Il podestà forestiero
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Il nostro lettore Emanuele C. invia a Blondet l’editoriale di Mario Monti col seguente commento:

«Leditoriale di Mario Monti conferma ciò che i media nazionali, soprattutto quelli più amici del Cavaliere, ancora fanno finta di non vedere: il governo italiano è stato commissariato e sottoposto alla volontà un governo tecnico sovranazionale’. Di fatto, la sovranità nazionale italiana è finita. Perfino un europeista ideologico come Monti la considera una caduta di dignità».

Blondet risponde:  


Verissimo. Berlusconi e Tremonti sono messi sotto tutela, costretti ad agire da Berlino, Bruxelles, Francoforte, Parigi – e Washington. Ed è vero che questo è accaduto spesso nella storia: gli Stati italiani sono sempre stati incapaci di autogoverno, e dunque periodicamente conquistati ed occupati da potenze straniere, che governavano al posto nostro. Ora succede lo stesso, con altri mezzi; e senza che i nuovi padroni si facciano carico di qualche responsabilità, come dovevano fare gli occupanti di un tempo, almeno in parte. Quella parte di cui gli italiani si son sempre accontentati; non credo che in nessun’altra nazione potesse nascere il detto «O Franza o Spagna purchè se magna»… Spiace dar ragione a Monti, che è un presuntuoso e rispettatissimo cr… bocconiano e candidato dei poteri forti come capo del governo tecnico, ma è sempre stato così in Italia, «perchè non siam popolo, perchè siam divisi». Il momento storico in cui i Comuni invitavano un podestà straniero, che li governasse, è stato uno dei momenti migliori: almeno, c’era la coscienza che le nostre divisioni di fazione erano un vizio incoercibile, e dunque l’umile decisione di affidarsi ad altri, estranei alle fazioni interne. I podestà erano stipendiati con contratto a termine, non conquistatori. Quei conquistatori, si noti, sempre poi chiamati da una fazione italiana perchè li aiutasse a schiacciare la fazione comunale avversa. Alla prima crisi seria, il meccanismo si riproduce sempre uguale.

Maurizio Blondet

 

Il podestà forestiero


I mercati, lEuropa - Quanti strali sono stati scagliati contro i mercati e contro l’Europa da membri del governo e della classe politica italiana! «Europeista» è un aggettivo usato sempre meno. «Mercatista», brillante neologismo, ha una connotazione spregiativa. Eppure dobbiamo ai mercati, con tutti i loro eccessi distorsivi, e soprattutto all’Europa, con tutte le sue debolezze, se il governo ha finalmente aperto gli occhi e deciso almeno alcune delle misure necessarie. La sequenza iniziata ai primi di luglio con l’allarme delle agenzie di rating e proseguita con la manovra, il dibattito parlamentare, la riunione con le parti sociali, la reazione negativa dei mercati e infine la conferenza stampa di venerdì, deve essere stata pesante per il presidente Berlusconi e per il ministro Tremonti. Essi sono stati costretti a modificare posizioni che avevano sostenuto a lungo, in modo disinvolto l’uno e molto puntiglioso l’altro, e a prendere decisioni non scaturite dai loro convincimenti ma dettate dai mercati e dall’Europa. Il governo e la maggioranza, dopo avere rivendicato la propria autonoma capacità di risolvere i problemi del Paese, dopo avere rifiutato l’ipotesi di un impegno comune con altre forze politiche per cercare di risollevare un’Italia in crisi e sfiduciata, hanno accettato in questi ultimi giorni, nella sostanza, un «governo tecnico». Le forme sono salve. I ministri restano in carica. La primazia della politica è intatta. Ma le decisioni principali sono state prese da un «governo tecnico sopranazionale» e, si potrebbe aggiungere, «mercatista», con sedi sparse tra Bruxelles, Francoforte, Berlino, Londra e New York. Come europeista, e dato che riconosco l’utile funzione svolta dai mercati (purché sottoposti a una rigorosa disciplina da poteri pubblici imparziali) vedo tutti i vantaggi di certi «vincoli esterni», soprattutto per un Paese che, quando si governa da sé, è poco incline a guardare all’interesse dei giovani e delle future generazioni. Ma vedo anche, in una precipitosa soluzione eterodiretta come quella dei giorni scorsi, quattro inconvenienti.

 Scarsa dignità - Anche se quella del «podestà forestiero» è una tradizione che risale ai Comuni italiani del XIII secolo, dispiace che l’Italia possa essere vista come un Paese che preferisce lasciarsi imporre decisioni impopolari, ma in realtà positive per gli italiani che verranno, anziché prenderle per convinzione acquisita dopo civili dibattiti tra le parti. In questo, ci vorrebbe un po’ di «patriottismo economico», non nel fare barriera in nome dell’«interesse nazionale» contro acquisizioni dall’estero di imprese italiane anche in settori non strategici (barriere che del resto sono spesso goffe e inefficaci, una specie di colbertismo de noantri). 

Downgrading politico - Quanto è avvenuto nell’ultima settimana non contribuisce purtroppo ad accrescere la statura dell’Italia tra i protagonisti della scena europea e internazionale. Questo non è grave solo sul piano del prestigio, ma soprattutto su quello dell’efficacia. L’Unione Europea e l’Eurozona si trovano in una fase critica, dovranno riconsiderare in profondità le proprie strategie. Dovranno darsi strumenti capaci di rafforzare la disciplina, giustamente voluta dalla Germania nell’interesse di tutti, e al tempo stesso di favorire la crescita, che neppure la Germania potrà avere durevolmente se non cresceranno anche gli altri. Il ruolo di un’Italia rispettata e autorevole, anziché fonte di problemi, sarebbe di grande aiuto all’Europa.

Tempo perduto - Nella diagnosi sull’economia italiana e nelle terapie, ciò che l’Europa e i mercati hanno imposto non comprende nulla che non fosse già stato proposto da tempo dal dibattito politico, dalle parti sociali, dalla Banca d’Italia, da molti economisti. La perseveranza con la quale si è preferito ascoltare solo poche voci, rassicuranti sulla solidità della nostra economia e anzi su una certa superiorità del modello italiano, è stata una delle cause del molto tempo perduto e dei conseguenti maggiori costi per la nostra economia e società, dei quali lo spread sui tassi è visibile manifestazione.

Crescita penalizzata - Nelle decisioni imposte dai mercati e dall’Europa, tendono a prevalere le ragioni della stabilità rispetto a quelle della crescita. Gli investitori, i governi degli altri Paesi, le autorità monetarie sono più preoccupati per i rischi di insolvenza sui titoli italiani, per il possibile contagio dell’instabilità finanziaria, per l’eventuale indebolimento dell’euro, di quanto lo siano per l’insufficiente crescita dell’economia italiana (anche se, per la prima volta, perfino le agenzie di rating hanno individuato proprio nella mancanza di crescita un fattore di non sostenibilità della finanza pubblica italiana, malgrado i miglioramenti di questi anni). L’incapacità di prendere serie decisioni per rimuovere i vincoli strutturali alla crescita e l’essersi ridotti a dover accettare misure dettate dall’imperativo della stabilità richiederanno ora un impegno forte e concentrato, dall’interno dell’Italia, sulla crescita.

Mario Monti

Fonte >
  Corriere.it



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