18 Gennaio 2008
L’ampio panorama delle cosiddette «nuove religioni» assume connotati particolari allorché indossi le vestigia di antichi culti e credenze che pretendano di retrodatarsi rispetto alla religione cristiana, verso la quale non è inconsueto riscontrare un particolare astio ed una notevole avversione ideologica.
L’«Odianesimo» è una di queste religioni; potremmo definirla «neopagana»; riappare sulla scena una ventina di anni fa, rientrando in quel più vasto movimento (che senza timori possiamo identificare) New Age, denominato «Etenismo» (1), con la particolarità di essere credenza eclettica ed universalistica, lontana da ogni velleità ricostruzionista.
Si tratta di una corrente di pensiero, che, presupponendo una visione teologica suiteistica e autoteistica (enfatizzante l’aspetto psicologistico e quindi, di conseguenza, immanentista della religione), assume i caratteri di una visione nettamente antropocentrica, capace di un effettivo riduzionismo delle tre divinità principali (Odino, Vili e Ve) a meri simboli della sfera psicologica umana, modelli ed archetipi da imitare e seguire per giungere all’illuminazione mistica (cioè l’intuizione dell’essenza del cosmo) attraverso le tre fasi di crescita spirituale: trasformazione, sviluppo, bipolarità.
La divinità più nota e da cui prende il nome questa credenza religiosa è appunto Odino.
Nella mitologia scandinava (2), è capo degli «Asi» (una delle due stirpi divine della mitologia nordica, insieme ai «Vani» (3) (4).
Figlio di Borr (a sua volta figlio dell’essere primordiale Buri) e della gigantessa Bestla; Odino (in anglosassone Woden, in antico tedesco Wôdan, Woutan) era anche il dio della guerra, dei viandanti, del commercio, dei viaggi, della magia, della saggezza, della parola e della poesia (era il protettore degli scaldi); dimora nel Valhalla, dove trovavano posto tutti i guerrieri coraggiosi morti in battaglia, punto di osservazione di quello che accade nel mondo: le notizie gli erano riferite quotidianamente da due corvi, Hugin («pensiero») e Munin («ricordo»).
I suoi più grandi tesori: il destriero dalle otto zampe Sleipner, la lancia Gungnir e l’anello Draupner (doni ricevuti dai nani).
Era sempre accompagnato da due lupi, Freki e Geri, ai quali lasciava il suo cibo (egli si nutriva esclusivamente di vino).
Le tre mogli di Odino erano le divinità della Terra: Frigg (con cui generò Balder), Jördr (da cui ebbe Thor, il dio del tuono) e Grid.
«La parola Wotan ha la sua radice in WAT e sta ad indicare la ‘furia divina’ […] L’indubbio ardore con il quale […] combattevano […] le comunità odiniche dei Berserker (Uomini-Orso) e Ulfedhnar (Uomini-Lupo), lasciarono una traccia indelebile nella memoria umana.
Ma il furore a cui si riferisce la radice ‘Wat’ è di ben altro tipo.
Essa indica infatti l’essere sì fuori di sé, ma in una dimensione sovrumana, nella quale si è in grado di trasformarsi (elemento sciamanico) attingendo così ai doni della saggezza, della virtù profetica e poetica (Odino è anche definito il Possente Poeta). Vi è infine una sorta di invulnerabilità,
elemento questo proprio dei temibili Berserkir e Ulfedhnar.
L’elemento sciamanico, quindi, appare già nella radice del nome di Odino-Wotan […]
Odino-Wotan appare nella Snorra Edda (5) come Grande Triade: Har, Iafhnar e Thridhi cioè l’Alto, l’Altissimo e il Terzo.
Nell’antico tempio di Uppsala (in Svezia), Wotan veniva affiancato al dio del Tuono Thor e al dio Freyr, connesso quest’ultimo ad ogni tipo di fertilità. […]
Thor e Freyr, o per altre tribù, Tyr e Njodhr, rappresentavano sostanzialmente i due aspetti che completano l’elemento principale, vale a dire la Forza e la Fertilità che affiancano l’aspetto Sovrano.
Prova ne è il fatto che tra gli epiteti di Odino troviamo nomi come Thundr che significa Tuono la cui radice TH non è solo l’inizio di Thor, ma è anche la radice della terza Runa, Thurisaz, che si distingue sia per il suo potere di offesa che per quello di difesa. Thor è infatti il Campione degli Dèi e degli uomini, il nemico giurato delle forze telluriche.
Altro appellativo di Odino è Veratyr la cui traduzione è Dio degli uomini.
Tyr è infatti il dio della vittoria e dell’arbitrato, colui al quale si appellano gli uomini per le contese e non può passare inosservato che durante il Thing (l’assemblea), era uso conficcare nel terreno una lancia (arma di Odino) a punta in su in mezzo al cerchio del ritrovo, ad indicarne la protezione giuridica richiesta e offerta dal dio.
Odino è il Padre di tutti gli Dèi (egli rimane il capo supremo anche quando Asen e Vanen stabiliscono la tregua alla loro Guerra) e i suoi quarantadue soprannomi svelano spesso aspetti importanti della sua natura sciamanica: Dio delle Rune, degli Impiccati (che ricordano il sacrificio sull’Yggdrasil), Mascherato, Assai sapiente, Mutevole, Colui che ha l’occhio fiammeggiante, Incappucciato. Egli è inoltre il Dio della Parola, della Poesia, della Magia nelle sue forme più complesse e della Guerra. E’ il Dio del Fardello, di colui cioè che tutto conosce sopportando così i dolori del mondo.
E’ il dio che insegna agli uomini e allo stesso momento è il loro modello soprattutto per i re e i condottieri» (6).
L’elemento magico ed esoterico, assumendo le vesti e le peculiarità dello sciamanesimo, è preponderante nei fondamenti fideistici ed in quelli cultuali di questa religione (o pseudo-tale).
«Davide Melzi nel suo libro ‘La Via dello sciamanesimo boreale’ spiega in maniera approfondita la diversità tra una religione del credere e una del conoscere. Proprio a quest’ultima appartiene lo sciamano, qualunque sia la sua estradizione o cultura. Sperimentare, cioè vivere in prima persona l’esperienza estatica, la discesa negli inferi come l’ascesa ai cieli, la conoscenza dell’energia, dell’universo, dei suoi meccanismi, delle difficoltà umane, delle sconfitte e delle vittorie lungo il percorso individuale» (7).
Il fedele è pertanto chiamato ad una sorta di trasformazione alchemica, estatica, se volete, tipica dello stato di «trance», attraverso il quale deve passare lo sciamano.
Il progresso spirituale dell’adepto procede quindi mediante una graduale presa di coscienza della propria dimensione cosmica.
«La trinità odiana, ovvero le tre divinità di Odino, Vili e Ve, non è una tripartita manifestazione dell’essenza primordiale, ma è un sistema simbolico completamente distaccato dal divino in se.
Si può affermare che queste tre figure siano semplicemente dei sentieri esemplari che l’uomo percorre per comprendere l’assoluto. La triade divina è anche il simbolo delle tre fasi di maturazione dello spirito umano: Odino corrisponde alla trasformazione, Vili allo sviluppo, mentre Ve alla bipolarità ultima. […] Non si può affermare con precisione il non panteismo dell’Odianesimo; al contrario la religione odiana si rivela in fin dei conti panteistica, come lo sono le altre religioni etene e tutto il sistema neopagano, dato che afferma l’esistenza di un principio primo dal quale deriva l’attività esistenziale e dal quale viene emanato l’universo. La differenza fondante rispetto al sistema eteno definibile ortodosso sta nel fatto che l’Odianesimo mette in secondo piano la Divinità per concentrarsi sui suiteismo e sull’autoteismo che permettono all’uomo di giungere all’illuminazione […] L’evoluzione spirituale del fedele deve passare attraverso un’evoluzione e rapporto del proprio ‘ego’ con il mondo circostante che prende atto mediante la pratica di tre dettami di coltivazione della propria essenza interiore. La trasformazione è il primo di questi atti, e si tratta del continuo rinnovamento che il fedele deve applicare durante la sua vita […] Nel suo percorso di sviluppo, l’odiano deve prendere coscienza della distinzione del proprio ‘io’ dall’universo oggettivo. L’io è infatti soggettivo, è una singolarità all’interno della pluralità di direzioni possibili nella vastità delle dimensioni cosmiche. Presa consapevolezza di questa distinzione (altro aspetto fondamentalmente distaccato dalla dottrina etena ortodossa) l’essere umano può rendersi conto che mentre tutto ha fine la sua anima è sempre e solo all’inizio […].
Il terzo e ultimo passo della crescita spirituale che un odiano può sperimentare è la bipolarità, ovvero la sperimentazione di tutte le sensazioni e del loro esatto opposto. Questo genere di esperienza può essere rintracciato anche nel precetto del viaggio esperienziale che l’uomo deve compiere per trovare la propria via, ed è incorporato nei miti in cui Odino vende uno dei suoi occhi o si fa crocifiggere all’albero cosmico Yggdrasill (8), comprendendo di essere lui stesso parte ed identificazione speculare dell’universo.
Questi miti esprimono un insegnamento che è fondamentale per la comprensione della dottrina odiana: l’essere umano deve sapersi sacrificare, deve provare qualsiasi esperienza per poter crescere. L’atto della crocifissione di Odino all’albero del mondo simboleggia il suo desiderio di esplorarne ogni radice, ogni ramo e ogni fessura. Si tratta della metaforma di un’esplorazione più grande, ovvero un’esplorazione dell’universo ma soprattutto della propria interiorità, dei sentimenti e delle emozioni che si possono provare attraverso il rapporto con se stessi e con gli altri» (9).
La rappresentazione spettrale, quasi demoniaca, che identifica il dio Odino, non può lasciare indifferenti.
Il percorso esoterico intrapreso dal fedele seguace di queste panzane, rischia di proiettare il povero illuso in un mondo artificiale ed ingannevole, del quale non è in grado di percepire effettivamente
i confini e le sfumature.
L’uomo, iniziato alla sapienza «delle rune», che cerchi la propria realizzazione e la propria felicità, rischia di restare intrappolato nel percorso esistenziale intrapreso.
Le affinità con le pratiche sciamaniche rendono la persona vulnerabile ad ogni suggestione e superstizione.
La liberalizzazione da ogni serio vincolo morale schiavizzerà l’intelletto alla persecuzione di ogni piacere e di ogni istinto (anche il più basso), proiettando la sua vita in una disperante e sconsolante solitudine ed angoscia.
Odino non sarà quel dio benevolo che si prenda cura della persona, della sua creatura, ma l’immagine sbiadita e spietata di un modello da imitare e perseguire, la rappresentazione estrema dell’umana angoscia, consapevole di dover soccombere anche di fronte al male, nella battaglia finale di Ragnarök (10), ove le forze del bene non prevarranno, ma subendo la ferocia del male, daranno vita ad un nuovo per nulla tranquillizzante equilibrio energetico degli opposti.
Che messaggio di triste disperazione emerge dalla visione di questa inquietante cosmologia.
Cosa può dare di buono o di bello?
Come si possa ancora dare credito a queste favole inventate da uomini, se volete pregevoli mitologicamente parlando, ma magri e modesti tentativi di cogliere la verità nella sua interezza e logicità e bellezza?
Come accade che cristiani si lascino contaminare l’animo dalla menzogna di queste assurdità?
Se il cuore non segue l’illuminazione dell’intelletto, per opera della Fede, rivelata e depositata nel seno bellissimo della Santa Chiesa, sottomettendo le passioni e l’uomo vecchio alla mortificazione ed all’ascesi, allora il peccato che dimora nella carne, si avventerà anche sullo spirito, rendendolo schiavo e servitore della debolezza che riesca a dominarlo.
Chi, battezzato, si farà discepolo di Odino?
Soltanto colui che, vinto dal peccato e dal vizio, abbandoni la via stretta che mena alla Vita, per percorrere il vasto e facile sentiero che conduce alla morte e morte eterna.
Stefano Maria Chiari