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Deporre il Papa?
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Introduzione

In una “Lettera Aperta ai Vescovi della Chiesa Cattolica”, del mese di maggio del 2019, alcuni studiosi laici ed ecclesiastici accusano papa Francesco di eresia[1].

Inoltre gli Autori ritengono che un Papato eretico non possa esser tollerato o ignorato con l’idea di evitare in tal modo un male peggiore, fosse pure uno Scisma simile al Grande Scisma d’Occidente (sec. XV), in cui nella Chiesa vi furono contemporaneamente tre “Papi” di cui due antipapi. Un Papato come quello di Francesco deve esser sottoposto a correzione da parte dei Vescovi.

Per tal motivo lo studio contenuto in questa “Lettera” si conclude con l’invito ai Vescovi 1°) di ammonire papa Francesco a rinnegare le sue eresie 2°) se dovesse ostinatamente rifiutarsi, a deporlo e a nominare un altro Papa.

Esporremo i principali argomenti contenuti nella “Lettera Aperta” sotto forma di “Obiezioni” e cercheremo di confutarli sotto forma di “Risposte”.

*

Obiezioni e Risposte

Obiezione n. 1 della “Lettera Aperta”: il Decreto di Graziano (dist. XL, can. 6)

«Il canone che ha preso per la prima volta in considerazione esplicita la possibilità dell'eresia di un Papa si trova nel Decreto di Graziano. Il canone 6 della distinzione XL del Decreto afferma che un Papa non può essere giudicato da nessuno, a meno che non si scopra che egli abbia deviato dalla fede».

«Questo canone è stato incluso insieme al resto del Decreto di Graziano nel Corpus Iuris Canonici, che ha formato le basi del diritto canonico della Chiesa Latina fino al 1917 e la cui autorità è sorretta dall'autorità papale, dato che il diritto della Chiesa è sostenuto dall'autorità papale stessa»[2].

Risposte alla obiezione n. 1

Il Decreto di Graziano e l’assioma canonico “Prima Sedes a nemine judicetur”

1) Il Decretum Gratiani

Monsignor Antonio Piolanti scrive: “Il Conciliarismo è un errore ecclesiologico, secondo cui il Concilio ecumenico è superiore al Papa. L’origine remota del Conciliarismo si trova nel principio giuridico, secondo cui il Papa può essere giudicato dalla Chiesa in caso di eresia (Decreto di Graziano, dist. XL, canone 6). […]. Quando lo Scisma d’Occidente (1378 – 1417) funestò la Chiesa, molti, anche bene intenzionati, trovarono in queste teorie la via d’uscita da tanti mali. […]. Il Papa può dirsi Capo della Chiesa […] ma siccome può errare, e perfino cadere in eresia, dovrà in tal caso essere corretto e anche deposto” (Dizionario di Teologia Dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, pp. 82-84, voce “Conciliarismo”; VI ed. Proceno di Viterbo, EFFEDIEFFE, 2018).

Il Decretum Gratiani (I pars, distinzione 40, canone 6: “Si Papa”) è contraffatto o falsificato

Il canone 6 (“Si Papa”) I pars, distinzione 40 del Decreto di Graziano (composto attorno al 1140), attribuito a S. Bonifacio Arcivescovo di Magonza († 754), è spurio, ossia falsificato, ed è proprio su questo canone 6, ritenuto autentico da S. Ivo di Chartres (1140-1115) e dal monaco camaldolese Graziano del XII secolo, che molti teologi hanno affrontato la questione puramente ipotetica dell’ eresia del Papa, a causa della quale potrebbe essere giudicato e deposto” (Pacifico Massi, Magistero infallibile del Papa nella Teologia di Giovanni da Torquemada, Torino, Marietti, 1957, p. 117).

Anche Albert Pigge detto il Pighius[3] (†1452) nel suo Hierarchiae Ecclesiasticae assertio (lib. IV, cap. 8, fol. 76) esprimeva i suoi forti dubbi intorno all’autenticità del canone 6 “Si Papa” attribuito a Graziano (Pacifico Massi, ivi).

Mons. Vittorio Mondello, ora Arcivescovo emerito di Reggio Calabria, nella sua Tesi di Laurea discussa nel 1963 all’Università Gregoriana e pubblicata nel 1965, scrive: “Graziano inserisce nel suo Decreto un frammento, creduto di S. Bonifacio Arcivescovo di Magonza, nel quale si dice che il Papa può essere giudicato dal Concilio in caso di eresia. […]. Il cardinale Deusdedit (†1110 c.ca) l’ha inserito nella sua Collezione canonica, sotto il Pontificato di Vittorio II (1055-1057). Di qui è passato nelle raccolte giuridiche di Ivo di Chartres (1040-1115) dalle quali Graziano lo ha ripreso ritenendolo autentico[4]” (V. Mondello, La dottrina sul Romano Pontefice, Messina, 1965, p. 24 e p. 164).

Secondo tale teoria, fondata su questo canone spurio del Decreto di Graziano, il Concilio ecumenico sarebbe superiore al Papa. Quindi il Papa potrebbe essere giudicato dal Concilio ecumenico “imperfetto” (Episcopatus sine Papa) in caso di eresia e poi deposto[5]. È per questo motivo che il CIC del 1917 (e quello del 1983) non ha ripreso tale canone ed ha insistito sul principio secondo cui “la Prima Sede non è giudicata da nessuno”, altrimenti non sarebbe “prima”, ma “seconda” all’ Episcopato o al Concilio “imperfetto” (cfr. A. Villien – J. de Ghellinck, Dictionnaire de Théologie Catholique, vol. VI, coll. 1727 ss., voce “Gratien”).

2) Il Corpus Iuris Canonici

Il Corpus Iuris Canonici è una collezione di documenti legali, disposti in ordine sistematico. In esso è confluito il Decreto di Graziano, le Extravagantes di Giovanni XXII e le Extravagantes communes. Tuttavia “l’opera non è stata mai promulgata come un tutto unico, non può considerarsi come un Codice che tragga la propria unità dalla volontà del legislatore, per cui tutte le sue parti abbiano il medesimo valore. Gregorio XIII con la Costituzione Cum pro munere del 1° luglio 1580 approvò l’opera svolta da una commissione di Cardinali e di studiosi nominata da S. Pio V nel 1566 con l’incarico di rivedere, correggere ed espurgare dalle aggiunte spurie il Decreto di Graziano (la revisione si imponeva soprattutto per esso)” (Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1950, vol. IV, col. 618, voce “Corpus Iuris Canonici” a cura di Arturo Carlo Jemolo).

3) Il Codex Iuris Canonici del 1917

Al canone 2332 il CIC del 1917 recita: “Tutti e singoli di qualsiasi stato, grado o condizione anche regale, episcopale o cardinalizia, che si rivolgono e si appellano al Concilio ecumenico contro le leggi, i decreti, i mandati del Romano Pontefice in carica, sono sospetti di eresia e incorrono ipso facto nella scomunica, riservata in modo speciale alla S. Sede”.

Padre Antonio Vermeersch, professore all’Università Gregoriana di Diritto Canonico e di teologia Morale, nel suo Epitome Iuris Canonici cum commentariis (Lovanio – Roma, Editrice Dessain, IV edizione, 1931, tomo III, p. 274, n. 532) commenta il canone 2332 nei seguenti termini: “La proibizione di appellarsi al Concilio ecumenico non riguarda un Papa defunto, ma un Papa regnante. Infatti l’appellarsi si fa da un giudice inferiore al Giudice superiore. Ora coloro che si appellano al Concilio contro il Sommo Pontefice regnante sono sospetti di eresia perché ‘la Prima Sede non è giudicata da nessuno’ (can. 1556), ed è stato definito nel Concilio Vaticano I che il Romano Pontefice ha la suprema potestà di giurisdizione anche indipendentemente dal Concilio”. Perciò appellarsi ai Vescovi contro papa Bergoglio per dichiararlo formalmente eretico, deporlo e farne eleggere un altro dal Collegio cardinalizio, significa negare implicitamente il dogma di fede, definito dal Concilio Vaticano I, del Primato di Giurisdizione del Papa (Concilio Vaticano I, DB, 1823, 1825, 1831). Quindi inizialmente vi è il sospetto di eresia (de haeresi suspecta)[6] verso coloro che ricorrono a tale appello all’ Episcopato e, se perseverano oltre 6 mesi in questo atteggiamento, essi sono considerati certamente eretici.

I Vescovi, infatti, sono i successori degli Apostoli nel governo ordinario della loro singola Diocesi sotto l’autorità del Romano Pontefice (CIC del 1917, can. 329, § 1) per istituzione divina (CIC del 1917, can. 3329, § 1).

Nel canone 1556 del CIC del 1917 sta scritto che “la Prima Sede non è giudicata da nessuno”. Padre Antonio Vermeersch commenta (op. cit., tomo III, p. 8, n. 11): “Il Papa è il Vicario di Cristo e non è sottomesso a nessun potere umano che possa essere superiore a lui. Ciò vale anche se delinque gravemente. Se come dottore privato venisse meno dalla fede, ciò che è reputato essere impossibile, ipso facto perderebbe la suprema autorità”. Il medesimo A. Vermeersch, Epitome Iuris Canonici cum commentariis (Lovanio – Roma, Editrice Dessain, IV edizione, 1929, tomo I, p. 222, n. 300) scrive che l’eresia del Papa “è del tutto improbabile”.

Come si vede tra i teologi l’opinione comune è che il Papa non possa essere dichiarato, dopo un processo canonico, eretico formale, ipoteticamente potrebbe essere eretico materiale, ossia potrebbe proferire delle eresie, ma non può essere giudicato e deposto dai suoi inferiori (Vescovi, Cardinali, Concilio imperfetto, ossia i Vescovi riuniti nel Sinodo senza il Papa). In breve la tesi del Papa eretico è puramente speculativa e ipotetica. Anche Padre Felice Maria Cappello dell’Università Gregoriana nella sua Summa Iuris Canonici (Roma, Gregoriana, ed. VI, 1961, vol. I, pp. 297-298, n. 301, note 21-22) parlando dell’eresia notoria del Papa scrive che “la si può considerare solo ipoteticamente e in astratto, mentre praticamente ed in concreto omnino excludenda est / va rigettata totalmente”.

Ancora Padre Felice Maria Cappello (Summa Iuris Canonici, Roma, Gregoriana, ed. IV, 1955, vol. III, pp. 552-561, nn. 671-691) espone la medesima dottrina riguardo a coloro che si appellano al Concilio contro il Sommo Pontefice regnante insegnando che essi sono sospetti di eresia perché ‘la Prima Sede non è giudicata da nessuno’ (can. 1556).

Il Dr. Antonio Retzbach nel suo commento al CIC del 1917 intitolato Il Diritto della Chiesa (Alba di Cuneo, Paoline, 1958, p. 629) scrive: “L’appello al Concilio ecumenico contro le leggi, decreti o precetti del Papa vivente rende sospetti di eresia ed ha per conseguenza la scomunica latae sententiae o ipso facto riservata in modo speciale alla S. Sede. Inoltre ogni persona che ha concorso all’appello si attira l’interdetto personale con le relative pene previste nel can. 2275”.

L’interdetto personale “priva la persona direttamente e ovunque dall’uso dei beni sacri. […]. Alle persone interdette è proibito: a) celebrare e partecipare ai riti sacri, eccetto che alla predica. L’assistenza passiva potrà essere tollerata; b) compiere, amministrare e ricevere i sacramenti; c) dopo la sentenza gli interdetti verranno esclusi dalla sepoltura ecclesiastica” (A. Reitzbach, cit., pp. 604-607).

4) Il CIC del 1983

Il CIC del 1983 riprende il canone 1556 del CIC del 1917 e insegna: “La Prima Sede non è giudicata da nessuno”. Luigi Chiappetta nel suo Commento giuridico-pastorale al Codice di Diritto Canonico (Napoli, Dehoniane, 1988, vol. II, p. 540, n. 4590) commenta: “La Prima Sede non è giudicata da nessuno, è una prerogativa che spetta di diritto divino al Romano Pontefice, in forza del Primato di giurisdizione che egli possiede ed esercita su tutta la Chiesa. […]. La sua immunità è assoluta”.

Poi commentando il canone 1372 del CIC del 1983[7], che recita: “Chi ricorre al Concilio Ecumenico o al Collegio dei Vescovi contro un atto del Romano Pontefice sia punito con una censura” scrive: “Un tale ricorso è assolutamente escluso, teologicamente e giuridicamente, dal Primato di giurisdizione del Romano Pontefice (can. 311). In tale ricorso [all’ Episcopato contro il Papa regnante, ndr] è implicito un atto sovversivo di scisma, la negazione o il distorcimento del Primato pontificio, frutto di errate teorie conciliariste, per cui giustamente il CIC precedente considerava il colpevole come sospetto di eresia” (Luigi Chiappetta, cit., p. 505, n. 4487).

5) Il Papa è il Vicario prossimo e immediato di Cristo ed ha un Primato di giurisdizione su tutta la Chiesa (de fide revelata et definita)

Gesù Cristo, come si legge in ogni pagina del Vangelo, ha fondato la sua Chiesa su Pietro per condurre tutti gli uomini in Paradiso. Ad Essa Cristo ha preposto gli Apostoli (i cui successori sono i Vescovi) come Rettori (cfr. Lc., VI, 13; Mt., XVIII, 15-18; XXVIII, 18-19; Giov., XX, 21). Inoltre costituì Pietro Capo e Principe degli Apostoli (cfr. Mt., XVI, 18-19; Giov., XXI, 17). A partire dalla Rivelazione, contenuta nella S. Scrittura e nella Tradizione Apostolica e Patristica (S. Ignazio d’Antiochia, Rom., Prologo; S. Ireneo di Lione, Adv. haereses, III, 3, 2; S. Cipriano di Cartagine, Epist., XII, 4; papa Clemente I, Epist., XLIV, 3, 45; 40, 12), il Magistero ha definito come Dogma di fede rivelata e definita[8] nel  Concilio Vaticano I (DB, 1823, 1825, 1831; v. Pio XII, Enciclica Sempiternus Rex, 8 settembre 1951) che il Papa ha un Primato di giurisdizione su tutta la Chiesa, conferito da Gesù a Pietro e ai suoi successori (i Papi). Il Concilio senza il Papa rappresenterebbe solo le pecore senza il Pastore. Perciò la Chiesa non è al di sopra del Papa, ma sotto il Papa come l’ovile e il gregge sono sotto il Pastore. Se il Concilio, i Vescovi, i Cardinali e i fedeli, invece, pretendessero di essere non gregge ma Pastore supremo almeno de facto, non sarebbero il Pastore scelto da Cristo, che è solo Pietro e i suoi successori, ma sarebbero un Pastore “abusivo” o un lupo travestito da Pastore (cfr. A. Piolanti, Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1953, vol. X, coll. 6-19, voce “Primato di San Pietro e del Romano Pontefice”; inoltre v. San Tommaso d’Aquino, S. Th., III, q. 8; Id., In Symbolum Apostolorum expositio, aa. 78; si consultino i trattati classici di Ecclesiologia di S. Roberto Bellarmino, Passaglia, Franzelin, Mazzella, Billot, Zapelena, Vellico,Lattanzi, Salaverri).

Per quanto riguarda l’ipotesi della deposizione del Papa che insegna errori, ancor prima della definizione dogmatica del Concilio Vaticano I, già nel secolo XVI il Gaetano (Apologia de comparata auctoritate Papae et Concilii, Roma, Angelicum ed. Pollet, 1936, p. 112 ss.) scriveva che il rimedio ad un male così grande (come “un Papa scellerato”) è la preghiera e il ricorso all’onnipotente assistenza divina su Pietro, che Gesù ha promesso solennemente e Gaetano cita il De regimine principum di S. Tommaso d’Aquino (lib. I, capp. V-VI), in cui il Dottore Comune insegna che normalmente i più propensi a rivoltarsi contro il tiranno temporale sono i “discoli”, mentre le persone giudiziose riescono a pazientare finché è possibile e solo come extrema ratio ricorrono alla rivolta. Quindi ne conclude che, se occorre aver molta pazienza con il tiranno temporale e solo eccezionalmente si può ricorrere alla rivolta armata e al tirannicidio, nel caso del Papa indegno o “criminale”[9] non solo non è mai lecito il “papicidio” e la rivolta armata, ma neppure la sua deposizione da parte del Concilio, dei Cardinali o dei fedeli (cfr. S. Tommaso d’Aquino, Summa contra Gentiles, lib. IV, cap. 76).

Obiezione n. “2/a”

“Si è concordi sul fatto che la Chiesa non abbia giurisdizione sul Papa, e che pertanto essa non possa rimuovere un Papa dall’ufficio esercitando un’autorità superiore alla sua, persino nel caso di eresia…”.

Obiezione n. “2/b”

“…Si è concordi sul fatto che sulle autorità ecclesiastiche gravi la responsabilità di agire per porre rimedio al male rappresentato da un Papa eretico. La maggioranza dei teologi sostiene che siano i Vescovi della Chiesa le autorità a cui corrisponde il dovere assoluto di agire di concerto in modo da rimediare a questo male”.

Risposta alle obiezioni n. “2/a” e n.  “2/b”

Ci sembra che le obiezioni “2/a” - “2/b” siano in contraddizione tra di loro. Infatti (“2/a”) se la Chiesa non ha giurisdizione sul Papa, e non può rimuovere un Papa dall’ufficio esercitando un’autorità superiore alla sua, persino nel caso di eresia; come fa ad essere vera la proposizione “2/b”, secondo cui grava sulle autorità ecclesiastiche (i Vescovi o i Cardinali aventi giurisdizione) la responsabilità di agire per porre rimedio al male rappresentato da un Papa eretico? Quindi la obiezione n. 2 a/b è in contraddizione con se stessa.

Obiezione n. 3: Neppure uno Scisma impedirebbe la deposizione di papa Bergoglio

“Si è concordi sul fatto che il male rappresentato da un Papa eretico è così grande che non può essere tollerato in nome di un presunto bene più grande.

Suarez esprime nel modo seguente il consenso su questo punto: “Sarebbe estremamente dannoso per la Chiesa avere un siffatto pastore e non essere in grado di difendersi da un pericolo così grande; inoltre, sarebbe contrario alla dignità della Chiesa costringerla a rimanere soggetta a un pontefice eretico senza essere in grado di espellerlo dal suo corpo; giacché il popolo è abituato a comportarsi allo stesso modo dei suoi prìncipi e dei suoi sacerdoti”. San Roberto Bellarmino afferma: “La Chiesa verserebbe in condizioni miserevoli se fosse costretta a prendere come suo pastore una persona che si comportasse in modo manifesto come un lupo” (Controversie, 3ª controversia, libro 2, cap. 30).

Risposta all’obiezione n. 3

Mons. Atanasio Schneider nella conferenza pubblicata il 21 marzo del 2019 ha scritto: «Uno scisma formale, con due o più pretendenti al trono pontificio – che sarà una conseguenza inevitabile anche di una deposizione canonica di un Papa – causerà necessariamente più danni alla Chiesa nel suo complesso che un periodo relativamente breve e molto raro in cui un Papa diffonde errori dottrinali o eresie».

Ora deporre Francesco significherebbe trovarsi con un Papa emerito (Benedetto XVI), un Papa eletto regolarmente, ma deposto (Francesco) e un antipapa de facto: il nuovo “Pontefice” eletto dopo la deposizione di Francesco. Il che ci sembra una situazione peggiore del Pontificato disastroso del solo Francesco.

San Roberto Bellarmino e Francisco Suarez parlano di “pastore” e “pontefice”, riferendosi al Vescovo, che può essere giudicato, condannato e deposto dal suo superiore: il Papa e non del Papa, che non può essere giudicato, condannato e deposto dal suo inferiore: il Vescovo o l’Episcopato intero, il che è sospetto di eresia (de haeresi suspecta).

Obiezione n. 4: Papa Onorio fu eretico e fu condannato come tale

Nell’anno 681, il terzo Concilio ecumenico di Costantinopoli anatematizzò l’eresia monotelita e il già defunto papa Onorio come eretico per aver appoggiato tale eresia. La condanna di Onorio fu poi ribadita da papa san Leone II nel ratificare gli atti di quel Concilio. A partire da allora, i teologi e i canonisti cattolici hanno raggiunto un consenso su vari punti essenziali, concernenti l’eresia pubblica di un Papa.

Risposta all’obiezione n. 4

Papa Onorio I ha favorito l’eresia, ma non fu eretico formale

Innanzitutto Mons. Athanasius Schneider il 21 marzo del 2019, ha scritto: «Durante duemila anni non vi è mai stato un caso in cui un Papa durante il mandato del suo ufficio sia stato dichiarato deposto a causa del reato di eresia. Papa Onorio I fu anatemizzato solo dopo la sua morte».

In secondo luogo Sergio I, patriarca di Costantinopoli[10], scrisse a papa Onorio I che per ricondurre alla Chiesa romana i monofisisti e i monoteliti occorreva smussare gli angoli e addolcire le formule dogmatiche. Quindi sarebbe stato meglio parlare di “due nature distinte, ma di una sola operazione in Cristo”. Questa formula era perlomeno ambigua e rappresentava una forma di monotelismo mascherato o non esplicito.

Papa Onorio I (625-628) sottoscrisse ingenuamente, in una prima Lettera (Epistula Scripta fraternitatis ad Sergium Patriarcam constantinopolitanum, anno 634, DS 487), la Dichiarazione dell’Epistola volutamente ambigua del patriarca di Costantinopoli Sergio I (610-638), nella quale si affermava una sola operazione in Gesù – pur nelle due nature (umana e divina) – e quindi implicitamente l’unicità della Sua volontà divina, negando praticamente la Sua volontà umana.

Papa Onorio, imprudentemente, approvò e firmò l’Epistola di Sergio senza definirla né obbligare a crederla, anzi l’attenuò aggiungendo ad essa, in una seconda Lettera, l’espressione, tuttavia ancor troppo vaga, dell’esistenza in Cristo di “due nature (umana e divina) operanti secondo le loro diversità sostanziali” (Ep. Scripta dilectissimi filii ad eundem Sergium, anno 634, DS 488[11]), cioè affermò l’unità morale e non fisica delle due volontà in Cristo, nel Quale vi sono realmente e fisicamente due volontà (umana e divina) e quella umana è uniformata a quella divina.

Le espressioni di Onorio erano ambivalenti e quindi l’interpretazione eterodossa dei monoteliti di una sola volontà fisica e divina in Cristo era possibile, ma non necessaria. Il Papa parlava del Verbo Incarnato in cui sussistono due nature, ma lasciava intendere – pur non scrivendolo positivamente ed esplicitamente – che vi potesse essere in Lui una sola volontà. Tuttavia Onorio non scrisse apertamente di una sola volontà divina reale e fisica, ma lasciava intendere che in Cristo vi fosse una volontà umana “morale”, ossia subordinata e uniformata “moralmente” a quella fisica o reale divina.

La Chiesa cattolica orientale (con i suoi Vescovi e teologi) lesse la frase di Onorio in senso esplicitamente eretico, come se negasse esplicitamente la vera e fisica volontà umana di Cristo; mentre quella latina (S. Massimo di Torino) cercò di salvare Onorio e lesse la sua Epistola in senso ortodosso: una volontà umana fisica e reale, subordinata moralmente a quella fisica divina in Cristo. Papa Giovanni IV (640-642) scrisse nel 641 la famosa Apologia pro Honorio Papa, in cui difese spassionatamente Onorio, che non era formalmente eretico, ma non aveva condannato con decisione l’errore di Sergio e il monotelismo[12]. Infatti implicitamente Onorio ammetteva l’esistenza di un agire e di una volontà (fisica o reale) umana in Cristo.

Ora papa S. Martino I (649-655) in un Concilio romano particolare, riunito in Laterano nel 649, aveva definito la dottrina delle due volontà e della duplice azione in Cristo. Nel III Concilio ecumenico di Costantinopoli (680-681) papa S. Agatone (678-681), il 28 marzo del 681, definì che in Cristo vi sono due volontà e due azioni (la divina e l’umana) e condannò papa Onorio per aver aderito imprudentemente all’eresia (DB 262 ss.). Però, nel Decreto di ratifica del Concilio Costantinopolitano III, papa S. Leone II (682-683) specificò, il 3 luglio 683 (DB 289 ss.), i limiti della condanna di Onorio, che “non illuminò la Chiesa apostolica con la dottrina della Tradizione apostolica, ma permise che la Chiesa immacolata fosse macchiata da tradimento” (DS 563).

Vale a dire, Onorio non era stato positivamente, esplicitamente e formalmente eretico, ma vittima dei raggiri di Sergio, cui imprudentemente e negligentemente aveva acconsentito senza impegnarsi esplicitamente nella difesa della dottrina cattolica ortodossa. Perciò S. Leone II condannò Onorio più per la sua negligenza che per una consapevole eterodossia.

Inoltre Onorio non aveva definito dogmaticamente né obbligato a credere la tesi di una sola azione in Cristo contenuta nell’ambigua Dichiarazione dell’Epistola di Sergio a lui inviata. Quindi Onorio non aveva voluto essere assistito infallibilmente in tale atto, perciò aveva utilizzato una forma di magistero non dogmatico, ma pastorale e non infallibile[13]. Dunque egli aveva potuto favorire o non impedire l’errore, per ingenuità e mancanza di fortezza, senza errare formalmente ed esplicitamente, e senza infrangere il dogma (definito poi dal Concilio Vaticano I) della infallibilità pontificia, come invece sostennero i protestanti nel XVI secolo e la setta dei “vecchi cattolici” nel secolo XIX. In breve Onorio aveva favorito l’eresia peccando, così, gravemente, ma non era stato eretico formalmente.

Emile Amann, nel Dictionnaire de Théologie Catholique, scrive: “Un Concilio legittimo [il VI Concilio ecumenico di Costantinopoli III, anno 680-681, ndr] ha condannato legittimamente Onorio I. Questo Concilio s’è sbagliato? Lo avrebbe certamente fatto, se avesse affrontato la questione di Onorio da un punto di vista esclusivamente dogmatico, ed avesse dato un giudizio dottrinale e motivato sull’insegnamento di Onorio. Poiché, come ho dimostrato sopra, il pensiero di papa Onorio era ortodosso nella sostanza (dans le fond orthodoxe) ed anche la sua espressione poteva, mettendovi un po’ di buona volontà, accordarsi con la terminologia che il Concilio avrebbe canonizzato. Ma, come ho fatto notare sopra, il Concilio si erigeva a giudice molto meno della teologia che della politica e dei personaggi che l’avevano rappresentata. […]. Ci si ricordi pure che la qualificazione di eretico, la quale oggi si applica a colui che persevera con pertinacia in una dottrina condannata dalla Chiesa, nel VI secolo si era estesa in Oriente sino a minacciare di eresia tutti quelli che non avessero parlato e pensato come i teologi ufficiali di Bisanzio, qualunque fossero stati i loro meriti e la loro buona fede” (Dictionnaire de Théologie Catholique, col. 119, voce “Honorius I”).  Per questo motivo oggi chiamare Onorio “eretico” è improprio e non corretto teologicamente, si può soltanto esprimere un giudizio storico sulla mancanza di fermezza di Onorio nel condannare l’errore e nel definire esplicitamente la verità.

Emile Amann conclude il suo lungo ed esaustivo articolo così: “Nelle sue due Lettere a Sergio, papa Onorio ha propagato un insegnamento eretico nel senso esatto del termine come lo si intende oggi? Certamente no (Non, certainement). […]. Queste due Lettere contengono un certo numero di espressioni e di deduzioni spiacevoli (regrettables) atte a favorire lo svilupparsi di una dottrina eterodossa? Sì, il fatto è incontestabile” (D. Th. C., cit., col. 122, voce “Honorius I”). In breve Onorio – da un punto di vista storico o pratico – ha favorito o non represso convenientemente l’errore, ma – da un punto di vista dogmatico o teologico – non è stato formalmente eretico.

Conclusione

“Quando lo Scisma d’Occidente (1378 – 1417) funestò la Chiesa, molti, anche bene intenzionati, trovarono nelle teorie conciliariste, secondo cui il Papa può essere giudicato e deposto dal Concilio, la via d’uscita da tanti mali” (A. Piolanti, Dizionario di Teologia Dommatica, cit., p. 82). Essi si rifecero al frammento che Graziano inserì nel suo Decreto (I pars, dist. XL, col. 146, canone 6, “Si Papa”), ritenendolo autentico, anche se il Pighius († 1452) già dubitava della sua autenticità e lo riteneva contraffatto. Oggi in questa tempesta che si è abbattuta sull’ambiente ecclesiale alcuni, anche in buona fede, pensano di poter porre rimedio a tanto male ricorrendo alle medesime tesi conciliariste. Tuttavia il rimedio conciliarista sarebbe peggiore del male bergogliano…

Infatti il ricorso ai Vescovi affinché processino papa Bergoglio per eresia e lo destituiscano è da evitarsi assolutamente, sia teologicamente che giuridicamente, poiché esso è escluso come eretico dal dogma definito dal Concilio Vaticano I (DB, 1823, 1825, 1831) del Primato di giurisdizione del Romano Pontefice su tutta la Chiesa, compresi i Vescovi e i Cardinali (can. 311). Infatti in tale ricorso all’Episcopato contro il Papa regnante è implicito un atto sovversivo di eresia e di scisma[14] e in quanto de jure si nega teologicamente che il Papa abbia un Primato di giurisdizione sull’Episcopato (eresia) e giuridicamente in quanto de facto si agisce pretendendo di giudicare il Papa (scisma) come fosse inferiore all’Episcopato, e ciò sarebbe la negazione o il distorcimento del Primato pontificio, frutto di errate teorie conciliariste, per cui giustamente il CIC del 1917 considerava il colpevole come sospetto di eresia o de haeresi suspecta.

Speriamo che gli autori della “Lettera Aperta” ai Vescovi per chiedere la incriminazione di Francesco per eresia e la sua destituzione si limitino a mostrargli i suoi errori ed eresie materiali, e preghiamo Iddio, che solo è superiore al Papa, di liberarci da un flagello così nocivo per la salvezza delle anime.

sì sì no no



[1] L’Eresia si definisce: “Una dottrina che contraddice direttamente una verità rivelata da Dio e definita dalla Chiesa come divinamente rivelata e da credersi per la salvezza eterna”. Quindi nell’Eresia ci sono 2 elementi essenziali: 1°) l’opposizione teoretica ad una verità divinamente rivelata (per esempio, la negazione teorica del Primato di giurisdizione di Pietro e del Papa); 2°) l’opposizione pratica o nell’agire alle decisioni del Magistero ecclesiastico (per esempio, agire come se il Papa non fosse la Somma autorità e la Prima Sede, chiedendo ai Vescovi di processare il Papa e di deporlo in quanto eretico). Cfr. S. Tommaso d’Aquino, S. Th., II-II, q. 11.

[2] Invece i cardinali Francesco Roberti – Pietro Palazzini, nel Dizionario di Teologia Morale (Roma, Studium, IV ed., 1968, vol. I, p. 441) sostengono che “L’opera di Graziano non ebbe nessuna approvazione ufficiale, però praticamente l’opera è fondamentale per il Diritto canonico. […]. Nel 1582 il Corpus Iuris Canonici ebbe la sua edizione, ma non la promulgazione, per questo motivo esso fu indicato sino al 1917 veramente quale Corpus Iuris Canonici pratico, ma non ufficiale o legale. Anche dopo la promulgazione del CIC del 1917 il Corpus Iuris Canonici ha solo valore di fonte”.

[3] Albert Pigge nacque in Olanda a Kampen (donde l’appellativo di Campensis), verso il 1490 studiò a Lovanio ove ebbe per maestro Adriano Florent, il futuro papa Adriano VI. Cfr., E. Amann in Dictionnaire de Théologie Catholique, Parigi, anno 1935, Tomo XII, coll. 2094-2914, voce “Pigge”.

[4] Cfr. E. Dublanchy, in D. Th. C., vol. VII, coll. 1714-1717, voce “Infallibilité du Pape”; V. Martin, Les origines du gallicanisme, Parigi, 1939, 2 voll., lib. I, pp. 12-13.

[5] Cfr. F. Roberti – A. Van Hove – A. Stickler, Graziano. Testi e studi camaldolesi, Roma, 1949.

[6] Vi è “sospetto di eresia” (CIC 1917, can. 1258) quando non è ancora certo che in coloro i quali ricorrono a tale appello all’Episcopato contro il Papa vi sia l’eresia, ma si tende a ritenerla tale, ossia si sospetta che vi sia. Solo dopo 6 mesi di persistenza in tale appello si ha la certezza dell’eresia, senza timore di sbagliarsi. “Coloro che sono sospetti di eresia non sono ancora punibili come tali, ma lo divengono, se ammoniti, perseverano nella loro opinione e non rimuovono la causa del sospetto ed entro 6 mesi dalla ammonizione sono considerati eretici e incorrono nelle pene stabilite per questi: la scomunica latae sententiae o ipso facto” (Antonio Retzbach, Il Diritto della Chiesa, Alba di Cuneo, Paoline, 1958, pp. 620-622).

[7] Il quale riprende il can. 2332 del CIC del 1917.

[8] Una verità contenuta nel Deposito della divina Rivelazione (Tradizione e Scrittura), ma non definita come tale e proposta a credere dal Magistero della Chiesa ai fedeli si chiama “Verità di fede divina” o “di fede divina e rivelata”; se invece la verità rivelata è anche definita e proposta a credere dal Magistero ecclesiastico, si dice “Verità di fede divino-cattolica” o “di fede rivelata e definita”.  L’Eresia perfetta si oppone alla Verità rivelata e definita o di fede divino-cattolica, se manca la definizione, ma, la rivelazione della verità negata è chiara, chi la nega è almeno “Prossimo all’Eresia”.

[9] V. Mondello, La dottrina del Gaetano sul Romano Pontefice, Messina, Arti Grafiche di Sicilia, 1965, p. 65.

[10] Mons. Umberto Benigni, Storia sociale della Chiesa, Milano, Vallardi, 1922, vol. III, pp. 436-437.

[11] In questa seconda Epistola il testo originale latino di Onorio è andato smarrito, si possiede solo la traduzione in greco e una ritraduzione postuma in latino del 680 (AA. VV., Enciclopedia dei Papi, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2000, 1° vol., pp. 585-590, voce “Onorio I, a cura di Antonio Sennis).

[12] M. Greschat – E. Guerriero, Il grande libro dei Papi, Cinisello Balsamo, S. Paolo, 1994, 1° vol., pp. 121-125; AA. VV., I Papi, Milano, Tea, 1993, pp. 34-37.

[13] Cfr. Enciclopedia dei Papi, cit., Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2000, 1° vol., pp. 585-590, voce “Onorio I, a cura di Antonio Sennis.

[14] L’Eresia nega una verità dogmatica, professando l’errore; lo Scisma ricusa nella pratica la sottomissione al Papa agendo come se non fosse il Capo della Chiesa universale. Lo Scisma inizialmente de jure o in teoria potrebbe mantenere la retta fede riconoscendo teoricamente il Primato del Pontefice Romano anche se de facto o praticamente si agisce come se il Primato non esistesse, ma a lungo andare lo Scisma cade immancabilmente nell’Eresia poiché viene a negare il Primato dell’autorità papale (cfr. S. Tommaso d’Aquino, S. Th., II-II, q. 39).


 
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