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Pakistan: October surprise?
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«Non tollereremo la violazione della nostra sovranità da parte di qualunque potenza nel nome della lotta al terrorismo»: il neo-presidente pakistano Asif Ali Zardari aveva appena ripetuto l’altolà ufficiale alle incursioni armate americane nel Paese, quando è avvenuta l’immane strage al Marriott di Islamabad. Rivendicato da «Al Qaeda», naturalmente.

Come volevasi dimostrare, ha subito spiegato ai giornalisti  Stephen Hadley, il consigliere della Sicurezza Nazionale che sta preparando Bush per il vertice ONU: gli USA avevano già fatto presente ad Islamabad le «limitate capacità» del governo pakistano di combattere da solo i suoi militanti nelle aree tribali al confine con l’Afghanistan. Senza l’aiuto dell’alleato americano, ecco cosa succede...

Consentire le operazioni militari nel suo territorio, per i pakistani, «non è un favore che fanno all’Afghanistan o un favore che fanno a noi; è qualcosa di essenziale alla propria sopravvivenza» (1).

«Islamabad cavalca la tigre terrorista» ma non la controlla, scriveva giusto giusto in un articolo (evidentemente preparato proprio prima delll’attentato di Al Qaeda in Islamabad) Michael Scheuer, alto funzionario della CIA per 22 anni, dove era capo della «Unità Bin Laden» al Counterterrorist Center, fino a quando si è dimesso nel 2004 protestando contro l’incompetenza dell’amministrazione Bush.

La tesi di Scheuer: l’ISI, i servizi pakistani, hanno creato il terrorismo in funzione anti-indiana in Kashmir; ma ora questo terrorismo islamico è diventato pan-indiano (lo dimostrano recenti attentati avvenuti lontano dal Kashmir, a Bangalore, Ahmedabad, Surat) e l’ISI non lo manovra più (2). Vai a sapere adesso chi lo controlla, il terrorismo islamico.

Notizia d’agenzia, 15 settembre (3): «Il capo dell’esercito israeliano, generale Avi Mizrahi, ha segretamente visitato il Kashmir la settimana scorsa. Le autorità indiane hanno tenuto la bocca chiusa su questa visita, nè confermando nè smentendo, ma la cosa è stata rivelata dall’agenzia iraniana IRNA. Il generale Avi Mizrahi è arrivato a Delhi il 9 settembre per una visita di tre giorni durante la quale ha incontrato il suo pari-grado indiano, il capo dell’esercito generale Deepak Kapur ed anche il ministro per la produzione bellica, Rao Inderjit Singh, i capi della Marina e dell’Aviazione indiana. Israele si è offerta di addestrare le truppe indiane per operazioni di contro-insurrezione e anti-terrorismo. La visita del generale Mizrahi in Kashmir avviene nel quadro di una massiccia agitazione anti-indiana nel Kashmir occupato dall’India. Almeno 50 persone sono state uccise nella sollevazione che è cominciata due mesi fa, e la tensione è ancora alta».

Se vogliamo, il contesto geopolitico in cui è avvenuta la visita provvidenziale del generale Mizrahi, è più ampio: l’India, che storicamente era nel campo filo-sovietico, è stata assunta come alleato degli Stati Uniti nella lotta globale al terrorismo; al contrario il Pakistan, tradizionale alleato USA, sta per passare dalla parte degli Stati nemici, o almeno degli Stati nel cui territorio si possono fare incursioni omicide - come a Gaza fanno gli israeliani - perchè ha un destino di «failed state», con «limited capacity» di combattere il terrorismo da solo.

In coincidenza con questo rovesciamento di alleanze, l’India è sconvolta da un aumento eccezionale di attentati islamici (e gli indù nazionalisti rispondono con aggressioni e pogrom verso cristiani e musulmani), e una vera sollevazione in Kashmir; ma per fortuna, il generale Mizrahi è lì pronto a fornire alla nuova alleata, Delhi, l’incomparabile know-how repressivo acquisito dal glorioso Tsahal nella diuturna lotta contro i musulmani («terroristi»): è un genere d’esportazione molto pregiato.

Ma anche l’anti-islamismo indiano, ormai quasi ufficiale (benchè in India vivano 150 milioni di musulmani, cittadini di serie b) è a suo modo una merce utilizzabile; specie se rinfocolato da tanti attentati «islamici».

Il Pakistan è il solo Paese islamico che dispone di bombe atomiche, il che certo non piace ad Israele. Come noto, Washington ha già dei piani per mettere sotto sicurezza (ossia prendersi) quelle testate, perchè giudica il Pakistan sempre più «instabile» e incline a finire sotto il controllo dei «militanti islamici», anche se alle elezioni, i partiti islamisti si sono dimostrati privi di seguito popolare.

Si aggiunga che Washington  ha bisogno di dare un’accelerata ai suoi «successi» in Afghanistan: dopo sette anni d’occupazione, 752 miliardi di dollari spesi, i talebani alle porte di Kabul, la soluzione degli strateghi del Pentagono è estendere la guerra al Pakistan, attaccare i santuari di cui godono i talebani nelle aree tribali, nonostante le obiezioni del governo pakistano. Esattamente quel che fecero in Vietnam, estendendo il conflitto alla Cambogia dove passava la logistica vietcong. E’ probabile che il "successo" vietnamita venga replicato anche questa volta.

Ma all’Amministrazione uscente (Bush, Cheney e neocon) non importa raggiungere un successo; importa forse creare uno stato d’emergenza. Perchè, attenzione, gli Stati Uniti entrano in un delicato periodo istituzionale.

Dal primo ottobre, il Congresso «recede» in vista delle elezioni presidenziali, ossia  non si riunirà più fino alla proclamazione del nuovo presidente. Non è un obbligo, è una specie di tradizione, un riguardo alla campagna elettorale. Ma incredibilmente, in piena crisi finanziaria esplosiva, il Congresso si squaglia, lasciando tutto in mano all’esecutivo: il Tesoro e la FED per la crisi economica, la presidenza Bush per la politica internazionale.

E’ il periodo in cui il presidente attuale governerà gli USA senza controllo parlamentare (ammesso che ne abbia mai avuto uno, dai democratici). E’ dunque il momento ideale, per un’Amministrazione che ha troppe cose di cui può esser chiamata a rendere conto una volta tornata alla vita privata, per dichiarare lo stato d’emergenza; assumere i pieni poteri, e financo governare con la legge marziale; e persino sospendere le elezioni, se i sondaggi non favoriscono McCain come voluto e previsto.

Il quadro legislativo che consente a Bush di attuare queste misure se l’è dato la stessa Amministrazione, con il consenso del Congresso: è la National Security Presidential Directive 51 (4). In essa si prevede che il governo si garantisca la «continuità» assumendo pieni poteri esecutivi onde funzionare anche in caso di «emergenza catastrofica». E la «emergenza catastrofica» è definita nei seguenti termini: «Ogni incidente, in qualunque luogo avvenga, che abbia come risultato un livello straordinario di perdite di massa, danni o distruzioni che colpiscano gravemente la popolazione, le infrastrutture, l’ambiente, l’economia degli Stati Uniti o le funzioni del suo governo».

Lo stato dell’economia USA si può già definire di «emergenza catastrofica»?

Secondo molti osservatori, anche peggio: è la fine del sistema americano di governo del mondo, «La bancarotta dello Stato americano non è più impensabile».

Per di più, «Al Qaeda» rialza la testa in Pakistan.

Lo stato d’emergenza e la "continuity of  Bush jr.", a questo punto, sembrano giustificabili, anzi ineluttabili.




1) «War against terror essential to Pak survival: US»,  Economic Times, 20 settembre 2008.
2) Michel Scheuer, «Islamabad rides a terror tiger», Asia Times,  19 settembre 2008.
3) «Israel to train Indian soldiers against Kashmiri muslims», World Bulletin, 15 settembre 2008.
4) La Direttiva può essere letta al sito della Casa Bianca, 9 maggio 2007: www.whitehouse.gov/news/releases/2007/05/20070509-12.html


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