Pesce gnostico?
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Apprendiamo da un articolo di Francesco Pieri, docente di Storia della Chiesa Antica e Patrologia presso la facoltà teologica dell’Emilia, che il professor Mauro Pesce, il noto coautore con Corrado Augias di «Inchiesta su Gesù» (Mondadori), ha contribuito al numero 4/2010 della rivista MicroMega, diretta dal «giacobino» Flores D’Arcais: numero interamente dedicato, con il consueto stile anticristiano, al tema dell’«Inganno della Sindone» (1).

Stando a quanto ne riferisce il Pieri, secondo la tesi di Pesce l’insistenza cattolica sulla Sindone sarebbe la palese dimostrazione della «grossolana materialità», persino un po’ «pagana», del Cattolicesimo, responsabile, da tempo immemorabile, di proporre un devozionalismo, a sfondo popolare, intriso di venerazione per santi e «madonne», alquanto poco gradevole al fine palato degli esegeti moderni, avvezzi ad un certo tipo di metodo storico-critico, che essi ritengono «scientifico» ma in realtà spesso fondato solo su, non dichiarate, pre-opzioni filosofiche.

Così il Pesce, sulla Sindone, si pone domande del tipo «Perché mostrarla», «A che cosa serve?», «Che tipo di religione suggerisce alle folle, ai credenti e ai non credenti?».

Contro questo «paganesimo», che avrebbe inquinato il Cristianesimo delle origini, trasformandolo in quell’obbrobrio «romano» che sarebbe il Cattolicesimo, Pesce protesta.

Una protesta elevata in nome di un «vero cristianesimo» che sarebbe religione della pura Parola e del culto «in Spirito e Verità». Presunto culto cristiano originario, che si contrapponeva all’antico paganesimo, proprio perché non avrebbe avuto bisogno di realtà materiali e di «luoghi sacri».

Il Pieri dimostra, nel suo commento critico alle tesi del Pesce, come invece sin dalle origini il Cristianesimo abbia contemplato la venerazione di sacre immagini tanto che diversi Concilii si sono occupati della questione onde definirla e soprattutto distinguere, su questo la Chiesa non indietreggiò affatto, la venerazione cristiana delle icone dall’uso idolatrico, quasi magico, che il tardo paganesimo faceva delle immagini «sacre».

Pesce sembra giocare facilmente, come il gatto con il topo, con la debole fede dei cattolici di oggi perché invoca, a sostegno della sua tesi, un richiamo evangelico fondamentale al quale persino i Padri della Chiesa facevano riferimento, ossia l’essenza del culto cristiano come sacrificio spirituale, per l’appunto in Spirito e Verità.

Solo che questo Sacrificio, oltre ad essere quello della vita personale del cristiano, è stato, sin dalle origini cristiane, sempre identificato soprattutto con la «materialità» del Culto, appunto sacrificale, dell’Eucarestia, del Corpo e Sangue di Cristo la cui immolazione è rinnovata ad ogni Messa sull’altare e che comunica la Grazia sacramentale capace di trasformare, divinizzandola, la persona umana. Le opere di misericordia spirituale e materiale sono il segno esteriore dell’azione purificatrice della Grazia di Cristo partecipata dal sacramento eucaristico.

Il Culto in «Spirito e Verità» non è mai stato invece inteso, se non a partire da Lutero, nel modo in cui sembra intenderlo Mauro Pesce, ossia come «intimismo» e «fideismo introspettivo».

Non a caso è con Lutero che inizia la polemica contro il «paganesimo cattolico», contro la venerazione dei Santi e delle Reliquie, contro l’iperdulia alla Vergine Maria. Contro, in definitiva, la visibilità della Chiesa, del Corpo Mistico di Cristo nella storia.

Lutero contesta la «materialità» del Cattolicesimo in quanto la vera fede sarebbe soltanto quella invisibile ed intimistica del singolo fedele, chiuso nel suo solipsismo fideistico. Fedele che in tal modo viene liberato dai lacci e lacciuoli della Tradizione e del Magistero, per vagabondare nei vasti territori del soggettivismo esegetico.

Purtroppo questo, ormai secolare, vagabondare ha prodotto solo un coacervo di ipotesi e tesi che, a fronte di attenti e seri riscontri teologici e storici, sono cadute una dietro l’altra proprio perché altro non erano, e non sono, che la proiezione, sullo sfondo della materia di fede, delle costruzioni soggettive dei diversi studiosi.

Questo, certamente, a livello dotto, professorale. A livello di massa, l’effetto del vagabondare inaugurato da Lutero è, da ultimo, il neo-spiritualismo sul tipo del «new age».

Ma quale è la radice di questa contestazione luterana che Mauro Pesce sembra far sua?

Lungi dall’essere agostiniana, la radice del pensiero di Lutero è gnostica. Come ha abbondantemente dimostrato uno studioso del calibro di Theobald Beer (2).

Un lungo filo rosso di tipo gnostico attraversa la storia del pensiero religioso dell’umanità sin dalle origini, opponendosi alla Rivelazione cristiana. Questo filo rosso giunge, attraverso la mediazione delle eresie millenaristiche medioevali e la cosiddetta «mistica renana», a Lutero per poi ripartire fino all’idealismo otto-novecentesco ed oltre.

La tesi fondamentale della gnosi spuria (3) è la supposta negatività dell’essere particolare in quanto frammento dell’universale imprigionato nella materia. L’esistenza di un livello materiale della realtà, quel che per la Rivelazione è la creazione, ossia il dono gratuito della corporeità psico-fisica degli esseri concreti, sarebbe solo oscurità perché prodotto della frammentazione di una indistinta unità informe originale nella quale, per trovare salvezza, tutto l’essere manifestato deve tornare a fondersi.

Tale ritorno all’unità informe dell’origine implica, come è evidente, la dissoluzione di quanto la Rivelazione, al contrario, chiama creazione e considera «cosa buona» perché dono dell’Amore di Dio per le sue creature.

In ambito gnostico, dunque, il corpo, nel quale sarebbe imprigionata la «scintilla spirituale» decaduta dall’informe unità originaria, è realtà impura, assolutamente malvagia e negativa.

La «scintilla spirituale», l’io imprigionato nel corpo, deve annichilire la sua prigione carnale allo scopo di riappropriarsi, ritrovando la perduta unità indistinta dell’origine, del dominio cosciente sulla realtà materiale, la quale, infatti, altro non sarebbe che una proiezione cristallizzata dell’io, una glaciazione esteriorizzata delle non più dominate dinamiche dell’io particolare inteso come modalità, in origine connaturata ossia della stessa natura, dello «spirito cosmico», dell’«anima mundi».

Questi concetti si ritrovano, sotto apparenze cristiane, nella teologia di Lutero e spiegano da dove vengono il suo soggettivismo fideistico – per cui Dio è vero nella misura in cui ci credo -  ed il suo intimismo introspettivo – per cui ciò che importa è la fede interiore, senza visibilità esteriore (cosa che è all’origine della statolatria giurisdizionalista dell’età moderna) e non la Chiesa.

Anzi, in Lutero, la Chiesa, con la sua pretesa di «corporeità sacramentale», diventa la Babilonia apocalittica; il Papa, con la sua pretesa di insegnare e governare la comunità dei fedeli di Cristo, diventa l’Anticristo; i Sacramenti - in particolare, l’Eucarestia con la pretesa della transustanziazione ovvero della Presenza reale, Divinità, Anima, Sangue e Corpo, di Cristo sotto le specie del Pane e del Vino – diventano «opera del demonio».

Per Lutero, a causa di questa pretesa di «corporeità», il Cattolicesimo è la corruzione pagana ed «idolatrica» del, presunto, «vero cristianesimo» originario.

Un altro concetto teologico luterano nel quale traspare, con chiarezza, la radice gnostica che ne è alla base è il pessimismo antropologico, la considerazione negativa dell’essere che frate Martino esprime nell’idea della natura umana totalmente corrotta, e non solo meramente ferita, dal peccato originale.

Posta tale premessa di assoluta negatività della natura umana, di intrinseca peccaminosità dell’essere, la giustificazione in Lutero, lungi dall’essere la trasformante rigenerazione, per la grazia di Cristo operante nell’uomo, del cuore umano, viene concepita solo come una sorta di mero decreto esteriore di Dio che, indipendentemente dai meriti (perché tutto ciò che l’uomo fa è solo peccato essendo l’uomo, anti-analogicamente, di «specie contraria a Dio»), si applicherebbe al fedele messo al riparo dall’ira divina dalla Croce di Cristo, sul quale quell’ira, in sostanza, si sfoga.

Una visione terrificante di Dio, indizio, a giudizio di molti commentatori del pensiero luterano, dei gravi problemi psico-patologici da cui Lutero era affetto. E’ infatti noto che Lutero soffrisse di manie di persecuzione, che oggi probabilmente verrebbero classificate in qualcosa di vicino alla paranoia, e che tali manie lo portassero all’ossessione del demonio che egli vedeva in ogni dove.

Di simili manifestazioni psico-patologiche, pare, soffrisse anche Adolf Hitler: si racconta che spesso si svegliasse urlante e sudato in piena notte indicando terrorizzato un angolo della soffitta e gridando, agli accorrenti, «è lì, è lì!». Questo spiega, in una lettura non solo immanente della storia, perché mai senza Lutero, che ha inventato la «chiesa nazionale tedesca» sconfessando, tra l’altro, la liturgia romana per quella in lingua germanica, non ci sarebbe mai stato – per la mediazione dell’hegelismo che deve tutto ai semi gettati dalla teologia protestante – il nazismo.

Quando, pertanto, Mauro Pesce riprende i temi già luterani della «grossolanità» della fede come vissuta dal Cattolicesimo, ossia inquinata da una sorta di «ritualismo paganeggiante» contrario al «vero cristianesimo originario» che non avrebbe avuto bisogno di immagini sacre e tanto meno di reliquie, come del resto della materialità dei sacramenti, il noto professore non fa altro che mettersi, mediante la lezione protestante, sulla via della gnosi spuria.

Dimenticando, però, che il Cristianesimo è innanzitutto ed essenzialmente la fede nell’Incarnazione del Verbo di Dio, la fede nel Dio che si fa Uomo, che assume la natura umana non solo nello spirito ma anche nella carne per farla risorgere sconfiggendo la morte.

«Dacché – scrive giustamente il Pieri – la carne è stata assunta dal Verbo (confronta Giovanni 1,14), il Quale si è reso visibile e conoscibile, essa è divenuta luogo adeguato dellepifania del divino: contiene e media la realtà che esprime (…). Tale sviluppo dottrinale è coerente con le origini cristiane, affondando i suoi presupposti nei testi giovannei e paolini…: lIncarnazione di Dio e la divinizzazione delluomo in Cristo» (4).

L’esegesi storico-critica, che nasce in ambito protestante, si rivela, in certi suoi cultori apodittici, come un derivato della contestazione gnostica all’Incarnazione.

Certamente non tutta, ma perlomeno un certo tipo di esegesi storico-critica tende a rompere l’unità divino-umana nella Persona di Cristo.

Questa corrente esegetica, infatti, si dirama in due complementari rivoli dottrinari: quello della tesi «mitica», che vorrebbe astrarre Cristo dalla carne e dalla storia, facendone una versione fortunata dei miti pagani della rigenerazione ciclica della fertilità naturale, e quello della tesi «storica», che vorrebbe un Cristo solo uomo, un oscuro e vagabondo predicatore apocalittico del tutto chiuso nel suo ambiente ebraico del I secolo e mal inteso dai suoi discepoli.

Cristo, secondo tale contestazione, non sarebbe Dio perché o è un «mito» oppure è solo un uomo di cui poco, quasi nulla, sappiamo, posto che dei Vangeli canonici e della Tradizione apostolica non potremmo fidarci in quanto frutto di quei suoi discepoli che lo hanno mal interpretato per costruire intorno alla sua divinizzata figura una teologia ed una Chiesa, oltretutto «antisemiticamente» in rottura con la casa madre (gli apostoli come antesignani di quegli ebrei che anche oggi, stando ai sionisti, «odiano il proprio ebraismo»!) e dunque essenzialmente responsabile delle secolari sofferenze del popolo ebreo, fino al culmine dell’olocausto (5).

Poveri San Pietro e San Paolo: inutile tutto il loro darsi da fare per dichiararsi veri ebrei proprio perché in Cristo avevano ritrovato l’autentico ebraismo perso dalla sinagoga!

La nota distinzione tra il «Cristo della fede» ed il «Gesù della storia» nasce, sotto gli influssi di quell’epigono dell’idealismo che è stato Martin Heidegger, il «filosofo del nazismo», in ambito protestante e storico-critico.

Tale distinzione se da un lato ha portato Rudolf Bultmann, il noto esegeta protestante, a postulare la «de-mitizzazione», ossia la depurazione della figura storica di Gesù avvolta dal messaggio evangelico nel «fatto» della croce in un quadro mitologico (aprendo in tal modo la via alla riduzione umanitaria di Gesù che non è più Cristo: Bultmann, infatti, afferma che in Gesù è presente Dio, non che Gesù è Dio), ha, d’altro canto, condotto altri esegeti a rifiutare ogni aggancio della fede con la storia.

Se per i de-mitizzatori è importante solo il «Gesù della storia», per gli idealisti è invece importante il solo «Cristo della fede». Della «fede soggettiva» naturalmente!

Qui ricompare tutto il luterano «sola fides» come radice della tesi «mitica» del moderno storicismo critico, laddove, a dimostrazione della segreta connivenza che sussiste tra gli apparenti opposti, nel luterano «sola Scriptura» deve essere invece individuata la radice della tesi «storica».

La recente vicenda dell’esegesi storico-critica, nel XX secolo, è stata, in sostanza, soltanto l’alternarsi altalenante tra l’una e l’altra delle suddette tesi, al cui novero è possibile, in ultimo, ricondurre ogni altra tipologia di scuola.

Se di recente le tesi dei de-mitizzatori sembrano ritornare, benché in apparenza rinnovate, nella corrente della cosiddetta «third question», quella che indaga sul «Gesù ebreo e non cristiano», molto caro proprio a Mauro Pesce, è, purtroppo, innegabile che l’esegesi di tipo idealistico, e la connessa teologia gnosticheggiante, dal mondo protestante ha finito per essere accreditata anche in ambito cattolico.

Ci riferiamo a tutta quella schiera di teologi ed esegeti alla moda che, anche dalle cattedre di note università pontificie, dichiarandosi ormai «cristiani adulti», ritengono, ed insegnano, che non è più necessario credere alla Resurrezione come ad un evento storico, perché, per la fede, basta trattarla soltanto come un simbolo della rinascita spirituale dell’uomo.

Costoro, però, dimenticano quanto San Paolo, che Cristo aveva visto e «toccato», diceva circa la Resurrezione: «se Cristo non fosse risorto vana sarebbe la nostra fede e noi saremmo da compatire più di tutti gli altri uomini».

Dimenticano, inoltre, costoro anche quale tipo di linguaggio, del tutto legato ai sensi ossia alla materialità, usa San Giovanni apostolo quando afferma che loro, gli apostoli, testimoniavano quanto essi avevano «visto, udito, toccato».

Ecco: in questo «vedere, udire, toccare» sta tutta la sconcertante materialità e storicità della fede cristiana che non per questo rinuncia ad essere adempimento definitivo della Rivelazione divina.

Il Cristianesimo è unione del divino con l’umano nella Persona di Gesù Cristo.

Senza tale inscindibile unione non può esserci autentico Cristianesimo ossia Cristianesimo Apostolico, fondato sulla testimonianza, che ha molti riscontri storici di vario tipo, dei Testimoni oculari di Cristo.

Dunque, senza la materialità, che tanto sembra dispiacere a Mauro Pesce, non si dà alcun Cristianesimo. Ed infatti l’esito della via, di radici luterane, che da anni percorre il noto professore non è affatto nuovo nella sua ampiamente già sperimentata duplicità: spurio spiritualismo idealizzante e disincarnato o ateismo storicista. Spesso poi i due esiti finiscono per convivere nella stessa persona.

La protesta contro l’Incarnazione di Dio è primordiale.

Esiste un’antica tradizione cristiana, fondata su basi strettamente scritturali (6), che individua in questa protesta il contenuto del «non serviam» opposto al Creatore dal Lucifero viatore.

Stando a tale tradizione, quando il Signore Iddio, per mettere alla prova la fedeltà degli angeli, mostrò loro, in visione, l’Incarnazione Ventura del Suo Verbo, ossia di Colui per mezzo del quale tutte le cose sono state fatte, Lucifero si ribellò alla prospettiva che l’intero Disegno di Salvezza - era questo che Dio andava rivelando agli angeli viatori - poggiasse sull’entrare nella storia, nel tempo, prima come Eterna Parola Rivelata e poi finalmente come Uomo, dell’Archetipo di tutta la creazione e di ogni creatura.

Di fronte ad un Dio che umilmente si sarebbe incarnato per Amore della creatura umana, fatta a Sua Immagine e Somiglianza, perfetta espressione ontologica dello stesso Verbo/Archetipo, Lucifero, cui l’essere il primo degli angeli, e quindi pura creatura spirituale, aveva giocato il brutto scherzo dell’orgoglio, si ribellò indotto dalla tentazione della superbia che gli faceva vedere nella densità della materia, della carne, così «opaca» ed «oscura» rispetto alla natura spirituale angelica, qualcosa di assolutamente impuro ed indegno di Dio.

Da qui, secondo tale tradizione, il luciferino «non serviam».

Lucifero si oppone a Dio contestandoGli che, dal momento che nel Suo Verbo voleva contaminarsi con l’impura materia, Egli non poteva più pretendere obbedienza e fedeltà dalla Sue creature angeliche. Anzi, l’adorazione in precedenza dovuta a Lui, a Dio, doveva ora essere rivolta a chi, ossia Lucifero medesimo, si proponeva, per il suo adamantino primato angelico, a capo della schiera ribelle.

Questa antica tradizione è riecheggiata da San Paolo: «Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti dovrà avvenire lapostasia e dovrà esser rivelato luomo iniquo, il figlio della perdizione, colui che si contrappone e sinnalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando sé stesso come Dio» (II lettera ai Tessalonicesi, 2- 3,4).

Lucifero, in sostanza, è stato il primo degli gnostici. L’Anticristo sarà l’ultimo, in ordine di tempo, a comparire tra essi.

E’ su verità come queste che dovrebbero seriamente meditare tutti coloro, come il professor Mauro Pesce, che restano scandalizzati dalla «grossolanità materiale» del Cattolicesimo.

Luigi Copertino



1) Confronta F. Pieri «Bibbia contro Sindone, falso dilemma» in Avvenire del 24 giugno 2010. E’ alle osservazioni puntuali del Pieri, che facilmente dimostra l’inconsistenza delle tesi del Pesce, che facciamo riferimento per, però, ampliarle in una direzione dallo stimato docente non indagata. Rimandiamo tuttavia all’articolo del Pieri, disponibile anche sul sito www.avvenire.it, per ulteriori approfondimenti dal punto di vista teologico e storico.
2) Confronta T. Beer «Der Frohliche Wechsel und Streit. Grundzuge der Theologie Martin Luthers», Lipsia, 1974, Einsiedeln 1980; vedi anche l’intervista a Beer sul numero del febbraio 1992 della rivista «30Giorni nella Chiesa e nel mondo». In Italia le tesi del Beer sono state opportunamente riprese e divulgate da Ennio Innocenti nella sua enciclopedica opera, in più volumi, «La gnosi spuria», Sacra Fraternitas Auriganum in Urbe, Roma.
3) Se esiste una «gnosi spuria», evidentemente esiste anche una «gnosi pura» identificabile con la stessa Rivelazione sapienziale ebraico-cristiana che, al crocevia dell’incontro tra fede biblica ed ellenismo, ha sconfitto quella «spuria», sia nella sua forma pagana che in quella cabalista, benché oggi, in tempi di rivincita, quest’ultima, la gnosi spuria, sia tornata prepotentemente alla ribalta globale. Ecco una definizione dei due tipi di gnosi: «Nellinterpretare la realtà, due soltanto sono i giudizi sullessere: lessere, infatti, o è dallintelligenza umana interpretato come partecipazione oppure è interpretato come caduta. Sia nel primo che nel secondo giudizio le conseguenze sono di grande importanza e tali da influenzare tutto il vivere umano. Lessere è partecipato da una fonte sapiente, libera ed amante: lInfinito Iddio. Egli, pienezza di coscienza, bontà e bellezza, partecipa il suo essere amando gli esseri che crea, ordinandoli in una collaborazione che rispecchia la sua perfezione, cui tutti - e luomo consapevolmente e liberamente - tendono. Lessere, invece, ‘cade’, primordialmente e necessariamente, da unoscurità inconscia, innominabile, informe ed indeterminata, e tale caduta, che comporta la degradazione e la differenziazione degli esseri, devesser riassorbita nellunità indifferenziata del tutto. Nella prima interpretazione luomo si innalza per dono divino. Nella seconda, invece, luomo sillude derigersi immedesimandosi nel tutto. Vi sono altre caratteristiche che differenziano inconfondibilmente questi due tipi di gnosi: la primasuppone la irriducibilità fra essere e non essere, Dio e gli esseri creati, lo spirito e la materia, la verità e lerrore, il bene e il male; la seconda no. (…). La prima gnosi la chiamiamopura’, la secondaspuria». Confronta E. Innocenti «La gnosi spuria - I. Dalle origini al Seicento», Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, Roma, 2003, pagine 3 - 4.
4) Confronta F. Pieri opera citata,
5) Si noti, di sfuggita, quanto ormai sia evidente la pretesa israelitica di sostituire, parodisticamente, il culto di Israele, come messia collettivo e salvifica vittima universale, al Culto di Cristo, vero Messia e vera Salvifica Vittima Universale. La recente manifestazione in favore del povero soldato Shalit, prigioniero di Hamas, è stata organizzata (con il beneplacito del sindaco di Roma, Gianni Alemanno, un tempo aduso ad indossare la kefhia palestinese, come simbolo di quella radice di sinistra del fascismo cui la sua «destra sociale», a dire il vero molto debolmente, si richiamava) nel Colosseo, ossia nel luogo che la memoria cristiana celebra ancora come quello dei martiri della persecuzioni dei primi secoli (tra l’altro fomentate presso imperatori corrotti come Nerone proprio dalle sinagoghe, della diaspora del tempo, in odio verso gli «eretici nazareni»). La manifestazione pro Shalit, con il «liturgico» spegnimento delle luci, ha avuto tutti i caratteri di un rito religioso in concorrenza con la tradizionale Via Crucis della Settimana Santa. Naturalmente anche a noi farebbe piacere che il soldato Shalit possa riabbracciare, sano e salvo, i suoi cari. Ma ci farebbe altrettanto piacere che possano farlo anche le migliaia di detenuti palestinesi, nelle carceri israeliane, che non sono certo tutti «terroristi» ma sovente soltanto poveri cristi incarcerati per aver protestato, ai posti di blocco, contro la protervia dell’amministrazione sionista della Terra Santa di cristiani, ebrei e mussulmani. Vi sono, del resto, molti ebrei antisionisti che pregano per la liberazione dei loro fratelli palestinesi innocenti.
6) Ecco alcuni riferimenti scritturali di questa antica tradizione. San Paolo in 1 Timoteo 3,16 testimonia: «Davvero grande è il mistero della nostra fede: Cristo si è manifestato come uomo: fu dichiarato Giusto mediante lo Spirito Santo. Apparve agli angeli». L’autore paolino della Lettera agli Ebrei (Ebrei 1, 4-6), riguardo alla manifestazione di Cristo agli angeli, afferma: «Ediventato più grande anche degli angeli… Tutti gli angeli dovranno adorarlo». Alla luce di questa antichissima tradizione risulta chiaramente intellegibile il senso più profondo dell’affermazione di Cristo, rivolta ai sinedriti, che qualifica il diavolo come: «Omicida fin da principio, non ha perseverato nella verità, perché in lui non vi è verità… è menzognero e padre della menzogna»
(Giovanni 8,44). Su tale base San Pietro ha potuto affermare: «Dio infatti non perdonò agli angeli che avevano peccato» (2 Pietro 2,4) e San Giovanni, dal canto suo: «il diavolo è peccatore fin dal principio» (1 Giovanni 3,7-8).

 

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