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Giacomo della Chiesa tra cattolicesimo “moderato” e “integrale”
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Padre Giacomo Raggi e la vocazione giovanile di Giacomo Della Chiesa

La vocazione del giovane Giacomo Della Chiesa è stata coltivata da un suo parente morto in odore di santità: il frate cappuccino Giacomo Raggi, come disse lo stesso papa Benedetto XV il 21 settembre 1914, durante un’udienza privata con il ministro generale dei frati minori cappuccini (Aldo Gorini, Giacomo Raggi da Genova frate cappuccino e la vocazione di Giacomo Della Chiesa, in Alberto Melloni – diretto da – Benedetto XV. Papa Giacomo Della Chiesa nel mondo dell’inutile strage, Bologna, Il Mulino, 2017, 1° vol., p. 29).

Giacomo Filippo Ignazio Raggi nacque a Genova il 12 agosto 1812 da due esponenti dell’aristocrazia genovese ed ebbe quattro sorelle, di cui l’ultima (Ersilia) sposò il marchese Migliorati, che generò Giovanna, la moglie del marchese Giuseppe Della Chiesa e madre di Benedetto XV. Quindi padre Raggi era il fratello della nonna materna del futuro Papa (Aldo Gorini, Giacomo Raggi da Genova frate cappuccino e la vocazione di Giacomo Della Chiesa, cit., p. 30; cfr. F. Callaey da Anversa, La famiglia di Benedetto XV e l’ordine dei frati minori cappuccini, Roma, 1916, pp. 10 e 44).

Il giovane Giacomo Raggi compì gli studi classici nel collegio dei padri gesuiti di Genova, poi frequentò brevemente alcuni circoli aristocratici abbastanza mondani, ma ben presto li abbandonò e non volle seguire il desiderio dei genitori che volevano fargli intraprendere la carriera diplomatica, cominciò ad apprezzare la vita religiosa e decise di entrare nell’ordine dei cappuccini (cfr. F. Callaey da Anversa, cit., p. 45).

Nel 1830, il giovane Giacomo Raggi si recò nel convento cappuccino di San Barnaba a Genova, all’insaputa dei genitori, da dove chiese ai familiari di poter diventare cappuccino; inizialmente i genitori si opposero, ma, vistolo irremovibile, dettero infine il loro consenso. Allora il giovane Raggi prese l’abito dei cappuccini e fu ordinato sacerdote nel 1838 e venne inviato al convento di Chiavari ove si distinse per santità di vita. Morì a Voltri il 15 marzo 1886 a 73 anni (cfr. F. Callaey da Anversa, cit., pp. 46-47).

Fino a che padre Raggi visse, il suo pronipote, il giovane Giacomo Della Chiesa si consigliò abitualmente con lui e fu accompagnato da esso nella sua vocazione sacerdotale (cfr. F. Callaey da Anversa, cit., p. 10; F. Pollard, Il papa sconosciuto. Benedetto XV: 1914-1922, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2011, p. 19).

Secondo lo storico Aldo Gorini “il giovane Giacomo Della Chiesa manifestò al prozio cappuccino, padre Giacomo Raggi, l’emergere della sua vocazione sacerdotale di sua spontanea iniziativa. A rigore non si può escludere l’ipotesi che la vocazione del Della Chiesa sia stata suscitata dall’esempio e dai discorsi di padre Raggi” (cit., p. 43).

La persona e la vita (21 novembre 1854 - 22 gennaio 1922)

Giacomo Della Chiesa nacque nel 1854, non si sa bene se a Genova città o a Pegli vicino Genova, tuttavia comunemente si ritiene che sia natio di Genova. Il suo aspetto fisico ci viene descritto dallo storico francese Yves Chiron nei seguenti termini: “Quasi disgraziato fisicamente, era soprannominato il piccoletto, […] a tre anni si ammalò di una grave forma di deperimento organico, di cui guarì ma che lasciò in lui una certa influenza, era leggermente zoppo, alto soltanto 1, 60 cm, aveva le spalle un po’ ricurve e uno strabismo notevole aggravato da una forte miopia […], ma era dotato di una discreta rapidità di ragionamento” (Y. Chiron, Benoit XV. La pape de la paix, Parigi, Perrin, 2014, p. 11 e 18).

A 12 anni ebbe l’idea di diventare sacerdote, ma il padre non gli dette sùbito il placet e volle che si laureasse e poi decidesse se continuare nella sua idea primitiva o se cambiare stato di vita.

La formazione al Seminario di Genova

Nicla Buonasorte ci informa che “i genitori di Giacomo Della Chiesa appartenevano probabilmente a quella fetta di patriziato genovese non ostile al Piemonte” (N. Buonasorte, La formazione e gli studi al seminario arcivescovile di Genova, in Alberto Melloni – diretto da – Benedetto XV, cit., 1° vol., p. 47). Dunque la famiglia del giovane Giacomo era di tendenze liberali e filo-risorgimentali (cfr. A. Scottà, Papa Benedetto XV. La Chiesa, la grande guerra, la pace: 1914-1922, Roma, 2009).

Il piccolo Giacomo fu cagionevole di salute, spesso si ammalò nella sua prima infanzia “e portò sempre sul suo corpo i segni di questi problemi di salute” (N. Buonasorte, cit., p. 47; P. Ansaldo, Benedetto XV nei ricordi dei suoi Condiscepoli, in “Fides nostra”, gennaio 1920, pp. 7-11).

Dal 1869 al 1871 il giovane Giacomo Della Chiesa frequentò il liceo nel seminario arcivescovile di Genova come alunno esterno (C. Sagliocco, l’Italia in seminario: 1861-1907, Roma, 2008).

Quindi, dopo la licenza liceale classica nel 1871, s’iscrisse alla facoltà di Diritto dell’Università di Genova e fu uno studente modello. Il 3 ottobre del 1875 si laureò brillantemente con 69/70; egli dunque ricevette così una buona formazione giuridica sin dalla sua giovinezza (1871-1875), che - arricchita dalle successive altre lauree in filosofia, teologia e diritto canonico - lo accompagnò nella sua vita sacerdotale e lo portò durante il suo pontificato (1914-1922) a promulgare il Codice di Diritto Canonico nel 1917, alla stesura del quale lavorarono soprattutto i suoi vecchi colleghi di lavoro nella Curia vaticana: monsignor Pietro Gasparri e monsignor Eugenio Pacelli; infine dopo la laurea (1875) lasciò Genova e si recò a Roma ove studiò presso l’università Gregoriana e venne ordinato sacerdote nel 1878.

Gli studi ecclesiastici a Roma

Dovendosi recare a Roma per compiervi gli studi ecclesiastici, il giovane Giacomo entrò al Collegio Capranica (dove studiarono anche il Rampolla e il Pacelli), seguendo i corsi all’Università Gregoriana, ove ebbe come professori p. Antonio Ballerini e il p. Camillo Mazzella, futuro Cardinale, fermo tomista e insegnante di Teologia dogmatica, collaboratore di Leone XIII alla rinascita del neotomismo a séguito dell’Enciclica Aeterni Patris del 1878 e fu ispiratore della Lettera Testem benevolentiae (1899) con cui papa Pecci condannava l’Americanismo o modernismo ascetico.

Il giovane Giacomo ricevette, perciò, oltre a quella giuridica anche una solida formazione filosofico/teologica strettamente tomistica, che lo accompagnò per tutta la vita, lo difese dal modernismo, dandogli tutti gli strumenti per confutarlo e combatterlo e, dunque, lo portò - da Papa nel marzo del 1916 - alla promulgazione delle XXIV Tesi del Tomismo che erano state richieste già da S. Pio X al grande filosofo gesuita p. Guido Mattiussi dell’Università Gregoriana nel 1914. Inoltre Benedetto XV volle che il gesuita padre Mattiussi e il domenicano padre Hugon commentassero le XXIV Tesi del Tomismo in italiano e in francese. Allo stesso modo Benedetto XV promulgò il CIC nel 1917, lavoro cui aveva posto mano S. Pio X già a partire dal 1904, servendosi di grandi esperti del Diritto ecclesiastico: il Card. Vives y Tuto (di tendenza “integrale”), il Card. Felice Cavagnis e il Card. Gasparri (di tendenza “moderata”) coadiuvato dal giovane Mons. Eugenio Pacelli, il futuro Pio XII[1]. Come si vede Benedetto XV in molte materie ecclesiastiche (dal Diritto Canonico alla filosofia tomistica) fu il continuatore e delle riforme iniziate da San Pio X e non fu per nulla in rottura con il pontificato di papa Sarto.

Il Sacerdozio

Il 21 dicembre del 1878 Giacomo Della Chiesa fu ordinato sacerdote nelle basilica di S. Giovanni al Laterano. L’anno seguente entrò nell’Accademia dei Nobili Ecclesiastici (dove insegnò anche monsignor Benigni), che ora si chiama Accademia Pontificale Ecclesiastica sita in piazza della Minerva; nel 1880 si addottorò in Diritto Canonico presso la suddetta Accademia e nel 1881 fu nominato insegnante di “Stile diplomatico” nella medesima Accademia. La sua formazione dottrinale fu, dunque, completa e alta sotto il punto di vista della filosofia, della teologia, del diritto civile e penale ed infine anche del diritto canonico.

In Spagna

Al collegio Capranica, Giacomo Della Chiesa conobbe mons. Mariano Rampolla del Tindaro, il futuro cardinale Segretario di Stato di Leone XIII, che nel 1882 venne nominato Nunzio Apostolico a Madrid e portò con sé il giovane don Giacomo Della Chiesa come suo segretario particolare (cfr. Maurilio Guasco, I capranicensi all’epoca del rettore Francesco Vinciguerra, in Alberto Melloni – diretto da – Benedetto XV. Papa Giacomo Della Chiesa nel mondo dell’inutile strage, Bologna, Il Mulino, 2017, 1° vol., pp. 54-60; S. Negruzzo, Prime indagini sugli alunni del Collegio Capranica di Roma in età moderna, in “Humanitas”, n. 67 / 3, 2012, pp. 452-463; R. Regoli, L’almo collegio Capranica nella prima metà del XIX secolo, in  C. Covato - M. Venzo  - curato da - Scuola e itinerari formativi dallo Stato pontificio a Roma capitale, Milano, 2010, pp. 73-84).

“Giacomo Della Chiesa dovette la sua ascesa a Mariano Rampolla del Tindaro, che lo nominò suo segretario personale quando divenne Nunzio apostolico a Madrid (1881) e, alla sua nomina a Segretario di Stato nel 1887, lo chiamò a Roma, dove Della Chiesa iniziò a lavorare come Minutante per poi diventare nel 1901 Sostituto alla Segreteria di Stato. Quando il cardinal Rampolla perse l’elezione al Papato nel 1903 e dovette lasciare la Segreteria di Stato, il monsignore genovese [Della Chiesa, ndr] conservò il suo incarico sotto il nuovo Segretario di Stato, il cardinal Merry del Val sino al 1908, quando fu nominato Arcivescovo di Bologna” (K. Unterburger, Da minutante a sostituto della Segreteria di Stato, in Alberto Melloni – diretto da – Benedetto XV, cit., 1° vol., p. 61).

Nel medesimo anno in cui monsignor Della Chiesa divenne Sostituto alla Segreteria di Stato (1901), monsignor Pietro Gasparri divenne Segretario per gli Affari ecclesiastici  straordinari, soprattutto quelli  relativi ai Concordati.

Giacomo Della Chiesa, Pietro Gasparri (formatisi alla scuola di Mariano Rampolla) e successivamente anche Eugenio Pacelli lavorarono assieme e in stretta collaborazione nella Curia vaticana soprattutto in questioni diplomatico/giuridiche. Alcuni storici tendono a contrapporre i tre suddetti monsignori (che avrebbero formato il “Partito di Leone XIII”) ad altri tre monsignori: Merry del Val, De Lai e Umberto Benigni (che avrebbero formato il “Partito di Pio X”), accentuando eccessivamente le loro presunte opposte tendenze dottrinali (liberaleggianti nei primi e integraliste nei secondi). Anche Klaus Unterburger cerca di far notare come “il rapporto di Della Chiesa con Merry del Val fu caratterizzato da una formale correttezza, ma non da vicinanza” (cit., p. 62). Lo storico tedesco tende pure lui a far risalire tale “distanza” alle diverse posizioni dottrinali che ebbero i due prelati (Della Chiesa e Merry del Val) in quanto appartenenti a due diverse scuole dottrinali (quella di Leone XIII  quella di Pio X), la prima piuttosto liberale e le seconda integralista. Tuttavia queste valutazioni si basano piuttosto su differenze pratiche di carattere, di politica, di governo, le quali non hanno nulla a che vedere con la sostanziale unità e continuità dottrinale che ha caratterizzato i pontificati di questi Papi. Infatti un altro storico (Annibale Zambarbieri) spiega che “le non facili relazioni personali tra Della Chiesa e Merry del Val, non si trasformarono da una certa risolutezza in aperta ostilità solo grazie all’abito diplomatico di entrambi. […]. Benedetto XV confidò al suo amico, il barone Carlo Monti, di aver trovato Merry del Val sempre deferente, anzi in momenti particolarmente delicati ne ricevette il richiesto aiuto. Tuttavia i loro rapporti, secondo il Monti, furono corretti, ma non certo intimi” (A. Zambarbieri, Dibattito ai vertici: Merry del Val, Della Chiesa, Pio X: 1883-1907, in Alberto Melloni – diretto da – Benedetto XV, cit., 1° vol., p. 77 e p. 84, nota n. 86). Dunque si dovrebbe parlare piuttosto di “incompatibilità di carattere tra i due” (E. Fouilloux, Les catholiques et l’unité chrétienne  du XIX au XX siècle, Parigi, 2002, p. 67).

Inoltre sempre Annibale Zambarbieri, fondandosi su Emile Poulat (Intégrisme et catholicisme integral, Tournai, 1969, p. 330), ci spiega che “frequentemente è stata opposta la inflessibilità di Merry del Val alla bontà di Pio X …” (A. Zambarbieri, Dibattito ai vertici: Merry del Val, Della Chiesa, Pio X: 1883-1907, in Alberto Melloni – diretto da – Benedetto XV, cit., 1° vol., 1° vol., p. 77). Tuttavia in questa valutazione si riscontrano, da una parte, i giudizi non oggettivi dei modernisti, che non volevano attaccare direttamente il Papa e quindi attribuivano le sue scelte all’influsso esercitato su di lui dal suo Segretario di Stato (Merry del Val); mentre, dall’altra parte, di coloro che, per esaltare Pio X e facilitarne la canonizzazione, attribuivano la sua intransigenza dottrinale (come se fosse un difetto e non un pregio) al Merry del Val. Perciò lo Zambarbieri aggiunge: “… che occorrerebbe sfumare questo giudizio se non ribaltarlo” (ivi). Per questo motivo lo Zambarbieri riconosce una certa costanza quanto alla “fluttuazione di questi giudizi [su Pio X e Merry del Val, ndr]” (cit., p. 83, nota n. 63) e spiega che “l’impressione di durezza che il comportamento di Merry del Val suscitava è segnalato, ad esempio, da padre Agostino Gemelli nella sua deposizione al processo di canonizzazione” (ivi).

Come si vede gli storici tendono a giudicare i fatti che riportano secondo le loro tendenze filosofico/teologiche e spesso mettono in contrasto teoretico e dottrinale personaggi (Pio X con Merry del Val, Benedetto XV con Pio X) che in realtà avevano (come è normale) solo un diverso carattere, essendo ogni individuo diverso da tutti gli altri, come insegna S. Tommaso d’Aquino: “individuum est divisum a quolibet alium” (S. Th. I, q. 29, a. 4).

In Spagna don Della Chiesa fu non solo un fedele segretario del Nunzio Apostolico, ma anche un “prete caritatevole, sempre pronto a fere l’elemosina ai poveri” (Y. Chiron, op. cit., p. 44).

In Segreteria di Stato a Roma

Tuttavia il 1887 mons. Rampolla fu richiamato a Roma a sostituire il vecchio Segretario di Stato di Leone XIII, il Card. Jacobini testé morto e il giovane don Giacomo lo seguì.

Egli iniziò la sua lunga carriera in Segreteria di Stato (fianco a fianco con monsignor Umberto Benigni, monsignor Gasparri e monsignor Pacelli) per circa 20 anni. Siccome Rampolla fu molto criticato e persino accusato, non solo di essere liberale ma addirittura massone, queste accuse seguirono, almeno in parte, anche il suo giovane segretario don Giacomo Della Chiesa, nonché papa Leone XIII. “In realtà Rampolla non fu per nulla un liberale. Egli è stato un intransigente e un ultramontano. Leone XIII e Rampolla avevano le medesime idee e punti di vista. Papa Pecci ha pubblicato numerose Encicliche intransigenti e antiliberali. […]. Queste Encicliche non erano in contrasto con l’azione diplomatica del Papa e del suo Segretario di Stato, secondo i quali tra religione e politica non può sussistere separazione, ma cooperazione subordinata” (Y. Chiron, op. cit., p. 48).

Don Della Chiesa venne nominato Monsignore e minutante (redattore) presso la Segreteria di Stato (cfr. Klaus Unterburger, Da minutante a sostituto della Segreteria di Stato, in Alberto Melloni – diretto da – Benedetto XV, cit., 1° vol., pp. 61-67). La sua immagine caratteristica è simile a quella della sua gioventù: “Piccolo, incurvato, esitante e nervoso, quasi trepidante, ma ricco di doni intellettuali eccezionali e di una grande energia” (Y. Chiron, op. cit., p. 49).

Leone XIII nel 1887 dovette precisare il significato di un discorso pronunciato il 23 maggio durante un Concistoro, in cui si rallegrava che in Germania era stata ridata alla Chiesa la piena libertà di fare apostolato. Purtroppo in Italia tale discorso venne travisato e volutamente interpretato come un affronto al Governo italiano, che era in rotta di collisione con la Chiesa a partire dal 1870. Quindi Leone XIII precisò che il Papa rivendicava la sovranità temporale non per ambizione politica, ma come una garanzia vera ed efficace della sua indipendenza e della sua libertà. La chiarificazione del Papa fu seguìta da una lunga nota di Rampolla inviata a tutti i Nunzi Apostolici il 22 giugno, che ha un tono ancora più fermo della precisazione scritta dal Papa. Tuttavia siccome in Italia il mondo cattolico non era molto unito riguardo all’attitudine da tenere nei confronti dello Stato, mons. Giacomo Della Chiesa fu incaricato di rendere visita a circa 40 Arcivescovi italiani per ricompattare le forze attorno a Leone XIII.

Mons. Della Chiesa si recò a Firenze e disse all’Arcivescovo che secondo il Papa “non ci sarebbe potuta essere riconciliazione tra Stato italiano e Papato sino a che la sovranità della S. Sede non sarebbe stata riconosciuta e che Roma non sarebbe stata resa al Sommo Pontefice”. L’Arcivescovo fiorentino fu pienamente d’accordo[2]. Invece a Torino l’Arcivescovo spiegò che la maggioranza della popolazione torinese era leale verso Casa Savoia e il Papa non ne fu soddisfatto, egli costatava che molti Vescovi erano poco combattivi, la rassegnazione prevaleva sullo spirito di reazione. Mons. Della Chiesa poté rendersi conto, nelle sue numerose visite alle Diocesi italiane, come in molte città d’Italia oramai la massoneria aveva più influenza delle associazioni cattoliche e ne fu molto dispiaciuto (Y. Chiron, op. cit., p. 57), ma nel centro-sud dell’Italia trovò un consenso molto più vasto sulla necessità che il Papa ritrovasse il suo potere temporale per meglio svolgere il suo apostolato spirituale. Il rapporto di mons. Della Chiesa a Roma, oltre a narrare questi fatti, concludeva amaramente che “la Rivoluzione e le sette, soprattutto la massoneria, dopo aver distrutto il potere temporale del Papa hanno preso la direzione della vita pubblica italiana sottraendola alla Chiesa” (Y. Chiron, op. cit., p. 59). Si evince, dunque, la sua mentalità antiliberale sin dai primi anni della sua vita sacerdotale.

Nel 1901 Mons. Della Chiesa fu nominato sostituto della Segreteria di Stato e consultore del S. Uffizio. “Nello stesso tempo, mons. Pietro Gasparri fu nominato segretario della Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari. Con Rampolla e Della Chiesa formeranno, nella Segreteria di Stato, un trio che operava con il medesimo spirito (cfr. J.-M. Ticchi, Rampolla, Della Chiesa, Benedetto XV, in Alberto Melloni – diretto da – Benedetto XV, 1° vol., pp. 85-96), ad essi si aggiungerà nel 1911 monsignor Eugenio Pacelli, che sostituì, nel 1911, monsignor Umberto Benigni. Mons. Della Chiesa era oramai il collaboratore più intimo del Card. Rampolla ed era ricevuto con una certa frequenza da Leone XIII” (Y. Chiron, op. cit., p. 65).

La questione modernista

Negli ultimi anni del Pontificato di Leone XIII si sviluppò il problema modernista soprattutto a partire dalla Francia ove nel 1902 don Alfred Loisy pubblicò Il Vangelo e la Chiesa, che venne condannato dall’Arcivescovo di Parigi nel 1903. La Congregazione dell’Indice aveva iniziato ad esaminare le opere del Loisy. Tuttavia Leone XIII arrivato 93enne alla fine della sua lunga vita (che terminò il 20 luglio 1903) non ebbe fisicamente la prontezza di affrontare questo nuovo errore come aveva fatto nel 1899 con l’Americanismo e durante tutto il suo lungo pontificato (1878-1903) con il liberalismo, la massoneria e il giudaismo.

Dal Conclave uscì il nuovo Papa: il Card. di Venezia Giuseppe Sarto che prese il nome di Pio X (A. Zambarbieri, Dialettiche ai vertici: Merry del Val, Della Chiesa, Pio X: 1883-1907, in Alberto Melloni – diretto da – Benedetto XV, cit., 1° vol., pp. 68-84). Si sa che stava per essere eletto il Card. Rampolla, ma l’Austria pose il veto poiché lo riteneva “francofilo”.

“Alcuni autori hanno avanzato un’altra ragione del veto: il card. Rampolla sarebbe stato massone! Una tale asserzione non la si ritrova né nei rapporti diplomatici dell’epoca, né negli scritti dei partecipanti al Conclave, neppure nelle opere degli integristi del Sodalitium Pianum di Mons. Umberto Benigni, che è sempre stato un fedele discepolo e ammiratore di Leone XIII, di cui Rampolla fu il più stretto collaboratore. È solo dopo il Pontificato di S. Pio X che questo rumore ha iniziato a spandersi. Se nel 1903 vi fosse stato il minimo sospetto a tale riguardo papa Sarto avrebbe allontanato il Card. Rampolla da ogni incarico. Ora se alla morte di Pio X perse quello di Segretario di Stato mantenne tutti gli altri e ne ottenne dei nuovi. […]. Il Card. Rampolla  restò, infatti, membro di cinque Congregazioni e fu nominato Arciprete della basilica di S. Pietro, ma volontariamente si ritirò dagli affari quotidiani della Curia e s’installò a Santa Marta. […]. In ogni caso è rimasto un collaboratore leale del nuovo Papa e del nuovo Segretario di Stato. Mentre Gasparri e Della Chiesa furono confermati nelle loro funzioni alla Segreteria di Stato” (Y. Chiron, op. cit., p. 77 e 79; in un prossimo articolo affronterò “il caso Rampolla” in dettaglio)[3].

APPENDICE: IL “CASO RAMPOLLA”

Padre Paul Dudon sulla rivista dei Gesuiti di Francia “Ètudes (5 novembre 1923, pp. 257-267) scrisse un interessante articolo su “Il Cardinale Mariano Rampolla Del Tìndaro” in occasione della pubblicazione del libro di mons. Pietro Sinopoli Di Giunta, intitolato “Mariano Rampolla Del Tìndaro (Roma, Pustel, 1923).

Il Rampolla era morto dieci anni prima. Nel suo libro mons. Sinopoli, che era stato incaricato ufficialmente da papa Benedetto XV di redigere la biografia del cardinale siciliano, scriveva che il Rampolla divenne prete il 17 marzo 1866, nel febbraio 1870 dottore in teologia e sei mesi dopo, in agosto, dottore in utroque jure. Indi entrò a far parte di “Congregazione degli affari ecclesiastici straordinari” e dopo della “Propaganda fide”. Da 1875 al 1877 andò a Madrid come uditore presso la “Nunziatura apostolica”, il tutto sotto il pontificato del Beato Pio IX (1846-1878). Dal 1877 al 1882 passò cinque anni al Segretariato di “Propaganda fide” e dal 1882 al 1887 altri cinque come Nunzio apostolico a Madrid.

Il 27 maggio 1887 Rampolla fu creato cardinale da Leone XIII (1887-1903)[4] e nominato Segretario di Stato il 3 giugno. Aveva soli quarantaquattro anni.

In alcuni ambienti circola la voce che Rampolla sia morto ai piedi di San Pio X, il quale, soccorrendolo, avrebbe trovato sul suo petto le insegne massoniche… invece padre Dudon ci spiega che nel 1912 S. Pio X in persona gli confidò la direzione della Biblioteca vaticana, ma un anno dopo il card. Rampolla spirava il 17 dicembre alle undici e mezzo di notte, dopo la recita del rosario, mentre i medici lo curavano e speravano ancora di poterlo guarire (p. 267). Quindi è certo che non morì tra le braccia di S. Pio X durante un’udienza, in occasione della quale si sarebbero scorte le insegne massoniche che portava su di sé, come dicono, contro la realtà dei fatti, i suoi detrattori.

D’altronde anche il Beato Pio IX era stato colpito dalla medesima calunnia: sarebbe stato massone! Cfr. Yves Chiron, Pie IX et la Franc-Maçonnerie, Niherne, Edizioni BCM, 1995, che sfata tale calunnia.

d. Curzio Nitoglia

Fine Della Settima


[1] Nel quale (can. 589, § 1) si raccomanda lo studio del Tomismo come obbligatorio nei seminari e nelle Università pontificie per accedere al Sacerdozio.

[2] Cfr. A. Scottà, Giacomo Della Chiesa, Arcivescovo di Bologna, Soveria Mannelli, 2002, p. 105-109.

[3] Cfr. anche G. Sale, Popolari e destra cattolica al tempo di Benedetto XV, Milano, Jaca Book, 2006

[4] Cfr. Eduardo Soderini, Leone XIII, 3 voll., Milano, Mondadori, 1932-1933.


 
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