12 Dicembre 2007
«Gli Stati Uniti continuano a non escludere un conflitto globale e diretto contro la Russia»: l’ha detto Yuri Baluievsky, il capo di stato maggiore delle forze armate russe.
E’ questo il senso che il generale dà dell’ostinazione americana a voler installare lo scudo antimissile (ABM) in Polonia.
Questo sistema d’arma, ha precisato può in ogni momento provocare una reazione russa «per errore».
Un missile intercettore americano in partenza dalla Polonia, «magari per fermare un missile iraniano», può innescare la risposta automatica dei sistemi missilistici russi concepiti per reagire ad un missile balistico diretto sul territorio russo.
«Chi porterà la responsabilità allora?», ha detto il generale.
«Non voglio spaventare, ma la cosa spaventa in sè. E’ un dettaglio tecnico che può sconvolgere la stabilità militare del mondo».
Come noto, la Casa Bianca ha deciso di procedere al piazzamento in Polonia di almeno dieci sistemi d’intercezione, e il radar-guida relativo nella repubblica ceca, entro il 2012, con la scusa di dover parare un possibile attacco balistico di Teheran contro l’Europa. (1)
Mosca ha sempre sostenuto che un simile rischio non esiste, che il sistema polacco è diretto contro la Russia, e di conseguenza la Russia prenderà le sue contromisure.
Il generale è al corrente di altri segnali inquietanti che corroborano i suoi timori.
Come lo strano «scenario» elaborato dal CSIS di Washington (Center for Strategic and International Studies, un think-tank »privato» vicino ad ambienti dell’intelligence) in cui si «prevede» un attentato a Putin per il Natale ortodosso, il 7 gennaio 2008.
Secondo questa profezia, ad uccidere Putin sarebbero ambienti nazional-bolscevichi interni, e non per trasformare il Paese in una democrazia compiuta all’occidentale, bensì per instaurare una dittatura che liquiderà quel poco di istituzioni rappresentative russe.
Ma questa eventualità non inquieta il CSIS, anzi al contrario: il nuovo dittatore sarà più amico dell’Occidente che Putin, e avrà il permesso di espandersi di nuovo militarmente nell’Asia centrale, diventando una utile forza di contenimento del mondo islamico, dalla demografia troppo esuberante. In cambio, alla nuova Russia sarà consentito di diventare «il dominatore del mercato energetico»; a quel punto le risorse russe saranno però di nuovo sotto il controllo delle petrolifere anglo-americane, grazia alle aperture del dittatore-amico.
Particolare istruttivo: il CSIS «prevede» che, appena caduto Putin, il nuovo gruppo al potere scatenerà una «campagna anti-corruzione» per screditare ed eliminare quella parte del sistema ancora fedele a Putin.
Questo metodo è stato già applicato dagli USA ed ha funzionato in vari paesi (in Italia con «Mani Pulite») per distruggere le classi dirigenti precedenti.
Benchè non siamo in grado di verificare la credibilità di una simile previsione, un simile dettaglio lascia pensare che certe profezie nate in USA tendono ad avverarsi.
Il CSIS è, dopotutto, la centrale incaricata di applicare la nuova strategia contraria al bellicismo di Bush che si è rivelato disastroso: lo «smart power», il potere astuto.
E’ interessante notare che, in occasione delle recenti elezioni russe, l’Economist (il periodico dei Rostchild) ha commentato che lo sforzo di Putin di raccogliere sulla sua persona quanti più voti possibile, anche con metodi poco scrupolosi, non aveva tanto un significato anti-occidentale, quanto piuttosto il tentativo di rafforzarsi all’interno contro il gruppo di potere al suo fianco.
L’Economist dice, o sa, che questo gruppo, che sostiene apparentemente Putin, sta facendogli una fronda sotterranea; ed è un gruppo che ha «potere e risorse finanziarie enormi» ammassate in questi anni.
Anche l’Economist prevede che Putin può diventare vittima di questo gruppo.
L’Economist previde che Moro sarebbe stato liquidato (in una copertina con la caricatura di Aldo Moro e la didascalia in italiano: «E’ finita la commedia») poche settimane prima del rapimento da parte delle Brigate Rosse.
Questi scenari potrebbero essere un segno di disperazione di questo certo Occidente, che non riesce ad impedire il riemergere di Mosca come attore politico globale; può essere un atto di guerra psicologica, magari per invelenire i sospetti e le fratture interne al gruppo di potere putiniano.
Ma può essere un progetto in via di attuazione.
E’ più che probabile che le centrali strategiche dello «smart power» sentano che è urgente fare qualcosa per contrastare il nuovo attivismo di Mosca sulla scena, specie nel Mediterraneo.
Da poco la Russia ha cominciato a spostare una flotta militare in due porti siriani.
Ora, si aggiunge un’altra novità: la Grecia, membro della NATO, ha deciso di acquistare da Mosca ben 415 blindati porta-truppe BMP-3. una commessa importante, da oltre 1,2 miliardi di euro.
La stessa Novosti si chiede come reagirà Washington a questa intrusione nel mercato degli armamenti americani.
Un mercato protetto: la Nato da Bruxelles controlla la congruità e l’intercambiabilità dei materiali bellici di tutti gli alleati, e ciò significa che le armi sono, almeno per concezione, made in USA e corrispondenti alle specifiche e alle concezioni tattiche americane (che si sono rivelate fallimentari in Iraq).
Ma non è la prima volta che Atene si fornisce a Mosca.
In pratica tutta la sua difesa anti-aerea è costituita da missili russi: dal portatile IGLA, ai sistemi d’arma a breve o medio raggio Osa-AKM, Tor-M1 e Buk M1-1, ai missili a largo raggion S-300 PMU-1.
Senza contare gli anticarri russi Fagot e Kornet, e mezzi da sbarco a cuscino d’aria Zubr (acquistati dall’Ucraina).
Già allora Madeleine Albright fece dure pressioni sui greci contro questi acquisti, premuta a sua volta dalla Turchia, poco contenta di vedere il suo nemico tradizionale fornirsi di tali armamenti. Atene potè in qualche modo convincere gli americani, magari proprio indicando che la Turchia, nemico tradizionale e membro della NATO, conosceva troppo bene gli armamenti NATO per poterne essere tenuta a rispetto.
Ma questa volta è diverso.
La Grecia, che già ai tempi del Kossovo fu apertamente dalla parte di Belgrado, ha preso atto – meglio degli altri europei più servili – che la natura della NATO è cambiata, che il vecchio concetto di «amico» non si attaglia più agli USA, e che il quadro internazionale è radicalmente cambiato.
La ricomparsa in forze delle navi russe nel Mediterraneo orientale può tentare Atene a posizionarsi dove la porta la sua cultura e tradizione, ortodossa e filo-slava.
Riemergono antiche solidarietà e riprendono forza i destini manifesti nazionali.
Il primo ministro greco Costas Caramanlis è i visita ufficiale a Mosca per tre giorni (2).