Cacasotto in Tulliani
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So che mi chiedete un parere sul Kippà consorte Tulliani: in breve, a Mirabello, ha mostrato di meritare il soprannome con cui era noto nel MSI: Caghetta, ossia cacasotto. Ha detto che «il Pdl non cè più» ma ha promesso di sostenere il governo del Pdl. Ha attaccato Berlusconi e ha provato a dire che «finirà la legislatura». Non ha fondato un suo partito. Cerca di stare di quà e di là, al governo e all’opposizione.

Una volta tanto, ha ragione Di Pietro: «Fini vuole la botte piena e la moglie ubriaca», o la moglie (Tulliani) piena e la botte ubriaca: quella piena di buon vino della carica istituzionale, con connesso superstipendio e super-privilegi, al riparo della quale può sparare impunemente sul governo. Con l’appoggio dei media, dei giudici e di Napolitano. Uno che si mette la cintura e anche le bretelle.

S’è fatto applaudire da un pubblico di redivivi missini paleo-fascisti (patetico il Mirko Tremaglia, il subnormale che ha fatto votare gli italiani allestero, i quali hanno riempito il parlamento di ancor più mascalzoni, per giunta voltagabbana) da giornalisti de Il Fatto, da grillini sparsi e (dicono i giornali) da giovani libertari, ossia radicali radunati dal vero stratega della destra-kippà, il Benedetto Della Vedova (questi radicali, non riuscendo ad avere voti propri, si infiltrano in tutti i partiti che qualche voto lo hanno).

Anche la sua nuova ideologia libertaria e laica che strappa gli applausi di Repubblica, l’ha assunta da quando ha cominciato a portarsi a letto la Tulliani e tutta la famiglia Tulliano’s: restare nelle istituzioni senza alcun principio, per svendere il patrimonio (immobiliare) missino e accaparrarsi la tessera Freccia Alata, come hanno i VIP.

Apparentemente, Fini deve sempre dipendere da qualcuno: da Alessandro Ruben, il suggeritore per conto del B’nai B’rith, dalla gnocca che gli ha fatto scoprire il sesso a 50 anni nonchè i vantaggi della Famiglia, dal radicale libero spostato alle sue costole da Pannella. Un pluridipendente, non a caso difensore dei dipendenti pubblici, dei piccoli impiegati statali meridionali, dei precari della scuola di troppo.




La Tulliani in prima fila a Mirabello


Di suo non ha espresso niente, nemmeno a Mirabello. Nessun programma politico alternativo per il Paese.

Il suo programma, chiamiamolo così, si riduce alla difesa delle istituzioni di cui si sente il ragioniere, e che è la solfa già detta e ripetuta da Napolitano, da Bersani, dai magistrati, insomma da tutti quelli che di istituzioni campano e guadagnano, e di cui temono la riforma. Lui ha un sacro rispetto della magistratura, rivendica la centralità del parlamento e via pappagalleggiando. Come minimo è un programma immobilista, poichè il problema italiano è proprio nel fatto che le istituzioni hanno bisogno di essere riformate.

Ma in realtà non è in grado nemmeno di promuovere immobilismo (che è pur sempre un programma, e pure con molto seguito nella Casta), perchè Fini ha mostrato chiaramente a Mirabello che la sua politica è dettata totalmente dal suo caso e interesse personale; le rivelazioni di Feltri sui Tulliano’s che l’hanno in gestione, «lo hanno fatto incazzare», come ha detto Della Vedova.

Non ha espresso nessun orizzonte, nessun altro progetto oltre a quello di limare e stare col governo per limarlo e ostacolarlo da dentro. Ha parlato di economia, di cui non capisce e non gl’importa nulla. Ha persino fatto l’occhiolino a Tremonti, che in passato ha silurato e disprezzato, sperando di avere lì la sponda di una opposizione interna al Salame.

Unico senso della cosa: la paura blu di perdere e di fallire, e di doversi guadagnare la vita. Ha invocato il diritto al dissenso, lui che mai l’ha concesso ai suoi colonnelli; ed ha pure insultato i colonnelli che non l’hanno seguito, il Caghetta.

Per quanto pirla e di pochi scrupoli sia Berlusconi, personaggio ormai inutile e inefficiente nel suo autoritarismo da avanspettacolo, l’ipotesi di una destra alla Fini sarebbe una dittatura disciplinare dei Tulliano’s, un leader di paglia in gestione congiunta fra Sion, la gnocca e il transpartito di Pannella: roba da brividi.

Ha provato, pateticamente, ad agganciare un elettorato che non ha: i precari della scuola, i meridionali, il parassitismo pubblico in genere; ma senza osar fare il partito del Sud. Insomma, dietro l’arroganza del tono e dei modi, ha mostrato di farsela sotto. Vuol stare lì e non pagare il dazio, ha paura di non essere più lì con le sinecure connesse e di dover andare a lavorare.

Ha deluso persino l’opposizione, da Bersani alla Confindustria, dal Quirinale a Casini: si aspettavano un leader, hanno trovato il Cacasotto. E con un Caghetta così non si va da nessuna parte.

Il problema di Fini è Fare Futuro: il proprio. Come farselo?

La Tulliani costa, il fratello pure, la suocera casalinga-in-RAI ancor più. Finora li ha messi a carico di noi contribuenti. Ma poi?

Maurizio Blondet



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