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Dove va il risparmio?
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Quando nei primi mesi del 2009 avevamo visto quanto forte e consistente fosse la ripresa dei mercati azionari, ci eravamo domandati se non ci fossimo sbagliati nel valutare lo stato dei mercati finanziari e delle sottostanti economie.

Siamo andati allora a rivedere tutti gli appunti e tutte le analisi che avevamo letto e accumulato negli ultimi sei mesi per verificare se qualcuno degli elementi più profondi di questa crisi fosse cambiato. Confrontando i dati passati con quelli attuali ci eravamo così reso conto che nemmeno una delle grandi difficoltà che attanagliano il mondo finanziario era mutata sensibilmente. I sostegni che i vari governi e le Banche Centrali avevano elargito al sistema bancario mondiale erano solo dei sostegni perché il sistema non implodesse immediatamente, ma erano, lo ripetiamo, solo dei sostegni. Questo significa che tutto l’impianto strutturale era ed è quanto mai fragile.

Anche l’amministrazione Obama ha dovuto rassegnarsi all’idea che è impossibile salvare tutti e che anzi una certa dose di fallimenti anche importanti può essere più utile per uscire dalla crisi che non il tenere in piedi aziende «zombie» che continuano solo a risucchiare enormi quantità di denaro pubblico. Tuttavia per ora alle parole non seguono i fatti. Certamente questo denaro, una volta fallito chi deve fallire, sarebbe molto più utilmente ed efficacemente indirizzato verso chi ha le qualità per crescere.

Anche il G20 non è andato molto più in là di un tentativo di non rompere i ponti, concentrandosi su aspetti certamente importanti (nuova regolamentazione dei mercati finanziari), ma abbastanza marginali nella soluzione di questa crisi. La dichiarazione finale congiunta, peraltro già concordata da mesi, non dà soluzioni pratiche ma enunciazioni di principio che poi dovranno essere messe in atto non si sa con quali tempi. Intanto le centinaia di migliaia di nuovi disoccupati USA, insieme ai loro colleghi europei e del resto del mondo, vorrebbero sapere come i governi provvederanno alle loro necessità nei prossimi mesi.

La soluzione di creare nuova moneta virtuale per il Fondo Monetario Internazionale e che tanto entusiasmo ha suscitato nelle Borse di tutto il mondo, non sarà che la solita goccia nell’oceano se rivolta al salvataggio di banche e di istituzioni finanziarie più o meno amiche. Se è vero, e sottolineo se, (documento riservato della Commissione Europea pubblicato dal Telegraph nel febbraio 2009), che i soli debiti dell’Est Europa verso l’Europa Occidentale ammontano a 25.000 miliardi di dollari, a cosa servono 1,1 miliardi di dollari dati al FMI per aiutare i Paesi Emergenti?

Certamente fanno molto più effetto sulla pubblica opinione le dichiarazioni roboanti nel voler distruggere i paradisi fiscali e punire i banchieri (che sono coloro che hanno foraggiato la classe politica in tutto il mondo) togliendo loro i futuri bonus. Ma i paradisi fiscali e i banchieri avidi non sarebbero esistiti se i politici di tutto il mondo negli ultimi venti anni non avessero sistematicamente distrutto tutte le regole ed i principi che già erano in atto per un buon funzionamento dei mercati.

Ecco che allora trovare un capro espiatorio e fare la figura dei salvatori è la via più comoda (e a nostro avviso assai poco nobile) per mantenere il consenso.

Forse può dare maggior peso e valore a quanto stiamo dicendo una notizia che è stata ampiamente sottaciuta, se non nascosta. Negli stessi giorni in cui così tanto si parlava del G20 e dei suoi «epocali» cambiamenti («un Nuovo Ordine Mondiale» l’ha definito Gordon Brown), l’autorità di controllo americana che stabilisce le regole di contabilità ha dovuto, su pressione del Congresso, allentare i vincoli nella valutazione della qualità di alcuni cosiddetti titoli tossici in possesso delle banche. Come dire: ti lascio la discrezionalità di metter nel tuo bilancio il valore che tu ritieni più opportuno in questo momento. Tradotto in parole povere: se hai delle perdite non farle vedere, almeno finchè ci riesci. Alla faccia della trasparenza dei mercati e delle liste di Paesi canaglia in campo finanziario! Pensiamo sia meglio avere a che fare con uno Stato che dice apertamente che occulta capitali di qualsiasi provenienza, che non con Stati (ipocriti) che cambiano le carte in tavola e le regole mentre si sta giocando.

Continuiamo con un altri argomenti tanto cari al pensare comune:

a) il mercato borsistico anticipa sempre la ripresa economica di circa sei mesi. Bene. Pensate che una disoccupazione che sta crescendo a ritmi dell’1% al mese e che arriverà oltre il 10%  si riassorbirà da qui a sei mesi?

b) Pensate che un crollo del commercio mondiale nell’ordine dell’80/90% si riassorbirà in sei mesi?

c) Pensate che i prezzi delle case in America, che hanno scatenato tutto questo disastro, riacquisteranno il loro valore, riguadagnando circa il 35% fra sei mesi?

d) Quanti soldi saranno ancora in grado di mettere sul piatto i Paesi ricchi per fronteggiare la crisi e soprattutto a chi li chiederanno?

A questo punto sorge spontanea un’altra domanda: chi sono coloro che con le loro dichiarazioni vogliono farci credere che la crisi è ormai finita comprando massicciamente in Borsa? E soprattutto perché ce lo vogliono far credere? Probabilmente perché si possa continuare a fare il gioco dello spennare il pollo attratto dal guadagno facile e veloce.

Un’altra parte della spiegazione è che, come abbiamo già scritto in passato, molti non festeggiano il reale successo dell’evento, ma solo lo scampato pericolo che il meeting fallisse platealmente.

Una terza spiegazione che si somma alle altre due è di ordine psicologico: è nella natura dell’uomo non sopportare troppo a lungo le situazioni di disagio e quindi ogni tanto è opportuno far finta che vada tutto bene per allentare la tensione. Dimentichiamo per un po’ i veri problemi e godiamoci questo boom delle Borse, anche se i conti delle aziende sono sempre gli stessi di due mesi fa.

Oggi ci si trova in particolare difficoltà a cercare di spiegare che cosa sia successo e stia succedendo in questi ultimi mesi. Devo anche chiedere al lettore di avere una buona dose di pazienza per arrivare in fondo a questa lettura che cercheremo di rendere la meno tecnica possibile. Da entrambe le sponde dell’Oceano la comunicazione dei politici e quella di massa, che ne è una diretta filiazione, proclamano a gran voce che la crisi e la recessione sono finite e che, a parte qualche temporaneo scossone, non c’è quasi più nulla da temere. Questo tipo di affermazioni hanno buon gioco nel convincere il pubblico perché si basano su una tecnica comunicativa ben nota che è quella del sollievo psicologico, mentre per confutarla, o almeno per riuscire a dire come stiano realmente le cose, bisogna addentrarsi in complessi argomenti tecnici, che danno invece un quadro decisamente diverso da questo ottimismo a buon mercato. Argomenti tecnici che non sono facilmente e rapidamente comprensibili da parte del pubblico e, molto probabilmente, neanche da parte di molti dei politici che fanno questi proclami.

Ogni analisi razionale ed ortodossa porta a concludere tutto, meno che a giustificare una crescita degli indici di borsa del 50% da marzo ad oggi. La storia passata non ci dà molto aiuto nel cercare di comprendere una situazione di tale complessità e vastità, ma gli elementi che esporremo ci portano a pensare che siamo ancora in un territorio inesplorato come una jungla, dove possiamo vedere solo una piccolissima parte di cammino spostando un ramo dopo l’altro. La cosa certa è che sappiamo di essere in una jungla con tutte le conseguenze che ciò comporta. Questo non vuol dire che per forza dovremo perderci oppure soccombere: un sacco di esploratori hanno invece fatto importanti scoperte ed è quello che cercheremo di fare noi. Ecco dunque alcuni degli elementi aggiornati che sono utili al nostro procedere. Voglio anche premettere che l’enfasi che porremo su certi dati sgradevoli è solo per contrapporci all’enfasi ufficiale dell’ottimismo istituzionale che consideriamo trionfalistico e fuori luogo.

La prima cosa da fare, una volta stabilito che siamo in territorio ostile, è quella di cercare di capire dove siano le fonti di pericolo. Nel nostro caso verificare che le notizie che ci vengono date e che vengono seguite dai mercati siano attendibili.

Cominciamo subito con l’esaminare l’operazione di creazione del consenso sull’affermazione che dice «la ripresa è cominciata». Quella che gli ottimisti chiamano ripresa in realtà è solo una fase in cui le cose peggiorano solo più lentamente o, come dice Trichet, vanno meglio di quanto previsto: l’economia a livello globale continua quindi a contrarsi, ma più lentamente di prima. Com’è che allora le Borse si entusiasmano così tanto?

Facciamo una banale considerazione: se in una competizione di salto in alto vogliamo far selezionare anche i brocchi, cosa dobbiamo fare? Semplice: abbassiamo l’asticella, cosicché anche i brocchi possano dire «sono stato selezionato».  Ecco dunque la saga dei risultati al di sopra delle attese che ha contribuito a gonfiare gli indici di Borsa in questi mesi. In realtà l’unica operazione fatta è stata quella di creare una nuova bolla nel mercato finanziario che prima o poi qualcuno (i contribuenti) dovrà pagare.

Un’altra operazione ben costruita è quella che riguarda i dati sulla disoccupazione: le statistiche dicono che sta calando. Qui gli elementi del trucco sono due: il primo è che dalle statistiche escono coloro che hanno finito il periodo di sussidio che è di 26 settimane, abbiano o non abbiano trovato un nuovo lavoro. Il secondo trucco (vedi sopra) è che la disoccupazione aumenta ad un ritmo più lento rispetto a sei mesi fa, ma non che si sta riprendendo ad assumere lavoratori. Potremo casomai dire ad un certo punto che la situazione sarà stabilizzata, ma a quale livello? E a che prezzo?

Ora parliamo della «ripresa» del mercato immobiliare. Continua a crescere il tasso di insolvenza sui mutui casa negli USA. Secondo le dichiarazioni rese al Congresso degli Stati Uniti da Michael Barr vice-ministro del Tesoro USA, sono previsti milioni di pignoramenti di case e in Cina si sta preparando un’altra bolla immobiliare. Il vice-presidente della Bank of China (la più grande banca cinese) ha avvertito i mercati all’inizio di questo mese che l’enorme massa di liquidità iniettata nell’economia del suo Paese potrà provocare bolle nei mercati finanziari, delle materie prime e dell’immobiliare.

Si dirà : «Ma questo riguarda l’America e la Cina, non l’Italia». Certo, ma non scordiamoci che il collegamento tra le economie è molto stretto ed è come un elastico: puoi tirarlo molto più di una corda, ma alla fine si rompe lo stesso. Difficoltà di grande portata in queste economie non possono non riflettersi anche sulla nostra. La nostra Borsa verrà trascinata al ribasso in caso di forti ribassi delle altre due. Un altro fattore sottaciuto dai vari governi è che non sembra affatto che i sistemi bancari mondiali siano ancora in grado di camminare sulle proprie gambe e potrebbero essere necessari nuovi e massicci interventi della mano pubblica per mantenerli in vita. Inoltre il debito pubblico viene assorbito in maniera artificiale dalle Banche Centrali allo scopo di mantenere bassi i tassi di interesse. Se poi fosse vero che la crescita dell’economia cinese viaggia ad un tasso di crescita dell’8%, non si capisce perché il presidente Wen Jabao abbia sentito la necessità l’11 settembre di dichiarare che debbano essere ancora mantenuti gli straordinari stimoli all’economia.

Crediamo di poterci fermare qui nelle nostre dimostrazioni, dati alla mano, di come gli elementi che hanno favorito la crisi che stiamo passando non siano affatto scomparsi o diminuiti, anzi. Queste considerazioni sono state quelle che ci hanno spinto a non avventurarci nel mercato degli investimenti anche quando i prezzi sembravano molto convenienti e non ci pentiamo di questa scelta.

Rimane in sospeso però una domanda: come muoversi in questi frangenti?

Premesso che la risposta dovrà essere trovata per ogni singola situazione, crediamo che il mercato degli investimenti sia profondamente cambiato rispetto al nostro modo di valutarlo e che bisognerà fare una nuova serie di considerazioni sul rischio e sulle modalità per affrontarlo al fine di poter comunque approfittare delle opportunità che qualunque mercato è in grado di offrire.

Fatte queste divagazioni ma non troppo, in buona compagnia di altri analisti nel mondo, pensiamo che il modo di affrontare i prossimi mesi sia quello non di comperare, ma, forse, di vendere (anche quello che non si ha attraverso appositi strumenti) perché il destino dei mercati è ancora in discesa.

Senza peccare di presunzione ci accorgiamo che molto di quanto abbiamo scritto nei mesi passati, anzi da più di un anno, viene ora proclamato da istituzioni, giornali, politici, ecc. Il nostro compito continuerà ad essere quello di cercare di capire prima quello che ci verrà detto con mesi di ritardo (ammesso che ci verrà detto).

Giovanni Sicola


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