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Presidente di (quasi) tutti
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Finalmente abbiamo privatizzato il presidente della repubblica e, visto che ci si trovava, anche la democrazia.
Quel giovanotto vuole essere il sindaco di tutti i romani; quell’altro il governatore di tutti i pugliesi. Ma insomma! D’altra parte chi è il presidente di Mario Rossi, pensionato? La moglie.
E il presidente di Antonio Bianchi, fruttivendolo? Il grossista.
Ognuno ha il suo presidente. Ma pure voi, che pretese!
Sollecitare i grandi politici a tenersi la sovranità nazionale; immaginare, se proprio va male di essere arrestati dal vostro poliziotto, magari di quartiere; lo farà magari un portoghese ed il vostro giudice naturale, proprio così lo chiama il codice, naturale, non ne saprà nulla e non potrà chiedere nulla al «re del Portogallo».
Napolitano l’ha detto con chiarezza: io non ci sto!
Non ci sto a fare il presidente di quelli che non vogliono farsi impiccare o ghigliottinare, come sembra statuire una norma spersa fra i monumenti giuridico-politici-economico-finanziari elaborati a Bruxelles.
Io non ci sto a fare il presidente di meno della metà degli irlandesi.

Ma porca miseria, credete che scherzi?
Quando si è trattato del voto espresso dagli irlandesi con il referendum indetto per ratificare il Trattato di Lisbona, Il Corriere del 13 giugno ha avuto l’ardire di attribuire al presidente di (quasi) tutti gli italiani  un «concetto ben più pesante»: «E’ l’ora di una scelta coraggiosa - ha detto Napolitano - da parte di quanti vogliono dare coerente sviluppo alla costruzione europea, lasciandone fuori chi - nonostante impegni solennemente sottoscritti - minaccia di bloccarli».
Che cosa volete che sia la maggioranza degli elettori irlandesi: ben poca cosa se si azzardano a tentare di arrestare «l’indispensabile processo di riforma» voluto dalle grandi istituzioni europee. Mica si può eccepire che male hanno fatto le élite del potere unionista a spingere tanto in là la realizzazione dei progetti architettati dalle stesse élite ad andamento generazionale da farli diventare trappole senza uscita.
E voi, molto giustamente, direte: ma questa è deriva bulgara.
Beh si, ci è voluto molto coraggio nell’immaginare che qualcuno possa sanzionare, precisamente possa «lasciar fuori», credo niente meno che dall’Unione Europea, quella parte di Europa, cioè l’Irlanda per intero - giacché la maggioranza ha dato voce all’intera nazione, secondo uno dei principi che reggevano, ma che sembrano non reggere più, la democrazia.
Il torto grave dell’Irlanda, se non ho capito male, sarebbe quello di non aver passivamente ratificato un trattato «solennemente sottoscritto».

La solennità sarebbe caratteristica di che cosa?
Degli apparatcik che anni addietro da più parti convennero a Lisbona o in altra località?
Del rito laico con cui, fra grandi sorrisi, si persegue una volontà, quella delle istituzioni europee che farebbero il bene degli europei e di cui tutti noi saremmo inconsapevoli, mentre gli «illuminati» ah, quelli sì che lo sanno bene il nostro bene?
Saranno mica gli stessi illuminati cui si rifaceva Tremonti?
O forse è solenne tutto ciò che serve a smantellare per un solenne intero le solenni tradizioni millenarie dei solenni popoli europei, tradizioni di cui si perdono le tracce nel tempo e di cui forse sarebbe opportuno, magari di tanto in tanto, ripercorrere l’evoluzione per lasciare che esse ci riconducano a maggior misura, a minore hybris e a più modesta, molto più modesta, solennità?
D’altra parte il presidente Napolitano, se la memoria non mi inganna, non è nuovo ad espressioni piuttosto forti e, occorre dirlo, poco pensose delle ricadute che esse potrebbero avere sulla fiducia che i popoli nutrono nei confronti della democrazia.

Un anno fa, circa, credo che abbia dichiarato in un incontro a Siena «E’ terrorismo psicologico ventilare lo spettro di un super-Stato europeo».
La frase fu riportata dal Sunday Express.
Scusate, ma non trovo parole! Perché partendo da simili dichiarazioni non riesco a trovare un riferimento minimo che rimandi il senso dell’affermazione all’immagine del comunista degli anni scorsi che il tempo credevo avesse consolidato.
Tra l’altro, per questa via il presidente non sarebbe neppure il presidente di tutti gli italiani; sarebbero terroristi, sarebbero individui «fuori» dal sistema morale e giuridico europeo tutti quelli che temono legittimamente la distanza che intercorrerebbe fra le istituzioni europee ed i cittadini che ne sono governati in un tempo, come il nostro, in cui si vorrebbero, al contrario, avvicinare gli ammi-nistratori al contribuente.

Ho provato un forte disagio nell’aver dato una scorsa a «Il linguaggio notturno», di Altiero Spinelli.
Comunista, un tempo, come Napolitano, attento al linguaggio delle oligarchie economico finanziarie inglesi (secondo la nota di Stefania Vaselli) come il presidente di alcuni italiani, e come lui fervente europeista.
Ma spero che Napolitano non condivida quanto Spinelli scrisse fra l’altro: «I veri amatori del prossimo sono i creatori di dispotismi, di autorità in cui le stupide bestie possano vivere tranquille e soddisfatte».
Richard Gardner, ambasciatore USA in Italia dal ‘77 all’ 81, ebbe a dichiarare ad una rete televisiva americana di considerare Napolitano «un sincero fedele (credente) della democrazia» e «un amico degli Stati Uniti che espleterà il suo mandato con imparzialità e onestà» nonché «un uomo capace su cui si può contare per l’espletamento della sua funzione in un modo che sarà gradito agli Stati Uniti».
Probabilmente gli anni e il processo federativo europeo entrato, ad opera dei grandi costruttori, in una fase irreversibile, hanno appannato la fedeltà alla democrazia.
Forse aveva proprio ragione Bobbio, quando denunciava la gravità del fatto che i liberali, dopo essersi disfatti di socialismo e welfare, stiano attaccando direttamente la democrazia.
Il 21 giugno scorso al Giornale RAI delle 8,45 l’Istituto di Affari Internazionale riferiva che sì, si sarebbe potuto andare avanti lo stesso ignorando l’esito del referendum irlandese.

Mi preoccupa il fatto che troppe e troppo disinvolte dichiarazioni «che contano» si stiano allineando a quella enunciata dall’IAII che probabilmente ha dato la linea.
Se non sto sragionando, deduco che, se passasse, questa linea porterebbe alla formazione di un  precedente che, nelle mani delle oligarchie unioniste, verrebbe utilizzato per inficiare qualunque esito referendario futuro.
Dopo di che si potrebbe considerare liquidato l’unico strumento idoneo a connettere i cittadini europei alle istituzioni europee, sempre più chiuse nella loro turris eburnea brusselliana.
Devo precisare a questo proposito un concetto di cui mi sono state contestate le conseguenze: non difendo la democrazia come sistema tuttavia difendo le sue applicazioni fino a quando non verranno intravisti credibili superamenti.
Perché il regime liberale alla Kojeve e alla Fukuyama che sembra delinearsi sarebbe infinitamente peggiore di una qualche realizzazione democratica, specie se dovesse trattarsi di quella partecipativa, strangolata in culla prima di nascere.

Urgerebbero molte altre domande, per la verità, ma sono costretto a scegliere quelle che risultano essere le più dolenti perché più gravi per le genti europee.
Me ne concedo un’ultima.
L’Irlanda, guarda caso Paese a forte componente cattolica, si è servita di uno strumento messo a disposizione dalla democrazia, dello strumento democratico per eccellenza.
Credo che sia corretto pensare che l’Irlanda potrebbe andar fuori dall’Unione in forza di un atto di pari democraticità quale sarebbe l’esito di un referendum europeo, o sbaglio?
Perché non vorremmo essere costretti ad immaginare, che uomini certamente democraticissimi componenti l’apparato unionista possano mediante un ukase azzerare lo spirito democratico che si sforza di aleggiare per le arie europee.
Anche perché dovremmo esigere che si chiarisse la posizione, tutta speciale, dell’Inghilterra che in Europa sembra starci in forme, come dire, un po’ troppo pragmatiche?
E anche da troppo tempo?
E nella poca soddisfazione di moltissimi?
Ed in violazione di qualunque senso di giustizia, dal momento che gode degli utili e «riparte» le perdite?

Forse Napolitano potrà plaudire a chi riuscisse a sbattere fuori l’Irlanda ma dovrebbe, con voce altrettanto tonitruante e con altrettanto coraggio, esigere dalla Gran Bretagna che si pronunci una volta per tutte se star dentro all’Unione o starne fuori, perché se decidesse in quest’ultimo senso - democraticamente questa volta, non è così ? - e il presidente converrà con me, che tutti, ma proprio tutti, potrebbero ambire a ricoprire la carica di presidente della Commissione Europea, ma non un inglese e  tantomeno Tony Blair.
Credetemi, per quanto l’abbia rivoltata ho tentato di «salvare» il senso della dichiarazione del presidente Napolitano, ma non ci sono riuscito.
Probabilmente perché non riusciamo a scrollarci di dosso la fastidiosa percezione di un radicale conflitto che spesso subiamo e che ci lascia quasi spettatori impotenti sol perché nutriamo aspettative legittime nei confronti dei nostri governanti e delle loro logiche e dei loro criteri operativi che, non c’è verso, menano lontano da noi, dal bene dei nostri cari, dal giusto per i nostri compatrioti, dalla saggezza storica per gli europei.

E’ così che si perviene, nostro malgrado, al punto di concordare con quanti, italiani e non, vedono le gerarchie istituzionali di qualunque livello, assumere rotte in progressivo allontanamento dalle necessità dei popoli che, al contrario, sono costretti a prendere atto che quelle élite non esitano a convocare i comizi ogni volta che necessitano di mere ratifiche, di legittimazioni postume pur lasciando i popoli «liberi» di sottoscrivere quanto già è stato da loro progettato e deciso.

Giuliano Rodelli

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