Islanda : la prima vittima della crisi (parte II)
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In questa crisi, la forza del bilancio di una banca conta poco o nulla, quello che conta è la garanzia, implicita od esplicita, fornita dallo stato alle banche, che lo stato stesso si faccia carico delle loro posizioni ed immetta liquidità. Quindi il fattore decisivo è il rapporto fra dimensione dello Stato e dimensione delle banche. Se le banche diventano troppo grosse da salvare, il loro fallimento diventa una profezia che si auto-avvera.

La dimensione relativa del sistema bancario islandese indica che il governo non era nella condizione di poter garantire le banche, diversamente da altre nazioni europee. Questa condizione è stata ulteriormente esasperata ed il crollo ha ricevuto una spinta in avanti quando la Banca Centrale non è riuscita ad ampliare le sue riserve in divise estere.

Il colpo di grazia è arrivato dalla bancarotta di quasi tutto il sistema bancario islandese. Non potremo mai sapere se il fallimento delle banche fosse inevitabile, ma il modo col quale sono fallite è risultato seriamente dannoso per l'economia islandese, ed è risultato senza dubbio dannoso anche per le economie del Regno Unito e di altri paesi europei.

Questo danno finale arrecato alle economie sia dell'Islanda che del resto dell'Europa  sarebbe stato sì evitabile se le autorità di tali paesi avessero agito con maggiore prudenza.

Benchè al momento sia difficile valutare il deprezzamento dovuto alla liquidazione dei portafogli in mano a privati investitori, una stima ragionevole delle perdite nette dei creditori esteri sul debito privato delle istituzioni finanziarie islandesi, supera i 40 miliardi di dollari USA.

Le autorità islandesi non si sono rese conto, nonostante i ripetuti avvertimenti interni ed esteri, della gravità della situazione :  un esempio paradigmatico viene da Buiter e Sibert ( 2008 ).  Inoltre, le autorità islandesi hanno una pessima comunicazione con le loro controparti internazionali, il che porta ad una atmosfera di sfiducia.

Le autorità del Regno Unito, esasperate dalle risposte  dell'Islanda, hanno iper-reagito ricorrendo alle leggi anti-terrorismo allo scopo di impadronirsi dei portafogli islandesi, causando così la bancarotta della superstite banca islandese. Alla fine, questo ha portato l'Islanda alla condizione di reietta dal sistema finanziario.

Le rivendicazioni di Inghilterra ed Olanda al Governo islandese


Le difficoltà attuali che l'Islanda deve fronteggiare sono relative alla disputa con Olanda e Regno Unito circa i depositi ad alti interessi "Icesave." Landsbanki sostiene che tali depositi abbiano lo status di rami della collocante islandese, intendendo con ciò che sono conti regolati ed assicurati in Islanda e non nel Regno Unito od in Olanda.

Icesave ha offerto tassi di interesse ben superiori a quelli offerti a suo tempo dal mercato,  spesso superiori di un 50% a quello offerto dalle principali banche britanniche.  A sua volta, questo ha richiamato investimento per 4,5 miliardi di sterline inglesi nel Regno Unito e per 1 miliardo di sterline inglesi in Olanda. Landsbanki ha attivato questi depositi nei rami olandese e britannico della casamadre islandese, intendendo che fossero primariamente regolati ed assicurati in Islanda, benchè ricadessero anche sotto l'autorità locale britannica ed olandese. Le sue operazioni erano quindi approvate da controllori islandesi, britannici ed olandesi che le hanno permesso di continuare ad attirare considerevoli flussi di denaro in entrata. Siccome le difficoltà fronteggiate dalla Landsbanki sono ben documentate, i controllori finanziari, dei tre paesi,  sono in difetto per averle permesso di continuare a richiamare depositi.

In ottemperanza alla legislazione islandese, la Landsbanki è entrata in amministrazione controllata.  Al momento in cui scriviamo, non è dato sapere l'entità delle perdite collegate ad Icesave, ma il deprezzamento sarà alto, con perdite totali attese ritenute vicine a 5 miliardi di sterline inglesi. Il fondo assicurativo islandese sui depositi copre solo una piccola parte di tali perdite.

Sia il governo britannico che quello olandese hanno cercato di recuperare, dal governo islandese, le perdite dei loro risparmiatori.

La loro richiesta è triplice : che il governo islandese ricorra al fondo assicurativo sui depositi per rimborsare i titolari di conti Icesave. Secondo, che si faccia garante dell'importo promesso dal fondo assicurativo pari a circa 20.000 euro a posizione. Terzo ed ultimo, che lo faccia con tutte le perdite. L'ultima richiesta fa riferimento alla legislazione di emergenza approvata in Islanda il 6 di ottobre, ed al fatto che il governo islandese ha promesso di rimborsare, per l'intero importo, tutti i titolari di depositi islandesi e che non può discriminare fra depositanti islandesi ed europei.

Una situazione legale incasinata

Comunque sia, il quadro legale non è chiaro. In base alla legislazione europea, l'1% dei depositi finisce nel fondo assicurativo, fornendo ai risparmiatori una protezione fino a 20.000 euro, in caso di fallimento della banca.  Apparentemente, la legislazione europea non ha previsto la possibilità di un intero sistema bancario che fallisce nè ha specificato gli obblighi legali dei governi nel rifornire il fondo assicurativo depositi. Inoltre, il ruolo legale della legislazione d'emergenza islandese non è chiaro. Per questo il governo islandese si sta opponendo ad alcune delle richieste britanniche ed olandesi.

Cavar sangue da una rapa

Indipendentemente dalle dispute legali, il governo islandese ha una ben limitata capacità di soddisfare tali richieste, ed il danno all'economia islandese è grosso. Si prevede che l'economia subisca una contrazione del 15%, ed il tasso di cambio è caduto vistosamente. Utilizzando il tasso di cambio fissato dalla BCE il 7 novembre, il PIL islandese è di circa 5,5 miliardi di euro, al cambio di 200 corone islandesi per 1 euro. Calcolato in euro, il PIL è caduto del 65%. ( Questo calcolo si basa su una caduta del PIL islandese da 1.300 miliardi di corone islandesi a 1.105 e ad un concambio con l'euro pari a 200. Il tasso di cambio un anno fa era 83.  Il PIL islandese, a causa della crisi, si è contratto del 15% in termini di moneta interna e del 65% in termini di euro). (1)

Le perdite totali di Icesave potrebbero quindi superare il PIL dell'Islanda.  D'altra parte, l'importo accampato dal Regno Unito e dall'Olanda, benchè non chiaro, potrebbe avvicinarsi al 100% del PIL islandese. A confronto, il totale delle richieste mosse alla Germania per i danni di guerra dopo la Prima Guerra Mondiale, era circa l'85% del suo PIL. (2)

Come risolvere e venirne fuori

Qualunque soluzione del problema che l'Islanda fronteggia attualmente dipende da come Regno Unito ed Olanda si accorderanno con l'Islanda stessa. Sfortunatamente, la capacità del governo islandese di soddisfare le loro attuali richieste è molto dubbia.

Sondaggi d'opinione condotti in Islanda indicano che un terzo della popolazione stia considerando di emigrare. Un ulteriore inasprimento economico dovuto agli obblighi della Icesave, potrebbe rendere realtà questa che al momento è solo una opinione. Nel frattempo, molte aziende vanno verso la bancarotta ed altre stanno valutando l'idea di spostare all'estero le loro sedi amministrative ed operative.

Se la parte più giovane e scolarizzata della popolazione emigrerà, insieme a tante aziende manifatturiere ed esportatrici di successo, è difficile immaginare che la nazione islandese potrà ripianare i debiti creati dalle obbligazioni della Icesave nei confronti di Regno Unito ed Olanda, rendendo con ciò plausibile la bancarotta governativa.

Le motivazioni economiche per continuare a seguire il caso Icesave con l'attuale intensità sono molto incerte. Se non si può raggiungere un accordo ragionevole, con gli aspetti legali tutt'ora incerti, sarebbe meglio per tutte e tre le parti in causa far dirimere la questione da un tribunale e non dalla forza, come sta accadendo ora.
Fine Parte II

Riferimenti

1. Willem Buiter and Anne Sibert (2008) “The Icelandic banking crisis and what to do about it: The lender of last resort theory of optimal currency areas”. CEPR Policy Insight No. 26.
2. Webb, Steven (1988) “Latin American debt today and German reparations after World War I - a comparison”, Review of World Economics.

Jon Danielsson

Traduzione per EFEFDIEFFE.com di Massimo Frulla

Fonte >
 
VOX | 12 novembre

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