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Napolitano Dux
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Di tutte le promesse fatte e le grandi riforme promesse e mai realizzate, Berlusconi è riuscito a coagularne una sola: ha creato la repubblica presidenziale con enormi poteri di governo al capo dello Stato. Solo che questa riforma a Berlusconi è riuscita per inavvertenza e distrazione, e non è lui a goderne i frutti. È Napolitano, ovviamente.

È lui che si è accaparrato una quantità di poteri che spetterebbero al governo, ma che governanti distratti dal Bunga-Bunga o neanderthaliani culturalmente e intellettualmente al disotto del minimo, gli hanno abbandonato. Quando Parigi e Londra scatenano la vergognosa guerra contro Gheddafi – che è in realtà una guerra contro l’Italia e i suoi interessi – è stato Napolitano ad accodare l’Italia alla disonorata impresa, contro le esitazioni di Al Caprone e i bofonchi di Bossi. Per conto della massoneria internazionale, e facendo carta straccia dell’incredibile trattato di eterna amicizia che Bunga aveva appena firmato col Colonnello. Quanto al Bossi, era sì contro la guerra in Libia, ma per un motivo troppo provinciale e neandertaliano per aver dignità di argomento politico: «La guerra ci riempirà di immigrati».

Sicchè la decisione è stata abbandonata di fatto a colui che, in base alla Costituzione, non deve governare: Napolitano. Da allora, Napolitano s’è appropriato della politica estera in generale, missioni militari e fedeltà massonica all’Unione Europea, visite e profferte di eterna amicizia in Israele.

«Gli interventi di Giorgio Napolitano, non a caso sempre più frequenti, sono divenuti un punto di riferimento per i cittadini italiani, ma anche per gli interlocutori stranieri: un riferimento costante alle linee tradizionali della politica estera italiana, leuropeismo e latlantismo», ha scritto un entusiasta sostenitore del golpismo quirinalizio, Giampiero Gramaglia, non a caso uno dei capi dello IAI, Istituto Affari Internazionali, che è uno dei rari think-tank nostrani creati su modello americano, fondato nel 1965 da Altiero Spinelli e finanziato per decenni dalla famiglia e Fondazione Agnelli, in nome e per conto della Lazard, dei Rockefeller e in generale dei poteri forti internazionalisti occidentali.

Da lì, il presidente non ha mancato di allargarsi a dir la sua su ogni atto di governo, mostrando ad ogni passo che tiene il governo sotto sua tutela e controllo: sulla finanziaria, ammonendo «... lItalia di rispettare le regole del gioco europee»; «rispedendo al mittente il decreto sul federalismo fiscale approvato dal Consiglio dei ministri»; esprimendo «riserve» sulla nomina di ministri che non piacciono a lui, alla Massoneria atlantista e ai procuratori; pretendendo che le nomine di nuovi sottosegretari vengano approvate dal Parlamento. Difendendo la magistratura più discutibile e indifendibile.

Fatto molto significativo, ha scritto a Marco Pannella, per convincere l’anziano e determinato leader radicale a desistere dallo sciopero della sete, assicurandolo che le sue battaglie sono «un patrimonio comune». Il patrimonio comune della squadra e del compasso, ovviamente. Si dice che Napolitano farà Pannella senatore a vita, dandogli quel seggio in parlamento a cui il logorroico estremista massonico ha sempre ambito, ma che gli è stato sempre negato dal voto del popolo italiano.

È intervenuto sulla finanza pubblica («Labbattimento del debito pubblico è impegno urgente»), sul precariato  («è necessario un rapporto di fiducia fra le generazioni per aiutare i giovani a superare instabilità e incertezze»); frasi fatte che a lui non costano niente ma che lo rendono tanto caro ai media e alle sinistre – che fanno sempre (diceva Spengler) il gioco del grande capitale.

Di recente, s’è lamentato: in Italia «lopposizione non è abbastanza forte», «La sinistra sia più affidabile o resterà opposizione’»; nel frattempo, è Napolitano a vicariare un’opposizione che non riesce ad esistere, facendo in proprio il capo dell’opposizione. Fa tutto lui, tant’è vero che i ministri, pieni di tempo libero come sono, non fanno altro che amoreggiare e convolare a nozze: s’è sposata la Carfagna con Mezzaroma, s’è sposato Frattini (con la figlia di un ex-presidente della Federazione Sport Invernali), si è sposato Brunetta (a Ravello, con Maserati ministeriale blu). S’è sposata la Gelmini, s’è sposato Bondi.

È tutto un cinguettare amoroso di gente che, politicamente, ha un piede nella fossa: ma si sa, stante il proverbio partenopeo, «o pesce non vole penzeri», di «penzeri» i ministri non ne hanno più. Al loro posto, governa Napolitano. Che è addirittura ringiovanito, giurano i suoi intimi, in questo frenetico esercizio del potere indebito (1).

Non c’è male per una figura presidenziale della quale la Costituzione detta: «Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nellesercizio delle sue funzioni tranne che per Alto Tradimento o per attentato alla Costituzione».

Ovviamente, non c’è nessuno che abbia il coraggio di portare Napolitano sotto processo per attentato alla Costituzione (davanti alla Corte Costituzionale); se mai, lo si doveva fare molto prima, già quando un altro presidente, Oscar Luigi Scalfaro, formò un suo governo non eletto da nessuno, con Dini premier e la Susanna Agnelli ministra, togliendolo a Berlusconi che era stato eletto dal mandato popolare. Non si trovò una forza politica che ardisse farlo allora, figurarsi oggi.

Il che, pregasi notare, significa una cosa: che un capo dello Stato in Italia può travalicare alle sue funzioni e accaparrarsi funzioni che non gli spettano, senza incontrare un limite automatico e oggettivo. È qui il campo dove più chiaramente la politica italiana si mostra qual’è – non un regime governato dal diritto, ma dalla forza di fatto. Ogni casta ed ogni carica allarga i suoi poteri non fin dove gli intima il diritto, ma dove ha la forza di farlo, mentre le altre forze antagoniste sono inferiori o incapacitate. È il caso della magistratura, che da gran tempo ha superato i propri limiti ed ha instaurato la dittatura delle intercettazioni totali, del carcere preventivo e del sospetto generale. Napolitano, in questo, è il primo dei magistrati.

Il fatto curioso (e molto istruttivo) è che l’occupante del Quirinale, proprio in quanto travalica i suoi limiti con un’improntitudine da vecchio volpone del potere di fatto, gode del favore della cosiddetta opinione pubblica. Non c’è personaggio più popolare, adulato e adorato del capo dello Stato. Del resto, già prima di Napolitano, questa adorazione circondava Pertini e Ciampi. Come mai?

D’accordo, i media ce la mettono tutta ad adulare, a nascondere le magagne, la corruzione e le ambizioni smodate dell’inquilino del Quirinale, a creare l’immagine del buon nonno affettuoso, ad esaltare anche le più disgustose manifestazioni demagogiche dei presidenti italioti (ricordate l’esaltazione per Pertini a Vermicino, caro vecchio nonno vicino al nipotino in pericolo?). Ma l’adulazione dei media non spiega tutto.

È il popolo italiano stesso che adora questi eccelsi demagoghi: e per la ragione precisa che non li ha votati. Tutte le personalità che il popolo vota, il popolo critica, giudica, e alla fine disprezza (con ragione; ma ciò è il sintomo che questo popolo ha un’idea spregevole di se stesso, dunque anche delle personalità che sceglie): pensate con quali cachinni e proteste avrebbe accolto, che so, un Berlusconi o anche un Prodi davanti al pozzo di Vermicino. Invece, Pertini ha fatto inumidire gli occhi. Non essendo votato dal popolo, il presidente è visto dal popolo come esente dai suoi vizi e difetti. La sua figura neutra, astutamente coltivata, lo fa apparire super partes; il che significa, se ben ci pensate, che il presidente è tanto più amato e adorato, in quanto è considerato esente da democrazia. È ritenuto pulito mentre la politica elettorale, sotto di lui, è sporca. Viene investito fantasmaticamente dell’onestà sovrumana che il popolino attribuiva al re, o a Stalin, o al Duce: «Ah, se il duce lo sapesse!», si diceva davanti a qualche malversazione o sopruso dei capi fascisti di basso livello. A Stalin si scrivevano petizioni e poesie amorose, si tributava un culto che non era affatto insincero.

Così, dal popolo si alzano continui appelli, suppliche, istanze a Napolitano perchè li protegga contro abusi veri o presunti del potere elettivo, del governo governante. E Napolitano può scegliere a quali suppliche mostrare di dare ascolto, tanto non gli costa niente, è irresponsabile, e i grattacapi del vero governo, i lati spiacevoli, se li risparmia.

Basterà riportare qui un passo di un articolo riguardante una recente visita di Napolitano a Torino:

«Napolitano è appena sceso dallauto, ha mosso solo pochi passi e dalla folla salza un boato: ‘Presidente ci difenda’. Poi, in un Teatro Regio gremito, vibrante per lemozione, tre minuti di applausi, linno di Mameli e il lungo saluto del Presidente: Torino, la prima capitale dellItalia unita, la città sabauda e dei Savoia, ha scelto il suo nuovo re».

Dove la cosa più impressionante è il fatto che un giornalista abbia potuto scrivere un simile peana, senza vergognarsi. Il sintomo è rivelatore: è al dittatore che si tributano simili omaggi e vibranti leccate da parte dei giornali; è al dittatore che il popolo dà (spontaneamente) un simile consenso emotivo, corale, patriottico. Insomma, gli italiani vogliono il dittatore (2) – non è una novità – e l’hanno trovato.

Non certo a caso Emanuele Macaluso, vechio compare comunista, ha proposto un secondo mandato a Napolitano. Il quale, avendo solo 86 anni ed essendo ringiovanito dal potere supremo, può benissimo arrivare a 95 ancora al Quirinale, e governare per 14 anni, in salute deplorevolmente ottima: addirittura per elezione diretta di un popolo che non ha mai capito il pluralismo, a cui la demokratia è stata imposta dai vincitori, e che al governo vuole un difensore.

I giornalisti e gli opinionisti che plaudono il dux Napolitano, sono gli stessi che mettono in guardia contro quella che chiamano «lAntipolitica», e fingono di temere che questo umore popolare sia il prodromo di una dittatura, magari di Beppe Grillo.

Ma quale Beppe Grillo: l’Antipolitica ha già scelto il suo dux, è Napolitano. Anche perchè, come sempre, l’Antipolitica dà il potere a chi già ce lo ha. È più comodo.




1) L’attività indebitamente governativa del Quirinale è testimoniata dall’enorme apparato della sua macchina, che non è certo quella che basta per un incarico cerimoniale: la regina d’Inghilterra dispone sì e no di 300 dipendenti, il re di Spagna di 543, e il presidente francese di 941 dipendenti, il Quirinale di dipendenti ne ha 2.181, di cui 1.095 ai vertici e agli ordini diretti della presidenza. Gli altri 1.086 sono militari (un organico aumentato del 50% dal 1998). Questo apparato, un super-ministero, costa ai contribuenti italiani 235 milioni di euro l’anno, 5 volte più di quanto costi agli inglesi la monarchia britannica. Per un altro confronto: la presidenza federale tedesca costa 19 milioni di euro l’anno e ha 160 dipendenti in tutto – un decimo del Quirinale – fra consiglieri, funzionari, impiegati, addetti alla sicurezza e alla manutenzione.
2) Un altro sintomo della propensione italiota alla dittatura, purchè scema: il culto del Capo che i leghisti militanti tributano a Bossi, come s’è visto e rivisto sul pratone di Pontida. Un fenomeno ormai ridicolo e patetico, perchè rivolto a un essere giunto umanamente e politicamente al capolinea, da parte di un partito ormai perdente. Ma pensate se la Lega fosse vincente: allora saremmo tutti obbligati ad inneggiare al bofonchiatore in adunate obbligatorie, muniti di prescritta camicia verde, sotto il cipiglio di Calderoli, questo Martin Borman alla Aldo-Giovanni-Giacomo che a Pontida abbiamo visto spolverare la forfora dalla spalla di Bossi, e guidare le grida osannanti de’ celti. Se la Lega fosse vincente, il nostro destino sarebbero i sabati leghisti, con il Calderoli che ingiunge, tonante: Saluto al Trota!!!, e il bofonchiatore che vaneggia, irragiungibile e inviolabile, protetto dal Cerchio Magico. Un altro sintomo: Marco Pannella. Da quando ha ottenuto da Napolitano la promessa di diventare senatore a vita, su Radio Radicale si produce in soliloqui e concioni – senza il minimo contraddittorio – che durano anche otto ore: come Fidel Castro nei suoi anni giovanili, o come Chavez. E nessuno, nel suo partitello, che abbia il coraggio di dirgli: basta, ora vattene. L’Italia pullula di dittatorelli in sedicesimo, che esercitano la loro dittatura dove possono, nei circoli ristretti dei loro cerchi magici.



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