Due fatti di padre Pio
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Da un libro di memorie di Giovanni Siena – un testimone della vita di Padre Pio, insegnante, giornalista, padre di nove figli, nato e vissuto a San Giovanni Rotondo – trovo questi due episodi che mi paiono degni di nota.

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Sul Parlamento

Questo è accaduto nei primi mesi del 1961, gli anni della prima apertura a sinistra.

Scrive Siena:

«Ormai da tempo Padre Pio non nasconde il suo dissenso con la politica italiana. Nei giorni scorsi mi sono trovato ad assistere ad un dialogo intercorso con Giovanni Leone», il futuro capo dello Stato, che era allora presidente della Camera.

Leone: «Padre, la ringrazio dellaffettuosa accoglienza».

Padre Pio: «Affettuosa sì, ma non fruttuosa».

Leone: «Speriamo che il seme da lei gettato fruttifichi».

Padre Pio: «Speriamo che non sia un seme di cerro».

Leone: «Padre, non sempre ci è dato di agire di nostra iniziativa: siamo come i carcerati».

Padre Pio: «Con la differenza, però, che a fine mese i carcerati, questi, non li prendono». E nel dire «questi», fregò il pollice sull’indice.

Leone (un po’ scoraggiato): «Padre, dia almeno una benedizione alla Camera».

Padre Pio (esplosivo): «Alla Camera ci vuole la bomba atomica!».


Se la Camera faceva già perdere le staffe a un serafico mistico senza pari, all’inizio degli anni ‘60, cosa avrebbe detto oggi?

Papa Giovanni

Il pomeriggio del 28 ottobre 1951 (Pio XII era morto il 9) tutti i cappuccini del convento di San Giovanni Rotondo erano radunati nel refettorio ad ascoltare, con una radiolina, l’annuncio della fumata bianca. Quando la voce del cardinal Canali annunciò l’elezione di Angelo Roncalli con il nome di Giovanni XXIII°, ci furono corali manifestazioni di gioia e un brindisi improvvisato: chi alzava il bicchiere, chi lo svuotò...

«Solo uno non ha partecipato allentusiasmo: Padre Pio. Seduto al solito posto al tavolo della refezione, padre Pio ha avuto un tracollo; era lì sbiancato, confuso, con gli occhi erranti nel vuoto. È stato necessario lo sforzo congiunto di due confratelli per rimetterlo in piedi».

Si sa che Giovanni XXIII nutriva un’ostilità pregiudiziale verso il cappuccino stimmatizzato. Come risulta da una sua annotazione del 25 giugno 1960, credette subito alle più vergognose calunnie riferitegli contro il frate:

«La scoperta per mezzo di filmini, si vera sunt quae referentur, dei suoi rapporti intimi e scorretti con le femmine che costituiscono la sua guardia pretoriana (...) fa pensare ad un vastissimo disastro di anime, diabolicamente preparato, a discredito della Santa Chiesa nel mondo, e qui in Italia specialmente».

Nella stessa nota, il Papa buono si congratula con se stesso in termini, che ricordano, ohimè, l’autocompiacimento del fariseo nei confronti del pubblicano evangelico:

«Motivo di tranquillità spirituale per me, e grazia e privilegio inestimabile è il sentirmi personalmente puro da questa contaminazione che da ben 40 anni circa ha intaccato centinaia di migliaia di anime istupidite e sconvolte in proporzioni inverosimili».

Fu sotto Papa Giovanni che cominciò la seconda persecuzione che Padre Pio dovette soffrire dalla Chiesa, reclusione, allontanamento dal confessionale, divieto di dir Messa in pubblico. C’è dunque da chiedersi se padre Pio, quel giorno dell’Habemus Papam, 28 ottobre 1958, previde l’ostilità del nuovo Pontefice e per questo sbiancò.

Giovanni Siena ha un’altra spiegazione, più profonda:

Padre Pio «ha compreso che quello che si sta avvicinando non è un temporale, ma un ciclone e che, nel suo ruolo grande e tremendo di riparatore, è chiamato a tenergli fronte».

Era il ciclone della cattolicità, il Concilio che Papa Giovanni avrebbe indetto, quello che fece vacillare il frate crocifisso, il riparatore?