4c3a7031b93a255abdcb477da930149d-large.jpg
Un piano per smembrare il Pakistan?
Stampa
  Text size

PAKISTAN - «Entro un decennio, il Pakistan subirà il fato della Yugoslavia»: lo prevedeva nel 2005 un rapporto congiunto dell’US National Intelligence Council e della CIA, citato con allarme dall’allora alto commissario del Commonwealth per il Pakistan a Londra, Wajid Shamsul Hasan (Times of India, 13 febbraio 2005).
Il profetico rapporto prevedeva «bagni di sangue, guerra civile e rivalità provinciali, come quella vista di recente il Beluchista».
Senza dimenticare «la completa talebanizzazione e la lotta per le testate nucleari».
E aggiungeva: «Le nascenti riforme democratiche cambieranno poco di fronte all’opposizione di una elite politica ostinata e i partiti radicali islamici; in un clima di continuo disordine, il controllo del governo centrale si ridurrà probabilmente al Punjab e al nodo economico di  Karachi».
L’alto commissario Hasan si chiedeva se «i nostri capi militari stanno lavorando ad un progetto simile, o a qualcosa che è stato dettato loro nei vari rapporti National Intelligence Council più CIA diffusi in questi anni?».
Dunque il caos seguito all’assassinio di Benazir Bhutto, e in cui tutti i commentatori vedono uno scacco per Washington, sarebbe invece una strategia perseguita per smembrare il Pakistan?

Se lo chiedono Michel Chossudovsky e il reporter Larry Chin.
I quali allineano gli indizi di un coinvolgimento dell’intelligence americano nel disordine in corso.
La delicata allusione del rapporto NIC-CIA al secessionismo del Beluchistan è specialmente istruttivo.
Quasi tutte le riserve di greggio e gas stimate del Pakistan si trovano nel sottosuolo di questa regione, vastissima, che da sola è il 40 % del territorio del grande Paese.
Il progettato oleodotto Iran-India transiterà nel Beluchistan, dove sorge anche il solo porto per superpetroliere ad alto pescaggio, Gwadar sul Mar Arabico, attualmente in corso di miglioramento infrastrutturale con capitali di Pechino.
Guarda caso, nel giugno 2006 la Commissione Difesa del senato pakistano ha accusato lo spionaggio britannico di «istigare il separatismo della provincia al confine con l’Iran».
Già, perché il Beluchistan confina con l’Iran, e corre da tempo voce che CIA e Mossad operino nella zona con il dichiarato scopo di creare un movimento guerrigliero anti-Teheran: l’etnia baluchi è forte anche al di là del confine.
Ma che sia lo scopo vero, si può dubitare.
Il secessionismo beluchi risale agli anni ‘50.

Ma è dal 1999 che è sorta una Baluchi Liberation Army (BLA) che somiglia molto alla Kossovo Liberation Army (KLA), addestrata ed armata dalla compagnia di mercenari privati Military Professional Resources, che sta portando allo smembramento della Serbia.
Fatto singolare, il BLA non ha alcun contatto con le vecchia resistenza baluchi.
Persino l’identità dei suoi capi è avvolta nel mistero.
Ora, un «Libero Baluchistan» (Free Baluchistan) prossimo venturo - e formato dal Baluchistan pakistano e dalle province di questa etnia oggi in Iran - apparve in una celebre mappa che fu mostrata nell’autunno 2006 durante un corso di addestramento per alti gradi militari NATO.
La cosa si riseppe perché i generali turchi, che partecipavano al corso, si irritarono al punto da abbandonare la sessione: nella mappa americana appariva infatti una Turchia amputata della sua area kurda, mentre vi compariva un vastissimo «Libero Kurdistan» ritagliato dalle aree etniche ai danni di Turchia, Siria e Iran.
Gli americani medicarono l’incidente in qualche modo, assicurando che la mappa «non riflette la politica del Pentagono».

Ma nel giugno 2006, sul «The Armed forces Journal» (la rivista ufficiale dell’alta strategia USA), l’analista e colonnello Ralph Peters aveva già detto (o «previsto») in termini assai chiari che il Pakistan avrebbe dovuto diminuire parecchio, lasciando crescere sud un «Grater Baluchistan»,  mentre a nord sarebbe stata incorporata nell’Afghanistan la «North-West Frontier Province», per via della «affinità etnica e linguistica».
Guarda caso, si tratta delle cosiddette aree tribali, che il regime di Musharraf controlla male, e che secondo gli USA pullulano di guerriglieri di Al Qaeda e di talebani, dove si nasconderebbero Osama bin Laden e il mullah Omar: è per questa ragione che John Negroponte ha strappato a Musharraf il consenso a inviare proprio in quella area tribale un potente contingente di forze speciali, con la scusa di bloccare le infiltrazioni della cosiddetta Al Qaeda.
Quanto al colonnello Peters, è difficile che abbia semplicemente pensato ad alta voce, a titolo individuale: oggi in pensione, la sua ultima funzione è stata quella di vice-capo dello staff per l’intelligence al Pentagono.
E’ uno stimatissimo autore di saggi sulla strategia, che ha condotto per conto della Difesa USA.

Il professor Chossudovski nota anche che - proprio come la Jugoslavia - il Pakistan è uno Stato federale, dove il governo centrale trasferisce i fondi dell’introito fiscale alle province autonome.
In Jugoslavia, i fermenti secessionisti raggiunsero l’apice quando l’introito tributario, anziché affluire alla periferia, fu usato per ridurre il debito dello Stato, secondo i dettami imposti dal Fondo Monetario.
Ebbene: nel 1999, appena Musharraf prese il potere, il Fondo Monetario ha imposto al Pakistan una potente cura dimagrante per ridurre il suo debito estero (che ammonta a 40 miliardi di dollari): svalutazione della divisa nazionale, ricette di austerità, privatizzazioni ossia svendite di cespiti nazionali a capitali stranieri.
Il ministro delle Finanze, praticamente scelto dagli speculatori, è un vicepresidente della Citigroup, Shaukat Aziz, come in Afghanistan il premier Karzai è un dirigente del gruppo petrolifero Unocal.
Di qui un mezzo boom economico pakistano con la nascita di nuovi ricchi più ricchi e poveri più poveri, e conseguente polarizzazione della società.
Secondo Chossudovski, la mira finale è di «far emergere una dirigenza politica servile, senza lealtà verso l’interesse nazionale, che serva meglio gli interessi USA mentre, con la scusa del ‘decentramento’, operi alla fratturazione della fragile struttura federale del Pakistan»: è una riflessione che potrebbe applicarsi a pennello anche per l’Unione  Europea, ma soprattutto è ciò che viene perseguito attivamente nei Paesi del Medio Oriente.

E’ sempre il piano definito dalla spia israeliana Oded Yinon, nel 1982, sulla rivista ebraica «Kivunim» (Direttive): smembrare gli Stati musulmani istigando le divisioni delle numerose minoranze etniche o religiose che li abitano, onde creare mini-Stati senza peso politico militare.
E’ la strategia applicata in Iraq (istigando lo scontro fra sciiti e sunniti con attentati-massacro, tipica strategia della tensione), in Libano, in Iran ed ora in Pakistan.
Il disordine giustifica poi l’interferenza diretta degli USA e della NATO per ragioni variamente «umanitarie» per la «democrazia» o per «combattere Al Qaeda».
A questi si sono aggiunti negli ultimi giorni altri indizi di questa strategia.
Secondo Ian Bruce, corrispondente militare del britannico Herald, le forze speciali USA sono già in stato d’allerta nel vicino Afghanistan con la missione di penetrare in Pakistan ed impadronirsi delle testate nucleari del Paese.
Ai commando sarebbero aggregati tecnici di un Nuclear Emergency Search Team capaci di neutralizzare le testate.
La sorveglianza satellitare sopra il Pakistan sarebbe stata intensificata per tenere sotto controllo ogni possibile spostamento delle bombe e dei relativi vettori, che sarebbero sparsi in una decina di siti e guardati da una forza di 10 mila uomini, selezionati come non simpatizzanti del fondamentalismo.

L’altro indizio è la voce, riferita da un membro del partito di Benazir Bhutto, secondo cui la signora sarebbe stata uccisa da «qualcosa come un laser».
La circostanza è stata confermata dal dottor Mussadiq Khan, il medico che ha cercato di soccorrere Benazir appena giunta all’ospedale generale di Rawalpindi.
La donna era già morta e parte del cervello era fuoriuscito dal cranio; le ferite non erano di proiettile.
«E’ la prima volta che vedo una cosa del genere», ha detto.
Importanti giornali indiani hanno ripreso la voce come credibile.
Pare verosimile l’uso di una tecnologia sofisticata almeno per il puntamento, onde mirare a colpo sicuro, tra una folla mobile, una persona che sporge con la testa da un veicolo in moto.



1)

Michel Chossudovsky, «The destabilization of Pakistan», GlobalResearch, 30 dicembre 2007. Larry Chin, «Anglo-american ambitions behind the assassination of Benzir Bhutto», GlobalResearch, 29 dicembre 2007: «The assassination of Bhutto appears to have been anticipated. There were even reports of  ‘chatter’ among US officials about the possible assassinations of either Pervez Musharraf or Benazir Bhutto, well before the actual attempts took place».
2) Ian Bruce, «Special forces on standby over nuclear threat», The Herald, 31 dicembre 2007.
3) «PPP claims use of laser weapon in Bhutto’s assassination», Ze3enens.com (India), 3 gennaio 2008.