E bravo Erdogan, che non va in guerra
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Il presidente Erdogan merita un senso di solidale compassione, non disgiunta da ammirazione. Da giorni resiste alle pressioni (chissà quanto brutali) di Washington e dei suoi servetti europei, armati di tutti i media occidentali che spargono lacrime sugli eroici kurdi assediati dall’orribile IS a Kobani. Tutta la propaganda è contro di lui: il disumano schiera i suoi tank alla frontiera della Siria, a un tiro di schioppo dalla città che si difende (eroicamente), e lascia fare il massacro dei kurdi. Non ha un po’ di umanità? Non gli prude l’intervento umanitario? Non sente la caritatevole «responsibility to protect» (americanamente siglata R2P) che ha spinto l’America e i suoi satelliti ad invadere, bombardare e massacrare una dozzina di Paesi islamici per difendere i perseguitati da dittatori cattivissimi? L’IS decapita – come attestano gli autentici video del SITE della Katz – l’IS fa stragi, e lui, non aiuta i kurdi minacciati di stragi e decapitazioni, anche se ha l’esercito di terra più potente della NATO. I kurdi in Turchia mettono da giorni le piazze a ferro e fuoco – ardono di andare ad aiutare i fratelli di là dal confine – e lui li fa bastonare dalla polizia. Cattivo, cattivo.

Gli si faccia almeno credito, ad Erdogan, di un po’ di tempo per mettere in ordine le idee, perché deve averle confuse. Quello che capisce bene è che la Casa Bianca vuole impantanarlo in quel che si chiama «war by proxy», una guerra per interposta persona – vuole che metta scarponi turchi sul terreno dove il presidente Obama ha promesso agli americani che non metterà American boots on the ground – insomma che spenda sangue di soldati turchi allo scopo di:

1) combattere quelle stesse orde di islamisti che lui, in fraterna complicità con gli USA, i sauditi e gli emiri, ha fino ad ieri allevato, rifornito, armato, addestrato, ricoverato in territorio turco quando erano feriti, allo scopo di abbattere il regime laico di Assad — cosa che Erdogan ha fatto volentierissimo, cercando anzi pretesti falsi per l’intervento turco anti-Assad, forse perché gli era stato promesso qualche guadagno territoriale, nella divisione delle spoglie siriane.

2) Buttare l’armata turca in una guerra «by proxy» fra i cui scopi finali è dato intravvedere la creazione di uno Stato kurdo ritagliato da pezzi di Turchia, Siria e Iraq; uno Stato petrolifero potente, armato e protetto da Israele ed USA. Si può capire che Erdogan non voglia passare alla storia come il presidente che ha dovuto rinunciare a un 20% del suolo patrio per consegnarlo al PKK e ai clan peshmerga di cui la Turchia reprime da quasi un secolo le aspirazioni secessioniste.

Che cosa c’è da guadagnare per Ankara?, sta chiedendo Erdogan all’infaticabile Kerry che lo spinge all’intervento armato. E dice: per muovermi, ho bisogno di «un piano complessivo», ossia – traduco – che l’intervento serva ad abbattere anche il regime di Assad. Perché «la causa del terrorismo IS è il regime di Assad»: si capisce che come scusa fa ridere, è esattamente il contrario (è per abbattere Assad che è stato allevato il «terrorismo islamico»). Ma in fondo Erdogan non fa che ricordare che quello era, dopotutto, lo scopo originario di tutta la sceneggiata. Un anno fa Obama ha accusato il regime siriano di gasare i suoi abitanti, falsamente come Erdogan sa benissimo, visto che anche lui era della partita; era la scusa per l’intervento armato occidentale. E lui, Erdogan, quella volta era tutto pronto all’intervento umanitario; poi Obama ha cambiato idea, e tutto è andato a pallino. Si può capire che ora esiti.

Si aggiunga qualche dubbio, che un esperto politico come lui non può non nutrire, sulla determinazione USA e della coalizione anti-IS a debellare i «terroristi» che assediano Kobani. I celebrati attacchi aerei dei caccia-bombardieri sono forse bombardamenti? Per «liberare» il Kossovo dai serbi, Clinton e l’Occidente intero lanciarono 2700 attacchi dal cielo in un mese oi due; qui, si pilucca di malavoglia, una bombetta qui e un missile là, di preferenza sui silos granari di Assad che sulle posizioni del Califfo, o per ammazzare un po’ di terroristi di Al-Nusra, che hanno rifiutato di assoggettarsi al Califfo.

Le forze aeree dell’Arabia Saudita e degli emiri, gli alleati nella lotta al terrorismo califfale, sono apparse sulla copertina di riviste patinate, più che sui cieli di Kobane; del resto, siamo giusti, non si può chiedere ai Saud di bombardare i figli loro, e peggio, debellandoli, dare una mano al regime di Baghad, che è sciita. Ma allora perché Erdogan dovrebbe aiutare i kurdi? Chi lo accusa di lasciarli ammazzare dai «terroristi dell’IS» avrà magari ragione. Ma si riconosca almeno questo: fin dai tempi dell’Orda, i turchi, quando scatenano le loro armate, lo fanno per conquistare, fare a pezzi, radere al suolo, ed eventualmente ad impalare, ma non a «proteggere»; l’intervento umanitario non è mai stato nelle loro corde.

Del resto anche il presidente Obama aumenta i dubbi. Ha detto che lo scopo degli attacchi aerei, e della formazione dell’alleanza anti-IS, è «degradare e ultimamente distruggere lo Stato Islamico». Ma si può lasciarsi sfuggire una simile espressione? La sola superpotenza rimasta si slancia contro una razzumaglia di 12 mila fanatici raccogliticci, radunati da 81 Paesi diversi, e lo scopo di questa guerra totale contro il Terrorismo è «degradare» le forze del Califfo e solo «ultimamente» distruggerle. Tutti hanno capito che cosa ha voluto dire Obama: «Ragazzi, questi terroristi islamici cerchiamo di farli durare. È il massimo che abbiamo potuto mettere insieme da quando è caduta l’Unione Sovietica, come nemico assoluto. Ci sono costati un occhio per armamento e addestramento, per non parlare dei costumisti di Hollywood per quelle divise nere, e tutte le scene al rallentatore riprese dal basso mentre sventolano la nera bandiera del Profeta, per farli sembrare più giganteschi e minacciosi. Gli abbiamo dato i pozzi di petrolio iracheni, li abbiamo lasciati svaligiare le banche di Ninive, Salahuddin ed Anbar, sicché adesso hanno un miliardo di dollari: dovrebbero bastare per le piccole spese».

«Tenete presente che devono servire per trent’anni di guerra (come ha detto Leon Panetta). Non degradateli troppo, altrimenti non sappiamo più cosa inventare. È la Terza Guerra Globale al terrorismo che abbiamo allestito. La prima, dopo l’11 Settembre, s’è conclusa con l’occupazione di Afghanistan ed Iraq. La seconda, abbiamo dovuto gonfiare Al Qaeda fino all’inverosimile: AQMI (Al Qaeda el Maghreb Islamico), AQI (Al Qaeda in Iraq), AQPA (nella penisola arabica), persino Al Qaeda nel Sub-continente indiano. Alla fine è scoppiato tutto e abbiamo dovuto «catturare Bin Laden», o quel che era, in Pakistan».

«Un bel decennio di guerre di droni, di forze speciali, di business per il complesso militare-industriale. Come continuare? Ecco Daesh, ISIS, ISIL; il nostro McCain ci ha lavorato sodo. Le sue foto col futuro Califfo vi devono avvertire: degradateli, ma sconfiggeteli solo “ultimamente”, più tardi possibile. Bisogna che durino trent’anni di guerra».

Per di più:

Secondo la stampa israeliana, nella cittadina di Nazareth Illit, Nord-Israele, degli addetti alla nettezza urbana hanno trovato una borsa contenente 25 bandiere nere del Califfo. Nuove, ben piegate, appena uscite di fabbrica. La stessa stampa, a febbraio, aveva postato le foto di Netanyahu che visitava dei combattenti in un ospedale militare da campo allestito sulle alture del Golan, al confine con la Siria. Secondo la didascalia, si trattava «di mercenari e jihadisti globali» feriti nei combattimenti contro l’armata regolare siriana, evidentemente sostenuti dallo Stato di Israele. Si parlava qui di gente di «Al Nusrah», vai a sapere se oggi sono IS, Daesh, ISIl.



Si sa che caccia israeliani hanno più volte attaccato le forze governative di Assad mentre queste impegnavano i terroristi di Al Nusra e Daesh (oggi IS). Per di più, si ha notizia che i «coloni» illegali israeliani nei West Bank appaiano in manifestazioni di piazza con t-shirt nere dell’IS, con il sigillo del Profeta che il Califfo ha sulla bandiera. Insomma i terroristi islamici più pericolosi del mondo, per «degradare» i quali l’America ha riunito una balzana alleanza e che non spera di vincere se non «ultimamente», ossia fra 30 anni, hanno dei fans fra gli ebrei.

Chissà perché. Ma siamo quasi sicuri che Erdogan si domanda se gli americani non lo stiano spingendo nell’ennesima guerra per Sion, nel grande tritacarne, il caos irrazionale al fondo del quale c’è il progetto della rivista Kivunim: smembrare tutti i Paesi islamici circostanti Israele secondo linee di frattura religiose ed etniche. Ed anche la Turchia è fratturabile per queste linee, come dimostra la rivolta permanente dei kurdi.

Tanto più che dopo un decennio di Guerra Globale al Terrorismo o Guerra al Terrorismo Globale, Washington è riuscita a creare un’area di disordine che va dal Pakistan alla Guinea e dove si combattono, in una, tre o quattro guerre. La guerra dei sunniti contro gli sciiti, eccitata dalla sovversione israelo-americana, che tormenta e destabilizza una decina di Paesi, Siria e Ira1, Yemen, Emirati, Bahrein, Libano e Somalia, in cui noi occidentali ci vogliamo ficcare credendoci parte terza. C’è la guerra dei terroristi fra loro, Al Nusra contro il Califfo, islamisti importati (magari ceceni e uiguri) che gli islamisti locali non è che sentano come fratelli. C’è la guerra – anzi le guerre – che USA, Gran Bretagna a Francia combattono in quest’area: quella per degradare l’ISI è la quarta guerra americana, il quarto intervento nell’area in pochi anni, e il risultato è che un numero crescente di musulmani, anche fra noi, prova un desiderio crescente di imitare i decapitatori dell’ISI... che poi è esattamente quello che vuole le regia di tutto ciò, spargere il terrore islamico anche in Europa, indurire l’odio reciproco. Come non bastasse, l’America impone una guerra all’IS ma badando che questa non porti alcun vantaggio al regime della Siria, che sta combattendo l’IS, che ha «gli scarponi sul terreno» che esattamente mancano agli USA, e che dunque sarebbe l’alleato necessario ed opportuno: ma no, Israele non vuole, Assad deve andare perché Teheran ed Hezbollah sono suoi alleati, e come ha detto Netanyahu, è l’Iran il vero pericolo, mica il Califfo.

E adesso gli americani vorrebbero che Erdogan intervenisse in questo nido di vipere e roveto ardente di guerre multiple e incastrate una nell’altra, in questa assurda terza fase di guerra eterna ancor più losca e disonesta delle altre due... a favore dei kurdi, proprio mentre l’IS sta facendo il lavoro sporco per lui, di indebolire e forse sterminare le forze kurde armate ed organizzate, essenzialmente il PKK.

Ma ti pare? C’è anche da dire che in certe capitali ci si ricorda di come fu ricompensato uno che fece la guerra per gli americani by proxy. Si chiamava Saddam Hussein, fece la guerra all’Iran per otto anni, come voleva Washington. Poi loro lo impiccarono.

Francois Hollande si è buttato in questo nido di vipere, ha messo la Francia «in guerra contro il terrorismo», con l’entusiasmo che gli abbiamo già visto quando ha contribuito a fare della Libia un caos. Erdogan, invece, resiste. Dice no alla NATO, all’ONU, e al grande alleato americano: niente intervento umanitario, niente guerra by proxy. E bravo Erdogan.




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