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Lo scettro passa da Israele ai Pagani
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È venuto “il tempo del Messia”

Genesi (XLIX, 10); Daniele (IX, 24-27)

Introduzione

L’attesa del Messia era particolarmente viva quando i Romani con Pompeo si impadronirono della Terra Promessa (63 a. C.). Quest’attesa si fondava specialmente su due profezie del Vecchio Testamento. La prima fu fatta dal Patriarca Giacobbe verso il 1700 a. C. e la seconda dal Profeta Daniele verso il 600 a. C., esse si trovano nel Libro della Genesi e nel Libro di Daniele. Vediamo di cosa si tratta.

Genesi (XLIX, 10)

Il Patriarca Giacobbe si trasferì in Gessen di Egitto (Gen., XLV, 25 – XLVII, 27), presso suo figlio Giuseppe 215 anni dopo l’emigrazione di Abramo da Ur di Caldea nella Terra Promessa (Gen., XI, 27 – XII, 7). Comunemente gli esegeti ritengono che Abramo sia vissuto contemporaneamente ad Ammuraphi (1947 a. C – 1905 a. C.). Quindi Giacobbe si sarebbe spostato in Egitto attorno al 1730/1710 (cfr. Ignazio Schuster – Giovanni Battista Holzammer, Manuale di Storia Biblica, Torino, SEI, II ed., 1951, vol. I, Il Vecchio Testamento, p. 218-219).

“Giacobbe, nella nuova terra apprestatagli e governata da suo figlio Giuseppe, visse 17 anni, morendo in età di 147 anni (Gen., XLVII, 28). Prima di morire adottò come suoi i due figli di Giuseppe. […]. Egli si fece anche giurare da Giuseppe che lo avrebbe seppellito, non già in Egitto, ma a Makhpelah presso i padri suoi” (Giuseppe Ricciotti, Storia d’Israele, Torino, SEI, 1932, 1° vol., p. 173).

Quando Giacobbe si sentì morire chiamò a raccolta i suoi figli e illuminato da Dio rivolse loro delle parole profetiche, che son conosciute sotto il nome di “benedizione di Giacobbe”. La profezia che ci interessa è quella che Giacobbe diresse al figliolo Giuda, la quale recita: “Lo scettro non verrà tolto a Giuda, né l’impero alla sua discendenza, sinché venga Chi deve essere mandato; ed Egli sarà l’aspettato dalle Nazioni” (Gen., XLIX, 10).

Padre Marco Sales nel suo Commento alla Genesi (Torino, Berruti, 1918, pp. 238-240, nota 10, in corso di ristampa presso Edizioni EFFEDIEFFE) scrive: “Lo scettro – in ebraico sebet – è il simbolo del potere sommo. L’impero è il regno in cui risiede il potere sommo, che viene esercitato da colui il quale detiene lo scettro e il governo. Quindi il testo significa che la tribù di Giuda manterrà la supremazia sulle altre tribù, sino a che venga Colui che è l’Inviato – in ebraico Siloh – ossia sino alla venuta del Messia Gesù Cristo, Inviato dal Padre a redimere l’umanità. […]. Ora lo scettro del comando fu perso da Giuda al tempo dello sterminio degli ultimi re Maccabei e all’inizio del regno dell’Idumeo Erode il Grande (35 a. C.). In quel momento, essendo sorta in Giudea una dinastia non solo non appartenente alla tribù di Giuda, ma addirittura estranea alla religione monoteistica di Jaweh, doveva essere aspettato il Messia, il quale – nella profezia di Giacobbe riportata dalla Genesi XLIX, 10 – non era mostrato come dovendo venire sùbito dopo la perdita dello scettro da parte di Giuda, ma a partire da quel tempo, ossia dopo la perdita dello scettro (35 a. C.) e non prima. Infatti da quel momento iniziò la febbrile attesa del Messia in tutta la Palestina, che nacque quando Erode finì di regnare sulla Giudea e lasciò lo scettro ai suoi successori: Filippo (4 a. C. – 34 d. C.), Archelao (4 a. C. – 6 d. C.) ed Erode Antipa (4 a. C. – 39 d. C.). Gesù –crocifisso sotto Erode Antipa, che aveva fatto decapitare Giovanni Battista – iniziò a regnare su tutti i popoli, mentre la Giudea andò incontro alla sua devastazione definitiva ad opera dei Romani, iniziata con Pompeo nel 63 a. C., terminata con la distruzione di Gerusalemme sotto Vespasiano e Tito nel 70 d. C. ed infine di tutta la Palestina con Adriano nel 135. Il fatto che i Maccabei, i quali non discendevano dalla tribù di Giuda, avessero iniziato a reggere la Palestina nel 175 a. C. non significa che Giuda avesse perso già allora lo scettro. Infatti la profezia di Giacobbe non dice che Colui il quale detiene lo scettro debba essere del sangue di Giuda, ma solo che dovrà governare nello spirito di Giuda, come fedele di Jaweh e facente parte del popolo scelto da Dio in Abramo. I Maccabei erano Israeliti, della tribù di Levi e pii adoratori di Jaweh, anche se non della tribù di Giuda, ma governando secondo lo spirito di Giuda”.

Mons. Antonio Martini osserva: “Noi vedremo la tribù di Giuda godere di una speciale preminenza sopra le altre tribù, prima che fosse re in Israele (cfr. Numeri, X, 14; XI, 3; XII, 12; Giosuè, XVI, 1; Giuditta, I, 2). Da David sino alla cattività di Babilonia tutti i re di Gerusalemme furono della stirpe di Giuda. Nel tempo della cattività troviamo dei giudici della medesima stirpe (cfr. Dan., XIII, 4). Dopo il ritorno da Babilonia la tribù di Giuda ebbe un tale predominio da dare il nome a tutta la nazione degli Ebrei. Se i Maccabei, che erano della tribù di Levi, governarono per un certo tempo, il loro potere venne trasfuso ad essi dalla tribù di Giuda; la quale perciò non perdé ancora il suo scettro e impero, come non lo perde un popolo libero che si sceglie liberamente dei governanti di un’altra stirpe, i quali però lo governano con l’autorità ricevuta da lui” (Sacra Bibbia, Vecchio Testamento, Napoli, Margheri, 1905, vol. I, p. 405, nota 10). In breve i Maccabei della tribù di Levi governarono la Giudea scelti da Dio per la tribù di Giuda, combattendo per l’onore di Jaweh e del Giudaismo. Quindi lo scettro, sotto il regno maccabico, rimase a Giuda.

Tirannio Rufino di Aquileia (345 – 410) dal canto suo afferma: “Sino a pochi anni prima della nascita di Cristo non mancarono i Prìncipi dalla tribù di Giuda. Sino al re Erode che è stato uno straniero ed ha usurpato il trono della Giudea grazie ai suoi intrighi. Non appena questo accadde (35 a. C – 4 a. C.) e venne a mancare un Capo da Giuda, venne Colui per il quale era stato preparato il Regno eterno” (Le benedizioni dei Patriarchi, I, 7).

Dom Jean de Monléon – nel suo libro Les Patriarches. Commentaire historique et mystique sur les récits de la Genèse XI-XLIX, Parigi, Ed. de la Source, 1953, p. 476 – afferma che «Quando vedremo la dignità regale sfuggire alla tribù di Giuda, allora dobbiamo sapere che l’ora della venuta del Messia è suonata».

Quando gli ultimi due Maccabei: Aristobulo II († 48 a. C.) e Ircano II († 30 a. C.), si rivolsero ai Romani oramai installatisi in Siria per ottenere un giudizio su chi di loro due dovesse regnare in Palestina, l’Idumeo Erode il Grande sfruttò il momento propizio, mettendosi a disposizione dei Romani e si sbarazzò dei 2 Maccabei, spodestando e facendo uccidere, dal Triunviro romano Antonio (35 a. C.), Antigono II Mattatìa, il figlio di Aristobulo II e re di Giudea (dal 40 al 37 a. C.), quindi nei 9 anni successivi (dal 35 al 27 a. C.) fece sterminare tutta la famiglia dei Maccabei.

Erode il Grande inoltre fece il censimento della Palestina per ordine del primo Imperatore romano Ottaviano Augusto (Lc., II, 1) durante il quale nacque Gesù Cristo (7 / 5 a. C.)[1] e ordinò poi la strage degli Innocenti a Betlemme (6 / 4 a. C.) poco tempo prima di morire 70enne a Gerico, corroso da ulceri verminose, il 1° aprile del 4 a. C. Egli non ebbe nessun rispetto per la Religione giudaica veterotestamentaria, era rimasto un pagano Idumeo nel suo cuore e nemico di Israele, anche se sapeva ben dissimulare, quando occorresse; solo talvolta usò, per mera convenienza, un certo qual riguardo per i Giudei, divenuti suoi sudditi, che lo detestarono cordialmente, contraccambiati abbondantemente dall’Idumeo divenuto re d’Israele (cfr. F. Spadafora, Dizionario biblico, Roma, Studium, III ed., 1963, pp. 213-216, voce “Erode, il Grande” e “Erode, famiglia di”).

«Era scomparsa, così, completamente anche l’apparenza di un’indipendenza nazionale, “lo Scettro era stato tolto a Giuda”. Infatti il regno della Giudea era passato alla famiglia idumea di Erode, ossia a gente straniera per Israele e pagana in sé. Quindi era venuto il tempo in cui doveva giungere il Salvatore e il Messia promesso da Dio ai Patriarchi e ai Profeti» (Ignazio Schuster – Giovanni Battista Holzammer, Manuale di Storia Biblica, Torino, SEI, II ed., 1951, vol. I, Il Vecchio Testamento, p. 957).

Questa prima profezia di Giacobbe ci fa capire come con il dominio romano sulla Palestina, sotto Pompeo (63 a. C.), e soprattutto con l’intronizzazione di Erode il Grande, un Idumeo pagano (35 a. C.) sul trono di Giuda, si stesse avvicinando l’avvento di Gesù.

Daniele (IX, 24- 27)

Nel primo anno (anno 520) del regno di Dario (521-486 a. C.) il profeta Daniele (deportato a Babilonia nel 606 a. C.) supplicava il Signore, con digiuni e penitenze, perché mantenesse la promessa fatta a Geremia, che aveva poi riportato nel suo Libro (Ger., XXVII, 11 ss.), predicendo la caduta del Regno di Giuda (anno 587), la prigionia dei Giudei in Babilonia (606-536) che sarebbe durata 70 anni, la caduta di Babilonia (anno 539), la liberazione dei Giudei dalla loro prigionia, il loro primo ritorno in Patria sotto Zorobabel nel 536 e il loro secondo ritorno sotto Esdra nel 466, la ricostruzione del Tempio anche se non ancora ultimata dagli ornamenti (anno 516), delle mura di Gerusalemme (anno 453) e l’avvento del Messia tanto atteso.

Ormai (dopo il 520, quando Daniele pregò Iddio di avverare la profezia di Geremia) il 70° anno di cattività di Giuda in Babilonia (anno 516) stava per venire (Dan., IX, 20).

Dunque improvvisamente (Dan., IX, 1-20) discese dal cielo l’Arcangelo Gabriele e gli disse: “70 settimane [ogni settimana presso i Giudei valeva 7 anni. Infatti contare con anni di settimane era un uso comune presso i Giudei, poiché ogni 7 anni ricorreva l’anno sabatico e dopo 7 settimane di anni ricorreva l’anno giubilare e del perdono. Quindi 70 x 7 anni = 490 anni, ndr] sono state fissate per il tuo popolo e per la tua Città Santa, affinché sia tolta la prevaricazione, ed abbia fine il peccato, e sia cancellata l’iniquità, introdotta l’eterna giustizia, ed abbia adempimento la visione e la profezia, e riceva l’unzione il Santo dei Santi [l’Incarnazione del Verbo, ndr]. Sappi che dal giorno in cui uscirà l’editto per la ricostruzione di Gerusalemme [si tratta dell’editto di Artaserse I Lungimano accordato a Neemia nel 454 (cfr. II Esdra, II, 1-8) di ricostruire Gerusalemme e non dell’editto di Ciro che autorizzò i Giudei a ritornare in Patria nel 536 (cfr. I Esdra, I, 2 ss.), ndr], sino al Cristo Principe [i 33 anni a partire dall’Incarnazione, ndr], vi saranno 7 settimane e 62 settimane [483 anni, infatti  7 settimane: 7 x 7 anni = 49 anni; 62 settimane: 7 x 62 anni = 434 anni; 49 anni + 434 anni = 483 anni. Ora 454 a. C. – 483 a. C. = 29 d. C., l’anno del Battesimo di Gesù, ndr], e saranno di nuovo edificate le piazze e le mura in tempi di angustia [tuttavia l’Angelo Gabriele divide in due parti questo lungo periodo di 49 anni + 434 anni. Infatti, nella prima parte, i 49 anni rappresentano il tempo che occorrerà per ricostruire il Tempio di Gerusalemme, tra le angustie date ai Giudei dai loro vicini e soprattutto dai Samaritani. Ora il Vangelo (Giovanni, II, 20: “Quadraginta et sex annis aedificatus est Templum hoc / Questo Tempio è stato edificato in 46 anni”) ci narra che secondo la storia ebraica la ricostruzione del Tempio sotto Erode il Grande era iniziata il 18/19 a. C. ed aveva richiesto 46 anni. Quindi la frase riportata dal Vangelo di S. Giovanni (II, 20) fu pronunciata dai Giudei verso il 28/29 d. C., mentre il Tempio fu terminato in tutti i suoi dettagli nel 62, ma Eusebio di Cesarea (Demonstratio evangelica, libro VIII, Patrologia Greca, tomo XXII, colonna 614), che riprende Giuseppe Flavio (Antichità Giudaiche, libro XV, paragrafo 11, numero 1; Ibidem, libro XV, paragrafo 6, numero 421; Guerra Giudaica, libro V, paragrafo 5; Contra Apionem, libro I, paragrafo 22), asserisce che la ricostruzione completa degli ornamenti del Tempio ha richiesto altri 3 anni di lavoro, quindi 49 anni in tutto con la fine nel 65,  ossia appena 1 anno prima che iniziasse la guerra giudaico/romana e 5 anni prima della sua distruzione, ndr]. E dopo 62 settimane, il Cristo sarà ucciso [ecco la seconda parte di 62 anni x 7 = 434 anni, dopo la prima, che abbiamo appena visto, di 7 anni x 7 = 49 anni.  Ora 49 + 434 = 483 anni, poi anno 454 a. C. (editto di Artaserse I Longìmano) – 483 anni = 29 d. C., l’anno del Battesimo dei Gesù, che iniziò allora il suo Ministero pubblico, il 15° anno del regno di Tiberio Cesare (Lc., III, 1-22 “Anno autem quintodecimo imperii Tiberii Caesaris / Il quindicesimo anno del regno dii Tiberio”): anno 14 d. C. + 15 anni = anno 29 d. C. ndr], e il suo popolo che lo rinnegherà non sarà più [Israele deicida non è più il popolo eletto di Dio, ndr]. La Città [Gerusalemme, ndr] e il suo Tempio saranno distrutti [nel 70 d. C., ndr] da un popolo [i Romani, ndr] e dal suo condottiero [Vespasiano, ndr] che verrà [66 d. C., ndr] e la sua fine sarà la devastazione, dopo che la guerra sarà finita [70 d. C., ndr]. Ma in una di quelle settimane [l’ultima delle 70 settimane, ossia l’anno 490°, ndr] l’Unto, il Principe [Gesù Cristo, ndr] confermerà l’Alleanza con molti [anno 454 a. C. editto di Artaserse – 483 anni (7 x 7 anni = 49 anni; 62 anni x 7 = 434 anni; in totale 49 anni + 434 anni = 483 anni. Quindi 483 anni – anno 454 a. C. = 29 d. C. il Battesimo e l’inizio predicazione di Cristo, Unto dallo Spirito Santo che scese su di lui sotto forma di colomba, ndr] ed alla metà della settimana [1 settimana = 7 anni, divisi a metà = 3 anni e 6 mesi. Quindi dopo 3 anni e mezzo di vita pubblica di Gesù: anno 29 d. C. + 3, 5 anni =  anno 32, 5 d. C. ossia alla metà dell’ultimo 490° anno, con la crocifissione di Gesù, ndr] cesseranno le Ostie e i Sacrifici [dell’Antico Testamento nel Tempio di Gerusalemme, rimpiazzati dal Sacrificio della Croce di Cristo nel 33 d. C., ndr], e nel Tempio vi sarà l’abominazione della desolazione [37 anni dopo, nel 70 d. C. il Tempio sarà profanato dai Romani e incendiato, ndr], e la desolazione [del Giudaismo deicida, ndr] durerà sino all’ultimo termine [sino a quando Israele non si convertirà a Cristo poco prima della fine del mondo (cfr. Rom., XI, 26)” (Dan., IX, 24-27).  Cfr. S. Alberto Magno, Opera Omnia, Parigi, Vivès, 1890, tomo XVIII, In Danielem, pp. 447 ss.; S. Bonaventura da Bagnoregio, Opera Omnia, Parigi, Vivès, 1866, Super Danielem prophetam; Cornelio a Lapide, Commentaria in Sanctam Scripturam, Parigi, Vivès, tomo XIII; S. Girolamo, In Danielem prophetam, Patrologia Latina, Migne, tomo XXV, cap. 491 ss.; Ruperto da Deutz, In Danielem prophetam, Patrologia Latina, Migne, tomo CLXVII, colonna 1499 ss.; Teodoreto, Commentarius in visiones Danielis prophetae, Patrologia Greca, Migne, tomo LXXXI, pp. 195 ss.; Jean de Monléon, Le prophète Daniel, Parigi, Editions de la Source, 1962, pp. 192-202; M. Sales, Commento al Vangelo di S. Giovanni, Proceno di Viterbo, EFFEDIEFFE, 2015, p. 33, nota 20.

“In questa profezia viene annunciato il massimo anno giubilare e del perdono, l’anno della riconciliazione col Signore, ossia della Redenzione. Le 70 settimane (490 anni) sono una determinazione di ordine generale del tempo in cui tutta l’opera della Redenzione sarà condotta a termine. Solo in séguito si faranno determinazioni particolari e specifiche. Le settimane sono calcolate come complete di 7 giorni, ma a metà della 70a settimana (3 anni e 6 mesi) l’opera della Redenzione sarà già compiuta. Trascorso questo tempo si avrà la santità promessa dai Profeti (il perdono dei peccati, la grazia, la pace), tutte le profezie sul Messia saranno compiute e il Santo dei Santi, che è Gesù sarà Unto” (Ignazio Schuster – Giovanni Battista Holzammer, Manuale di Storia Biblica, Torino, SEI, II ed., 1951, vol. I, Il Vecchio Testamento, pp. 900-904).

Questa seconda profezia è impressionante. Partendo da circa 500 anni prima di Cristo arriva a determinare il tempo in cui il Verbo Incarnato avrebbe salvato l’umanità. Si tratta di 7 settimane e 62 settimane di anni, ossia 483 anni. Ora a partire dall’Editto di Artaserse I nel 454 a. C. se si scalano i 483 anni si arriva al 29 d. C., l’anno del Battesimo di Gesù e dell’inizio della sua vita pubblica, che lo portò alla morte di croce. Nel Vecchio Patto i fedeli e specialmente i dottori della Legge e i sacerdoti conoscevano le Scritture a menadito. Ecco perché tutti in Israele aspettavano con ansia il Messia a partire dal regno di Erode, quando lo scettro aveva lasciato Giuda (35 a. C.), e allorché circa 1 anno e ½ dopo la Natività (6 / 4 a. C.) i Magi giunti a Gerusalemme (Mt., II, 1-2) chiesero dove sarebbe nato il Messia, i Sacerdoti risposero che sarebbe nato a Betlemme (Mt., II, 3-6) proprio allora, come aveva rivelato il profeta Michea (V, 2), senza meravigliarsi di una tale domanda. Inoltre il vegliardo Simeone e la profetessa Anna (Lc., II, 21-38) si recavano ogni dì al Tempio, pregando Dio di far loro vedere il Messia che sapevano essere nato (7 / 5 a. C.), secondo il computo delle Scritture, e quando videro la Sacra Famiglia, che si era recata nel Tempio per la Presentazione  di Gesù e la Purificazione di Maria, 40 giorni dopo la Natività del Verbo Incarnato, riconobbero nel bambino offerto al Tempio il Messia e lo adorarono.

Unitamente alla profezia di Daniele (IX, 24-27), la profezia di Giacobbe, contenuta nella Genesi (XLIX, 10) – in cui si rivelava che quando lo scettro del comando avesse abbandonato Giuda e fosse passato in mani idolatriche il Messia sarebbe stato prossimo a comparire – era ben fissa e stampata nelle menti dei pii Israeliti, che vivevano nell’attesa del Messia promesso già agli albori dell’umanità.

Eccoci dunque arrivati al termine del percorso iniziato con i Maccabei. Monsignor Francesco Spadafora scrive: “Il periodo maccabico con la lotta contro i Seleucidi di Siria orientò i Giudei verso una interpretazione errata del Messia, che si afferma nella letteratura apocrifa e rabbinico/farisaica. Il particolarismo rabbinico trovò in quella situazione sacrosanta in sé un nuovo impulso. La salvezza messianica fu rivolta dai rabbini tutta a solo beneficio di Israele, e fu intesa quasi esclusivamente quale predominio politico di questo su tutte le Genti. Furono trascurate le idee essenziali del Messianismo vero per porre al loro posto l’elemento caduco e accessorio del dominio mondiale di Israele, con un’esegesi letterale, esagerata spesso sino al ridicolo[2]. […]. L’opposizione tra la Rivelazione del Vecchio Testamento attuata da Cristo nel Nuovo Patto e l’interpretazione giudaico/farisaica pre/talmudica dominante non poteva essere più stridente; essa fu fatale a Israele, che rimase fuori della salvezza. […]. I rabbini nel II secolo a. C. ripresero le antichissime idee gnostico/mitologiche dei Babilonesi sull’origine del mondo, trasformandole e applicandole ai destini di Israele: lo sconvolgimento cosmico finale come il suo inizio avrebbe rovinato i Pagani, mentre avrebbe dato a Israele la felicità definitiva su questa terra” (Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1952, vol. VIII, col. 847, voce “Messia e Messianismo”). La vittoria militare dei Maccabei su Antioco IV, santa in sé, fu male interpretata dai rabbini Farisei (nemici dei Maccabei) e dai sacerdoti Sadducei, che videro in essa un elemento per considerare la figura del Messia come un guerriero il quale avrebbe distrutto i non-ebrei e avrebbe ridato la pace e la prosperità ad Israele su questa terra (soprattutto per i Sadducei, che non credevano nell’aldilà).

Conclusione

Messia viene dall’aramaico Mesciach e dall’ebraico Masciach e significa Unto, in greco Kristòs. L’Unzione nel Vecchio Testamento consacrava un individuo per renderlo atto ad esercitare la funzione di re o di sacerdote. A partire dal II secolo a. C. l’Unto per eccellenza fu esclusivamente il futuro Messia dal quale si aspettava la salvezza spirituale, dopo aver sconfitto Egli il peccato. Questa liberazione dal peccato, salvezza spirituale o Redenzione era affidata nel Vecchio Testamento ad un personaggio atteso a lungo prima che apparisse nel mondo. Tutta la storia del popolo d’Israele è una preparazione al giorno dell’Avvento del Messia.

Il Redentore o Messia fu promesso agli albori dell’umanità, sùbito dopo il peccato di Adamo, quando Dio maledisse satana, autore del primo peccato degli Angeli e tentatore di Adamo, che sarebbe stato sconfitto da una Donna (Gen., III, 15)[3] e dalla sua discendenza (Gesù Cristo). Nel 1900 a. C. circa Dio promise ad Abramo che il Messia sarebbe disceso da lui e sarebbe stato la salvezza per Israele e per tutte le Genti (Gen., XII, 1-3; XVIII, 18-19; XXII, 18; XXVI, 4; XXVIII, 14). Gli uomini conservarono questa speranza, ulteriormente precisata dalla “profezia di Giacobbe” nel 1700 a. C. circa (Gen., XLIX, 10). Con Davide, nel 1000 a. C. circa, Iddio promise un “trono eterno” e una “alleanza eterna” con il Messia discendente di Davide (II Sam., VII, 11-16; XXIII, 5). Dio nel Re futuro, il Messia, discendente da Davide secondo la carne, avrebbe redento Israele e tutta l’umanità. Davide proclamò la dignità divina del Messia (Sal., II), il suo Sacerdozio salvifico (Sal., CIX), ma ne annunziò anche le sofferenze come uomo (Sal., XXI) e la gloria eterna come Dio (Sal., XV). Il Messia sarebbe nato dalla stirpe di Davide (Is., XI, 1), nella città davidica, Betlemme, (Mic., V, 1-5), da una Vergine (Is., VII, 14). In Lui, “Dio forte”, sarebbe rifulsa la pienezza dei Doni dello Spirito Santo (Is., IX, 5; XI, 2-5) e il suo regno sarebbe stato un regno spirituale e di grazia al quale sarebbero accorse tutte le Genti (Is., XI, 6-10; XII, 2-5; Mic., IV, 1-3). Con il crollo del regno di Israele (722 a. C.) e poi del regno di Giuda (587 a. C.) sembrò che le promesse di Dio fossero state smentite, ma proprio quando mancano gli aiuti umani, Dio rinnova i suoi impegni con l’umanità (Ger., XXXII, 42) servendosi delle sciagure per condurre alla salvezza e alla santità. Israele avrebbe conosciuto l’umiliazione della schiavitù di Babilonia (587-538 a. C.), ma avrebbe imparato a sue spese che la liberazione promessa da Dio va ricercata nei beni spirituali e non in quelli materiali. Israele così umiliato sarebbe stato in condizione di ricevere l’annunzio di un Messia sofferente, che avrebbe redento il mondo intero e non solo la Giudea, addossandosi i peccati degli uomini e affrontando una morte crudelissima (Is., LII, 13-53).

I Farisei nacquero come pii zelatori della religione del Vecchio Testamento, sùbito dopo l’esilio di Babilonia (anno 587) durante il quale mantennero la loro identità religiosa/nazionale, ritornando in Patria (anno 516), ma dopo la magnifica vittoria maccabica contro Antioco Epifane, essi pian piano cominciarono a degenerare in senso super-nazionalistico, nel culto della loro razza e nella visione temporalistica del Regno messianico e nella ipocrisia, che li porterà a polemizzare con Gesù. Invece i Profeti avevano proposto a Israele la figura di un Messia mansueto, sofferente, pacifico e salvatore spirituale dell’umanità intera, non dei soli Giudei (Zacc., IX, 9 ss.), che avrebbe abrogato i sacrifici del vecchio Patto offerti dai sacerdoti nel Tempio di Gerusalemme e li avrebbe rimpiazzati con l’Oblatio munda (Mal., III, 1 ss.; L IV, 5 ss.). Tuttavia quando il Messia si presentò nella Persona divino/umana di Gesù Cristo, il Giudaismo, che si era man mano corrotto dopo l’eroica epopea dei 5 fratelli/guerrieri Maccabei figli di Mattatia acquistando una mentalità “messianistico/terrena e temporale”, prospettando il dominio di Israele sul mondo dei non-giudei, grazie al Messia militante, avvenne lo scontro tremendo tra il Messianismo spirituale/cristiano predicato da Gesù e quello temporale/rabbinico predicato dai Farisei e dai Sadducei, il quale fu l’origine dell’incomprensione e del rifiuto che il popolo una volta eletto oppose all’Unico Messia Inviato da Dio: il Verbo Incarnato.

Lo stesso si può dire dei Sadducei, nati bene con il Sommo Sacerdote Sadoc (I Re, II, 35) verso il 1000 a. C. sotto Davide come Sacerdoti del Tempio costruito da lui e dal figlio Salomone, ma che cominciarono a degenerare contemporaneamente ai Farisei per la medesima visione politico/trionfalistica del Messia Militante. Infatti la dottrina sul Messia costituisce il punto d’incontro (nelle profezie dell’Antico Testamento) e di opposizione (nella loro realizzazione nel Nuovo Testamento) tra il Giudaismo postbiblico o talmudico e il Cristianesimo. Il Messia fu considerato dai Farisei e Sadducei un puro uomo, un semplice conquistatore e venne ignorata la sua missione di perdono dei peccati e di Redenzione del genere umano. L’interpretazione giudaico/talmudica non poteva allontanarsi in maniera più stridente dall’opera redentrice del Messia, venuto non ad essere servito, ma a servire e a dare la sua vita per la salvezza di molti (Mt., XX, 28).

I Giudei postbiblici, nonostante la pazienza infinita del Messia Gesù a causa dei loro preconcetti sulla figura messianica, rimasero fatalmente fuori della salvezza. Il Messia fu ucciso proprio da Israele che era stato eletto da Dio per accoglierlo e farlo conoscere a tutti i popoli pagani e che invece lo disprezzò, gli resistette (Zacc., XII, 8-13; Mt., XXIV, 30; Jo., XIX, 37) e complottò per crocifiggerlo.  (Cfr. L. Tondelli, Il disegno divino nella storia, Torino, 1947; S. Garofalo, La nozione profetica del “resto” di Israele, Roma, 1942; G. Bonsirven, Il Giudaismo palestinese al tempo di Gesù, Torino, 1950; Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1952, vol. VIII, coll. 843-849, voce “Messia e Messianismo” a cura di F. Spadafora; P. Heinisch, Teologia del Vecchio Testamento, Torino, Marietti, 1950, pp. 359-408; Id., Cristo redentore nell’Antico Testamento, Brescia, 1956).

d. Curzio Nitoglia



[1] “La fissazione della nascita di Gesù all’anno 754 ab Urbe còndita è sbagliata per un ritardo di almeno 7 / 5 anni. Infatti Gesù Cristo è nato prima del 750 di Roma, cioè almeno 7 / 5 anni prima dell’Era Volgare” (G. Ricciotti, cit., p. 415, nota 1). Quindi Gesù è nato il 7 / 5 avanti Cristo ed è morto a 33 anni nel 26 / 28 d. C.

[2] Esegesi che è stata ripresa dal Fondamentalismo protestante statunitense, il quale nulla ha a che vedere con il Vecchio e il Nuovo Testamento, sublimati nella Persona divina di Gesù, ma che è tipicamente talmudica, anticristiana e contraria alla Legge di Mosè e ai Profeti veterotestamentari. Questa concezione politica influenza gli Usa e specialmente i neoconservatori anche europei come pure i sionisti - accomunati dalla visione talmudica messianistico/temporale – i quali alla pari degli Zeloti stanno per scatenare, con l’aiuto degli Usa, un’altra guerra (questa volta atomica e mondiale) onde ottenere il dominio sul mondo medio orientale, russo e cinese che ancora sfugge loro.

[3] Sarebbe molto interessante studiare tutte le profezie messianiche del Vecchio Testamento, come sono state interpretate dai Padri, dai Dottori scolastici e dagli esegeti ricevuti nella Chiesa per conoscerne il loro esatto significato. Cfr. J. E A. Lémann, La question du Messie e le Concile du Vatican, Parigi, ed. J. Albanel, 1869.

 
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