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Come (dis) funziona la Casta
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Peccato che Tullio Lazzaro, presidente della Corte dei Conti, parli la lingua piatta della nomenklatura, il burocratese.
Perché se si traduce in linguaggio umano quello che Lazzaro ha detto del settore pubblico all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2008, ne risulta un quadro spaventoso della corrotta dissipazione del nostro denaro da parte della Casta, e delle sue sotto-caste.

Il presidente segnala «Casi esemplari di cattiva gestione delle risorse».
Per esempio i «maggiori costi e dall’inappropriatezza della gestione straordinaria dell’emergenza rifiuti».
«Inappropriatezza» è una bella parola della neolingua burocratica.

Abbiamo appreso dalla stampa che, per esempio, un sub-commissario all’emergenza rifiuti a Napoli, tale Raffaele Vanoli, percepiva oltre un milione di euro l’anno, ed altri due sub-commissari, tali Paolucci e Facchi, tra gli 8 e i 9 cento mila euro l’anno.
E ciò mentre il commissario straordinario vero e proprio, Corrado Catenacci (un prefetto) si lamentava che lui prendeva 5 mila euro al mese.

Com’è che il commissario che ha la vera responsabilità prende (relativamente) poco, mentre i suoi sub-commissari si fanno i miliardi?
Dev’essere una inappropriatezza.

Lazzaro ricorda anche «la mancata liquidazione degli enti inutili»: sempre e ancora lì, inamovibili, gli enti per gli orfani di guerra e i reduci dell’Abissinia, con tutto il loro personale.
C’è stata anche «scarsa trasparenza delle operazioni di cartolarizzazione, associata al sostanziale mancato conseguimento di migliorare l’efficienza delle gestioni».

Proviamo a tradurre: le cartolarizzazioni sono la vendita a pezzi e bocconi del patrimonio pubblico (cioè pagato da noi contribuenti, e di nostra proprietà).
Vendite o svendite (ad amici e parlamentari, affittopoli, palazzopoli) con la scusa di fare cassa, e di snellire la gestione pubblica.
Invece i beni sono stati venduti, ma le gestioni non sono migliorate.
Abbiamo perso sui due fronti: come contribuenti, e come cittadini agli sportelli, tutti in fila.

Il presidente Lazzaro segnala un guaio nella «politica dei redditi nel settore pubblico».
Quale?
«La dinamica delle retribuzioni supera sistematicamente gli obiettivi programmatici di volta in volta prefissati».
Traduzione: la casta - parola generale con cui si intendono i privilegiati pubblici - continua ad aumentarsi gli stipendi come le pare, nonostante le promesse di non farlo più.
Perché questi aumenti?

I motivi sono diversi, dice Lazzaro: «La sostanziale libertà dal quadro macroeconomico con la quale vengono assegnate le quote variabili dello stipendio rinunciando a qualsiasi connessione con reali aumenti di produttività».
«Libertà dal quadro macroeconomico», ecco un’altra icastica espressione burocratese.

Significa: quelli se ne infischiano se l’economia è in declino e se i cittadini stanno sempre peggio, se il potere d’acquisto cala e calano le esportazioni e la competitività (il quadro macroeconomico); lorsignori continuano a pagarsi come fossero in un Paese prospero, ricco di grasso che cola.
Loro non hanno da stare attenti alla concorrenza cinese.
Sono «liberi» rispetto alla triste realtà dei cittadini che li pagano.
I loro emolumenti non hanno alcuna «connessione con reali aumenti di produttività»…
Traduzione: fancazzisti ladri.

Un’altra causa del costo sempre crescente dell’impiego pubblico?
«Il dilagare di contratti a termine», dice il presidente della Corte dei Conti.
Ma ne indica anche un’altra, alquanto interessante: «L’aumento di posizioni dirigenziali nelle riorganizzazioni di amministrazioni centrali e locali, proprio mentre entrambe perdono funzioni di gestione diretta di risorse».

Già, perché lo Stato e i Comuni mostrano «la crescente propensione delle Amministrazioni locali ad affidare a terzi la gestione dei servizi e delle attività strumentali all’esercizio di funzioni amministrative», ossia ad appaltare ad altri i compiti per cui sono pagati dai contribuenti e nel cui espletamento starebbe la loro ragione di esistere.
Dopo di che, anziché prendere atto della propria inutilità ed annullarsi, facendoci risparmiare qualcosa, si riempiono di nuovi dirigenti a 200 mila euro annui.
In pratica, la loro funzione è diventata quella, fabbricare dirigenti senza lavoro.
La funzione per cui esistono, la svolgono esterni   privati in appalto.
Un po’ sull’esempio delle Poste che affidano i pacchi ai corrieri privati, perché loro hanno meglio da fare che consegnare la posta: fare dirigenti, fare assunzioni di complici e raccomandati.


Continua Lazzaro: «Altro esempio negativo è quello della formazione di debito implicito e di altre gravi distorsioni gestionali legate alla creazione di società pubbliche spesso senza trasferire in tali società il personale delle amministrazioni pubbliche che originariamente gestiva il servizio».
E’ abbastanza chiaro o c’è bisogno di traduzione?
Comuni e Regioni non gestiscono più i servizi pubblici, li affidano a società «pubbliche» da loro stessi create.
Le quali assumono subito un loro personale, mentre quello che gestiva i servizi e non li gestisce più resta in carico a comuni, regioni e in definitiva ai contribuenti.

Il personale che gestiva i servizi ed ora non li gestisce più, che cosa fa?
Niente.
Noi paghiamo due volte: per avere i servizi, e per i fancazzisti che hanno sbolognato il loro lavoro ad altri, ma continuano a prendere lo stipendio.
Lazzaro lo riconosce: «Spesso tali società [di gestione dei servizi pubblici] sono costituite allo scopo, non già di accrescere l’efficienza gestionale, ma solo di eludere i vincoli del patto di stabilità interno [cioè di fare debiti incontrollati] o di fare nuove assunzioni senza concorsi».
«Fare nuove assunzioni senza concorso», nel settore pubblico, sarebbe un reato.
E una ovvia greppia per clientele e ammanicati.

Ci si aspetterebbe che la Corte dei Conti deferisse alla giustizia penale gli «amministratori» che fanno queste assunzioni.
Invece, risulta che non ne ha il potere.
Può solo fare un rapporto al Parlamento o al primo ministro (che se ne fanno un baffo), elevare un rimprovero, esercitare un po’ di «moral suasion», rivolgersi all'opinione pubblica.
C’è da chiedersi se non sarebbe il caso di abolire la pur benemerita Corte dei Conti, e affidare i suoi compiti a dei mercenari a contratto, con licenza di uccidere.

Lazzaro insiste: «Una delle pratiche più diffuse recentemente nel funzionamento delle amministrazioni pubbliche è quella di fare crescente ricorso a professionalità acquisite all’esterno».
La Corte ha fatto mitemente notare che «servirsi di consulenze esterne senza avere i mezzi interni per controllarne e seguirne il contributo», dato che le amministrazioni sono sovraffollate solo di incompetenti incapaci, ottiene il «probabile risultato di perdere il controllo della gestione strategica delle operazioni».
Com’è accaduto «in operazioni di ricorso al mercato dei capitali»: delicata allusione a quei Comuni che si sono fatti infinocchiare da intermediari a comprare «derivati e swap» destinati «alla ristrutturazione del debito» (cioè a fare debiti occulti, e rifilarne il pagamento alle future amministrazioni); e in queste operazioni da furbi-cretini incompetenti hanno perso miliardi a dozzine, che pagheremo noi contribuenti per secoli.

Fra l’altro, la «remunerazione dei servizi degli intermediari», ossia dei promotori finanziari truffatori delle pubbliche amministrazioni, costituisce «un problema», dice la Corte: non certo perché è una remunerazione troppo bassa.
 Anche nelle cartolarizzazioni c’è stato un ricorso a «consulenze esterne» definito «acuto»: perché i pubblici dirigenti «non hanno i mezzi» (intellettuali) per capire cosa stanno facendo gli esterni.
E tuttavia, gli enti territoriali, a forza di «esternalizzare», si sono trasformati da enti che facevano gestione diretta (ossia funzionare i bus, distribuire il latte, raccogliere la monnezza) in «soggetti regolatori dei servizi».

Ecco perché hanno più dirigenti di prima: perché ora sono saliti di livello, non fanno più il lavoro, «regolano» e dirigono quello degli altri.
Il che merita stipendi da 200-300 mila euro l’anno.
Purtroppo, la trasformazione dei fancazzisti in dirigenti e «manager» «non sempre ha sortito esiti coerenti con gli obiettivi di contenimento della spesa o di miglioramento dell’efficienza gestionale».
Non sempre.
Diciamo pure, mai.

La spesa non è stata contenuta, ma in compenso l’efficienza dei servizi è peggiorata.
Ottimo risultato.
In particolare, «Sono state riscontrate insufficienze nella disciplina dei rapporti contrattuali fra Comune e soggetti gestori, relativamente ai controlli sulle effettive erogazioni e sui livelli qualitativi e quantitativi dei servizi da rendere».

Occorre tradurre?
Ormai anche voi sapete leggere il burocratese: le società di gestione a cui i comuni hanno appaltato i servizi, non li «erogano» nella misura decente per la quale sono profumatamente pagate, né in quantità né in qualità.
Senza che il comune, il «regolatore di servizi», se ne infischi.
Anzi, dice il presidente: «In alcuni casi il controllo ha evidenziato l’inutilità della società a causa del mancato avvio del servizio con maturazione di spese di gestione (stipendi del personale e gettoni agli amministratori), con consistenti perdite che gravano sui bilanci degli enti. In qualche caso, i controlli effettuati hanno condotto l’ente locale alla dismissione delle società inutili, direttamente ed indirettamente partecipate per i riflessi negativi sugli equilibri del proprio bilancio».

Bellissime parole: ha dovuto essere la Corte dei Conti a constatare che le società create dai comuni e «partecipate» (pseudo-private, ma ripianate dal pubblico denaro) per fornire servizi sono spesso «inutili», ossia non forniscono servizio alcuno.
Ma è ovvio che la Casta non se ne accorga: per essa funzionavano a meraviglia, dato che gli stipendi del personale e i gettoni agli amministratori correvano come i fiumi di latte e miele nel paradiso islamico (anche se i bus non passano mai e la monnezza resta sulla strada).

Ci viene detto che, dietro i «rilievi» della Corte, certe società sono state «dimesse».
Ma solo «in qualche caso».
Per quel che ne sappiamo, continuano a correre migliaia di gettoni di presenza di amministratori che non amministrano società peraltro completamente inutili.
D’altra parte, se sono possibili solo «rilievi» anziché manette e intimazioni di  rifondere i danni, quando mai sarà possibile ciò che pudicamente la nomenklatura chiama «il contenimento della spesa»?
Molto più facile tartassare i contribuenti, cioè noi.