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Pakistan, strategia della tensione
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Come hanno notato tutti, i terroristi che il 3 marzo hanno aggredito il pulman della squadra di cricket cingalese a Lahore (Pakistan) somigliavano ai terroristi che a novembre hanno fatto strage a Mumbai (India).

Anche a Lahore, si sono visti all’opera una dozzina di baldi giovanotti di tipo militare: capelli corti, alcuni con abiti occidentali, tutti con lo zaino regolamentare in spalla; ben armati per la bisogna (kalashnikov, almeno due lanciagranate, almeno 30 bombe a mano), perfettamente calmi durante l’azione.

«Agivano come gente che avesse avuto un regolare addestramento al combattimento», ha detto il capo della polizia di Lahore, Habibur Rehman.

Dopo l’attacco, sono esfiltrati con fredda efficienza, dileguandosi nel nulla. Telecamere di sorveglianza hanno rivelato alcuni di loro mentre, con lo zaino sulla schiena e l’arma a spalla, entravano in una via traversa, montavano su motociclette lì parcheggiate e partivano in velocità.



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Il presidente pakistano Asif Ali Zardari è stato veloce a incolpare  la guerriglia islamica che agisce ai confini con l’Afghanistan. Dopo la strage di Mumbai, India e USA sono stati veloci ad additare il Lashkar-e-Taiba (LeT), un gruppo jihadista che si batte contro l’occupazione indiana del Kashmir, e che ha o ha avuto l’appoggio dei servizi del Pakistn, l’ISI.

Il Pakistan ha dapprima negato – ed effettivamente nell’attacco di Mumbai troppe erano le stranezze e incongruenze per un classico attentato «islamico» (assassini di aspetto occcidentale, uno con un bracciale indù, la base dell’operazione nella casa-accoglieza dei Lubavitcher, dove i terroristi erano ospiti da giorni prima...); poi però, a gennaio, il ministro degli Interni pakistano Rehman Malik, ha ammesso il coinvolgimento di elementi pakistani e ha compiuto alcuni arresti.

Il Pakistan non manca certo di gruppi islamisti violenti da incolpare. Oltre al LeT, i sospetti possono facilmente cadere su:

Tehrik-e-Taliban Pakistan, una federazione di gruppuscoli posti al confine con l’Afghanistan. Guidato da Baitullah Mehsud, sospettato di essere il mandante dell’assassinio di Benazir Bhutto, ex primo-ministro e moglie dell’attuale premier Zardari, nel dicembre 2007.

Lashkar-e-Jhangvi (LeJ), sunnita (e perciò immediatamente catalogato come «braccio di Al Qaeda»), in realtà composto da gente del Punjab, specializzato nel colpire sciiti, minoranze varie, ma a cui si attribuisce anche un gravissimo attentato al Marriott Hotel di Islamabad (nel settembre 2008) con 55 morti.

Jaish-e-Mohammad, un gruppo guerrigliero con base in Punjab, anti-indiano, ma – a quanto pare – autore di uno dei tanti tentativi di assassinio (dicembre 2003) del generale Musharraf, ex-presidente divenuto inviso agli americani, e presente nella rivolta della Moschea Rossa di Islamabad del 2007, conclusasi con un bagno di sangue ordinato da Musharraf.

Harkat-ul Jihad-e-Islami (HUJI), attivo in Kashmir, tristemente noto per un attentato in cui restarono uccisi 11 tecnici francesi che lavoravano alla manutenzione di sommergibili pakistani – attività invisa a Delhi come a Washington (concorrenza sleale di Parigi in un mercato degli armamenti americano).

Quando pullulano tanti gruppi guerriglieri, ci si deve chiedere da chi sono infiltrati e manovrati, per chi lavorano, inconsapevolmente o no. L’esperienza degli anni di piombo italiani può aiutare: quando si crea una situazione di tensione terrorista in un Paese, i più insospettabili servizi, anche «alleati», ci si ficcano, anche solo per vedere che cosa possono ricavarne.

Basta ricordare – come ha rivelato Renato Curcio – che appena le Brigate Rosse furono costituite, ricevettero la visita di agenti del Mossad che offrivano assistenza di ogni genere, documenti falsi, case sicure, eccetera.

In Pakistan, una quantità di servizi ha una folla di ragioni per mettere il naso nella strategia della tensione autoctona, e aggravarla.

L’India, per ovvii motivi. Israele, perchè il Pakistan è la sola nazione islamica con armi atomiche. Washington, con la scusa che le armi atomiche pakistane possono finire in mano a «militanti estremisti», e perchè il Pakistan, nella sua zona nord-est che non controlla, fa da santuario ai Talebani per le loro incursioni in Afghanistan.

Il 3 dicembre 2008 il più importante giornale egiziano, al-Ahram (1), rivelava un piano americano-britannico-israeliano di smembramento del Pakistan in entità sub-statali, etnicamente pure. La mappa qui sotto («prima» e «dopo») dà un’ideal del piano:



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Disgraziatamente, anche molte alte personalità del Pakistan sembrano lavorare per scopi non-nazionali. Le infiltrazioni dei servizi stranieri sono qui all’ordine del giorno.

Un esempio clamoroso, ancorchè sottaciuto riguarda Omar Sheikh, un terrorista-criminale comune che nel 2002 uccise (personalmente) un giornalista del Wall Street Journal, Daniel Pearl, che era in Pakistan per condurre una pericolosa inchiesta sul sottobosco di attori criminali foraggiati dall’ISI. Questo Omar Sheikh è un cittadino britannico ed ha frequentato la London School of  Ecoonomic, la super-università del liberalismo anglosassone. Se uno che frequenta la London School of  Economics vuol diventare un delinquente, perchè non sceglie di fare il banchiere?

Invece «si ritiene che mentre Omar Sheikh frequentava la London School of  Economics fu reclutato dal servizio britannico MI-6. Si dice che sia stato l’MI-6 a indurlo a prendere parte attiva alle dimostrazioni pro-Bosnia e poi a spedirlo in Kossovo per arruolarsi nel jihad».

L’autore di queste parole è il generale Musharraf, nel suo libro di memorie «In the Line of Fire» (2006). Può essere falso. Ma può essere la verità di un addetto ai lavori; allude ad un modus operandi molto tipico per dei servizi.

pakistan_strategy_1.jpgUn altro personaggio sospetto di una doppia lealtà è proprio il ministro degli interni (di fatto, non di diritto) pakistano, quel Rehman Maliki che s’è affrettato ad incolpare elementi pakistani per la strage di Mumbai. Il neopresidente Zardari (il vedovo Bhutto), che deve il suo posto a Washington, ha tentato di mettere a capo dell’ISI Rehman Maliki, evidentemente perchè gli americani si fidano di lui e non dei generali che hanno in mano l’ISI.

Da decenni alto funzionario della Federal Investigation Agency (FIA), superpoliziotto (Interpol, National Security), Maliki fu nominato direttore generale aggiunto del FIA da Benazir Bhutto durante il suo secondo mandato (anni ’90) - e in questa veste lanciò una quantità di operazioni segrete contro gli estremisti militanti in Pakistan, il che equivaleva ad un attacco diretto contro l’ISI, che coltivava i gruppi militanti, primi fra tutti i Talebani. Per di più, i potentissimi alti gradi della forze armate furono estremamente irritati dal fatto che, sotto Maliki, «il FIAB aveva stretto relazioni con il Mossad, per investigare insieme sul terrorismo islamico», se non altro «perchè il Mossad coopera con il servizio segreto indiano RAW» (2).

Nel novembre ’96, quando gli avversari della Bhutto riuscirono a farla cadere, uno dei primi atti del nuovo presidente Faruk Leghari fu di arrestare Rehman Maliki, direttore del FIA, che poi riuscì a fuggire. Riparando a Londra. Uno scontento di valore in più, molto «occidentale»: sarebbe strano se non interessasse i servizi  occidentali che hanno mire sul Pakistan.

Fatto sta che Maliki riemerge nel luglio 2007, come mediatore dei primi colloqui «di riconciliazione» tra la Bhutto e il generale Musharraf, sul quale gli americani premevano perchè cedesse la poltrona alla signora. Di fatto, si constata che è il braccio destro della Bhutto, il suo più fidato consigliere e numero 3 del partito da lei fondato (PPPP), dopo la Bhutto stessa e il suo discusso marito, noto per la sua malleabilità politica dietro pagamento di adeguate tangenti.

Anzi, Maliki era il capo della sicurezza della signora Bhutto: stranamente, il giorno in cui fu assassinata, lui era assente – non era sul luogo dell’attentato, e si salvò. Da allora rende i suoi servgi a Zardari, il nuovo capo.

Come ha scritto il «Pakistani Spetctator» l’11 maggio 2008, «Rehman Maliki ha aiutato molto Zardari a riciclare il denaro saccheggiato e ad investirlo in diverse piazze del mondo... Egli fa ciò che gli dicono i suoi padroni a Washington».

Può essere uno schizzo di veleno intra-pakistano. Ma il britannico Guardian, il 7 settembre 2008, scrive che «un gruppo di duri neocon (israelo-americani) capeggiati da Zalmay Khalilzad, ambasciatore USA, si dà molto da fare per consigliare segretamente Zardari e aiutarlo a pianificare la sua campagna per sbattere fuori il generale (Musharraf)» (3).

Effettivamente, quando è a Washington, Zardari frequenta molto amichevolmente esponenti israelo-americani neoconservatori. Ed ha promosso al capo dell’esercito pakistano il generale Ashar P. Kayani, che ha studiato nelle scuole militari USA.

Mentre le cose stanno così, ecco che compare un gruppo che spara a Lahore. Non sono terroristi islamici tipici, da attentato-suicida o all’auto-bomba; sono veri militari addestrati. E sono gli stessi che hanno operato nella strage di Mumbai. Nuovi attori della strategia della tensione.

Cosa vogliono? Aizzare India e Pakistan l’una contro l’altro? Destabilizzare?

Il 28 febbraio, dunque giorni prima dell’attacco a Lahore, sul Pakistan Daily (4) è apparso un articolo molto interessante fin dal titolo, profetico: «The US-India-Mossad connection: another devious plan to disable Pakistan».

Vi si legge:

«Sia Israele sia l’India aspirano ad essere la potenza militare assoluta, l’una in Medio Oriente l’altra in Asia meridionale. Gli USA forniscono il necessario appoggio a queste loro ambizioni. Per mantenere la loro superiorità regionale, entrambe hanno molto modernizzato il loro armamento, convenzionale e non convenzionale, molto superiore ai loro vicini; ma diventa necessario ad entrambi assicurare che nessuno dei loro vicini acquisisca un sistema d’armamento superiore al loro».

« Soprattutto, devono essere sicuri che nessun Paese musulmano possieda capacità nucleare e sia in posizione di scongiurare le loro tattiche ricattatorie. In altre parole, entrambi desiderano avere attorno Stati deboli e obbedienti. La capacità nucleare di un qualunque vicino è un pericolo per le loro aspirazioni megalomani...».

pakistan_strategy.jpg« ...Il Pakistan nucleare è percepito come una minaccia da entrambi, sia perchè temono che esso possa trasferire tecnologia nucleare a un vicino arabo, o venire in soccorso di un Paese musulmano in contrasto con loro. Temono anche che militanti possano impadronisrmi di testate nucleari e minacciare la loro esistenza. Siccome hanno una comune percezione della minaccia, India e Israele lavorano in tandem per perseguire i comuni obbiettivi. (...) La coppia ha sviluppato stretti legami economici, militari e nucleari; oggi Israele è il primo fornitore di armamenti all’India. Entrambi aspirano a distruggere l’installazione nucleare del Pakistan a Kahuta fin dagli anni ’80. Avendo valutato che un’operazione chirurgica sarebbe rischiosa data la capacità di credibile reazione del Pakistan, stanno cercando di neutralizzare la capacità atomica del Pakistan con altri mezzi».

«(...) Dal 2002 il RAW (servizio indiano), il Mossad con l’attiva collaborazione di CIA e FBI hanno intrapreso attività sovversive dentro il Pakistan da Kabul per indebolire tutte le protezioni attorno alle forze nucleari e impadronirsene al momento opportuno senza dover fare una guerra (...). I bersagli scelti sono l’esercito e l’ISI, poichè il terzetto capisce che senza prima indebolire queste due istituzioni i loro obbiettivi sono irrealizzabili. Da qui le azioni condotte:

1) Illudere la leadership pakistana offrendo carote, pace con l’India e una soluzione per il Kashmir. 2) coltivare inportanti dirigenti nei ministeri governativi, nei media e fra la casta giudiziaria. 3) iniettare il secolarismo, ed accentuare la frattura tra laici e islamisti. 4) aizzare le tensioni etniche e settarie, e sostenere le ribellioni. 5) creare divisioni entro la società e polarizzarla politicamente. 6) creare una frattura fra l’esercito e il governo civile. 7) creare frustrazione, paura e disperazione nel popolo. 8) minare le istituzioni dello Stato e rendere così la nazione senza testa e disorientata. 9) indebolire l’economia e rendere il Pakistan soggetto al FMI. 10) negare all’esercito e all’ISI ogni ruolo nella protezione dell’arsenale nucleare. 11) rendere il Pakistan ingovernabile, uno Stato fallimentare. 12) Giustificare l’entrata delle forze USA-NATO entro il Pakistan per salvare il Paese dal cadere nelle mani degli estremisti fanatici, e prendere in custodia l’arsenale militare».

Non è difficile indovinare qui che a parlare è l’ISI, diventato da prezioso alleato degli USA, nemico giurato e informato. E difatti, l’articolo continua con alcune utili informazioni d’intelligence.

Per esempio, che «una fila di consolati indiani in Afghanikstan», creati specificamente allo scopo, e con ricchi fondi dei servizi indiani (RAW), «reclutano, addestrano e infiltrano agenti in Beluchistan» (zona etnicamente ribelle), FATA e SWAT (due regioni malferme). Allo stesso modo, «Israele ha organizzato dei campi in Badakshan da cui lancia i suoi agenti provocatori in aree già rese ostili al governo dalle azioni della CIA... Afghani, ceceni, uzbechi, caucasici ed elementi malcontenti dentro il Pakistan sono stati addestrati a fondersi facilmente coi locali, allo scopo di creare tensione, condizioni di insicurezza e attizzare la militanza». Fra essi, l’ISI ha catturato alcuni «agenti che si sono scoperti incirconcisi» (sic: non musulmani) e che dunque ritiene essere «agenti indù del RAW».

Alla luce dell’attacco militare a Lahore, queste informazioni diventano illuminanti.



1) Abdus Sattar Ghazali, «Behind the scenes - The US-UK-Israel agenda for the Middle East and South Asia region is proceed», Al Ahram, 3 dicembre 2008. «The New York Times reported on a «New Middle East» map published in 2006 by the US Air Force Journal along with an article by retired Lieutenant-Colonel Ralph Peters, entitled, «How a better Middle East would look?» The map and Peters suggested that a ‘natural’ Pakistan would be much smaller than today. It can be argued that redrawing the map, from the Lebanon and Syria to Anatolia, Arabia, the Persian Gulf, the Iranian Plateau and South Asia is part of a longstanding Anglo-American and Israeli agenda». La nuova mappa andrebbe creata attraverso «constructive chaos».
2) «You Can’t Be On The Wrong Side Of Pakistan Mr Asif Ali Zardari», Pakistan Daily, 20 settembre 2008. Si veda anche la voce «Rahman Malik» su Wikipedia.
3) Tarik Ali, «Asif Ali Zardari: the godfather  as president - He may be a pliant partner for the west, but with his record of corruption, Zardari is the worst possible choice for Pakistan», Guardian, 7 settembre 2008.
4) Asif Haroon Rajar, «The Us-India-Mossad conncection», Pakistan Daily, 28 febbraio 2009.


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