Il Vaticano «non può né vendere né comprare»
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Da parecchi giorni gli 80 bancomat nella Città del Vaticano sono stati bloccati per ordine di Bankitalia e di un sostituto procuratore italiano di nome Nello Rossi. Ciò provoca danni e perdite gravissime: «Sono – spiegano i giornali – ottanta “punti vendita”, dai Musei alla farmacia, passando per decine di negozi e anche per lo spaccio. Per loro il colpo subito è gravissimo visto che dall’inizio dell’anno i pagamenti possono avvenire soltanto in contanti e ciò – tenendo conto dei milioni di turisti e visitatori che arrivano costantemente – sta causando serie difficoltà e anche perdite economiche».

Si noti che è una misura senza precedenti nel mondo intero, non presa contro nessun’altra banca nè entità finanziaria, nemmeno contro i più loschi paradisi fiscali. Bankitalia ha spiegato questo atto inaudito con «carenze del sistema anti-riciclaggio dello IOR», ossia dell’Istituto per le Opere di Religione, che è come tutti sanno la banca vaticana, con cui fra l’altro la Chiesa trasferisce fondi alle missioni.

Lo IOR in passato è stato molto accusato di «riciclaggio» e di ogni genere di oscure trame. Apparentemente, i problemi sarebbero due: i bancomat sarebbero stati installati in Vaticano dalla Deutsche Bank senza «la dovuta autorizzazione». E sia. Inoltre, Bankitalia dichiara che «per l’attività bancaria svolta dallo IOR con controparti italiane non è possibile applicare il regime di controlli semplificati previsto per i rapporti con le banche comunitarie, che consente a queste ultime di non comunicare i nomi dei clienti per conto dei quali sono effettuate le singole operazioni».

Dunque è normale per le «altre» banche non comunicare i nomi dei clienti per i quali effettuano operazioni, ma invece la banca vaticana deve dire di ogni operazione per chi la fa e a favore di chi. Se ben capisco, il segreto bancario vale per tutti tranne che per il Vaticano. Si parla di «un altro conto» IOR «su cui è stato verificato che affluivano ogni giorno decine di migliaia di euro, ma poiché la maggior parte dei Pos (bancomat) sono intestati a società con sede in Vaticano non è possibile sapere da dove arrivi effettivamente il denaro e soprattutto chi lo utilizzi poi in uscita». Il che ci sembra normalissimo, dato che le società di uno Stato estero non dovrebbero aver l’obbligo di dire ai procuratori romani a chi pagano cosa.

Ma ammettiamo pure che il sospetto sia giustificato. Ammettiamo persino che si tratti di riciclaggio. Per quale cifra? Dal Corriere: «Non si sa che fine abbiano fatto, nel 2011, i 30 milioni di euro che risultano prelevati dal conto, né tantomeno chi abbia compiuto le operazioni di prelievo».

Trenta milioni di euro: a questo punto, signori, consentiteci di sorridere amaramente. Solo a metà dicembre abbiamo riportato come un colosso bancario americano multinazionale, la HSBC, sia stata trovata colpevole dall’FBI di aver riciclato 7 miliardi di dollari (non milioni, miliardi) dei narcos messicani, più altre imprecisate decine di miliardi in varie operazioni di riciclaggio a favore di Stati nemici per gli USA, come Cuba e Iran – e non è stata nemmeno incriminata, per timore – così la scusa ufficiale – che «una imputazione penale potesse destabilizzare l’intero sistema finanziario globale».

Nessun bancomat della HSBC è stato bloccato; nessuna autorità centrale ha preteso di sospendere per la HSBC «il regime di controlli semplificati previsto per i rapporti con le banche comunitarie, che consente a queste ultime di non comunicare i nomi dei clienti per conto dei quali sono effettuate le operazioni». Un grande rispetto. Eppure, il volume del riciclaggio commesso dalla HSBC per conto della criminalità messicana è quasi 200 volte più grosso di quello di cui sarebbe sospettata (se poi è vero) la banca vaticana: 7 mila milioni contro 4.

Il che è persino logico. Perché lo IOR, nonostante la leggenda nera lo dipinga come un polipo con tentacoli in tutti gli affari più oscuri del pianeta, è una banchetta in confronto ad HSBC. È una pulce rispetto a Goldman Sachs che ha aggiustato i bilanci della Grecia e viene lasciata operare in Europa. È una cimice in confronto a Barclays e UBS, che hanno manipolato criminalmente, truffando miliardi, e non sono state costrette a rivelare il nome dei clienti per cui operano, e men che meno si sono viste chiudere i bancomat. Basti pensare alle banche che hanno rifilato ai Comuni italiani derivati che sono stati giudicati delinquenziali da sentenze della magistratura: da Unicredit a Deutsche Bank, UBS, Jp Morgan e Depfa Bank, specializzata in finanziamenti alla pubblica amministrazione. E vedete se a queste banche vengono bloccati i POS.

La verità è evidente: di tutti i «poteri forti» veri e immaginari, il Vaticano è il potere più debole. E per questo viene colpito. In qualche modo raccoglie ciò che ha seminato, avendo applaudito tutte le ideologie di mondializzazione e approvato tutte le organizzazioni sovrannazionali a-democratiche che sequestrano la sovranità ai popoli europei, accettandone tutte le regole, senza denunciarne la deriva anticristica. Persino la denuncia dell’evasione fiscale come «peccato», e l’esortazione a limitare l’uso del contante...

Ed ecco il risultato. La Chiesa di Roma è la prima ad essere colpita dalla profezia di Apocalisse 13: «... ed obbligò tutti, liberi e chiavi, ricchi e poveri, a portare il suo marchio, il marchio della bestìa, senza il quale non si può né vendere né comprare». Le sue attività missionarie, e quelle caritative, sono prossime alla paralisi finanziaria.

Non è forse una semplice coincidenza il fatto che il gruppo Femen, composto di modelle ucraine assoldate come «militanti femministe», sia stato mandato a inscenare una delle sue manifestazioni a seno nudo (con la scritta «In Gay We Trust») a San Pietro mentre il Papa parlava. Si sa che queste specializzate in scenate anti-religiose (sono quelle che hanno segato a Kiev la croce eretta per le vittime del comunismo) sono pagate da alcuni ricchi americani. Un migliaio di euro per una trasferta come quella. A Kiev hanno un ufficio aperto per il quale qualcuno paga 2.500 dollari al mese, cifra per nulla modesta in Ucraina; in più la fondatrice, Inna Shevcenko, ha aperto a Parigi un «centro di addestramento per attiviste», Femen France. Come si finanziano? Vendendo t-shirts, secondo la Schecvcenko, ma anche «Cerchiamo di farci invitare per ridurre le spese». Insomma, sono arruolabili per manifestare qua e là in Europa. Da chi, a Roma?



Ma la domanda, in fondo, è superflua. La derisione e il vilipendio della vittima colpita a terra è la soddisfazione che non si fa mai mancare, il Princeps Huius Mundi.



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