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Notizie dal futuro (che sembra passato)
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Terra francese antibiotica

Gli ospedali inglesi sono diventati posti dove si muore d’infezione: da 100 casi l’anno degli anni ‘90, si è arrivati nel 2005 a 1.600.
Responsabile un batterio, lo stafilococco (MRSA, methicillin-resistant staphylococcus), che sopravvive a tutti gli antibiotici.
La ricerca di antibiotici più efficaci è stata inutile - e del resto antibiotici nuovi se ne scoprono sempre meno.
Come nel non lontano passato di prima della penicillina, la gente fugge gli ospedali come luoghi di miseria e sporcizia.
Chi può va a farsi operare all’estero.
Il governo ha ordinato pulizie generali e profonde degli edifici.
Finalmente, viene annunciata la scoperta di una sostanza mirabolante ed efficacissima: si chiama agricur, ed è nient’altro che un’argilla verdagnola, di origine vulcanica, che si trova abbondantemente in Francia, nel Massif Central (1).

Nei primi test, si è constatato che l’argilla «agricur» uccide il 99% delle colonie di MRSA entro 24 ore, mentre le colonie di controllo si moltiplicano di 45 volte nello stesso tempo.
Le proprietà antibatteriche dell’argilla erano note alle bisnonne.
Ma le ignora il nuovo oscurantismo scientifico, e lo dimostra la travagliata storia terapeutica dell’agricur.
A segnalarne l’efficacia è stato una dottoressa francese, Line Brunet de Courssou, dedita in Africa occidentale alla lotta contro il «buruli», una malattia locale vicina alla lebbra, che sfigura le carni dei bambini ed è dichiarata «emergenza di salute pubblica» dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
Per questo, nel 2002, la dottoressa Line presentò dunque all’OMS uno studio clinico di 50 casi nei quali le piaghe del buruli erano state bloccate dall’applicazione, come cataplasma o poltiglia, della terra verde del Massiccio Centrale.
L’OMS le rispose riconoscendo che il suo lavoro era «impressive», ma negandole i finanziamenti per «mancanza di fondamento scientifico».

Il fondamento scientifico degli antibiotici - che provengono da muffe - non sembra essere migliore: ma gli antibiotici sono brevettati, costano cari e le grandi farmaceutiche ci guadagnano.
L’argilla costa come l’argilla.
Morta la dottoressa, suo figlio Thierry ha cominciato a cercare su internet se ci fossero scienziati disposti a sperimentare l’agricur.
Ha trovato (grazie, internet) Lynda Williams, mineralogista all’Arizona State University, che ne ha parlato alla collega docente Shelley Haydel.
Le due signore sono tanto convinte dei benefici da aver portato il caso agricur all’annuale riunione della Geological Society of America, che si tiene a Denver.
Hanno già dimostrato che l’argilla francese è efficace non solo contro il MRSA, ma anche contro la salmonella e l’E. coli, altre due infezioni ospedaliere comuni e ribelli alle terapie.
Hanno anche dimostrato che altre argille, abbondanti nel mondo e quindi poco costose (un guaio per i colossi farmaceutici) hanno effetti antibatterici simili.

I «fondamenti scientifici» continuano a mancare.
«Abbiamo solo delle ipotesi, e numerose», dice la Williams: «La prima è che l’argilla trasferisca degli elementi non identificati ai batteri, che ne bloccano il metabolismo. L’altra è che ad essere tossico per i microbi non sia una singola sostanza, ma una quantità di composti chimici e di disposizioni stereo-chimiche nel miscuglio, che attaccano i microbi da differenti lati, sì da sopraffarne i sistemi difensivi».
La terza ipotesi è ancora più rivoluzionaria: che l’argilla non agisca attraverso processi biochimici, bensì fisici, per la stessa struttura molecolare delle terre che la compongono.
Se questa ipotesi fosse verificata, si avrebbe una cura contro cui i batteri non potrebbero sviluppare alcuna resistenza.
Il nostro futuro medico vedrà il recupero di cataplasmi, impianti, unguenti.

Terra ucraina per il pane
«L’Ucraina non riesce a valorizzare l’immenso potenziale agricolo delle sue terre nere», lamenta Le Monde (2).
Ecco un’altra notizia che sembra venire dal passato - l’Ucraina e le sue fertilissime terre sono state per secoli il granaio del mondo - e che riguarda  invece il nostro futuro: la scarsità crescente di prodotti alimentari nel mondo, dovuta al migliorato potere d’acquisto della Cina, ha fatto rincarare i cereali e i legumi, e temere un avvenire di carestie.
Sicchè rimettere a coltura moderna le terre nere ucraine diventa di colpo conveniente, ed urgente.
I francesi sono i primi a vedere se vale la pena di investire forte in quel Paese.
«L’Ucraina dispone di 30 milioni di ettari coltivabili, la superficie agricola della Francia», si entusiasma Jean-Jacques Hervè, consulente presso il ministero ucraino dell’Agricoltura, «più altri dodici milioni ancora non sfruttati. E’ uno dei rari Paesi al mondo ad avere una capacità di aumentare l’offerta alimentare».

L’Ucraina, stima Hervè, può facilmente triplicare la produzione di frumento, orzo, mais e colza.
L’ostacolo è dovuto ai postumi dell’applicazione della più «scientifica» delle teorie politiche: il marx-leninismo, la sua collettivizzazione forzata della terra, e l’oscurantismo progressista-dialettico.
Ancor oggi, benchè l’Ucraina sia stata decretata «una democrazia» dalla Casa Bianca, i diritti di proprietà sulla terra non sono riconosciuti che in modo vago.
Basta dire che non esiste un catasto dei terreni.
La struttura produttiva è ancora quella del kholkoz, le fattorie collettive comuniste dirette da burocrati.
Risultato: investimenti insufficienti e rendimenti ridicoli.
Un caso: tale Petro Petrouk nel 2002 ha preso in affitto 3 mila ettari nella regione di Kiev, parte di un kholkoz in stato fallimentare e dunque inattivo.
L’affitto è basso, circa 40 dollari ad ettaro.

Per cominciare, il neo-imprenditore ha dovuto pagare i debiti precedenti del kholkoz e acquistare un po’ di macchine agricole moderne.
«Poi ho dovuto affrontare i problemi umani», dice: «Nessuno voleva più lavorare, non ci vedevano alcun senso. Ho dovuto imporre la disciplina».
Si aggiungano il prezzo del gasolio quintuplicato e i fidi bancari al 17% (almeno nelle banche è arrivato il capitalismo, ragazzi).
Eppure, grazie al rincaro dei prezzi agricoli mondiali e all’aumentata produttività, Petrouk ha affittato altri 24 mila ettari ed impiega oggi 1.750 dipendenti.
Ma non si sa quanto può durare.
Il primo gennaio 2008 scade una moratoria sulla vendita delle terre agricole: e il 73% delle terre sono assegnate in affitto, spesso ai vecchi lavoranti dei kholkoz, in parcelle che sono dichiarate «proprietà privata» solo sulla carta.

Il governo (la famosa democrazia colorata) può ora espropriare quelle «proprietà» e rimetterle in vendita, attraendo speculatori esteri forniti di capitali, e sbattendo fuori imprenditori come Petrouk, che hanno re-imparato a lavorare la terra ma non hanno capitali.
Può avvenire un saccheggio simile a quello subìto dalla Russia di Eltsin, sotto il nome di «libero mercato».
Si temono i fondi americani interessati solo al profitto finanziario: se entra il «libero mercato», la terra ucraina varrà 1.400 dollari ad ettaro e, con la fame che minaccia, il suo valore crescerà.
Per questo una grande cooperativa agricola francese, la Champagne Céreales, ha portato in volo 60 agricoltori francesi a vedere la terra nera, invitandoli ad investire soldi, ma soprattutto la loro competenza, in una società di servizio che assista le aziende contadine locali.
L’idea è di non fare speculazione, ma produzione, aumentare l’occupazione, aumentare il valore aggiunto locale.
I più audaci potrebbero anche affittare direttamente i terreni.

Terreni ottimi, riconosce Alain Bruncher, che coltiva 289 ettari nell’Alta Marna: «In Francia, dopo mezzo metro, trovi le pietre. Qui affondi fino a due metri di terra nera».
Ma Bruncher ha 58 anni: non è il far-east ucraino che lo attira, ma la pensione ormai vicina.
Anche i giovani agricoltori francesi però sono perplessi: «Bisogna essere molto motivati per stabilirsi qui».
Come sa chi abbia visto queste immense campagne sovietiche, per centinaia di chilometri attorno non c’è un abitato, un cinema, un negozio, un meccanico, una qualunque struttura di servizio.
Le strade sono fango d’inverno e polvere d’estate.
Non ci sono nemmeno bettole della vodka, per lo più distillata in casa.
E’ ancora il socialismo reale.
Solo betulle, isbe, e la buona terra nera.
Che sta per essere saccheggiata dagli hedge funds.


Terra santa
Pochi mesi prima di morire a 108 anni, circondato dalla venerazione dei suoi discepoli, il rabbino e kabbalista Yitzhak Kaduri meravigliò tutti sostenendo di aver incontrato il Messia.
Ne parlò nella sua sinagoga in un memorabile Yom Kippur, insegnando come riconoscerlo.
Disse inoltre che il Messia sarebbe apparso in Israele dopo al morte di Ariel Sharon, l’ex premier, da più d’un anno in coma, ma ancora in qualche modo vivo.
Per di più rabbi Kaduri scrisse il nome del Messia prossimo venturo in un foglietto che chiuse in una busta, chiedendo di aprirlo solo nell’ottobre 2007.
Ora la busta è stata aperta: il nome del Messia è Yeshua, Gesù (3) .
Il testo del messaggio tradotto suona così: «Quanto alla abbreviazione delle lettere riguardanti il nome del Messia, Egli rialzerà il popolo e proverà che la parola e la legge sono validi. Questo ho firmato nel mese della misericordia, Yitzhak Kaduri».

In ebraico, le parola sopra sottolineate suonano «Yarim Ha’Am Veyokhiakh Shedvaro Vetorato Omdim».
Le loro iniziali, ossia l’acrostico, formano il nome Yehoshua, di cui Yeshua (Gesù) è una semplice contrazione.
Le due forme vengono usate indifferentemente dal profeta Zaccaria (6:11) e da Esdra (3:2) per la stessa persona, un sacerdote chiamato dall’uno «Yehoshua figlio di Yozadak» e dall’altro «Yeshua figlio di Yozadak».
Il nome viene dalla radice ebraica per «salvezza», dunque «Salvatore».
Il messaggio di Kaduri ha gettato nello sgomento i discepoli della sua scuola rabbinica, la Nahalat Yitzhak Yeshiva.
Solo la fuga di notizie provocata dal sito ebraico «News Firts Class», e un articolo del quotidiano Ma’ariv (che ha definito il messaggio un falso) hanno costretto gli adepti a parlarne.
«Quella non è la scrittura di mio padre», ha dichiarato rabbi David Kaduri, il figlio ottantenne del defunto, ed ha mostrato al giornalista di Israel Today manoscritti del vecchio padre, risalenti però a 80 anni fa, dove la grafia pareva diversa.
Soprattutto, riporta Israel Today, «ciò che colpisce nei manoscritti,  fatti per uso degli studenti, sono i segni a forma di croce tratteggiati da Kaduri sulle pagine».

Ciò perché, spiega, «nella tradizione ebraica non si usa disegnare croci. Anche il segno aritmetico ‘più’ è scoraggiato perché può essere preso per una croce» cristiana.
Il che è la pura verità: nelle scuole d’Israele è obbligatorio per gli alunni usare, al posto del nostro universale segno «+», una sorta di T rovesciata.
Nei manoscritti si notano anche simboli indecifrabili: secondo il figlio, sono «segni degli angeli», ma poi non ha saputo spiegare cosa ciò significhi.
Quando Kaduri - figlio ha saputo che persino il sito ufficiale del padre (www.kaduri.net) aveva riportato il testo segreto, ha esclamato: «Oh no, è una bestemmia! La gente può credere che mio padre accennasse a lui!».
Ossia «al Messia dei cristiani», nota Israel Today.

Eppure, quel nome non è a prima vista una cosa sconvolgente.
Altri rabbini in passato hanno ipotizzato che il nome del Messia dovesse essere «Salvatore», anche in riferimento al re Giosia,  nato nel 640 avanti Cristo e ucciso nel 609 dal «faraone Necao», come è riportato nel secondo Libro dei Re (23:29).
Su Giosia, salito al trono ad 8 anni, si appuntarono le immense, eccessive speranze dei sacerdoti che lo allevarono: essi indicarono in lui il «germoglio di Davide», erede del regno di Giuda, destinato da Dio a riconquistare anche Israele, ossia i territori del nord.
La crisi dell’impero egizio e di quello assiro, che aveva lasciato mal guardati i territori, fecero credere il momento adatto ad un atto di forza.

Giosia (o meglio i sacerdoti) prepararono il popolo all’impresa con un irrigidimento mai visto del fondamentalismo: Giosia accentrò il culto nell’unico tempio di Gerusalemme distruggendo tutti gli altri luoghi fino a quel momento permessi, fra cui quello veneratissimo di Betel (dove a Giacobbe era apparsa la scala celeste).
Così rafforzati anche finanziariamente (i templi erano anche centri di prelievo fiscale), i sacerdoti «scoprirono» nel tempio in restauro un nuovo testo di Mose: la «seconda legge», il Deuteronomio, che confermava e aggravava tutte le più dure disposizioni  dei leviti.

Tutto pareva loro pronto: ma il faraone, informato, avanzò e debellò facilmente il giovane re.
Tuttavia, Giosia (Yeshua) rimase come modello di ogni futuro liberatore, perfettamente ligio alla Legge (II Re, 23: 25-27).
Né d’altra parte il Yeoshua visto da rabbi Kaduri sembra identificarsi tout court con il Cristo.
Il figlio David, che alla fine ha ammesso: «Mio padre ha incontrato il Messia in visione ed ha detto che verrà presto», ha ricordato che effettivamente nell’ultimo anno di vita suo padre non parlava d’altro.
Alcune delle cose che diceva il vecchio possono far pensare all’Uomo del Nuovo Testamento, altre no.
Ma giudichi il lettore: «La guida e l’ordine di un Messia in carne ed ossa è difficile da accettare per molti nella nazione», diceva il vecchio.

«Come capo, il Messia non ricoprirà alcuna carica (politica), ma starà tra il popolo e per comunicare userà i media (!). Il suo regno sarà puro e senza aspirazioni personali o politiche. Durante il suo dominio, regneranno solo giustizia e verità».
«Crederanno tutti al Messia subito? No, all’inizio alcuni crederanno ed altri no. Sarà più facile seguire il Messia alla gente non religiosa che alla gente ortodossa».
«La rivelazione del Messia avverrà in due fasi. Prima, egli confermerà negli atti la sua posizione di Messia senza sapere lui stesso di esserlo. Poi, si rivelerà ad alcuni ebrei, non necessariamente ai sapienti studiosi della Torah; possono essere anche gente semplice. Solo allora si rivelerà a tutta la nazione. La gente si stupirà e dirà: Come, è questo il Messia? Molti hanno conosciuto il suo nome ma non hanno creduto che è il Messia».
«Quando verrà, il Messia salverà Gerusalemme dalle altre religioni che vogliono dominare la città. Falliranno, perché si combatteranno a vicenda».

Ci siamo limitati a tradurre, con l’avvertenza che - a parte il messaggio autografo del vecchio - per il resto si tratta dei ricordi riferiti dal figlio, preoccupato soprattutto di mostrare che il Messia «visto» da suo padre non è il Cristo dei cristiani.
Resta il fatto che Yitzak Kaduri era uno dei massimi rabbini in Israele, venerabile non solo per l’età è la memoria prodigiosa (conosceva a memoria Torah e Talmud) ma perché anche i rabbini-capi lo consideravano un tsadik, un «giusto», dotato di poteri super-normali secondo gli ebrei hassidici. Migliaia di persone andavano da lui a farsi dare la benedizione, o a chiedere consigli.

Dicevano che avesse predetto molti disastri.
Il suo funerale è stato seguito da 200 mila fedeli.
La profezia di rabbi Kaduri (ed eventualmente, il dubbio su quale «messia» abbia visto) ha almeno un vantaggio, che è esposta alla smentita in tempi brevi: la morte di Sharon non dovrebbe tardare.
Limitiamoci a constatare che nel nostro futuro irrompe un altro elemento di passato, e un passato antico: il «sognatore di sogni».

Sancisce il Deuteronomio (13:2) «Se sorge in mezzo a te un profeta o un sognatore di sogni che ti proponga un segno o un prodigio, e avveratosi il segno o prodigio ti dica: seguiamo altri dèi e serviamoli; non ascoltare le parole di questo profeta o sognatore… tu dovrai ucciderlo».
Noi abbiamo una profezia: Cristo tornerà non in incognito, ma «nella gloria».
E «dai frutti» si riconoscono i veri e falsi salvatori.


1) Paul Rodgers, «French muck: it is the new penicillin?», Independent, 29 ottobre 2007.
2) Piotr Smolar. «L’Ukraine tarde à faire valoir l’immense potentiel de ses terres noires», Le Monde, 27 ottobre 2007.
3) «Rabbi reveals name of the Messiah», Israel Today, 30 aprile 2007.