Diffidare dalla "trasparenza"
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Gentile Direttore,

A proposito di
«regressione dell’Occidente», mentre il Venerabile Nipote si eccita per i controlli bancari e l’aumento di consumo di carta per scontrini (de gustibus...) e dichiara guerra (con tutto ciò che ne consegue, dal «fine che giustifica i meni» alla criminalizzazione del nemico che diventa un non-essere da eliminare...) agli evasori del privato (nulla quaestio sui fannulloni del pubblico, nemmeno uno spot tv) confesso di rabbrividire all’idea di un «grande fratello fiscale» che ci spia (seppur per il nostro bene: la «lotta all’evasione fiscale»...) e di essere molto diffidente sulla «trasparenza» dei cittadini, che dovrebbero rendere conto allo Stato di come spendono i loro soldi fino all’ultimo euro.

Infatti nello Stato di diritto (ammesso e non concesso che l’Italia lo sia) la trasparenza dovrebbe riguardare solo gli atti dei pubblici poteri, che devono essere, per l’appunto, pubblici e liberamente consultabili dai cittadini, mentre quelli dei privati cittadini no (tranne eccezioni come i registri immobiliari e simili e non per ragioni fiscali, ma per garantire la certezza delle transazioni concernenti tali beni)

Era nei regimi comunisti che accadeva l’esatto opposto: i cittadini dovevano essere «trasparenti» per lo stato, ovvero dovevano rendere conto di ciò che facevano  24 ore su 24, e chi parlava di riservatezza della vita privata non faceva che accampare un pretesto in quanto «aveva qualcosa da nascondere» (il cittadino probo non doveva avere nulla da nascondere!) mentre, al contrario, lo Stato era una fortezza impenetrabile.

Con i migliori saluti

AS