Padre Pio, nostro eroe
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A settembre, i francescani commemorano con veglie e adorazioni la stimmatizzazione di San Francesco, che le ricevette nel settembre 1224. Il 20 settembre 1918 ebbe le stigmate padre Pio cappuccino da Pietrelcina, almeno quelle visibili. Provò a tener nascosto il segreto, per la «vergogna», «la confusione» e «la grande ripugnanza nello scrivere di queste cose».

Alla fine, il suo direttore spirituale, padre Benedetto da San Marco in Lamis, gli ingiunge di scrivergli (i due sono lontani, la direzione spirituale è quasi solo epistolare) quel che gli è successo, sotto obbligo di obbedienza. Alcuni lettori, penso, già conoscono quel che rispose il cappuccino. Riporto qui la sua lettera sconvolgente e bellissima del 21 agosto, dove attesta di aver subito il fenomeno mistico detto «transverberazione»:

«In forza di questa (obbedienza) mi induco a manifestarvi ciò che avvenne in me dal giorno cinque a sera, a tutto il sei del corrente mese. Io non valgo a dirvi (ossia non riesco) ciò che avvenne in quel periodo di superlativo martirio. Me ne stavo confessando i nostri ragazzi la sera del cinque, quando tutt’un tratto fui riempito di un estremo terrore alla vista di un personaggio celeste che mi si presenta davanti all’occhio della intelligenza. Teneva in mano una specie di arnese, simile ad una lunghissima lamina di ferro con una punta ben affilata e che sembrava che da essa punta uscisse fuoco. Vedere tutto questo ed osservare detto personaggio scagliare con tutta violenza il suddetto arnese nell’anima, fu tutto una cosa sola. A stento emisi un lamento, mi sentivo morire. Dissi al ragazzo che si fosse ritirato, perché mi sentivo male e non sentivo più la forza di continuare. Questo martirio durò, senza interruzione, fino a mattino del giorno sette. Cosa soffrii in questo periodo luttuoso non so dirlo. Persino le viscere vedevo che mi venivano strappate e stiracchiate dietro a quell’arnese, e il tutto era messo a ferro e fuoco. Da quel giorno in qua io sono stato ferito a morte. Sento nel più intimo dell’anima una ferita che è sempre aperta, che mi fa spasimare assiduamente».

L’esperienza deve però proseguire, perchè il 5 settembre padre Pio scrive ancora:

«Io mi veggo sommerso da un oceano di fuoco, la ferita che mi venne riaperta sanguina e sanguina sempre. Dessa sola basterebbe a darmi mille e più volte la morte. O mio Dio, e perché non muoio? O non vedi che la stessa vita per l’anima che tu impiagasti le è di tormento? Sei pur crudele tu che ti rimani sordo ai calmori di chi soffre e nol conforti? Perdonatemi padre sono fuori di me, non so quello che mi dico. L’eccesso del dolore che mi cagiona la ferita che è sempre aperta, mi rende furibondo contro il mio volere... e io mi veggo impotente a resistere».

Il 17 ottobre padre Benedetto, il direttore, riceve quest’altra lettera:

«Chi mi libererà da me stesso? Chi mi trarrà fuori da questo corpo di morte? Chi mi stenderà una mano a che io non venga ingoiato dal vasto e profondo oceano? (...) Sarà necessario che io pronunci il fiat nel mirare quel misterioso personaggio che mi impiagò tutto e non desiste dalla dura, aspra, acuta e penetrante operazione, che non dà tempo al tempo che venga a rimarginare le piaghe antiche, che già su di queste ne viene ad aprire delle nuove con infinito strazio della povera vittima? Deh padre mio, venite in mio aiuto, per carità! Tutto il mio interno piove sangue e più volte l’occhio è costretto a rassegnarsi a vederlo scorrere anche al di fuori. Deh! Cessi da me questo strazio, questa condanna, questa umiliazione, questa confusione! Non mi regge l’animo a potere e a saper resistere».

Il direttore spirituale intuisce che è successo qualcosa di nuovo, che Padre Pio è restio a dire. «Voglio sapere per filo e per segno tutto e per santa ubbidienza».

Padre Pio risponde il 22 ottobre 1918:

«Cosa dirvi a riguardo di ciò che mi domandate del come sia avvenuta la mia crocifissione? Mio Dio, che confusione e che umiliazione io provo nel dover manifestare ciò che tu hai operato in questa meschina creatura! Era la mattina del 20 dello scorso mese nel Coro, dopo la celebrazione della Santa Messa, allorché venni sorpreso dal riposo, simile a un dolce sonno. Tutti i sensi interni ed esterni, non che le stesse facoltà dell’anima si trovarono in una quiete indescrivibile. In tutto questo vi fu totale silenzio intorno a me e dentro di me; vi subentrò subito una gran pace e abbandono alla completa privazione del tutto e una posa nella stessa rovina.

Tutto questo avvenne in un baleno. E mentre tutto questo si andava operando, mi vidi dinanzi un misterioso personaggio, simile a quello visto la sera del 5 agosto, che differenziava in questo solamente che aveva le mani ed i piedi ed il costato che grondavano sangue. La sua vista mi atterrisce; ciò che sentivo in quell’istante in me non saprei dirvelo. Mi sentivo morire e sarei morto se il Signore non fosse venuto a sostenere il cuore, il quale me lo sentivo balzare dal petto.

La vista del personaggio si ritira ed io mi avvidi che mani, piedi e costato erano traforati e grondavano sangue. Immaginate lo strazio che esperimentai allora e che vado esperimentando continuamente quasi tutti i giorni. La ferita del cuore gitta assiduamente del sangue, specie dal giovedì a sera sino al sabato. Padre mio, io muoio di dolore per lo strazio e per la confusione susseguente che io provo nell’intimo dell’anima. Temo di morire dissanguato, se il Signore non ascolta i gemiti del mio povero cuore e col ritirare da me questa operazione. Mi farà questa grazia Gesù che è tanto buono? Toglierà almeno da me questa confusione che io esperimento per questi segni esterni? Innalzerò forte la mia voce a lui e non desisterò dal scongiurarlo, affinché per sua misericordia ritiri da me non lo strazio, non il dolore perché lo veggo impossibile ed io sento di volermi inebriare di dolore, ma questi segni esterni che mi sono di una confusione e di una umiliazione indescrivibile ed insostenibile?

Il personaggio di cui intendevo parlare nell’altra mia precedente non è altro che quello stesso di cui vi parlai in un’altra mia, visto il 5 agosto. Egli segue in sua operazione senza posa, con superlativo strazio dell’anima. Io sento nell’interno un continuo rumoreggiare, simile ad una cascata che gitta sempre sangue. Mio Dio! È giusto il gastigo e retto il tuo giudizio, ma usami alfine misericordia. Domine, ti dirò sempre col tuo profeta: ‘Domine, ne in furore tuo arguas me, neque in ira tua corripias me!’».

I lettori che già conoscono questi passi si saranno domandati, come il sottoscritto, chi fosse esattamente il «misterioso personaggio». Perché padre Pio non lo nomina, o non lo identifica? Perchè la sua vista lo riempie di terrore? Sembra quasi che i personaggi siano due: quello «celeste» che opera la transverberazione non è «grondante di sangue» come lo stigmatizzatore. San Francesco, nel 1224, vide «un serafino con sei ali infocate» scendere dal cielo che, «tenendosi librato nell’aria», venne vicino al Santo: il quale allora vide «tra le sue ali l’effige di un uomo crocifisso». San Bonaventura puntualizza che Francesco «fissava, pieno di stupore, quella visione così misteriosa, conscio che linfermità della passione non poteva assolutamente coesistere con la natura spirituale e immortale del serafino».

Anche padre Pio sembra aver avuto la stessa interdizione, visto che non fa il nome del personaggio. Perchè non dice che è Gesù Cristo? Forse non lo riconosce? Spesso ho pensato che il celeste personaggio sia Michele, il principe degli angeli, la creatura più vicina, e che più perfettamente riflette, Dio. Nel suo ritiro alla Verna, Francesco stava digiunando in onore di San Michele quando ebbe l’apparizione. Padre Pio era a San Giovanni Rotondo, che si può dire a pochi passi sotto il più antico e misterioso santuario di San Michele Arcangelo esistente, l’antica caverna sul Gargano consacrata da un’apparizione dello stesso Michele nel 490 dopo Cristo (San Francesco visitò il luogo, e non osò entrare nella caverna: «Terribilis est locus iste», pronunciò – Esiste una terribilità del Principe degli eserciti celesti, una maestà che incute timore?).

Adesso, un libro rivelatore (1) attesta in modo inequivocabile che padre Pio riconobbe benissimo Gesù nel «personaggio», e che per estrema umiltà e riserbo (che fu anche di Francesco sulle proprie stigmate), non ne volesse dire il nome. Il libro narra per la prima volta un fatto prima sconosciuto: il Sant’Uffizio, allarmato dalla vox populi che da laggiù gridava l’esistenza di un Santo stigmatizzato, di guarigioni e di miracoli, mandò a San Giovanni Rotondo un inquisitore ufficiale fin dal 14 giugno 1921. Il «visitatore apostolico» era monsignor Raffaello Carlo Rossi, futuro cardinale. Egli interrogò per giorni i frati, e minuziosamente lo stesso padre Pio, non senza esaminare de visu le  sue ferite – si può immaginare con quale «confusione e umiliazione» dal caro frate –, obbligandolo a dire il vero con giuramento sul Vangelo: sette vere e proprie deposizioni giudiziarie verbalizzate, mandate a Roma da monsignore insieme con la sua personale opinione, favorevole al cappuccino. Forse per questo, tutto è rimasto sepolto a Roma per quarant’anni.

Nella prima deposizione, resa il «15 giugno 1921, ore 17», il visitatore ingiunge al frate «che narri partitamente circa le cosiddette stimmate».

Padre Pio risponde, come da verbale: «Il 20 settembre 1918, dopo la celebrazione della Messa, trattenendomi a fare il dovuto ringraziamento nel Coro tutt’a un tratto fui preso da un forte tremore, poi subentrò la calma e vidi Nostro Signore in atteggiamento di chi sta in croce, ma non mi ha colpito (ossia non mi sono accorto, ndr) se avesse la Croce, lamentandosi della mala corrispondenza degli uomini, specie di coloro consacrati a lui e più da lui favoriti. Di qui si manifestava che lui soffriva e che desiderava di associare delle anime alla sua Passione. M’invitava a compenetrarmi dei suoi dolori e a meditarli: nello stesso tempo occuparmi per la salute dei fratelli. In seguito a questo mi sentii pieno di compassione per i dolori del Signore e chiedevo a lui cosa potevo fare. Udii questa voce: «Ti associo alla mia Passione». E in questo, scomparsa la visione, sono entrato in me, mi son dato ragione e ho visto questi segni qui, dai quali gocciolava il sangue. Prima nulla avevo».

Ciò conferma a posteriori una testimonianza di un altro frate, padre Raffaele D’Addario con padre Pio, risalente al 1967, sulle stimmate, «Gli ho domandato se ci fosse stato un colloquio con Gesù, ed ha risposto ingenuamente e con semplicità: Eh sì che cè stato, perchè proprio nel colloquio le ho ricevute». Dall’asciuttezza della deposizione resa al visitatore apostolico, si capisce però che padre Pio ha detto il meno possibile su questo «colloquio». Solo il necessario.

Molto di più aveva rivelato al suo superiore padre Agostino, il 7 aprile 1913; rivelando che di «colloqui» ne aveva avuti già anni prima, dal contenuto simile:

«Venerdì mattina ero ancora a letto, quando mi apparve Gesù. Era tutto malconcio e sfigurato. Egli mi mostrò una grande moltitudine di sacerdoti regolari e secolari, fra i quali diversi dignitari ecclesiastici; di questi, chi stava celebrando, chi si stava parando e chi si stava svestendo dalle sacre vesti.

La vista di Gesù in angustie mi dava molta pena, perciò volli domandargli perché soffrisse tanto. Nessuna risposta n’ebbi. Però il suo sguardo si riportò verso quei sacerdoti; ma poco dopo, quasi inorridito e come fosse stanco di guardare, ritirò lo sguardo e allorchè lo rialzò verso di me, con mio grande orrore, osservai due lagrime che gli solcavano le gote. Si allontanò da quella turba di sacerdoti con grande espressione di disgusto, gridando “Macellai!”. E rivolto a me disse: “Figlio mio, non credere che la mia sia stata di tre ore, no; io sarò, per cagione delle anime da me più beneficate, in agonia sino alla fine del mondo. Durante il tempo della mia agonia, figlio mio, non bisogna dormire. L’anima mia va’ in cerca di qualche goccia di pietà umana ma, ohimè, mi lasciano solo sotto il peso della indifferenza. L’ingratitudine e il sonno dei miei ministri mi rendono più gravosa l’agonia. Ohimè come corrispondono male al mio amore! Ciò che più mi affligge è che costoro al loro indifferentismo aggiungono il loro disprezzo, l’incredulità...”».

Qui si vede non solo come Cristo nel continuare a darsi a noi come Eucarestia si esponga a insulti, dispregio e dolore «fino alla fine del mondo», in quanto vivente; ma che già da anni chiedeva a padre Pio di «associarlo alla sua Passione», richiesta a cui il frate rispose, eroicamente, nel 1918. Portò le stigmate per 50 anni, fino alla morte avvenuta il 23 settembre 1968 (San Francesco le portò per due). Ho di recente appreso che, quando confessava, molti testimoni ebbero l’impressione che il dolore delle ferite gli crescesse all’udire i peccati, cosa che solo ora mi permette di valutare il sacrificio di un uomo che stava nel confessionale per sette, otto ore al giorno. Ed era un uomo, di suo, lieto, spiritoso, benevolmente motteggiatore (2).

Un tale intercessore, questo eroico corredentore, è stato fra noi nel tempo presente. Io stesso ero più che ventenne quando Padre Pio ancora viveva, e non andai mai a vederlo. Cosa abbiamo fatto di tanta grazia? San Francesco è patrono d’Italia, e Padre Pio non lo è stato da meno. Come mai ci siamo ridotti a questo deserto della fede e verminaio di corruzione pubblica e privata? Questa insofferenza, anzi odio per la Chiesa che trabocca ad ogni istante, nei media, nelle conversazioni, anche fra cattolici, me compreso? (Ho appena ascoltato Corrado Augias sputare veleno, da una radio, sulla Chiesa «pagana» dei rituali, delle feste e dei miracoli).

Mi consola la speranza che non ci abbia abbandonato. «Quando il Signore mi chiamerà, io gli diròSignore, io resto alla porta del Paradiso: ci entro quando ho visto entrare l’ultimo dei miei figli”».

Egli è dunque ancora «qui», opera ancora. Assistici, Padre Pio. E libera questa nazione dai suoi oppressori.




1
) Francesco Castelli, «Padre Pio sotto inchiesta – L’‘autobiografia’ segreta», con prefazione di Vittorio Messori. Edizioni Ares, 317 pagine, 14 euro.
2) Tipo questa: ad un giovane che gli disse: «Padre, desidero farmi santo!». «Vagliò, hai scelto un brutto mestiere».