lumi’ dell’Ellenismo. A Gerusalemme si era costituito, sotto il governo egiziano dei Tolomei, il partito ellenizzante dei nobili (che più tardi sarà appoggiato dai sacerdoti e aristocratici Sadducei e avversato dai Farisei, i quali erano prevalentemente ‘scribi’ e ‘dottori della Legge’ ed avevano dalla loro parte il popolo giudaico), con a capo un certo Gesù, che prese il nome greco di Giasone e comprò da Antioco il Sommo Pontificato (174-171). […]. Guidato dal nuovo Sommo Sacerdote Menelao, sostituito a Giasone, Antioco penetrò nel Tempio (anno 169) e lo saccheggiò; lasciò in carica Menelao, circondato da generali siriani, che trucidarono 40. 000 Ebrei (I Macc., I, 20-29; II Macc., V, 11-21; Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, XII, 5, 3; Contro Apione, II, 7). […]. Deciso, per principio politico e filosofico (II Macc., VI, 1), ad estirpare lo Jawehismo monoteistico, mediante i suoi governatori perseguì con violenza e pur con metodo l’apostasia dei Giudei, per ridurli alla religione, alla cultura, alla politica politeistica del suo Paese. […]. Il 25 dicembre 167 a. C. ebbe luogo la formale profanazione del Tempio mediante la consacrazione alle divinità pagane dell’Altare degli Olocausti, su cui furono offerti sacrifici a Giove Olimpico (cfr. voce ‘Abominazione della desolazione’). Con Antioco IV, l’iniquità è al colmo. Quasi tutti i re delle Genti avevano perseguitato Israele, ma in Antioco IV la persecuzione, più che coefficiente di mire politiche, era accanimento contro l’unico vero Dio. La corruzione morale dilagava dalle terme, ginnasi, teatri, con la connivenza di ricchi Giudei dalle ‘idee larghe’; molti Giudei vacillavano o apostatavano, ma rifulse l’eroismo dei Martiri. […]. La morte di Antioco è narrata in I Macc., VI, 1-16 e II Macc., IX, 1-28. […]. Dopo aver tentato, durante l’infelice campagna contro i Parti, di saccheggiare un tempio d’Artemide nei pressi di Aspadana, oggi Isfaan [in Iran, ndr], fu colto da crisi viscerale, cadde dal carro e morì tra le montagne (II Macc., IX, 28) nella vicina Tabae di Persia. Polibio (Storie, XXXI, 11) lo dice impazzito e forse colpito da ‘castigo divino’. Giuseppe Flavio (Antichità Giudaiche, XII, 9, 1) pone la sua morte nel 164 a. C., probabilmente tra il 17 marzo e il 4 aprile. […]. Era la vittoria della Fede e dell’unico vero Dio” (Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1948, vol. I, coll. 1475-1479, voce “Antioco”; cfr. J. Bonsirven, Le Judaisme palestinien au temps de Jesus Christ, Parigi, 1934).

Perciò, verso il 175 a. C., il dominio sempre più esplicito dell’Ellenismo sullo Jawehismo s’insediò in Palestina con Antioco IV Epifane (175 - 164 a. C.). Se, prima di lui, i potenti che reggevano la Palestina (da Alessandro ai Tobiadi) s’ingerirono negli affari interni della Giudea solo in questioni civili e amministrative, ma non religiose, senza dunque attentare al Giudaismo monoteistico/veterotestamentario tramite l’ellenizzazione; invece - con Antioco IV - si assisté al tentativo (inizialmente in gran parte riuscito e arrestato poi dai Maccabei[17]) di ammodernamento, di aggiornamento di gnosticizzazione e di ellenizzazione del Giudaismo mosaico, ossia della sostituzione del Monoteismo del Vecchio Testamento con il Politeismo greco/pagano (cfr. U. Mago, Antioco IV Epifane re di Siria, Sassari, 1907).

Il Monoteismo per eccellenza, secondo il cardinale Pietro Parente, è contenuto, formalmente e perfettamente, nel Cristianesimo e lo si trova già nell’Antico Testamento, che è perfezionato dalla Nuova ed Eterna Alleanza: “Il Monoteismo, conservato mirabilmente nella Tradizione ebraica veterotestamentaria, che fa capo al Cristianesimo e ne è perfezionata, fu la religione primordiale: il Politeismo non è che una sua degenerazione, come hanno dimostrato i più recenti studi di storia comparata delle religioni” (P. Parente – A. Piolanti, Dizionario di Teologia dommatica, cit., pp. 280-281, voce “Monoteismo”, cfr. anche P. Palazzini, Il Monoteismo nei Padri Apostolici e negli Apologisti del II secolo, Roma, 1944; P. G. Schmidt, Manuale di storia comparata della religioni, Brescia, 1934); cosicché il Politeismo “è posteriore al Monoteismo ed è una degenerazione di questo. Uno studio diretto e accurato dei fatti ha portato alla scoperta di un culto dell’Ente Supremo, che si rincontra più o meno in tutti i popoli più antichi. La S. Scrittura (Libro della Sapienza, cap. XIII ed Epistola ai Romani, cap. I) descrive l’aberrazione colpevole dell’uomo che, pur conoscendo l’Essere Supremo, ha osato distogliere la mente e il cuore da Lui per formarsi delle divinità assurde, personificando oggetti, piante e animali” (ibidem, p. 317, voce “Politeismo”).

È in questo senso che si può parlare di “Modernismo/Gnosticismo” in Antioco IV e di reazione “integrista” o “integralmente monoteistica” da parte dei Maccabei. Infatti come il Modernismo è stato, nel Novecento, il tentativo di coniugare il Cattolicesimo del Nuovo ed Eterno Testamento con la filosofia moderna e specialmente con il Kantismo; così l’Ellenismo in Palestina, nel IV secolo a. C., fu il tentativo di sposare la cultura politeistica greco/pagana con la religione monoteistico/mosaica del Vecchio Testamento e, parimenti, come nel Novecento i cattolici integristi, ossia “integralmente cattolici” (S. Pio X coadiuvato dal “Sodalitium Pianum” di Mons. Umberto Benigni) reagirono con veemenza al Modernismo, così nel IV secolo a. C. i fratelli Maccabei reagirono al tentativo di ellenizzare, gnosticizzare, aggiornare, ammodernare o trasformare dall’interno il Vecchio Testamento o il Giudaismo mosaico monoteistico. Lo stesso tentativo, condannato da S. Pio X con l’Enciclica Pascendi dell’8 settembre 1907, si ripeté verso gli anni Trenta del XX secolo, con la Nouvelle Théologie, ma fu condannato nel 12 agosto 1950 da Pio XII con l’Enciclica Humani generis. Tuttavia con la morte di papa Pacelli, l’aggiornamento del Cristianesimo è penetrato nell’ambiente ecclesiale col trionfo della Nouvelle Théologie ed ha prodotto la Rivoluzione del Concilio Vaticano II, che - partendo da Giovanni XXIII (1958 – 1963) - con Francesco (2013) ha toccato il suo apice.

Perciò, se il Papato romano (come vedremo meglio sotto) ha esercitato, sino a Pio XII, il ruolo di “ostacolo che trattiene / tò kathékon / qui detineat” (S. Paolo, II Epistola ai Tessalonicesi, II, 3-4 ) le forze del Male (Gnosticismo nel II-III secolo e Modernismo nel XX secolo); Francesco esercita, al contrario, il ruolo di “agevolatore che libera, scatena e sfrena” queste stesse forze oscure gnostico/modernistiche.

Il Sommo Sacerdote Giasone (anno 173 a. C.)

Antioco IV volle ellenizzare a fondo Gerusalemme e la Giudea. Verso il 173 un Giudeo chiamato Gesù, che grecizzò il suo nome in Giasone, ambiva il Sommo Sacerdozio con il programma di ellenizzare a fondo Gerusalemme e tutta la Palestina. Ciò lo rese amico di Antioco IV, che voleva conquistare moralmente la Palestina e l’Egitto tramite l’ellenizzazione, senza escludere di ricorrere anche alla forza. Giasone si presentò all’Epifane col suo programma ellenizzante e fu promosso da questi al Sommo Sacerdozio, tanto più che Giasone gli offrì forti somme (II Macc., IV, 8-9). Il mercimonio simoniaco avvenne e Giasone fu nominato Sommo Sacerdote da Antioco IV. L’idea ellenistica inizialmente trionfò in Palestina, ma quando l’insurrezione dei fratelli Maccabei (167 a. C.) le oppose l’idea jawehistica, la prima cominciò a perdere terreno.

Il Giudeo Giasone iniziò l’ellenizzazione ufficiale di Gerusalemme, spinto dal Siriaco Antioco IV, costruendo il “Ginnasio” ossia la palestra in cui i giovani si allenavano atleticamente. A questi esercizi intervennero anche i giovani di famiglia sacerdotale sadducea, i quali perciò si allontanavano dai servizi liturgici nel Tempio, preferendo addestrarsi nel Ginnasio (II Macc., IV, 14) per avere un fisico “palestrato”, si direbbe oggi.

L’ellenizzazione ginnica ostacolò uno dei riti fondamentali del Giudaismo jawehistico: la circoncisione. Infatti, quel segno, divenuto palese nella nudità degli esercizi fisici dentro il Ginnasio, esponeva i giovani circoncisi alle beffe dei non-giudei. Quindi si ricorse ad una operazione chirurgica per ricostruire il prepuzio (I Macc., I, 15).

L’aggiornamento ellenizzante giasoniano volle spingersi anche nelle relazioni civili e religiose “ecumenico/internazionali”, ossia tra le varie città e Paesi, così in occasione dei ludi ginnici a Tiro (nell’antica Fenicia e attuale Libano), Giasone - precorrendo lo “spirito di Assisi/1986” - vi mandò 300 dracme d’argento per fare offrire sacrifici al dio pagano Eracle. Tuttavia, i messi che portarono il denaro, giudicarono la cosa sconveniente e destinarono la somma alla costruzione, in corso, dell’arsenale di Tiro (II Macc., IV, 18). Questo piccolo gesto di rivolta ancora occulta nei confronti del Sommo Sacerdote da parte dei messi è significativo. Non tutti a Gerusalemme erano ellenizzanti. Anzi, il fatto che il sacrificio idolatrico fosse stato commissionato da Giasone nella pagana Tiro e non nella jawehistica Gerusalemme mostra che l’ellenizzazione della Palestina, con Giasone, era piuttosto superficiale e non penetrava a fondo nel Giudaismo palestinese. In breve i monoteisti “integristi” dell’Antico Testamento resistevano al tentativo politeisticamente “gnosticheggiante/modernizzante” di Giasone e di Antioco IV. Il popolo andava alle manifestazioni ellenizzanti, ma non ne aveva assorbito lo spirito, che restava legato al culto di Jaweh. L’Abate Ricciotti scrive: “Il villano zotico che s’inurba e che per apparire cittadino indossa frak e cilindro e assiste a concerti elaborati, può ricordare in qualche modo la figura che doveva fare agli occhi di un vero ellenista il partito di Giasone in Gerusalemme. Con ciò non si diminuisce l’importanza delle manifestazioni provincialesche e imparaticce di Ellenismo, le quali erano una strada che conduceva allo spirito della nuova civiltà; ma il fatto è che in Gerusalemme e nella Giudea c’era ancora troppo Jawehismo per cambiare la mentalità nel giro di pochi anni” (cit., p. 264).

Il partito ellenizzante in Giudea era una “minoranza rumorosa” imperniata soprattutto in Gerusalemme, mentre la popolazione dei centri minori e delle campagne era rimasta una “maggioranza silenziosa” legata al culto di Jaweh. È pur vero che questa minoranza era molto attiva, intraprendente ed agguerrita nel proporre le “idee nuove” (che poi son vecchie quanto il diavolo) del Politeismo greco applicato al culto monoteistico di Jaweh nell’Antico Testamento, in modo da snaturarlo e trasformarlo dall’interno, proprio come lo Gnosticismo e il Modernismo avrebbero voluto fare col Cattolicesimo; mentre le masse “integralmente” monoteiste erano piuttosto silenti e passive. Inoltre in Gerusalemme resisteva fortemente, almeno nel Tempio, il culto jawehistico e veniva tollerato nel resto della città.

Tuttavia Antioco IV, ellenista autentico e di “marcia veloce”, sarebbe andato molto più in là di Giasone (ellenizzante da strapazzo e “di marcia lenta”), proclamando l’incompatibilità tra Jawehismo ed Ellenismo. Epifane aveva capito sin dall’inizio che il processo di modernizzazione gnosticheggiante ellenizzante di Gerusalemme era superficiale e lento. Il suo progetto era molto più radicale: “Demere superstitionem judaicam et mores Graecorum dare, ut taeterritam gentem in melius mutaret. / Cancellare la superstizione giudaica ed importare i costumi dei Greci, affinché la fastidiosissima gente di Giudea mutasse in meglio” (Tacito, Historiae, V, 8). Mentre Giasone temporeggiava ed aveva fatto poco o nulla in tal senso, l’Epifane voleva porre la scure alla radice, abbattendo il Tempio e il culto monoteistico di Jaweh e non era per nulla soddisfatto della “marcia lenta” di Giasone, che oramai aveva deciso di sostituire con un altro Sommo Sacerdote più radicalmente ellenizzante.

Il nuovo Sommo Sacerdote Menelao (anno 170 a. C.)

L’occasione gli si presentò nel 170 quando Giasone, che pontificava da 3 anni, mandò il suo coadiutore, Menelao, alla corte di Antioco IV, in Antiochia di Siria, per sbrigare alcuni affari amministrativi. Menelao si era accorto dell’insoddisfazione di Antioco e brigò per sé il Sommo Sacerdozio in cambio di laute offerte simoniache (ancora più abbondanti di quelle fatte da Giasone) bene accette dall’Epifane, che vide in lui uno “gnostico-modernizzanteellenizzatore di “marcia veloce”, ben più energico e radicale di Giasone. Menelao tornò a Gerusalemme con la nomina regia a Sommo Sacerdote e Giasone dovette fuggire dalla città santa e si rifugiò nell’Ammonitide.

Tuttavia anche Menelao esercitava un Sommo Pontificato “diminuito” e dimezzato dal re Antioco, che aveva fatto istallare in Gerusalemme un suo ufficiale, un certo Sòstrato, per fungere da esattore dei tributi nella città santa del Vecchio Testamento (II Macc., IV, 27-29). Menelao ebbe grosse difficoltà sin dall’inizio del suo Pontificato a mantenere gli impegni presi con Antioco, che erano molto al disopra delle sue possibilità. Il Ricciotti osserva giustamente: “Sòstrato rappresentava un’altra presa di possesso di Antioco in Gerusalemme, realizzata mentre l’Epifane concedeva a Menelao quel Sommo Sacerdozio, che era oramai ridotto ad un’ombra” (cit., p. 265).

Frattanto mentre Antioco iniziò la prima campagna in Egitto (169 a. C.), Lisimaco, il fratello e vicario del Sommo Sacerdote Menelao, depredava audacemente il tesoro del Tempio di Gerusalemme, approfittando del placet di suo fratello Menelao, ma il popolo insorse e uccise Lisimaco in Gerusalemme stessa. Menelao, che allora si trovava a Tiro (nell’attuale Libano), venne accusato di connivenza nel sacrilegio del fratello, la pena per il quale sarebbe stata la morte, ma potente e ricco come era, corruppe i giudici e rientrò a Gerusalemme con tanto di approvazione regia da parte di Antioco (II Macc., IV, 39-50).

Nel 168, Antioco intraprese la sua seconda campagna bellica in Egitto, ma questa volta Roma si mise di traverso, proibendogli di aggredire l’Egitto e gli impose di ritirarsi. Antioco, furente per l’umiliazione subìta, si trovò in serio imbarazzo e dovette ritirarsi dall’Egitto. Si sparse velocemente anche la voce, prematura e infondata, che Antioco fosse morto. Allora Giasone, troppo precipitosamente, si diresse in Gerusalemme senza accertarsi della morte reale di Antioco e fece strage dei seguaci di Menelao, che si salvò rifugiandosi nell’acropoli, (ossia la parte elevata o la Rocca gerosolomitana) difesa dalle truppe siriache di Antioco. Fu a questo punto che Antioco si decise d’impiegare la forza bruta per imporre l’Ellenismo in Giudea.

Antioco IV conquista Gerusalemme (anno 168 a. C.)

Gerusalemme (tranne l’acropoli, in mano alle truppe regie siriache), che era posseduta da Giasone, fu espugnata in un batter d’occhio e Giasone dovette fuggire nuovamente nell’Ammonitide e poi a Sparta ove morì.

Gerusalemme fu teatro di una nuova strage. Tutti i “sospettati di anti-ellenismo” vennero trucidati. Il re siriaco Antioco IV entrò nel Tempio e lo depredò, il Sommo Sacerdote giudaico Menelao lo scortava sacrilegamente e gli fece scoprire i tesori di oro di Jaweh depositati nel Tempio (II Macc., V, 15).

L’abominio della desolazione nel Tempio di Gerusalemme (anno 167)

L’anno successivo, ossia nel 167, l’Epifane, che si diceva “Manifestazione di Dio”, ossia “dio” stesso, cominciò l’ultimazione del programma di “aggiornamento” dello Jawehismo iniziato con la depredazione del Tempio (“terrena amare et despicere coelestia / amare le cose terrene e disprezzare le celesti”) in combutta col Sommo Sacerdote. Antioco vide nell’Ellenismo l’arma morale per combattere Roma e si dette da fare per l’ellenizzazione forzata della Giudea, trucidando i “pre/ellenisti” (troppo “pre/conciliari” o “anti/modernisti”, si direbbe oggi), pur avendo dovuto rinunciare all’Egitto.

Tuttavia, nonostante la depredazione del Tempio e le stragi gerosolomitane, lo Jawehismo di Gerusalemme era ancora una forza viva, non solo moralmente ma anche materialmente. Antioco lo sapeva e inviò il generale Apollonio, da Antiochia a Gerusalemme, per mettere in atto i sui disegni di “aggiornamento gnosticheggiante” ellenizzatore. Apollonio, furbescamente, arrivato a Gerusalemme di sabato, cominciò con la “politica della mano tesa” dell’“accordo pratico” e del “dialogo”, fingendo intenzioni amichevoli (come sta facendo oggi Francesco con i tradizionalisti) e approfittando del riposo sabbatico che immobilizzava i fedeli gerosolomitani, ma poi, gettata la maschera dell’Ellenismo “dal volto umano”, irruppe nella città compiendo stragi e rubando dappertutto. Quindi si assicurò il dominio completo e stabile di tutta Gerusalemme (acropoli compresa), facendovi costruire la formidabile fortezza detta Akra, che tanto ruolo avrà nella distruzione di Gerusalemme da parte di Tito nel 70 d. C.

Ricciotti osserva che “Akra fu un vero pugnale infitto nel cuore di Gerusalemme. La fortezza era sita vicino al Tempio, come uno sparviero che vigila sulla sua preda” (cit., p. 269).

Inoltre Antioco mandò a Gerusalemme un “intellettuale” o “gnostico” ateniese ellenizzante a trasformare metodicamente tutti gli avanzi dello Jawehismo in istituzioni ellenistiche, fiancheggiato dalle armate siriache. La trasformazione della città santa fu rapidissima. Gli ordini dell’Epifane erano di non perdere tempo come aveva fatto Giasone (ellenista di “serie-b”), ma occorreva “demere superstitionem / cancellare la superstizione”, rapidamente e ponendo la scure alla radice, debellando i “pre/ellenisti”, oggi si direbbe i “pre/conciliari”. Quindi si iniziò, con una logica ferrea e diabolica, la sovversione dei pilastri della religione monoteistica del Vecchio Testamento: il Tempio, il culto monoteistico di Jaweh, la circoncisione, il Sabato e i Libri della Torà, che dovevano essere consegnati ai Siriaci e bruciati.

Il 15 dicembre 167 fu eretto nel Tempio di Jaweh “l’abominio della desolazione” (I Macc., I, 54; Daniele, IX, 27; Mc., XIII, 14), ossia la statua di Giove Olimpico. Cessarono, sino al 25 dicembre del 164 (il giorno della riconsacrazione del Tempio), il Sacrificio perenne e l’Oblazione monda del culto monoteistico a Jaweh. Venne costruita un’ara greca sopra l’Altare degli Olocausti e, dopo 10 giorni (il 25 dicembre 167), “fu imposto il culto idolatrico sotto pena di morte: i Giudei dovevano immolare vittime a Giove sulle are erette dappertutto in Giudea. Come vittima da sacrificare fu scelto il porco, oltremodo impuro per gli Ebrei di cui, dopo il sacrificio, dovevano anche cibarsene” (F. Spadafora, Dizionario biblico, cit., p. 35). Inoltre vennero offerti sacrifici pagani politeistici al “dio” Sole, che rinasceva nel solstizio invernale (25 dicembre). Infine, per compiere l’opera, il Tempio venne dedicato a Giove Olimpico.

Cos’è “l’abominio della desolazione”

Monsignor Antonino Romeo scrive: “L’abominazione della desolazione è la profanazione idolatrica nel Tempio devastato, all’approssimarsi del crollo di Gerusalemme, predetta da Gesù (Mt., XXIV, 15; Mc., XIII, 14), che si riferisce a Daniele (IX, 27; XI, 31; XII, 11). Il Profeta Daniele impiega la formula siqqùs mesòmèm, nel preannunciare la sopraffazione dei Romani nel 70 d. C. o di Antioco IV Epifane nel 167 avanti Cristo. Siqqùs significa: ‘obbrobrio, orrore, cosa orrenda’ e designa, con una esecrazione, gli ‘Dei’ o gli ‘idoli pagani’ o quanto è ‘connesso col culto idolatrico e politeistico’. L’espressione mesòmèm o in forma contratta sòmèm indica il ‘devastatore’. La Volgata e i Settanta lo traducono come nome astratto di ‘desolazione’ nel senso di ‘devastazione’, in breve è l’esecrazione della distruzione o devastazione del Tempio. Il senso, quindi, è: ‘il culto idolatrico di un devastatore’, che sarà ‘eretto nel luogo santo’. Daniele connette tale abominio idolatrico con la cessazione del Sacrificio perenne d’Israele dell’Antico Testamento: la sconsacrazione comporta l’abbandono del Tempio da parte della shekinàh o presenza di Dio nel “Santo dei Santi”. Il Libro I dei Maccabei (I, 57) ravvisa il compimento della profezia di Daniele nella ‘costruzione’ o ‘erezione’ di un altare idolatrico sull’Altare degli Olocausti il 15 dicembre del 167 a. C., altare che Antioco Epifane dedicò al suo ‘dio-patrono’ Giove o Zeus Olimpio e nel sacrificio offertovi 10 giorni dopo, il 25 dicembre. Per Daniele come per i Due Libri dei Maccabei tale sacrilegio segna il culmine dell’empietà. […]. L’obbrobrio fu cancellato con la solenne purificazione del 25 dicembre 164. Nei Vangeli è difficile precisare a quale fatto Gesù alluda predicendo ‘l’abominazione della desolazione’ che ‘si erge’ o, in Marco, ‘abominio eretto’, con l’intervento di un uomo, nel Tempio. Il termine ‘eretto’ non si riferisce ad un evento, ma ad una cosa, ad una persona o ad un simbolo ‘idolatrico’, che viene esibito nel Tempio. […]. Nel ciclo storico della distruzione del Tempio da parte dei Romani (70 d. C.), che segna il trapasso del culto mosaico o dell’Antica Alleanza all’economia cristiana del Nuovo Testamento, non si verificò l’erezione di un altare sul tipo della profanazione di Antioco. […]. La chiave, allora, ci è data da Lc. (XXI, 20): ‘Quando vedrete Gerusalemme investita da un esercito, sappiate che la sua devastazione, è vicina’. Il dramma della ‘devastazione’ o ‘abominazione’ del Tempio si svolse in varie fasi progressive: la prima, che iniziò la ‘grande tribolazione’, fu, nel 66 d. C., la comparsa delle insegne pagane dell’assediante Cestio Gallo che, accampato sul Monte Scopo, attaccò il Tempio. Circa 4 anni dopo, per colpa dello scempio sacrilego degli Zeloti (e non dei Romani), che fecero del Tempio la loro fortezza, cessò per sempre il Sacrificio perenne dell’Antico Testamento e il culto di Jaweh (il 17 luglio del 70 dopo Cristo; cfr. G. Flavio, Guerra Giudaica, VI, 2, 1). L’idolatria o la ‘abominazione’ trionfò, infine, il 10/15 agosto del 70, coi vessilli pagani issati sul Tempio distrutto, che già da un po’ di tempo (circa 1 mese: cioè dal 17 luglio) era privo di Altare e di Sacrificio. Gerusalemme venne, invece, distrutta due mesi dopo la cessazione (17 luglio del 70) del Sacrificio nel Tempio: il 20 settembre del 70 [non è un caso se la Massoneria ha voluto espugnare la Roma di Pio IX il 20 settembre 1870, ndr]. Il vincitore pagano in Gerusalemme per gli Ebrei era essenzialmente un profanatore idolatra. Tuttavia la formula ‘abominazione della desolazione’ ha anche un riferimento escatologico. Gesù unisce nello stesso quadro profetico gli eventi del 66-70 e quelli della persecuzione finale dell’Anticristo. Come Antioco Epifane è il tipo dell’Anticristo finale, così l’empia profanazione del ‘devastante’ siriano Antioco o del romano Tito (il quale, tuttavia, avrebbe voluto risparmiare il Tempio), mentre segna la fine del Vecchio Testamento e del vecchio culto, inaugura l’èra messianica della Nuova Alleanza. L’intervento dell’‘Uomo del peccato’, che ‘si insedia e si esibisce nel Tempio di Dio’ (II Tess., II, 3-4) caratterizza il trapasso fra le due ère e Alleanze” (Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1948, vol. I, coll. 102-104, voce “Abominazione della Desolazione”).

In breve, “l’abominio della desolazione nel luogo santo” è l’obbrobrio del culto, idolatrico ed esecrando, degli Dei pagani installato sulle rovine del Tempio di Gerusalemme, devastato nel 167 a. C. da Antioco Epifane e nel 70 d. C. da Tito, il quale però lo avrebbe voluto salvare, ma non vi riuscì (cfr. Giuseppe Flavio, Guerra Giudaica, VI, 4, 228-235); ed infine designa anche l’ultima persecuzione che avverrà attorno alla Parusia, da parte dell’Anticristo finale, contro la Religione cristiana, di cui questi cercherà di abolire pubblicamente il Sacrificio della Messa, distruggendo le chiese e costringendo la celebrazione della Messa nelle case private, facendola ritornare alle “catacombe” (cfr. A. Lémann, L’Anticristo. L’uomo più fatale della storia, III ed., Proceno di Viterbo, Effedieffe, 2014).

La rivolta dei Maccabei e l’Apocalittica apocrifa giudaica

Un vecchio rabbino di Ferrara spiega che L’Apocalittica messianistica, di cui abbiamo parlato sopra, non è da confondersi con l’Apocalisse di San Giovanni (cfr. Y. Colombo, Enciclopedia Italiana, Roma, Treccani, II ed. 1950, vol. III, col. 654, voce “Apocalisse”).

Purtroppo dalla rivolta maccabaica, doverosa e santa in sé, nacque nei Giudei uno cattivo spirito: una sorta di “Pre-Gnosticismo”, esageratamente nazionalista e sciovinista, che li portò a farsi un’idea falsa del Messia, come re temporale e militante (cfr. A. Mandel, Il Messia militante, Milano, Arché, 1984). Infatti, l’Apocalittica nasce proprio al tempo in cui l’Ellenismo pagano trionfa in Israele e il Tempio viene profanato da Antioco Epifane (168-164 a. C.). La Letteratura Apocalittica è il «complesso di scritti pseudonimi giudaici, sorti tra il sec. II a. C. e il sec. II d. C.» (A. Romeo, Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1948, I vol., col. 1615, voce “Apocalittica”). Ed è per questo motivo che l’Apocalittica può essere definita un “Pre/Gnosticismo” preparatorio dello “Gnosticismo classico” (II-III secolo d. C.), che affonda le sue radici nella Gnosi primordiale o Càbala spuria.

Poi, dopo il successo di Antioco (175 - 164 a. C.), la conquista della Giudea da parte di Roma con Pompeo (64 a. C.), la distruzione del Tempio con Vespasiano e Tito (70 d. C.) e della Giudea intera con Adriano (135 d. C.) si accende sempre più la speranza della riscossa nazionale giudaica, sotto la guida dei “falsi profeti” predetti da Gesù.

L’Apocalittica apocrifa, per rafforzare questo revanscismo nazionalistico giudaico, si serve dei Profeti canonici dell’Antico Testamento, ma li arricchisce di predizioni immaginifiche, che descrivono il trionfo di Israele sui Pagani o i non-Ebrei (Gojim): «Israele sarà liberato e vendicato, e, guidato da Jaweh e dal suo Messia militante, si satollerà nella pace e nell’abbondanza; le 12 Tribù torneranno per imperare sulle Genti domate e calpestate» (A. Romeo, Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1948, I vol., col. 1616, voce “Apocalittica”). L’Apocalittica messianistica apocrifa giudaica ha un carattere eminentemente “esoterico” ed è attribuita comunemente agli Esseni (Ivi), essa, quindi, fa un tutt’uno con il “Pre/Gnosticismo”, con lo Gnosticismo classico, con la Gnosi, con la Cabala spuria e con il Talmùd post-biblico (cfr. J. Meinvielle, Dalla Càbala al progressismo, Proceno di Viterbo, Effedieffe, 2018; G. Scholem, Le origini della Kabbalà, Bologna, Il Mulino, 1986; M. Idel, Le porte della giustizia, Milano, Adelphi, 2001; Id., La Cabbalà. Nuove prospettive, Firenze, Giuntina, 1996; Id., Maimonide e la mistica ebraica, Genova, Il Melangolo, 2000; G. C. Benelli, Attualità dello Gnosticismo, Roma, GrafNona, 1987).

Monsignor Francesco Spadafora chiosa: «Il periodo maccabaico orientò i Giudei verso un’interpretazione errata del Messia, che si afferma nella Letteratura apocrifa e rabbinica. […]. L’opposizione tra la Rivelazione attuata dal Cristo e l’interpretazione giudaica dominante non poteva essere più stridente; essa fu fatale a Israele, che rimase fuori dalla salvezza eterna. […]. Gli Israeliti avrebbero preso le idee mitologiche [dell’Apocalittica apocrifa, ndr] applicandole alla loro Nazione: lo sconvolgimento cosmico avrebbe rovinato i Pagani, mentre avrebbe dato a Israele felicità terrena definitiva» (F. Spadafora, Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1952, VIII vol., coll. 847-848, voce “Messia”).

Il vero Messia, Gesù Cristo, è soprattutto Re spirituale di tutti gli uomini di tutte le Nazioni e non di una sola Nazione e quindi non potrà non essere odiato, combattuto e messo a morte dai “falsi profeti”, “gnostici” o “veggenti” dell’Apocalittica giudaica, che dal 175 a. C. aveva cominciato a corrompere la Fede del vero Israele in senso di “Pre-Gnosticismo” millenaristico, temporalistico e di dominio universale. Questo è il dramma di Israele: aver seguito nella maggior parte un falso concetto di Messia cosmico, militante e temporale (che sarebbe solo un puro uomo o addirittura una collettività: Israele stesso, “Padrone di questo mondo”) ed aver rifiutato, tranne “una piccola reliquia”, il vero Messia, vero Dio e vero uomo, Salvatore di tutti gli uomini, il cui Impero è universale, definitivo, spirituale, sociale e soprattutto proteso nell’aldilà, pur iniziando già in questo mondo, anche se imperfettamente. La sua morte in Croce è l’Unico Sacrificio perfetto e senza macchia: la “Oblatio munda” (Mal. I, 11).

Mentre per i Profeti dell’Antico Testamento il Messia è una persona, per i veggenti dell’Apocalittica apocrifa è una collettività e precisamente il popolo d’Israele, che conseguirà la prosperità nazionale e il predominio su tutte le altre Nazioni (cfr. L. Tondelli, Gnostici, Torino, SEI, 1950).

Inoltre, padre Alberto Vaccari, conclude: «un Messia morto e risorto, un Messianismo che si era adempiuto in Gesù Cristo, era la nuova Fede che gli Apostoli dovevano predicare a tutto il mondo, cominciando dai Giudei. Ma per questi un Messia messo in croce era uno ‘scandalo’ , come per i Pagani una ‘follia’ (I Cor. I, 23). […]. L’opposizione, che tale predicazione trovò presso la maggior parte della nazione giudaica ha la sua prima radice nel diverso concetto che s’era formato del Messianismo […] mentre il mondo romano accettò il Messia ripudiato dai Giudei. […]. La prima conseguenza della venuta del Messia consisterebbe, secondo il Sionismo moderno (1896-1948), nel ritorno degli Ebrei, numericamente aumentati, in Palestina e la riedificazione di Gerusalemme e del Tempio» (A. Vaccari, Enciclopedia Italiana, Roma, Treccani, II ed., 1951, vol. XXII, p. 957, voce “Messianismo”; per la ricostruzione del Tempio cfr. M. Blondet, I fanatici del Tempio, Rimini, Il Cerchio, 1992).

Conclusione: o modernizzarsi o morire

Molti Giudei, fedeli alla vera religione monoteistica dell’Antico Testamento, apostatarono sotto Antioco IV. I Giudei dovevano o modernizzarsi, gnosticizzarsi ed ellenizzarsi o essere martirizzati, restando fedeli a Jaweh. Parallelamente - oggi - i Cristiani debbono o diventare modernisti, accettando il Vaticano II o essere perseguitati, restando fedeli alla Tradizione apostolica[18].

Tuttavia, come vedremo nel prossimo articolo, nel medesimo anno 167, in cui il Tempio fu “abominevolmente desolato”, rifulse anche l’eroismo dei Martiri e il valore epico dei fratelli Maccabei (cfr. M. J. Lagrange, Le Judaisme avant Jesus Christ, Parigi, III ed., 1931, pp. 46-61; 91-108; 131-148).

d. Curzio Nitoglia

Fine della Prima Parte

(Continua)



[1] La dinastia Asmonea fu una prosecuzione di quella Maccabaica, essa inizia nel 135 a. C. con Giovanni Ircano I Asmoneo, primo discendente dei Maccabei. Gli ultimi membri della dinastia Asmonea furono sterminati con la deposizione di Ircano II, prima spodestato da Erode il Grande d’Idumea nel 30 a. C. e poi ucciso dai Romani nel 37 a. C.; ed infine con la deposizione di suo nipote, Antigono Mattatia, spodestato da Erode nel 37 e poi soppresso dal triunviro romano Antonio nel medesimo anno.

[2] La dinastia Erodiana fu iniziata dall’Idumeo Erode il Grande (73 a. C. - 4 a. C.), l’autore della “strage degli Innocenti”, che fu nominato da Roma Tetrarca (41 a. C.) e re (37 a. C.) della Giudea; nel 37, sempre con l’aiuto di Roma, Erode spodestò Antigono Mattatia degli Asmonei, re della Giudea e prese il suo posto. L’ultimo rappresentante della dinastia Erodiana fu Erode Agrippa II, che ottenne il regno della Giudea nel 48 d. C., il quale prima, come Tetrarca, fece condannare S. Giacomo il Maggiore a morte e mandò S. Pietro in carcere nel 42 (Atti, XII, 1-24), poi come re mandò S. Paolo, accusato dai Giudei, da Cesarea marittima a Roma, nel 60, a discolparsi presso l’Imperatore in quanto cittadino romano (Atti, XXVI, 32), durante la guerra giudaico-romana (66-70) terminata con l’assedio di Gerusalemme (70) si schierò con Roma e contro gli Zeloti ed i Sicari, infine morì nel 95.

[3]Tradizione o Torah orale (in ebraico Torah she-baal peh) indica le tradizioni orali dell’Ebraismo, che Mosè (nel 1300 a. C.) ricevette durante i 40 giorni e notti che trascorse sul monte Sinai e consegnò agli Anziani e ai Profeti. […]. All’inizio, la Torah orale non doveva essere scritta, ma memorizzata ed trasmessa dai Maestri (Tanna) ai discepoli. Questa proibizione fu tolta solo quando la persecuzione romana degli Ebrei in Palestina minacciò di far scomparire i Saggi, che erano depositari della Tradizione orale (Farisei). La Letteratura del primo periodo rabbinico (II sec. d. C.) raccoglie insegnamenti orali che si crede risalgano al periodo mosaico. I Sadducei, i Caraiti e l’Ebraismo riformato, tuttavia, hanno tutti rifiutato l’idea di un Insegnamento orale munito di autorità. Per l’Ebraismo ortodosso la Torah orale è l’anima della Torah scritta, perché le sue spiegazioni rendono comprensibile il significato del testo scritto e del significato letterale (Peshat)” (A. Unterman, cit., p. 297-298, voce “Torah orale”).

[4] Lo Zoroastrismo, Zaratustrismo o Mazdeismo è una religiosità iranica fondata dal profeta persiano Zaratustra (in greco Zoroastro), vissuto tra il 1000 e il 500 a. C. Si chiama anche Mazdeismo dal nome della Divinità Mazda predicata dal profeta Zaratustra. Esso sostanzialmente è una religiosità monoteistica, ma fortemente dualista, che predica una opposizione totale tra materia e spirito, la quale divenne sempre più radicale, tanto da far coincidere la materia con un “Anti-Dio” (Angra Mainyu) e lo spirito con l’unico Dio (Ahura Mazda). Il male, la materia e l’errore per Mani sono assoluti, infiniti ed onnipotenti come Dio. Quindi ci sarebbero due “Dei” sostanzialmente eguali, tranne il fatto che uno è buono e l’altro è cattivo.

[5] Il Manicheismo è un sistema filosofico/religioso, in cui son confluite molte dottrine tratte dallo Zaratustrismo/Zoroastrismo o Mazdeismo. Fu fondato da Mani o Manes, un principe persiano vissuto nel II secolo d. C. Esso è, sostanzialmente, un sistema dualista, che contrappone irrimediabilmente bene e male, luce e tenebre. Il Principio o “Dio” del male/tenebre è la materia e il Principio o “Dio” del bene/luce è lo spirito. Nel Medioevo e nella Modernità, il Manicheismo, si è ripresentato sotto varie forme: Catarismo, Luteranesimo, Calvinismo e Giansenismo.

[6] Sulle tracce della Gnosi, Milano, Adelphi, 1985.

[7] I miti dei dualismi occidentali. Due sistemi gnostici del mondo moderno, Milano, Jaca Book, 1989.

[8] Lo Gnosticismo, Torino, SEI, 1991; Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica, Genova, Il Melangolo, 1991.

[9] La Filosofia del Medioevo, Firenze, La Nuova Italia, 1973.

[10] Giudaismo e Cristianesimo, Bari, Laterza, II ed., 1988.

[11] Le porte della giustizia, Milano, Adelphi, 2001; Cabbalà, Nuove prospettive, Firenze, Giuntina, 1996; Maimonide e la mistica ebraica, Genova, Il Melangolo, 2000.

[12] La Cabala, Roma, Mediterranee, 1947.

[13] I Tolomei o Làgidi furono una dinastia di origine macedone (balcanica) fondata da Lago (generale di Alessandro Magno), padre di Tolomeo I Sotere. Essi regnarono dal 304 sino al 30 a. C. spingendosi in Palestina e in Egitto.

[14] Nella località di Panion, nei primi anni dell’èra cristiana, Filippo Tetrarca dell’Iturea (4 a. C. – 34 d. C.) e figlio di Erode il Grande costruì una città che chiamò, in onore dell’Imperatore romano ed anche suo proprio, Cesarea di Filippo per distinguerla da Cesarea marittima. Essa poi, circa nel 60 d. C., venne chiamata Neroniade, in onore dell’Imperatore Nerone (54 - 68 d. C.), dal Tetrarca Agrippa II (50 – 95 d. C.), che era il nipote di Erode e fu l’ultimo discendente della dinastia Erodiana.

[15] I Seleucidi furono una dinastia fondata da Seleuco I Nicatore, figlio di Antioco il capo dell’Esercito di Filippo re di Macedonia. Suo figlio Seleuco I seguì Alessandro Magno in Asia e, dopo la morte dell’Imperatore, fondò il Regno di Siria (nel 312 a. C.) dando il nome di suo padre Antioco alla sua capitale Antiochia sul fiume Oronte. I Seleucidi governarono sulla parte asiatica dell’ex Impero di Alessandro Magno (diviso dopo la sua morte in tre parti: Regno egiziano/palestinese, retto dai Tolomei; Regno macedone/greco retto dagli Antigònidi; Regno siriano/asiatico retto dai Seleucidi/Attàlidi) e furono assoggettati progressivamente da Roma: 1°) nel 168 a. C., con la conquista della Macedonia; 2°) nel 146 a. C., con la conquista della Grecia (nominata, allora, Acaia) e con la distruzione di Corinto; 3°) nel 64 a. C., da Gneo Pompeo, che conquistò la Siria e la Palestina ed infine 4°) con la battaglia di Azio, nel 31 a. C., in cui i Romani, con Ottaviano-Augusto, s’impadronirono anche dell’Egitto, sconfiggendo Cleopatra e Marco Antonio.

[16] San Tommaso d’Aquino, al contrario della Letteratura Apocalittico/Messianica giudaica, nel Commento alla II Epistola ai Tessalonicesi II, 3-4 (capitolo 2, lezione I e II, n. 32-45) insegna: «Ci sarà l’Apostasia dall’Impero romano, al quale tutto il mondo era sottomesso […]. L’Impero romano è stato istituito affinché sotto il suo dominio la Fede venisse predicata in tutto il mondo. […]. L’Impero romano non è venuto meno, ma si è trasformato da temporale in spirituale. Perciò bisogna dire che l’Apostasia dall’Impero romano si deve intendere non solo da quello temporale, ma anche e soprattutto da quello spirituale, cioè dalla Fede cattolica della Chiesa romana. […]. Quando l’iniquità sarà resa e portata in pubblico, allora si manifesterà l’Anticristo. Infatti, molti ora peccano in privato, mentre altre volte peccano in pubblico. Ora, Dio sopporta i peccatori sino a quando sono occulti, mentre quando peccano pubblicamente, allora non li sopporta più, come risulta per i Sodomiti (Gen., XIX, 24)». In breve, per l’Aquinate, è la rivolta sociale e pubblica delle Nazioni contro Cristo e la sua Chiesa a togliere di mezzo “l’ostacolo”, che trattiene l’Anticristo finale.

Inoltre l’Aquinate nell’Opuscolo 68 De Antichristo (edizione di Parma, 1864, che da alcuni non è ritenuta autenticamente tommasiana) dice pure che “l’ostacolo” o “ kathékon / qui detineat” alla manifestazione dell’Anticristo finale è la sottomissione della Società civile alla Chiesa romana e, quindi, “colui che lo trattiene”, ossia “il kathékon” è il Papato. Perciò fino a che la Società civile rimarrà fedele e sottomessa all’Impero spirituale Romano (la Chiesa cattolica), trasformazione dell’antico Impero temporale romano, l’Anticristo non potrà comparire. In breve per S. Tommaso l’Impero romano non è ancora finito, ma si è cambiato da temporale in spirituale. Fino a che il Papato sarà riconosciuto, rispettato anche pubblicamente e socialmente, “l’ostacolo” o “il kathékon” sussisterà, la Società civile rimarrà fedele all’Impero spirituale romano e alla Fede cattolica. Ma se questo custode, il Papato e la Chiesa romana, viene ad essere disconosciuto, messo da parte, rigettato dalla Società civile, con lui sparirà anche “l’ostacolo” o “colui che trattiene l’Anticristo”, il quale allora sarà libero di comparire. Insomma S. Tommaso, fondandosi su S. Paolo nella II lettera ai Tessalonicesi, dice che “l’ostacolo” al Regno dell’Anticristo è la sottomissione della Società civile alla Chiesa romana e che “colui che trattiene / qui detineat” ancora l’Anticristo, fino a che sarà tolto di mezzo da Gesù “col soffio della sua bocca”, è il Papato riconosciuto socialmente e pubblicamente come tale, cioè come Vicario e Rappresentante visibile - su questa terra - di Cristo, che è asceso al Cielo ed è invisibile agli uomini.

Infine, riguardo a Roma, Monsignor Francesco Spadafora, seguendo S. Tommaso d’Aquino, insegna che “tò kathékon”, ossia “l’ostacolo” o “colui che trattiene / qui detineat” l’Anticristo èRoma antica con il suo potere, che teneva a rispetto l’odio frenetico della Sinagoga contro il Cristianesimo apostolico”, tuttavia, “il Paganesimo dell’Impero romano, e particolarmente il culto idolatrico da tributare all’Imperatore come se fosse stato una divinità (Apoc., XIII, 11-18; XIV, 9 ss.; XVI, 2), trovava nel Cristianesimo un’opposizione irriducibile” (Dizionario biblico, Roma, Studium, III ed., 1963, p. 33 e 36, voce “Anticristo” e “Apocalisse”). Nel prossimo articolo vedremo meglio il lato socialmente positivo della Roma Imperiale, che tratteneva “la Sinagoga di Satana” (Apoc., II, 9) scatenata contro la Chiesa di Cristo e quello religiosamente negativo, che spingeva al Politeismo e all’idolatria.

[17] Il termine Maccabei viene dal soprannome ebraico di “Maccabeo / Maqquabahjahù e la sua abbreviazione Maqquabhàh”, che significa “martello” (per designare la forza con cui Giuda Maccabeo colpiva il nemico ellenizzante) oppure, ancor meglio, “designato da Jaweh” dato al principale promotore della rivolta antiseleucida: Giuda, terzogenito del sacerdote Mattatia (165 – 160 a. C.) e passato, per estensione, a tutta la famiglia e ai rivoltosi ad essa unitisi contro Antioco. La Chiesa festeggia i Maccabei il 1° agosto assieme a “S. Pietro in vincoli”, ossia la commemorazione della liberazione, da parte di un Angelo, di S. Pietro imprigionato e incatenato in Gerusalemme da Erode Agrippa, che evase dal carcere e si recò a Roma attorno al 42, l’anno in cui Erode fece decapitare S. Giacomo il Maggiore, fratello dell’Apostolo S. Giovanni (Atti, XII, 1-24).

Inoltre si chiamano, altresì, Libri dei Maccabei gli scritti canonici, che narrano tale lotta e i fatti ad essa connessi. La Chiesa riconosce solo due Libri ispirati (il III e IV Libro dei Maccabei sono apocrifi ed extra-canonici; cfr. F. Spadafora, Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, vol. VII, 1951, coll. 1751-1752, voce “Il Libro III e IV dei Maccabei”); essi fanno parte dei Libri deuterocanonici, perché mancano nel canone ebraico e presso quasi tutte le confessioni acattoliche. I due Libri dei Maccabei non costituiscono un’opera unica, anzi molto probabilmente sono completamente indipendenti l’uno dall’altro. Il primo Libro è di carattere strettamente storiografico, l’autore si basa su ottime fonti storiche e su la conoscenza diretta di molti episodi. Il racconto e lo stile sono vivi, piani e scorrevoli. Esso potrebbe essere stato composto tra il 135 e il 63 a. C. e fu scritto in ebraico, o perlomeno in semitico. Ora lo possediamo solo in greco. Il secondo Libro differisce molto dal primo. Esso fu composto in greco, in uno stile ampolloso, retorico e ricercato, che ne rende la lettura difficile e ostica. Inoltre, mentre il primo Libro descrive la storia militare-politica delle gesta maccabaiche, il secondo Libro parla soprattutto della santità del Tempio protetto da Jaweh e della Legge mosaica. Tuttavia, nonostante differenze così radicali, i due Libri concordano sostanzialmente nella materia comune: la rivolta del Monoteismo mosaico del Vecchio Testamento contro il Politeismo di Antioco IV, confermandosi a vicenda. Il secondo Libro completa il primo con le sue informazioni circa i partiti in Gerusalemme e l’attività, poco edificante, di alcuni Sommi Sacerdoti. Perciò esso non è soltanto teologicamente ricco di insegnamenti (immortalità dell’anima, resurrezione dei corpi, valore soddisfattorio della preghiera…), ma è anche storicamente importante. Non si conosce l’anno della composizione del secondo Libro, la data più probabile cadrebbe verso il 160 a. C. (cfr. F. Spadafora diretto da, Dizionario biblico, Roma, Studium, III ed., 1963, pp. 378-382, voce “Maccabei. Libri e Storia” a cura di A. Penna; cfr. anche A. Momigliano, Prime linee di storia della tradizione maccabaica, Torino, 1931).

[18] Cfr. Brunero Gherardini, Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2009; Tradidi quod et accepi. La Tradizione, vita e giovinezza della Chiesa, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2010; Concilio Vaticano II. Il discorso mancato, Torino, Lindau, 2011; Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia, Torino, Lindau, 2011; La Cattolica. Lineamenti d’ecclesiologia agostiniana, Torino, Lindau, 2011.


 
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