Peccato della Chiesa e peccati nella Chiesa (parte III)
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Il capolavoro di Satana è quello di essere riuscito a far credere (anche a molti sedicenti prelati) di non esistere e questo dalla dimensione «metafisica» si è riverberato ovviamente verso quella etica: se conflitti e tensioni interiori non fossero altro che frutto della repressione del nostro inconscio, generatrice di nevrosi, allora occorrerebbe davvero abbandonarsi ad essi e liberarsi attraverso di essi.

E’ chiaro che se il Male che è in noi è solo il prodotto delle nostre turbolenze psichiche, se una seduta di psicoanalisi è in grado di rivelarci le nostre ossessioni ed i nostri «demoni interiori», senza la necessità di suppletive grazie sacramentali, senza mortificazioni e penitenze «medievali», semplicemente prendendo coscienza ed accettando, cioè praticando le nostre naturali inclinazioni, senza giudizio morale perché «siamo fatti così», senza combatterli, indirizzarli, contenerli, le conseguenze sono in campo etico (e non solo di etica sessuale), quelle appunto del «vietato vietare».

La corruzione dei costumi, anche pubblici, nasce da lì: è il «popolo delle libertà», di destra o sinistra poco importa. Nessuna meraviglia che questo sia il pensiero del Mondo, scandalo che lo sia diventato per vasti ambiti della Chiesa. E’ l’equivoco dell’aggiornamento, del dialogo col Mondo. E’ il culto riservato all’Uomo e non a Dio.

C’è un passo nel già citato discorso di chiusura del Concilio Vatincano II pronunciato da Paolo VI, che appare oggi nella migliore delle ipotesi in tutta la sua tragica ingenuità:

«Lumanesimo laico profano alla fine è apparso nella terribile statura ed ha, in un certo senso, sfidato il Concilio. La religione del Dio che si è fatto Uomo sè incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? Uno scontro, una lotta, un anatema? poteva essere; ma non è avvenuto. Lantica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni umani (e tanto maggiori sono, quanto più grande si fa il figlio della terra) ha assorbito lattenzione del nostro Sinodo. Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo».

Se anche la Chiesa rende culto all’uomo, chi lo renderà a Dio?

E’ la nuova idolatria dell’«Io», penetrata dalla filosofia fin dentro le midolla della Chiesa attraverso il modernismo. Eppure San Paolo così ammoniva i Romani e così profetizzava con un dettaglio di impressionante attualità le conseguenze morali e pratiche di questo atteggiamento:

«Essi dunque non hanno alcun motivo di scusa perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato, né ringraziato come Dio, ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno scambiato la gloria del Dio incorruttibile con unimmagine e una figura di uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili. Perciò Dio li ha abbandonati allimpurità secondo i desideri del loro cuore, tanto da disonorare fra loro i propri corpi, perché hanno scambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno adorato e servito le creature anziché il Creatore, che è benedetto nei secoli. Amen. Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; infatti, le loro femmine hanno cambiato i rapporti naturali in quelli contro natura. Similmente anche i maschi, lasciando il rapporto naturale con la femmina, si sono accesi di desiderio gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi maschi con maschi, ricevendo così in se stessi la retribuzione dovuta al loro traviamento. E poiché non ritennero di dover conoscere Dio adeguatamente, Dio li ha abbandonati alla loro intelligenza depravata ed essi hanno commesso azioni indegne: sono colmi di ogni ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni dinvidia, di omicidio, di lite, di frode, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, arroganti, superbi, presuntuosi, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. E, pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo le commettono, ma anche approvano chi le fa».

Non è mio intendimento di erigermi a giudice di nessuno, giacchè potenzialmente tutto il peccato (e quindi tutti i peccati) è in noi. Ed io non faccio eccezione.

Ciò che mi preme è invece di evidenziare che senza gli strumenti di sempre è impossibile resistere al peccato. Senza la Grazia ed i Sacramenti è impossibile all’uomo (per quanto dotato di fermissima volontà) sconfiggere Satana: la volontà dell’uomo è necessaria, ma non sufficiente. Da zelante israelita quale era stato, San Paolo sapeva bene ed aveva sperimentato che la Legge non basta. Pur essendo buona, la Legge rischia di alimentare il desiderio di trasgredirla.

I Capitoli 7 ed 8 della medesima lettera ai Romani vanno letti con profonda attenzione:

«Che diremo dunque? Che la Legge è peccato? No, certamente! Però io non ho conosciuto il peccato se non mediante la Legge. Infatti non avrei conosciuto la concupiscenza, se la Legge non avesse detto: Non desiderare. 8 Ma, presa loccasione, il peccato scatenò in me, mediante il comandamento, ogni sorta di desideri. Senza la Legge infatti il peccato è morto. E un tempo io vivevo senza la Legge ma, sopraggiunto il precetto, il peccato ha ripreso vita e io sono morto. Il comandamento, che doveva servire per la vita, è divenuto per me motivo di morte. Il peccato infatti, presa loccasione, mediante il comandamento mi ha sedotto e per mezzo di esso mi ha dato la morte. Così la Legge è santa, e santo, giusto e buono è il comandamento. Ciò che è bene allora è diventato morte per me? No davvero! Ma il peccato, per rivelarsi peccato, mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene, perché il peccato risultasse oltre misura peccaminoso per mezzo del comandamento. Sappiamo infatti che la Legge è spirituale, mentre io sono carnale, venduto come schiavo del peccato. Non riesco a capire ciò che faccio: infatti io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto. Ora, se faccio quello che non voglio, riconosco che la Legge è buona; quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in me cè il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Dunque io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo unaltra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra. Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Io dunque, con la mia ragione, servo la legge di Dio, con la mia carne invece la legge del peccato».

Al dramma di Paolo stanno di fronte due strade: quella di Cristo e quella dell’Anticristo.

La prima è appunto quella dell’abbandono allo Spirito di Cristo, all’opera redentrice della Sua grazia, cui dobbiamo corrisponder con le buone opere: «Ora, dunque, non cè nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. Perché la legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù, ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte. Infatti ciò che era impossibile alla Legge, resa impotente a causa della carne, Dio lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e a motivo del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della Legge fosse compiuta in noi, che camminiamo non secondo la carne ma secondo lo Spirito».

Per contro la seconda strada, quella anticristica, è quella del luterano «pecca fortiter sed crede fortius», quella di ogni eresia, essenzialmente ispirata dall’idea che l’uomo non può cambiare, rimane radicalmente peccatore ed è gratuitamente giustificato da Dio, nonostante, anzi in forza del suo peccato. E’ un’idea che va per la maggiore anche in larghi strati del Mondo cattolico e che si è fatta strada nel cristianesimo a partire dalle prime eresie, spesso accompagnate da forme varie di libertà e promiscuità sessuale, ovvero specularmente a forme nevrotiche di astinenza, unitamente ad un odio metafisico per la procreazione, entrambe frutto di un odio che è di Satana per la creatura umana, immagine e somiglianza di Dio.

E’ la medesima idea presente all’interno del grande movimento antinomico dei falsi Messia, che attraversa il giudaismo talmudico a partire dal 16° secolo e che troverà in Shabbatey Zevi e nella sua dottrina del peccato come trono del bene la forma più compiuta.

Quest’idea di liberazione come liberazione da ogni vincolo morale pare entrata surrettiziamente anche nell’«inconscio» della Chiesa, o almeno di una larga fascia dei suoi appartenenti, se è vero che, oltre ai casi di pedofilia, moltissimi tra i cattolici condividono in tema di etica sessuale le stesse posizioni della cultura laicista.

L’ingenuo ottimismo conciliare ha mostrato nella migliore delle ipotesi tutta la sua inadeguatezza nello scontro/incontro con il Mondo, tutta l’incapacità di capire davvero in questo come in altri campi la dimensione «sottile» delle cose.

Per tornare allo specifico tema dell’etica sessuale, tale inadeguatezza si è palesata anche nella incapacità di scegliere i propri interlocutori tra i pensatori del Mondo.

Per esempio, per capire la forza devastante della libido abbandonata a se stessa, sarebbe bastato leggere questo passo di Antonio Gramsci, che ho trovato per caso e che qui riporto:

«Luomo ha lavorato enormemente per ridurre lelemento sesso ai suoi veri limiti. Lasciare che esso di nuovo si dilati a scapito dellintelligenza è prova di imbestialimeno, non certo di elevazione spirituale». . (A. Gramsci, «Cronache teatrali in Letteratura e vita nazionale», Editori Riuniti, Roma, 1975).

Troppo per lor signori

Domenico Savino

Peccato della Chiesa e peccati nella Chiesa (parte I)
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