Casaleggio, il sub-amerikano
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Se tre indizi formano una prova, bisogna ammettere che Grillo è un «asset» degli americani, come dicono loro. All’indomani delle elezioni, l’ambasciatore statunitense David Thorne, agli studenti di un liceo romano: «Voi giovani siete il futuro dell’Italia. Voi potete prendere in mano il vostro Paese e agire. Come il MoVimento 5 Stelle, per le riforme e il cambiamento». Un endorsement in piena regola (come dicono loro). Fin qui, il vostro redattore ha pensato: è la nota voglia USA di mettere il cappello sulle rivoluzioni colorate. O più precisamente, siccome considerano gli italiani «a semi-civilized people», la speranza (o promozione) di una «primavera araba» che spazzi via il vecchio personale politico incancrenito e incrostato, come hanno dimostrato di volere già nella sponda Sud del Mediterraneo. Dopotutto, ci hanno provato già vent’anni fa, scatenando Mani Pulite contro la DC, e mandano Buscetta (in galera in America) a testimoniare contro Andreotti...

Ma poi, il 3 aprile l’ambasciatore Thorne convoca i grillini parlamentari, e loro – così schifiltosi ed altezzosi di solito – trottano all’Ambasciata in delegazione. Thorne: «Fa parte della nostra linea, sono normali consultazioni». Normali consultazioni.

Secondo i giornali, l’US Ambassador «Chiede dei meet up, che negli USA sono stati un fallimento (troppo politicizzati). Poi ci si sposta sui temi dell’ecologia, della sanità pubblica, dell’inquinamento. Cinquanta minuti di affetto purissimo. Domande sul Muos, il sistema satellitare di Niscemi odiato dai siciliani? Zero. Eppure il mandato della pattuglia dei quattro grillini prevedeva anche una presa di posizione sulla presenza militare americana nel nostro territorio. “Non vi vogliamo”. Avrebbero dovuto dire. Non l’hanno detto. “Meglio che eviti di commentare questo incontro”, taglia corto il senatore Marco Scibona. Ha l’aria abbattuta. Gli occhi inespressivi».

Terzo indizio: Riccardo Pacifici, il capo likudnik della Comunità Giudaica Romana – un tizio che per esistere deve inventare antisemiti – rilancia in un’intervista su Haaretz la diceria di Grillo nazista creata di sana pianta dal Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea e dal suo dirigente Stefano Gatti (a sua volta creatura Nirenstein); Pacifici esagera, dice che gli ebrei italiani debbono esser pronti a fare le valige... Incredibilmente, per una volta, la Comunità lo rimbrotta; gli dà sulla voce; diversi dirigenti della Comunità si dimettono per segnalare pubblicamente la loro divergenza. «Siamo in disaccordo con l’allarmismo strategico del presidente circa l’emergenza». Allarmismo strategico. Assaporate la frase, e la seguente: «Le opinioni della Comunità sono da concordare sempre».

Capito, likudnik? Sempre. Finché fai dell’allarmismo tattico, passi; ma qui si tratta di scelte strategiche; ed allora stai zitto e lascia parlare gli Anziani.

Il pensiero corre ovviamente al socio Anziano della Casaleggio & Associati, un direttorio di 5 membri (le 5 Stelle): Casaleggio e suo fratello, due altri scalzacani ignoti, ma poi uno che conta: Enrico Sassoon.

Enrico Sassoon
  Enrico Sassoon
Di questo Sassoon il web, giustamente sospettoso, ha sviscerato tutto. Esponente di una delle più potenti famiglie ebraiche «storiche» britanniche le cui ricchezze crebbero nella Guerra dell’Oppio (David Sassoon & Co. Bank, ED Sassoon Bank, Oriental Life Insurance, controllo di The Observer e del Sunday Time), questo Enrico italico Sassoon è presidente del Comitato Affari Economici della American Chamber of Commerce in Italy e Board Member di Aspen Institute Italia. In proprio è direttore responsabile del mensile di management Harvard Business Review Italia (rivista edita da StrategiQs Edizioni, di cui è co-fondatore e amministratore delegato), e presidente di Global Trends, che si autodefinisce «società di studi, ricerche e comunicazione» . Dal 1977 al 2003 nel gruppo Il Sole 24 Ore, ha ricoperto numerosi incarichi come Direttore responsabile delle riviste Mondo Economico, L’Impresa e Impresa Ambiente. Dal 2005 al 2008 è stato Direttore responsabile della rivista online Affari Internazionali.

Insomma un globalista-atlantista allo stato puro. Il nome della ditta che Enrico Sassoon dirige ed ha fondato con la moglie Cristina Rapisarda Sassoon è già indicativo: «Global Trends», ossia «tendenze globali». È un tipico lavoro dei think-tank americani (o americanoidi) indicare direttive, che poi denominano «tendenze globali» per significare che sono ineluttabili (e chi si oppone ad una tendenza, è «out», come dicono loro). Per esempio: questi centri hanno identificato la tendenza al Riscaldamento Globale. E l’irresistibile tendenza al Capitalismo Globale. E la tendenza di tutti i popoli a sottoporsi a un Governo Unico Mondiale.

In Italia, ad additare queste direttive (pardon, tendenze) è stato storicamente l’Istituto Affari Internazionali (IAI), creato da Altiero Spinelli, filiazione del Council on Foreign Relations dei Rockefeller (e vero centro pensante della politica estera USA: Kissinger e Brzezinski sono usciti di lì), ricalcato sul modello del più aristocratico Royal Institute of Internazional Affairs (il centro pensante dell’imperialismo britannico) – ma pagato finché visse, da Gianni Agnelli su ordine di Kissinger. Ancor oggi dalla Fondazione Agnelli, si dice.

Nel suo sito, l’Istituto Affari Internazionali si autodefinisce «un Ente privato con la capacità di interagire e cooperare con il governo, la pubblica amministrazione, i principali attori economici nazionali e i più accreditati centri studi stranieri. Sono questi ancora oggi i tratti distintivi dello IAI». Insomma, insieme una potente lobby e una cinghia di trasmissione dei desiderata dei «più accreditati centri studi stranieri» (leggi Council on Foreign Relations, Trilateral, Rockefeller Foundation).

Lo IAI dunque si configura come una delle «fondazioni culturali» che in USA dirigono realmente la politica, fornendo ai politici – che non hanno tempo né cervello per pensare – le direttive (pardon, «tendenze») da attuare: Heritage Foundation, Rockefeller Foundation, RAND, Brooking Institution eccetera. Sono uffici-studi a cui grandi famiglie (Rockefeller) destinano parte dei loro profitti, che vengono così fiscalmente esentati dato che queste sono «fondazioni senza fine di lucro», che godono in USA di esenzioni fiscali, e si pagano così «gratis» le migliori teste per i loro scopi. Talora, le teste migliori vengono prestate ai governi per dare attuazione ai progetti (tendenze) dettati (identificati) dai think-tank sentasse.

Lo IAI in Italia ha svolto la stessa funzione. Per dirne uno, era esponente dello IAI quel Guido Carli che fu governatore di Bankitalia e che, come ministro degli Esteri, ci inchiodò al trattato di Maastricht, per passare poi dentro la direzione del Fondo Monetario Internazionale. Un altro membro: Arrigo Levi, intimo suggeritore di Agnelli, direttore di La Stampa poi consigliere-stampa al Quirinale di Carlo Azeglio Ciampi e di G. Napolitano. Lo stesso Ciampi è presidente dello IAI; un vero serbatoio, come si vede, di «riserve della repubblica». Il Club di Roma, da cui l’uomo-Fiat Aurelio Peccei ci allarmò negli anni ’80 sulla tendenza ineluttabile alla «fine delle risorse» (per cui bisognava smettere di produrre, di crescere, di figliare) è una filiazione dello IAI.

Ma con questa parentesi, non ci siamo allontanati da Enrico Sassoon, il Savio Anziano della Casaleggio & Pirloni. Tutt’altro: egli dirige la rivista online dello stesso IAI, Affari Internazionali. E lo IAI appare fra i clienti di spicco di Global Trends, la ditta di Sassoon & consorte, che pure di clienti importanti e con buoni portafogli ne ha non pochi: dal Sole 24 Ore a Philip Morris Europe a Italcementi.

E quali sono le direttive che la famiglia Sassoon impone in Italia? O se vogliamo, quali sono «le tendenze che ha verificato come ineluttabili»? Semplice: l’ambientalismo, la crescita-zero. Cristina Rapisarda Sassoon, quando s’è candidata ad una lista civica «verde», s’è auto-presentata così: «questi sono i miei obiettivi: più piste ciclabili, mezzi pubblici più rapidi e frequenti, via le macchine più inquinanti, aria pulita, meno rumore, più verde, più riciclo, energia pulita e risparmio energetico, più impegno individuale, più partecipazione... ho fatto della tutela dell’ambiente la mia professione. Sono stata coordinatrice del Comitato Agenda 21 per Milano a fianco dell’Assessore all’ambiente Walter Ganapini». (Cristina Rapisarda)

Insomma, il programma dei grilli, no-tav e no-industry , degli utopici della decrescita felice e fanatici «bio» che affollano le liste del Movimento. Questo Ganapini, del resto, è uno che ha l’onore di essere ammesso a scrivere sul blog del Grande Belinone in persona.

Ma che cos’è la Agenda 21? Confesso la mia lacuna. Fortuna che assiste Wikipedia:

«...è un ampio ed articolato programma di azione, scaturito dalla Conferenza ONU su Ambiente e Sviluppo di Rio de Janeiro nel 1992, che costituisce una sorta di manuale per lo sviluppo sostenibile del pianeta da qui al XXI secolo. Consiste in una pianificazione completa delle azioni da intraprendere, a livello mondiale, nazionale e locale dalle organizzazioni delle Nazioni Unite, dai governi e dalle amministrazioni in ogni area in cui la presenza umana ha impatti sull’ambiente».

Capito? Qui siamo sul limitare del Sacro Tempio delle Direttive Ecologiste e crescita-zeriste; scorgiamo la Matrice delle ideologie anti-demografiche ed anti-umane che si spargono per il mondo come «tendenze», stati d’animo collettivi, ovviamente «spontanei», ossessionate dai quali le moltitudini esigono il «cambio di paradigma» : non all’inquinamento! No al global warming! Minor «impatto della presenza umana sull’ambiente», perbacco! L’Agenda 21 è già lì, pronta ad accogliere il grido di dolore che s’alza dall’umanità colpevole del proprio impatto: ha pronta «una pianificazione completa delle azioni da intraprendere, a livello mondiale, nazionale e locale».

Ora, non ci vuol molto a ricordare che Casaleggio & Associati ha espresso a medesima utopia nel suo ormai celebre video: «Gaia, the future of politics»



Una utopia mondialista for Dummies: «Ogni uomo è cittadino del mondo soggetto alla stessa legge». Ambientalismo di stampo americanista: «Al Gore dichiara che il riscaldamento globale...». Poi la futurologia casaleggesca, insieme sinistra e comica copiatura dello Scontro di Civiltà di Huntington: «2018: mondo diviso in due zone. L’Occidente (buono, ndr) dove vige la democrazia diretta via internet, e Russia e Cina e dittature medio-orientali dove internet è controllato». 2020: comincia la terza guerra mondiale (fra i buoni occidentali e i cattivi orientali) che durerà 20 anni».

Il resto, penso, lo sapete. Casaleggio «prevede» (è una tendenza, non un desiderio) la morte di 5 miliardi di esseri umani – la guerra da lui preferita sarà infatti batteriologica – e la distruzione di ogni segno religioso in Occidente: San Pietro, Notre Dame, Santa Sofia, tutte cose che Casaleggio e Sassoon ugualmente odiano.

2040: «L’Occidente vince [come ad Hollywood, ndr], la democrazia della Rete trionfa». 2043 «Movimenti dal basso nascono in tutto il mondo per gestire i problemi locali di energia, cibo, ambiente e salute»...

Guarda guarda, è esattamente la stessa cosa che predica Agenda 21 dell’ONU a cui lavora madame Sassoon: «pensa globale agisci locale», con piani già perfettamente predisposti «a livello mondiale» per farli applicare dalle «comunità locali». O, come dice la sua ditta Global Trends nella sua homepage, tra cinguetii di uccelli finalmente liberati dall’«impatto umano», «noi lavoriamo per una società eco-positiva», per «economia sostenibile» e «attenta ai bisogni delle comunità». Non poi tanto difficile, dopo aver sterminato 5-6 miliardi di esseri umani.

Ora capiamo meglio perché l’ambasciatore Thorne esprime grandi speranze sui grillini, li adula e li fa sentire importanti. E perché la Comunità Ebraica abbia azzittito di brutto quella bestia di Pacifici, che non capisce «le strategie». Se Casaleggio è il guru di Grillo, Sassoon è il guru di Casaleggio, da cui Casaleggio ha bevuto la Sapienza Occulta, e ne ha appreso il Progetto, il quale ora deve essere diramato verso il basso a tutti i grillini e no.

Il Progetto è, puramente e semplicemente, lo spopolamento globale. E non crediate che sia un progetto nuovo: tutto era già contenuto nel «Global 2000 Report», stilato dal Dipartimento di Stato e presentato al presidente Jimmy Carter nel 1977. Lì c’era già tutto: la «tendenza» al riscaldamento globale, la tendenza delle risorse ad esaurirsi, la tendenza all’estinzione di biodiversità sotto «l’impatto umano» – sono questi i Global Trends già allora identificati – e dunque la necessaria soluzione: eliminare l’uomo o almeno i quattro quinti di esso. Questo Global 200 Report veniva secondo dopo uno studio simile, «The Limits of Growth», che in Italia fu diffuso, strombazzato e decantato dalla Fondazione Agnelli, Club di Roma, e IAI («I limiti dello Sviluppo») e media servili associati. Pochi anni dopo, nel 1981, le stesse centrali che avevano emanato Global 2000 elaborarono un altro rapporto dal titolo sinistro, «Global Future: Time to Act», insomma: è l’ora di agire. È per questo che della bisogna si occupava non qualche istituto scientifico-naturalistico, bensì direttamente il Dipartimento di Stato americano.

Come? Lo spiegò uno special report dello EIR (Executive Intelligence Review) del 10 marzo 1981 intitolato «WORLD DEPOPULATION IS TOP NSA AGENDA: CLUB OF ROME». Nel seno del Consiglio di Sicurezza Nazionale, spiegò, s’era formato un gruppo apposito sulla Population Policy; a sua volta guidato da Office of Population Affairs del dipartimento di Stato, creato da Kissinger nel 1975: dunque la riduzione pianificata della popolazione era un primario progetto della politica estera americana; alla stregua, o ancor più, delle guerriglie che in quel tempo il Dipartimento conduceva nell’America Latina. Gli investigatori dell’EIR, usando il metodo dell’intervista undercover, erano riusciti a far parlare certo Thomas Ferguson, il case officer per il Sudamerica dell’Office of Population Affairs del ministero degli Esteri.

Il tizio s’era aperto: «I professionisti», aveva detto, «non sono interessati a ridurre la popolazione mondiale per ragioni umanitarie [certo che no, ndr]. Guardiamo alle risorse e alle limitazioni ambientali. Guardiamo ai nostri bisogni strategici, e diciamo: questo paese deve ridurre la popolazione, altrimenti avremo dei guai». Le guerre civili e destabilizzazioni s’erano dimostrate poco efficaci. «Il modo più rapido per ridurre la popolazione è con carestie, come in Africa, o attraverso malattie come la peste nera». Anche l’imposizione della decrescita però serviva allo scopo. «Noi andiamo in un paese [del terzo mondo] e diciamo: ecco qui il tuo fottuto piano di sviluppo. Gettalo nel cesso. Comincia a guardare invece la quantità della tua popolazione e pensa a come fare a ridurla». Il resto potete leggerlo qui: (The Haig-Kissinger depopulation policy by Lonnie Wolfe )

Quanto al programma, vantava Ferguson, «continuiamo ad attuarlo, chiunque sia alla Casa Bianca. Abbiamo installato una rete di funzionari con la stessa idea».

Di questa Rete abbiamo avuto pesanti indizi negli anni recenti. Il virus dell’influenza aviaria (che non si trasmette facilmente agli umani) manipolato geneticamente in laboratori di avanguardia, in USA ed Europa, allo scopo di renderlo capace di provocare pandemie umane. Il virus della Spagnola, che nel 1918 uccise 50 milioni di persone, riportato in vita e a nuova virulenza dall’Istituto di Patologia delle Forze Armate USA. La farmaceutica Baxter colta nel 2009 con le mani nel sacco a distribuire nell’Est Europa un vaccino «accidentalmente» contaminato con virus, che univa l’alta infettività del virus H3N2 (la comune influenza stagionale) con l’alta letalità del H5N1; il sospetto allarmismo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che dichiarò una «pandemia» che poi non si produsse, ma obbligò tutti gli stati a comprare centinaia di milioni di dollari di vaccini anti-aviaria...

L’elenco è lungo. I particolari li ho raccolti nel mio «Cretinismo Scientifico e Sterminio dell’umanità» (EFFEDIEFFE 2012), al capitolo «Vaccini & pandemie». Ma il progetto continua anche adesso, se nei giorni scorsi un gruppo di scienziati britannici hanno invitato il presidente Obama a bloccare, «come eticamente errato», un certo programma che intende creare in laboratorio un virus influenzale «più letale e più contagioso di quanto effettivamente esiste in natura».

Arturo Artom
  Arturo Artom
Ma torniamo a bomba: il Movimento 5 Stelle. Dopo tutto questo, la Casaleggio Associati appare essere solo il modesto «nodo» locale della potente e diramata Rete anti-demografica globale, subordinato e sotto influenza dei Global Trends dei Sassoon. Ovvio che i grillini trottino quando l’ambasciata USA convoca. E non solo: a fianco del Casaleggio appare sempre più spesso un altro suggeritore, Arturo Artom. Un altro esponente di storica famiglia ebraica torinese, a cominciare da quell’Isacco Artom che fu «segretario» (suggeritore?) del conte di Cavour. Arturo Artom, il grillino di lusso, è stato – come dice il suo post – «Vice-President di Omnitel e Amministratore Delegato di Viasat, azienda leader nei servizi di localizzazione satellitare. Ad ottobre 2006 fa nascere a San Francisco YourTrumanShow Inc., prima società europea nel settore Web 2.0 ad essere costituita direttamente in Silicon Valley. La società ha sviluppato l’algoritmo di video-search che permette di ai network di estendere considerevolmente il numero dei video sui quali servire pubblicità. Ultima nata è Artom Productions, casa di produzione di documentari sulle eccellenze italiane rivolte al mercato internazionale».

Questo Artom sembra proprio il vero suggeritore tecnico del provincialotto Casaleggio, l’esperto del «mondo Web 2.0» che lui non riesce ad essere. Deve essere stato lui a preparargli il «YourTrumanShow» in cui i grillini e i loro capi vivono, convinti che sia la realtà. Da mesi Artom organizza incontri fra imprenditori e il Gran Belinone col suo guru.

«Quello che piace del M5S è il loro grande ascolto, l’attenzione, il fatto che prendano appunti delle cose che gli vengono dette». Prendono appunti, i grillini. Sono obbedienti, lo sappiamo.


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