bossi.jpg
Rosso padano
Stampa
  Text size
Un conoscente, davvero brava persona, meridionale, gran lavoratore, manovale, sanguigno, da sempre militante comunista, mi incrocia il giorno dopo le elezioni lungo la ciclabile, mentre vado al lavoro.
Vedendomi arrivare, in ritardo come sempre, mi sbarra la strada e con il suo accento meticcio calabro-emiliano, tutto trafelato ha evidentemente fretta - così immagino - di comunicarmi la sua rabbia per il risultato del suo partito.

Già sono rassegnato alla raffica di bonari insulti, improperi, imprecazioni, invettive, esecrazioni, bestemmie, quando lui invece, tutto eccitato, allarga le braccia ed esclama risoluto: «Dottore, abbiamo vinto le erezioni!», (sic!)… con la «erre».
Lo guardo stranito, pensando sia reduce da una notte di sogni effervescenti o abbia sbagliato pillola, prendendo quella blu: e invece no.
Evidentemente travolto da un turbinio di emozioni e proiezioni, di passioni e sentimenti, ma assai più di rabbia e risentimenti, ha le occhiaie fonde di una notte insonne e lo sguardo trasognato di chi l’ha fatta grossa: la sua innaturale eccitazione mattutina mi rivela che sì, dietro quel lapsus c’è qualcosa di più.

E infatti me lo conferma: «Ho votato BBBossi!», con tre erre, anche qui un po’ aspirate!
Me l’ha detto!
Dev’essere stata una liberazione, una confessione che a qualcuno prima o poi doveva fare.
Forse l’ha fatta a me, pensando che gli avrei tolto l’incomodo di dirlo a tutti gli altri.

Questa volta evidentemente non ha resistito: lui, il comunista, ha votato Lega.
Lui il «terrone» ha votato per il Nord, lui il «terrone» per Bossi non ha più rancore, anzi sembra proprio che la pensi come il Senatùr: «…perché ‘se il lavoro non ce l’hanno - dice lui che s’è spezzato la schiena a tirar su muri di mattoni - a ca’!».
Anzi «a ccca!» (sempre aspirato!), come pronuncia lui nel suo dialetto che si sforza adesso di essere padano.
Non vuole dire proprio la stessa cosa, ma fa nulla.

Arrivo al lavoro tra musi lunghi di funzionari un po’ intristiti; Silvio questa volta ha colpito duro.
La mazzata è stata terribile, la rimonta non c’è stata, anzi non è nemmeno partita.
Di più: nessun comunista in Parlamento.
In Emilia è un po’ come se in Vaticano da domani non ci fosse più il Papa.

Tornando a casa la sera lungo la ciclabile; mentre il sole sta scendendo, penso al mio amico «terrone e neo-leghista», al suo animo popolano di comunista tradito e mentre pedalo verso casa guardo quel sole che per lui non è più quello nascente dell’avvenire, ma quello triste e malinconico di questa sera d’aprile che sta per finire.
Sorrido teneramente pensando al suo lapsus politico-sessuale, a quell’impasto di atavico analfabetismo, revanscismo sociale e sollecitazioni da Grande Fratello che gli deve essere frullato in testa e che non è riuscito a controllare, a quell’ amalgama di vecchie e nuove ignoranze che formano il suo mondo interiore e che spesso gli intellettuali snobbano, a questo suo camaleontico viraggio cromatico dal rosso intenso al verde padano.
Sorrido teneramente, ma so che in fondo una logica c’è e che questa volta - paradossalmente - la logica ha vinto.

Se c’è un risultato di cui essere felici per queste elezioni è che non ci siano più comunisti in Parlamento, o almeno questi «comunisti»: i neocomunisti della sinistra antagonista.
Grazie a Dio, per una legislatura almeno, quel cascame dell’ideologia progressista, che aveva innescato ed era sopravvissuto alla pseudo-rivoluzione del ‘68 (in realtà la più formidabile opera di ristrutturazione neocapitalistica della borghesia) non avrà almeno rappresentanza in Parlamento e non dovremo più pagare i pecorariscani, i carusi, le lidiemenapace e tutti gli altri menagramo di quella parte politica.
Poi magari tornerà, ma, nata extra, quella sinistra torna almeno per un po’ extra: extraparlamentare.

Certo la sua deleteria ideologia egualitarista, livellatrice, femminista, gnostica e agnostica ad un tempo, ecologista e abortista, socialista e liberista, giacobina e libertina, anarco-statalista occuperà ancora le piazze, le televisioni e i centri sociali, ma non almeno l’emiciclo del Parlamento.
Certo oramai questa ideologia ha infettato  in maniera bipartisan l’intera società e, seppure con diversa intensità è spalmata ormai in tutti gli schieramenti, è condivisa nei salotti buoni come nei centri sociali, è il precipitato comune di liberali, neo liberali, liberisti, libertini, giacobini, girondini democratici, neobonapartisti, cattolici «costituzionali» di ogni specie.

Il ‘68 è stato come l’ ‘89: i suoi «princìpi» sono diventati anch’essi immortali e analogamente immorali.
Eppure quel mio amico «rosso-padano» qualcosa segnala, se non altro un disagio malcelato, una voglia irrefrenabile e inconfessabile di ritorno al reale.
Le analisi che spiegano o tentano di spiegare perché l’ennesima gioiosa «macchinetta da guerra» radical-marxista si sia spiaggiata, si sono sprecate, ma in  fondo nessuno l’ha detta fino infondo.

Una larga fetta dell’elettorato di Sinistra, la componente operaia, ma anche impiegatizia, quella che si alza la mattina e va in fabbrica o in uffico, mangia alla mensa aziendale o con i buoni nel bar convenzionato sotto l’ufficio, tira avanti la famiglia a forza di sacrifici, tenta di far studiare i figli, ha votato comunista in passato, ha la tessera della CGIL, crede nel lavoro, nel rispetto della legge, nello Stato e nell’ordine e ce l’ha con Berlusconi per la frivolezza del suo mondo di plastica, così lontano dalla monotonia della loro vita dignitosamente grigia, stavolta s’è stancata di vedersi massacrata a combattere battaglie borghesi e non ne può più di vedersi rappresentata da personaggi grotteschi.

Educati dal vecchio partito comunista e dal sindacato al senso civico e alla dignità del lavoro, alla solidarietà di classe, ma anche alla legalità, non hanno sopportato l’«anomia mediterranea» importata da ondate immigratorie sempre più ampie, che ha stravolto l’assetto sociale del nostro Paese, che ha alterato il profilo fisico delle nostre popolazioni, che ha costituito l’«esercito di riserva» dei disoccupati, così utile per calmierare il mercato del lavoro e incanalarlo verso quel processo di precarizzazione che, contraddittoriamente, la sinistra neo-comunista da un lato denuncia e dall’altro favorisce.

L’elettorato della Sinistra è composto ancora in parte di gente normale: sono vecchi comunisti legati al loro vecchio simbolo, operai sindacalizzati, ma che si guadagnano il pane lavorando onestamente, ceti medi ideologicizzati che stanno scivolando verso una proletarizzazione sempre più marcata. Sono giustizialisti in ogni ambito e la loro tolleranza è sempre coniugata al rispetto della legalità.
Abituati al Lambrusco ed educati ad un severo ateismo per non cadere vittime di quella che è stata loro presentata come «oppio dei popoli», non riescono francamente a comprendere perché i loro figli debbano cadere vittime della droga vera e libera, predicata dai viziosi antiproibizionisti di matrice radicale.

Barricati in casa, timorosi verso l’arroganza di certa immigrazione, insofferenti verso la petulanza di ambulanti africani improvvisati, indignati per stupri e violenze che si aggiungono a quelli di marca nazionale, contrariati dal dover munire di blindatura porte e finestre, ostili verso rom, romeni e altre etnie di importazione neocomunitaria, hanno perso la serenità di una vita che credevano di essersi legittimamente guadagnata in anni di lavoro e di lotte sociali.
In prospettiva vedono paurosamente scivolare il proprio livello di vita e l’orizzonte sociale verso scenari da inizio secolo.

Ma oggi i loro dirigenti, i neo-comunisti libertari e no-global preferiscono paradossalmente
le cittadinanze globali alla loro, le nuove cittadinanze alle vecchie, le nuove eguaglianze alle vecchie, le nuove povertà alle vecchie, i nuovi diritti ai vecchi, le nuove licenze alle vecchie libertà.
Hanno dovuto sopportare dirigenti indegni che li hanno esposti in prima fila a difendere presunti diritti, che in cuor loro non sentono affatto o comunque non considerano nè primari, né collettivi: gay, trans, matrimoni omosessuali, droga libera non toccano la loro vita, ma solo il narcisismo
dei loro capi.

Penso a cosa passi per la testa dei vecchi comunisti quando vedono che le loro posizioni sono pubblicamente difese in televisione da un uomo travestito da donna e intere serate davanti alla televisione si consumano in discussioni che non consentiranno di veder migliorata né la quantità, né la qualità della loro vita, ma servono solo le perversioni borghesi di minoranze viziose che stanno infettando coi loro costumi fasce sociali sempre più vaste e culturalmente deboli come  le loro.

Se, abituati alla disciplina e all’obbedienza ideologica, potevano sopportare tutto quello che il centralismo democratico definiva come verità sociali, oggi, di fronte al progressivo scivolamento della loro vita verso una condizione di miseria, non possono più credere ad una classe dirigente che ha portato al centro del dibattito politico non il pane, il lavoro, la sicurezza, la legalità, ma la libera fruizione delle droghe, la libera circolazione di tutti i clandestini e l’uso alternativo dei diversi orifizi anteriori o posteriori.
Questo è troppo anche per loro, se si considera che poi trans, prostitute, immigrati e spacciatori non frequentano i quartieri snob dei neo-comunisti in cachemire, ma le periferie degradate in cui - a costo di sacrifici - i vecchi comunisti condividono con i protagonisti delle «nuove povertà», tutelate dai loro inetti capi, i pochi metri quadri di proprietà, che sono riusciti a mettere insieme con anni di lavoro e che, grazie ai nuovi vicini di casa immigrati, si stanno svalutando giorno dopo giorno.

Ora molti si sono accorti che l’ideologia li ha ingannati.
Il muro di Berlino sta loro crollando addosso con vent’anni di ritardo.
Pensano che abbia ragione il Bossi, che sarà il Bossi a salvarli.

Sbagliano: li sta salvando il ritorno del reale.
La forza di Bossi è - al di là delle ampolle padane - quella di essere realista e di chiamare le cose col loro nome, talvolta semplificando magari in maniera rozza, ma capendo e parlando alla pancia della gente comune, ora anche di quella che per anni si è fatta un mazzo così alle feste dell’Unità a fare cappelletti e a tagliare salame.

E loro l’hanno ripagato: hanno provato il piacere straordinario della trasgressione ideologica e forse l’ebbrezza un po’ infantile della libertà e della vendetta.
Se la Lega non cadrà nella facile demagogia e continuerà a sentire con la pancia i bisogni veri della gente comune, sfumando  il proprio folklore, stabilizzando il consenso di questi nuovi elettori, parlando il linguaggio sociale accanto a quello identitario, smetterà di essere solo il partito del Nord, delle partite IVA e della incredibile secessione padana.

Potrà forse diventare lo strumento che obbligherà Berlusconi a fare almeno un po’ la rivoluzione che gli italiani per la seconda volta gli hanno chiesto di fare.
Paradossalmente senza magnifiche sorti progressive o immaginifici soli d’avvenire basterà un po’ di elementare tutela della vita quotidiana a far sentire a noi tutti che il vento del Nord sta soffiando per tutti.
La forza delle rivoluzioni nazionali, dove si sono realizzate in passato, è stata proprio quella di aggregare ad una causa identitaria i bisogni della gente comune, sparigliando le carte di chi giocava sulla contrapposizione di liberalismo e socialismo, di borghesi e operai e lucrando sul collasso finanziario internazionale.

Ci pensi Bossi, ci pensino i suoi: la Padania non può bastare, specie se il consenso comincia a crescere anche sotto la linea del Po.

Domenico Savino



Home  >  Opinioni                                                                                            Back to top