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«Previsto» attentato a Putin
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«Gli Stati Uniti continuano a non escludere un conflitto globale e diretto contro la Russia»: l’ha detto Yuri Baluievsky, il capo di stato maggiore delle forze armate russe.
E’ questo il senso che il generale dà dell’ostinazione americana a voler installare lo scudo antimissile (ABM) in Polonia.
Questo sistema d’arma, ha precisato può in ogni momento provocare una reazione russa «per errore».
Un missile intercettore americano in partenza dalla Polonia, «magari per fermare un missile iraniano», può innescare la risposta automatica dei sistemi missilistici russi concepiti per reagire ad un missile balistico diretto sul territorio russo.
«Chi porterà la responsabilità allora?», ha detto il generale.
«Non voglio spaventare, ma la cosa spaventa in sè. E’ un dettaglio tecnico che può sconvolgere la stabilità militare del mondo».

Come noto, la Casa Bianca ha deciso di procedere al piazzamento in Polonia di almeno dieci sistemi d’intercezione, e il radar-guida relativo nella repubblica ceca, entro il 2012, con la scusa di dover parare un possibile attacco balistico di Teheran contro l’Europa. (1) 
Mosca ha sempre sostenuto che un simile rischio non esiste, che il sistema polacco è diretto contro la Russia, e di conseguenza la Russia prenderà le sue contromisure.
Il generale è al corrente di altri segnali inquietanti che corroborano i suoi timori.
Come lo strano «scenario» elaborato dal CSIS di Washington (Center for Strategic and International Studies, un think-tank »privato» vicino ad ambienti dell’intelligence) in cui si «prevede» un attentato a Putin per il Natale ortodosso, il 7 gennaio 2008.
Secondo questa profezia, ad uccidere Putin sarebbero ambienti nazional-bolscevichi interni, e non per trasformare il Paese in una democrazia compiuta all’occidentale, bensì per instaurare una dittatura che liquiderà quel poco di istituzioni rappresentative russe.

Ma questa eventualità non inquieta il CSIS, anzi al contrario: il nuovo dittatore sarà più amico dell’Occidente che Putin, e avrà il permesso di espandersi di nuovo militarmente nell’Asia centrale, diventando una utile forza di contenimento del mondo islamico, dalla demografia troppo esuberante. In cambio, alla nuova Russia sarà consentito di diventare «il dominatore del mercato energetico»; a quel punto le risorse russe saranno però di nuovo sotto il controllo delle petrolifere anglo-americane, grazia alle aperture del dittatore-amico.
Particolare istruttivo: il CSIS «prevede» che, appena caduto Putin, il nuovo gruppo al potere scatenerà una «campagna anti-corruzione» per screditare ed eliminare quella parte del sistema ancora fedele a Putin.
Questo metodo è stato già applicato dagli USA ed ha funzionato in vari paesi (in Italia con «Mani Pulite») per distruggere le classi dirigenti precedenti.

Benchè non siamo in grado di verificare la credibilità di una simile previsione, un simile dettaglio lascia pensare che certe profezie nate in USA tendono ad avverarsi.
Il CSIS è, dopotutto, la centrale incaricata di applicare la nuova strategia contraria al bellicismo di Bush che si è rivelato disastroso: lo «smart power», il potere astuto. 
E’ interessante notare che, in occasione delle recenti elezioni russe, l’Economist (il periodico dei Rostchild) ha commentato che lo sforzo di Putin di raccogliere sulla sua persona quanti più voti possibile, anche con metodi poco scrupolosi, non aveva tanto un significato anti-occidentale, quanto piuttosto il tentativo di rafforzarsi all’interno contro il gruppo di potere al suo fianco.
L’Economist dice, o sa, che questo gruppo, che sostiene apparentemente Putin, sta facendogli una fronda sotterranea; ed è un gruppo che ha «potere e risorse finanziarie enormi» ammassate in questi anni.
Anche l’Economist prevede che Putin può diventare vittima di questo gruppo.

L’Economist previde che Moro sarebbe stato liquidato (in una copertina con la caricatura di Aldo Moro e la didascalia in italiano: «E’ finita la commedia») poche settimane prima del rapimento da parte delle Brigate Rosse.
Questi scenari potrebbero essere un segno di disperazione di questo certo Occidente, che non riesce ad impedire il riemergere di Mosca come attore politico globale; può essere un atto di guerra psicologica, magari per invelenire i sospetti e le fratture interne al gruppo di potere putiniano.
Ma può essere un progetto in via di attuazione.
E’ più che probabile che le centrali strategiche dello «smart power» sentano che è urgente fare qualcosa per contrastare il nuovo attivismo di Mosca sulla scena, specie nel Mediterraneo.

Da poco la Russia ha cominciato a spostare una flotta militare in due porti siriani.
Ora, si aggiunge un’altra novità: la Grecia, membro della NATO, ha deciso di acquistare da Mosca ben 415 blindati porta-truppe BMP-3. una commessa importante, da oltre 1,2 miliardi di euro.
La stessa Novosti si chiede come reagirà Washington a questa intrusione nel mercato degli armamenti americani.
Un mercato protetto: la Nato da Bruxelles controlla la congruità e l’intercambiabilità dei materiali bellici di tutti gli alleati, e ciò significa che le armi sono, almeno per concezione, made in USA e corrispondenti alle specifiche e alle concezioni tattiche americane (che si sono rivelate fallimentari in Iraq).
Ma non è la prima volta che Atene si fornisce a Mosca.

In pratica tutta la sua difesa anti-aerea è costituita da missili russi: dal portatile IGLA, ai sistemi d’arma a breve o medio raggio Osa-AKM, Tor-M1 e Buk M1-1, ai missili a largo raggion S-300 PMU-1.
Senza contare  gli anticarri russi Fagot e Kornet, e mezzi da sbarco a cuscino d’aria Zubr (acquistati dall’Ucraina).
Già allora Madeleine Albright fece dure pressioni sui greci contro questi acquisti, premuta a sua volta dalla Turchia, poco contenta di vedere il suo nemico tradizionale fornirsi di tali armamenti. Atene potè in qualche modo convincere gli americani, magari proprio indicando che la Turchia, nemico tradizionale e membro della NATO, conosceva troppo bene gli armamenti NATO per poterne essere tenuta a rispetto.
Ma questa volta è diverso.

La Grecia, che già ai tempi del Kossovo fu apertamente dalla parte di Belgrado, ha preso atto – meglio degli altri europei più servili – che la natura della NATO è cambiata, che il vecchio concetto di «amico» non si attaglia più agli USA, e che il quadro internazionale è radicalmente cambiato.
La ricomparsa in forze delle navi russe nel Mediterraneo orientale può tentare Atene a posizionarsi dove la porta la sua cultura e tradizione, ortodossa e filo-slava.

Riemergono antiche solidarietà e riprendono forza i destini manifesti nazionali.
Il primo ministro greco Costas Caramanlis è i visita ufficiale a Mosca per tre giorni (2).



1) Andrew Kuchins, «Alternative futures for Russia to 2017», CSIS:
http://www.russiaprofile.org/page.php?pageid=Politics&articleid=a1197373637
A ’scenario’ from the ’report’.
Another scenario projects the emergence of a KGB-driven nationalist dictatorship after Putin is assassinated on Christmas night, Jan. 7, 2008. Sechin, Patrushev and Viktor Ivanov take over the country’s leadership as the caretaker, President Zubkov, virtually disappears from the scene. The siloviki, never quite happy entirely with Putin’s Plan for Russia, put forward Vladimir Yakunin who takes leadership of the United Russia Party (which is renamed Glory to Russia) and easily wins the presidential election.
Yakunin’s rule is heavy on Chinese-style anti-corruption measures that visibly shake up the Russian elites after Moscow’s former mayor Yury Luzhkov is found guilty of corruption and sentenced to death. Following an increase in nationalist rhetoric, drastic anti-immigrant measures are implemented and guest workers from Central Asia and China are strictly quarantined and are not allowed to hold ownership in any business.
Having dismantled most of what remained of Russia’s democratic institutions, Yakunin, however, maintains much of the liberal economic policies instituted under Putin and welcomes increasing flows of foreign investment. The economic and political system he develops is modeled on Lee Kuan Yew’s Singapore, and it is quite successful in ensuring Russia’s rapid economic growth. By 2017, Russia is a $6 trillion economy and the ruble is traded at 10 for the euro.
Despite the nationalist rhetoric Russia’s foreign policy does not turn anti-Western, but rather acquires a brutally pragmatic character that seeks to maximize Russia’s self-interest. Yakunin consolidates the post-Soviet space by driving Turkmenistan, Uzbekistan, Kazakhstan and Azerbaijan into a confederation with Russia, with Belarus falling into Russia’s fold even earlier. The new confederation becomes a market maker in international energy markets competing and cooperating with OPEC.
Moscow’s ties with Washington actually strengthen as successive U.S. administrations welcomed increased stability and improved business environment due to anti-corruption measures while recognizing Russia’s role in containing the political instability and rising radical Islam in Central Asia. Washington resigns itself to the failure of its previous policies to block Russian reconsolidation of the former Soviet Union.
With Russia’s economy roaring, incomes rising rapidly and political opponents purged, Yakunin lengthens the presidential term to seven years and is reelected with 95 percent of popular the vote in 2015.’
2) «Les armes russes et la position de la Grèce», dedefensa, 15 dicembre 2007.