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Ron Paul secondo in Nevada (e la TV non lo dice)
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STATI UNITI - Primarie repubblicane in Nevada.

La prima TV locale, che fa parte del network ABC, dichiara: «Ha vinto Mitt Romney, secondo John McCain».

Invece, i votanti hanno dato il secondo posto a Ron Paul.

Lo scarto è forte, 51% per Romney, 14% per Ron Paul, ma resta il fatto che il candidato mai citato dai media, quello che la Fox News ha escluso dai dibattiti politici nelle primarie del New Hampsire, quello che il partito repubblicano fa finta di non conoscere - insomma la non-persona della libera stampa americana - ha stracciato il presunto favorito McCain, il preferito dai neocon Rudy Giuliani, e l’altro candidato politicamente corretto, Fred Thompson.

Il solo grosso giornale che lo fa notare è il Los Angeles Times (1): il quale racconta en passant che la vittoria è avvenuta «nonostante» una campagna diffamatoria condotta (non dice fatta da chi) a base di «newsletter che portano la firma di Paul e sono piene di frasi razziste e antisemite. Paul ha  smentito di averle scritte e ne ha denunciato i contenuti».

Ma questo tipo di operazioni, dice il giornale, non fa che dare ancora più carica «ai suoi appassionati sostenitori. Grazie alle cui instancabili campagne Ron Paul ha pur preso il 10% in Iowa e l8% in New Hampshire, subito dietro Giuliani».

Non è male per «il solo repubblicano che ha votato contro la guerra in Iraq e che propugna uno bello smantellamento dello Stato federale».

Le percentuali possono sembrare piccole.

Ma se il «sistema» deve proteggersi da Ron Paul a tal punto da oscurarlo, un motivo c’è.

Il ginecologo 72 enne continua a raccogliere fondi non dalle solite multinazionali, ma dalla gente su internet.

Tanti soldi, da permettergli di partecipare non ai primi cento metri piani, ma alla maratona presidenziale.

Si sta profilando il rischio di un candidato «non-controllato» cui l’elettorato dà i mezzi - visto che il partito repubblicano non lo sosterrà mai - per continuare la corsa come indipendente.

E come indipendente, al voto finale, questo uomo di «destra» può attrarre una quantità incognita di voti americani di «sinistra».

 

Ecco i punti salienti del programma di Ron Paul (li devo ad un giovane amico e lettore):

In politica estera è isolazionista, vuole il ritiro delle truppe USA da qualunque Stato estero, l’uscita dalle organizzazioni internazionali, l’eliminazione di trattati commerciali che implichino trasferimenti di sovranità.

E fine dei finanziamenti e «aiuti» a Stati esteri.

Per la Difesa: ridimensionamento dell’esercito in chiave esclusivamente difensiva, radicale riduzione di organi imperiali come la CIA (ma anche dell’FBI e del NSA).

Economia: nazionalizzazione delle Federal Reserve, «Stato minimale», eliminazione dell’imposta personale sul reddito, ritorno al Gold Standard, chiusura del debito pubblico.

Politica interna e sociale: Paul è contro l’aborto e per la liberalizzazione delle droghe leggere,

si oppone alla creazione di un sistema sanitario pubblico ma anche al Patriot Act, è per il diritto al libero possesso di armi da fuoco e alla libera scelta dell’educazione dei figli, e per la tutela della libertà di internet.


Ma soprattutto interessante, egli vuole «delobbyzzare il Paese», riducendo l’influenza delle lobby (militare-industriale, farmaceutica, alimentare, mediatica e così via) nella vita pubblica e nelle scelte politiche.

Le lobby sono la falsificazione della democrazia, perché portano a decisioni che non sono il frutto di dibattito pubblico, ma alle pressioni dietro le quinte.
Ron Paul si configura come portatore di un estremo libertarismo radicale ma molto «americano», responsabilizzante, nel senso che affida tutto alla responsabilità individuale.

Il suo no all’aborto è in questo senso molto significativo e coerente: anche il futuro essere umano è un individuo la cui libertà va tutelata.

Può attrarre un elettorato di sinistra, un simile programma?

Visto da italiani, lo si escluderebbe.

Invece il noto difensore dei consumatori Ralph Nader (2), che di sinistra è ed è lui stesso candidato,  ha dichiarato: «Non mi entusiasma il suo (di Ron Paul) programma anti-immigrazione… né mi lascia tranquillo la sua proposta di sciogliere il mio amato EPA (Environment Protection Agency, lente ambientalista) o la Consumer Product Safety Commission. Tuttavia, penso che tutti capiamo che Washington è come un colon infiammato che da 20 anni non vede transitare nemmeno una fibra di crusca. Ha bisogno di un Ron Paul come clistere, che risciacqui il sistema passandoci dentro e lo ripulisca. Non tutti i giorni cè bisogno di un clistere, ma oggi ne abbiamo bisogno».

Lardita metafora può convincere i salutisti ideologici e mangiatori di crusca che sono numerosi e non solo in California.

Tanto più che Ralph Nader conclude così: «Lui non lo ammetterà, ma Ron Paul sta facendo campagna per il mio programma di terzo partito. Ha raccolto 4 milioni di dollari in un giorno solo. Se la mia campagna (personale) continua a non dare segni di vita, potrei votare per lui il prossimo novembre».

Un vero endorsment, ricco di fibre, fermenti ed enzimi acidi.

L’integrità e la coerenza di Paul alle proprie convinzioni è parimenti nota: «Non ha mai votato per un aumento di tasse, mai per un bilancio non pareggiato, mai per un aumento degli emolumenti dei parlamentari, mai per una restrizione del possesso di armi, mai ha votato per espandere il potere dello Stato e del governo esecutivo», ha scritto di lui il pastore Chuck Baldwin.

«E uno che prende sul serio il suo giuramento alla Costituzione, giuramento che ogni parlamentare e anche il presidente fanno, e poi dimenticano» (3).

Inoltre, e questo può interessare noi italiani, Ron Paul non ritira la pensione cui ha diritto come parlamentare da dieci mandati.

Della cassa che riceve per il funzionamento del suo ufficio, restituisce ogni anno un avanzo alla Tesoreria del Congresso.

E non ha mai fatto uno di quei viaggi all’estero per «documentazione e informazione» pagati col denaro pubblico.

Ciò che lo rende, suppongo, particolarmente temibile per l’establishment.


 

Note
1) Andrew Malcolm, «Breaking news: a Ron Paul surge in Nevada», Los Angeles Times, 19 gennaio. La notizia è ovviamente data nel blog sulle elezioni, «Top of the ticket», non sul quotidiano stampato.

2) Ralph Nader, «Ron Paul: an enema for America», Ralph’s Nader Blog, 13 gennaio 2008.3) Chuck Baldwin, «Why does the establishment hate Ron Paul?», NewsWithViews, 8 gennaio 2008.