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La pena di morte: intervista a san Tommaso d’Aquino
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Con mio stupore, Tommaso d’Aquino mi disse subito che sì, la pena di morte andava ripudiata nei tempi moderni, e che ben facevano i poteri pubblici italiani, e la Chiesa, a ripudiarla.
Ascoltò, come gliele riferivo, le argomentazioni contrarie di Socrate; approvò vivamente la sua tesi, secondo cui lo Stato contemporaneo non ha affatto rinunciato a dare la morte, ma ha solo passato questa competenza dal ministero della Giustizia alla Sanità («verissimum! Bene dictum!»).
Ma alla fine sostenne che l’abolizione della pena capitale giudiziaria, nel ventesimo secolo, era addirittura provvidenziale.

Noi: come! Proprio tu sei diventato buonista?
Eppure a tuo tempo hai definito la pena capitale. «indispensabile», «salutare», e l’hai giustificata con l’argomento teologico.

Tommaso: non io, ma il Salvatore stesso ha giustificato la pena.
Gesù si sottopose al supplizio che toccava a noi, al nostro posto.
Si lasciò condannare, lui innocente, come i criminali che noi siamo; e si lasciò mandare alla morte dall’autorità che aveva il legittimo potere di comminarla.
Se quell’autorità non fosse stata legittima, se la condanna fosse stata ingiusta, sarebbe stata un delitto; e Gesù non ci avrebbe salvato a prezzo di un delitto.
Dunque, egli considerò la pena suprema giusta e legittima.
Di più: Egli, maestro del diritto penale, ci mostrò che è indispensabile, nel senso che non può essere dispensata.
La pena meritata deve essere scontata: nemmeno Dio può condonarla.
Può mandare il suo Figlio a scontarla per noi, tutto qui.
Ma per il male fatto, qualcuno deve pagare.
Se la pena fosse dispensabile, Gesù se ne sarebbe dispensato. Evidentemente, non c’era altra via per salvarci.

Noi: appunto.
Tu, lodevole domenicano, mi confermi che la pena di morte è necessaria. Anzi che è il fondamento dell’ordine, non solo sociale, ma metafisico. Dunque come fai a dire che, nel ventesimo secolo, la pena di morte deve essere abolita, e che anzi è «provvidenziale» che gli Stati la cancellino?
E’ una contraddizione.

Tommaso: nessuna contraddizione.
Io non dico nulla contro la pena di morte; essa resta indispensabile.
Ma a dispensarla dev’essere una autorità legittima.
Ecco il problema: sono legittimi gli Stati moderni?
Se la Chiesa insiste che essi, oggi, non possono dare la morte ai colpevoli, evidentemente essa dubita della loro legittimità.

Noi: ma la Chiesa non accusa affatto gli Stati di essere illegittimi.
Anzi.

Tommaso: infatti, mi stupisce che non usi questo argomento, «argomentum legitimitatis».
Ma come posso immaginare, il tema è politicamente delicato.
E’ come per il matrimonio: la Chiesa dovrebbe dichiarare nullo - fino a prova contraria - ogni matrimonio celebrato nel XX secolo, per «vitium voluntatis» dei coniugi.
Non lo fa, per prudenza.
Ma resta il «vitium voluntatis», il difetto di volontà, che rende tutti i matrimoni nulli (salvo pochi casi da verificare); e così nello Stato dei vostri tempi c’è chiaramente un «vitium legitimitatis», che rende delitto il dovere giuridico di dare la morte.
E, a ben pensarci, tra i due «vitia» c’è relazione.
L’uno procede dall’altro.
Sono aspetti dello stesso processo.

Noi: ma di quale processo mi parli, o dottore?

Tommaso: La de-umanizzazione dell’uomo.
Il suo decadere al livello zoologico.
Perché se è falso quel che crede il vostro secolo, che l’uomo si sia «evoluto» da non so quale scimmia, è evidente - visto da questo punto - che è possibile, purtroppo, il processo contrario: l’involuzione dell’uomo ad animale.
Lo state facendo in modo progressivo.
Volontario all’inizio, ora inarrestabile.

Noi: a me questo processo non sembra affatto evidente: basta guardare le splendide realizzazioni della scienza, specie internet, per capire che l’uomo sale nella scala evolutiva, diventa un essere sempre più intellettuale…

Tommaso: io sto parlando della «natura» dell’uomo.
La natura ontologica.
E’ questa che sta cambiando.

Noi: spiegami, dottore.

Tommaso: proverò, proprio con l’esempio della pena di morte.
Tizio commette un assassinio abietto, senza attenuanti.
Altri crimini possono essere riparati con una multa, o infliggendo al colpevole una sofferenza pari a quella che ha imposto alla vittima.
Ma l’omicidio, non è più questione di sofferenza.
Deve essere riparato con la morte dell’uccisore.

Noi: ma che cosa ci si guadagna, aggiungendo una morte a un’altra morte?

Tommaso: ecco, vedi: così appunto pensate voi, ormai creature zoologiche, confinate al bios.
Noi, che eravamo uomini, pensavamo con naturalezza in modo diverso. Pensavamo: Tizio, commettendo omicidio, ha escluso un uomo dalla vita. Egli ha turbato l’ordine naturale e umano - quella «natura» umana che non è biologica, perché comprende la giustizia.
Tizio, il colpevole, «deve» subire a sua volta la morte, per il suo bene.

Noi: per il suo bene!?

Tommaso: già; perché l’omicida Tizio non ha solo escluso la sua vittima dalla vita biologica.
Ha escluso se stesso dalla natura umana, dall’ordine umano: s’è comportato come una belva.
Dunque, lo Stato legittimo, comminandogli la pena capitale, esclude Tizio «solo» dalla vita biologica, ma per reintegrarlo nella più alta natura umana.
Questa «natura umana», al contrario della natura animale, comprende due sfere.
L’aldiquà e l’aldilà.
Escluso dall’aldiquà, Tizio entra nell’aldilà avendo scontato la sua pena: riportato alla sua dignità di uomo.

Noi: con rispetto, mi pare assurdo, dottore.

Tommaso: eh, lo capisco; voi siete prigionieri di quell’idea di «natura» in cui la vostra scienza si è confinata: per essa, «naturale» significa il materiale, il biologico.
La vostra scienza rifiuta che la «natura» dell’uomo è radicalmente diversa, superiore, a quella delle tigri e delle scimmie; che comprende anche il superbiologico.
Così, non c’è più in voi la coscienza viva della vostra «natura umana», ossia «naturalmente» partecipe dell’eternità.
Non sentite più d’essere quella crisalide di cui dice Dante, destinata a formare l’angelica farfalla.
Voi pensate - o sentite - la vostra morte non come «passaggio» all’altra sfera, ma come chiusa, cesura del solo mondo che conoscete: l’aldiquà. Non più crisalidi ma, se non ti offendi, vermi: morite senza sentimento di rinascere.
Capisco allora che la pena di morte vi diventi assurda.
Non solo assurda, ma intollerabile.
Se quel che conta è solo l’aldiquà, il biologico, allora la necessità di restaurare l’ordine della giustizia perde senso.
Non resta che aggrapparsi all’aldiquà, godere disperatamente del biologico finché non vi annulli la morte, la morte da vermi o da scimmie.
Naturalmente, tu sai come si chiama questa temperie, questo orientamento fondamentale dell’anima per cui nulla ha senso, se non la vita biologica.

Noi: è il nichilismo, immagino.

Tommaso: «nichilismo» è la parola giusta