Potere farmaceutico e degrado della medicina
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Come produrre e vendere farmaci inefficaci o dannosi per curare malattie inventate, non curare malattie vere, distruggere scienza sperimentale e clinica, finanziare studi fasulli, corrompere medici ed istituzioni sanitarie, aggiogare mass media ed editoria, isolare ricercatori e medici onesti e riempirsi sempre di più le tasche di dollari ed euro alle spalle di chi soffre.

Prima parte


Luca Giordano, “Cristo scaccia i mercanti dal tempio”


Premessa

In precedenti discussioni avevamo trattato un tema che tocca tutti da vicino: quello del degrado della medicina provocato dal potere farmaceutico. Non stiamo parlando unicamente di malattie oncologiche od ematologiche, ma di ogni patologia, vera o presunta, che affligge l’umanità. Il business raggiunge l’acme in ambito oncologico, per il terrore che il cancro ispira a milioni di uomini, ma come edera malefica si abbarbica intorno a qualsiasi malattia. Oggi ci consola constatare come non siamo più soli a puntare il dito contro la degenerazione di un mondo, quello della Sanità, che dovrebbe essere presidiato con particolare attenzione e severità da qualsiasi governo, perché si sono unite, a noi e ad altri, voci numerose ed autorevoli.

Oggi la società dei consumi e l’economia globalizzata (chiamatele come più vi aggrada) hanno soggiogato le collettività umane, distraendole ed ingannandole, con una pletora di falsità, slogan, luoghi comuni e messaggi più o meno subliminali. Di conseguenza, si è venuto a creare quasi un riflesso spontaneo, che porta a rifiutare gli allarmi lanciati da un sempre maggior numero di persone libere e che ragionano secondo logica, quasi fossero espressione di pretestuoso catastrofismo. Ed è triste pensare che i primi a pagare di persona saranno i soggiogati, se colpiti da malattie più o meno preoccupanti: tali non solo per l’obiettiva gravità, ma per il negativo plusvalore costituito dai farmaci proposti per combatterle, che possono rivelarsi più letali dei morbi. E’ bene, allora, rendersi conto che nessuno tutela davvero i nostri beni più preziosi - vita e salute - per il semplice fatto che essi sono, nel contempo, fattori di profitto economico e di potere. Convinti che viviamo in un’epoca civile e di condivisa solidarietà, alleggeriti da una politica suadente che incita a cancellare la parola dovere dal vivere quotidiano, siamo stati indotti a credere ad un’umanità liberata da ingiustizie e prepotenze e affratellata da uno zuccheroso girotondo mano nella mano. E’ vero il contrario, perché siamo stati ridotti ad una immensa spugna che assorbe acriticamente ogni scempiaggine, rassegnati a farci svuotare mente, cuore e anima ed espropriare della salute dalla mostruosa EssepiA che domina il mondo contemporaneo.

E’ triste e terribilmente difficile il compito delle Cassandre nel clima di sofisticata barbarie del ventunesimo secolo. Chi si allontana dalla musiva Linea Guida è sorvegliato a vista, e in ogni caso, una volta isolato (infame sovversivo!) non può nuocere. Ci sarebbero tanti compagni di cammino e di lotta, ma i più si smarriscono di fronte alla prepotenza della suasione occulta, legittimamente (ma immoralmente) sbottano in un: Ma cosa debbo fare io, leroe? A che servirebbe? Non spetta a me, ci pensi qualcun altro. Casomai, se si muovono gli altri, mi affiancherò. L’umanità è sempre stata egemonizzata a causa di simili ragionamenti, salvandosi grazie a chi li ha rifiutati con sdegno. Ma non si può più affidare l’avvenire nostro e delle future generazioni al sacrificio ed alla croce di pochi. Occorre - tutti - svegliarsi e muoversi prima che sia troppo tardi.

Lo scopo di questa discussione è lasciare che altri descrivano questo mondo surreale - eppure reale - che più volte abbiamo esecrato nei nostri scritti, e con una tale quantità di esempi documentati da togliere ogni supposta patina di esagerazione o vis polemica alle opinioni che condividiamo. Di più: intendiamo dimostrare che non tutti sono in stato letargico di fronte alla dilagante corruzione e contaminazione delle menti, ma che esiste un movimento di opinione
ancora minoritario, ma continuamente ingrossato da nuovi adepti, che - finalmente - ci consente di sperare in un futuro migliore.

Sul DiBellaInsieme abbiamo avuto modo di riferire su studi, pubblicati da riviste collocabili nell’Olimpo dell’editoria scientifica, che hanno smascherato le truffe statistiche dell’oncologia più retriva (ci riferiamo al British Medical Journal ed al Clinical Oncology). Abbiamo anche pubblicato una discussione-recensione sul libro di una studiosa di assoluta autorevolezza, la professoressa Marcia Angell, direttrice per oltre vent’anni del New England Journal: The truth about Drug Companies (La verità sulle case farmaceutiche) (vedi Farmaci, stetoscopi e microscopi: la mercificazione della medicina clinica e di ricerca).

Contemporaneamente o successivamente al libro della Angell ne sono comparsi numerosi altri, che espandono, approfondiscono, dettagliano l’avvilente agire delle multinazionali del farmaco e l’incredibile sfruttamento dell’umanità sofferente. Ciò che conforta, in questo panorama sconfortante, è l’appoggio e la collaborazione che gli autori hanno ricevuto da parte di medici, studiosi, ricercatori, funzionari governativi, parlamentari statunitensi. Questo significa che non tutti sono disposti a vendere coscienza e dignità per una mazzetta di dollari o di euro e, soprattutto, che sono sempre di più coloro che comprendono come non si possa più andare avanti mentendo, truffando, provocando sofferenze e lutti per il budget aziendale o l’utile d’impresa.

Che si cerchi di vendere alla gente lavatrici o televisori, stipare le case di gingilli inutili, proporre investimenti disastrosi, scorticando la nostra pazienza con telefonate promozionali o quintali di pubblicità è già cosa deprecabile; ma che le stesse regole, gli stessi fini, gli stessi strumenti si applichino alla salute, non è più tollerabile. Quanti dei lettori debbono sopportare con obbligata pazienza i tentativi di drogarli intellettivamente ed ipnotizzarli da parte dei datori di lavoro? Quanti dipendenti di istituti di credito, assicurazioni, enti finanziari si sentono martellare insistentemente con frasi e parole-guida da proporre al pubblico? Il tutto con argomentazioni che, riferite da dirigenti e superiori, indurrebbero a dubitare della loro salute mentale, perché intonate ad un patriottismo aziendale che non si sa se definire ridicolo o paranoico. Le parole chiave, le... linee guida (appunto) sono: «Produrre di più! Guadagnare di più! Budget collettivo! Budget individuale!».

In realtà non si tratta di paranoici, ma solo di ometti che vorrebbero rimbecillire i loro dipendenti perché rimbecilliscano il pubblico. Nelle aziende farmaceutiche la politica è identica, speculare, nei termini come nelle metodologie. Il malato: Carneade, chi era costui? Non esiste il malato, ma il cliente: o diretto (farmaci non esenti - Sanità privata) o indiretto (Sanità pubblica).

Ed ora che abbiamo presentato il tema di questa prima discussione e delle altre che seguiranno, citiamo un poco di bibliografia. Ovviamente il testo base è quello prima citato (Marcia Angell, Farma &Co.- Editore, Il Saggiatore, per l’autorevolezza dell’autrice. Ma la stessa, nel suo libro, fa riferimento ad altri autori (tra i quali Melody Petersen, sotto citata), lodandone l’impegno civile e la documentata indagine. Può confortare la notizia che la Angell ha fatto proseliti anche tra gli studenti universitari, come quelli della Harvard Medical School di Boston, che hanno inscenato proteste pubbliche «… per chiedere la fine dellinfluenza esercitata nella scuola dalle potentissime aziende farmaceutiche».

Segnaliamo tre libri che ci sono sembrati particolarmente interessanti, i primi due dei quali insperatamente tradotti nella nostra lingua:

- Melody Petersen, Dacci oggi le nostre medicine quotidiane: venditori senza scrupoli, medici corrotti e malati immaginari, Modena, Nuovi Mondi.

- Ray Moynihan e Alan Cassels, Farmaci che ammalano: ... le case farmaceutiche che ci trasformano in pazienti, Modena, Nuovi Mondi.

- Sauveur Boukris, Quelle medicine che ci fanno ammalare, uscito in Francia nella primavera 2009 e non ancora tradotto ed edito in Italia.

Curioso però che - a parte il libro della Angell - le due opere apparse nel nostro Paese, best sellers da record negli USA, siano sfuggite ai più organizzati editori nazionali, quelli, per intenderci, che possono contare su una distribuzione e, quindi, su una diffusione capillare. La Nuovi Mondi è sicuramente una casa editrice dinamica e condotta con intelligenza, ma appare improbabile che riesca ad ottenere una diffusione quale meriterebbero i due libri. Mondadori, Rizzoli, Einaudi, Utet... che distrattoni! L’ombra di don Abbondio è un’ombra lunga, che sembra proiettarsi permanentemente su ogni attività ed aspetto sociale.

Ma ora si alzi il sipario ed abbia inizio lo spettacolo!

Infanzia
, adolescenza e gioventù delle Grandi Arpìe

§
1. Le uova del serpente

All’inizio del secolo passato l’industria farmaceutica aveva un peso modesto nel panorama economico occidentale. I farmaci erano in prevalenza di fattura galenica e, alcuni, di efficacia modesta, ma quantomeno non accompagnati da effetti secondari seri, mentre altri, dotati di eclatante attività farmacologica, discendevano da rigorosi studi sperimentali e dell’esperienza clinica. D’altra parte il ricorso al medico avveniva nelle occasioni più serie e non al primo starnuto, come succede oggi. Occorre aggiungere che molte vitamine e sostanze utili giungevano integre sino alla tavola, a differenza di quanto accade nella nostra civilissima epoca, nella quale un’esigenza così fondamentale è stata sacrificata a logiche economiche ed alla programmata distruzione del mondo rurale. Non solo e non tanto alla tempra dei nostri avi, quanto a questo fattore è da attribuire il grande numero di persone che - espressione ricorrente nei racconti dei nonni - non avevano mai preso nemmeno un raffreddore.

La considerazione che i medici e gli scienziati più qualificati avevano dei farmaci industriali era scarsissima. Come riferisce la Petersen - con particolare riguardo alla realtà statunitense -

«… i professori delle facoltà di farmacia avevano una considerazione talmente bassa di questi spacciatori di pastiglie, da precludere sistematicamente laccesso allAmerican Society for Pharmacology and Experimental Therapeutics, fondata dal dottor John Jacob Abel, a qualunque scienziato collaborasse con tali società» (opera citata, pagina 150).

Dal canto suo il dottor Abel, nel 1915, così scriveva ai colleghi: «E cosa nota che chi pubblicizza farmaci e medicine spesso ha difficoltà a limitare le proprie dichiarazioni ai fatti e deve ancora guadagnarsi la nostra fiducia».

Un episodio, risalente al 1925, quando George Merck diventò presidente dell’omonima ditta farmaceutica: in quell’anno fece clamore il romanzo Il dottor Arrowsmith, di Sinclair Lewis. Il protagonista, l’immunologo professor Max Gottlieb, da sempre fiero censore delle aziende farmaceutiche, viene costretto dal bisogno a lavorare per una di queste. Tanto per mettere il dito sulla piaga, un passo celebre del romanzo illustra come Gottlieb «... constatò che i suoi nuovi datori di lavoro erano proprio come se li era aspettati. Per esempio la società produceva una nuova cura contro il cancro ricavata dalle orchidee, sbandierata a destra e a manca ed efficace quanto lacqua fresca». Alcuni scienziati, evidentemente presi dal romanzo e compenetrati nei suoi personaggi, reagirono con sdegno all’incoerente scelta del protagonista: «… come è possibile che il vecchio Max sia passato dalla parte di questi spacciatori di pastiglie?».

Oggi, inutile dirlo, nessuno di quanti vengono presentati quali numi della scienza si scandalizzerebbe della defezione, né oserebbe parlare di spacciatori di pastiglie, visto che da questi ricava gran parte del suo reddito, più o meno ufficiale, ed a questi deve cattedra, incarichi prestigiosi e, in qualche caso, addirittura un immeritato premio Nobel. Non c’è quindi da meravigliarsi se la citata American Med. Ass. raccomandava di stare lontani dal settore farmaceutico, in quanto «solo da quei laboratori non compromessi con le società produttrici di medicinali è lecito attendersi veri passi avanti». Il settore farmaceutico doveva quindi conquistarsi una credibilità e cessare di essere considerato un’accolita di Dulcamara.

Uno dei più solerti protagonisti di questa rimonta fu George Merck, presto seguìto da altri. Venne promesso e garantito ai ricercatori accademici che sarebbero stati indipendenti dagli interessi economico-finanziari delle case farmaceutiche, ed alle promesse seguirono i fatti, sotto forma di ingenti investimenti per la realizzazione di efficienti e moderni laboratori di ricerca. In Europa, allora patria della scienza sperimentale e della medicina clinica, il rischio di contaminazioni economiche appariva meno concreto. Questo anche per l’elevato grado di consapevolezza scientifica dei più accreditati scienziati e medici, la cui formazione ed il cui orientamento poggiavano solidamente sia su una eccellente preparazione biologica e biochimica, che su una mentalità eminentemente fisiologica.

§
2. Giù la maschera!

Ma una volta accantonati i (giustificati) preconcetti degli ambienti medici e conquistata una credibilità prima assente, le finalità economiche si palesarono con cinica evidenza. L’occasione fu quella del secondo conflitto mondiale e delle frequenti setticemie che si verificavano nei militari e nei civili feriti. I sulfamidici, scoperti dallo scienziato tedesco Gerhard Domagk, pur studiati da colleghi di altre nazioni, non erano ancora disponibili per gli alleati, ma alcuni scienziati informarono il governo americano della scoperta di Fleming, fino a quel momento sepolta sotto una coltre di indifferenza non disgiunta da commenti sarcastici (si parlava delle sue inutili muffette). Il problema era come riuscire a produrre gli antibiotici in quantità sufficienti a sopperire alle esigenze correnti.

Fu una levata di scudi da parte delle case farmaceutiche di fronte alle richieste del governo statunitense e del dottor Alfred Newton Richards, dell’Università della Pennsylvania. Sia per la convinzione che il progresso scientifico ed il bene comune dovessero prevalere sulle ragioni del profitto, sia in quanto aveva fiutato che fossero imminenti soluzioni d’autorità, il lungimirante G. Merck convinse altri tre produttori a realizzare il frutto di una delle più importanti scoperte di ogni epoca e, già nel giugno 1944, al momento dello sbarco in Normandia, c’erano dosi di penicillina sufficienti per tutti i soldati impegnati nell’operazione. A dire la verità, Merck, che aveva nel frattempo brevettato la streptomicina, realizzata dal ricercatore universitario A. Waksman (successivamente insignito del Nobel), decise nel 1946 di liberalizzare il brevetto. La flessione del prezzo, dovuta alla pluralità di produttori del farmaco, incontrò peraltro l’opposizione di altri giganti del settore, tra i quali Pfitzer, il quale nel 1950 disse senza peli sulla lingua che se i concorrenti volevano perdere anche la camicia producendo antibiotici, si accomodassero pure. Evidentemente a Pfitzer interessava poco dei milioni di uomini, donne, bambini che potevano essere salvati da fatti setticemici o da infezioni batteriche gravi, come polmoniti e broncopolmoniti, grazie ai nuovi farmaci. Un segno chiaro del fatto che, ben inseritisi nel tessuto socioeconomico delle nazioni più progredite e superata l’antica diffidenza dei camici bianchi, i produttori di farmaci non avevano più motivo di tenersi la maschera calata sulla faccia. Tuttavia era ancora agli albori il processo di colonizzazione di ogni struttura ed organizzazione sanitaria oggi consolidatosi, e l’indipendenza, in special modo di molti ambienti universitari, equilibrava gli appetiti economici aziendali.

Oltre a questo – seguiamo la traccia della Petersen, concentrata sulla realtà americana – c’erano limiti imposti da una legge approvata nel 1938, sull’onda di una tragedia provocata da un farmaco, la sulfanilammide, che aveva ucciso il 30% di coloro che l’avevano assunta, spingendo al suicidio il responsabile chimico della ditta produttrice (altri tempi...). La legge obbligava il produttore a controlli sulla sicurezza del farmaco prima della sua immissione in commercio.

Uno degli agenti federali incaricati delle indagini scrisse, a proposito degli industriali farmaceutici: «… apparentemente non fanno che assemblare il farmaco e, se non esplode, lo mettono in vendita...». L’obbligo introdotto costrinse le case farmaceutiche ad assumere scienziati, considerati un tempo nemici dell’attività, ora indispensabili per proseguirla. Al termine del conflitto, negli USA si era passati dalle poche migliaia di ricercatori di vent’anni prima a 58.000 unità. Se ne avvantaggiò la farmacopea, che nel periodo fra il 1935 ed il 1955 poté disporre di più farmaci utili ed efficaci di quanti ne fossero stati realizzati nell’intera storia della medicina: vaccini, vitamine di sintesi, antistaminici, nuove generazioni di antibiotici, antivirali, tranquillanti e… sua maestà il cortisone. Per un breve periodo gli interessi dei malati coincisero con quelli dei produttori, i quali, nei dodici anni intercorsi fra il 1945 ed il 1957, raddoppiarono le vendite.

A questo punto la collettività cadde in quello che potremmo definire il grande equivoco. Tante malattie mortali o potenzialmente mortali che avevano terrorizzato intere generazioni – polmonite, infezioni, poliomelite, ecc. – venivano guarite o arginate, e la gente ritenne raggiunto o imminente il sogno di un mondo liberato da qualsiasi malattia. Peggio ancora: ci si convinse che la scienza aveva compiuto passi da gigante (rispetto al passato, questo era vero) ed avrebbe bruciato le tappe nel debellare le patologie rimaste coriacee. Nessuno, o pochi, pensò che si trattava di morbi causati da microrganismi, per cui, individuato l’agente esogeno, era facile eliminarlo e con questo eliminare la malattia. Ma nel frattempo era venuta a delinearsi un’autentica tragedia per la medicina e per i malati: il progressivo allontanamento dallo studio della fisiologia, la graduale decadenza della maestria semeiotica, l’abitudine a ragionare in termini di specialità anziché di princìpi attivi, lo scollamento sempre più marcato tra ricerca e clinica. Il mutare degli equilibri e delle influenze - forzatamente anche culturali - seguìto al secondo conflitto mondiale, causò la sostituzione della mentalità anglosassone, portata più alla praticità che all’approfondimento, alla grande scienza ed alla grande medicina dei fisiologi italiani, tedeschi, francesi. Il terreno era ora pronto per la grande abbuffata.

§ 3
. Incidenti di percorso

Dopo lincidente del sulfanilammide, i controlli prima dell’immissione sul mercato di un prodotto venivano fatti, ma superficialmente; anzi, sempre più superficialmente, grazie al calo di attenzione e di controlli degli enti governativi a ciò deputati ed alla penetrazione nel frattempo realizzata negli ambienti universitari e tra i ricercatori. In poche parole, i controllori erano controllati in percentuale importante! Ma un punto fondamentale riguarda il duplice aspetto della ricerca promossa dal settore farmaceutico: da una parte, gli effetti collaterali erano osservati (quando non disinvoltamente nascosti) a breve termine, in secondo luogo, i nuovi farmaci vennero ideati e prodotti alla cieca e senza un razionale teorico-sperimentale approfondito e preventivo. Basta/bastava farsi preparare quattro nozioni apparentemente colte da uno dei tanti scribacchini di laboratorio, ed il nuovo farmaco partiva a velocità vertiginosa come i quotidiani che escono dalle rotative. Finita l’epoca delle grandi malattie infettive e pressoché esaurite le patologie ad origine esogena, si apriva il mondo delle malattie derivanti da disfunzioni, anomalie, squilibri: la parte più vasta e difficile della morbilità umana, che solo una vasta, sconfinata cultura fisiologica, neurofisiologica, endocrinologica poteva decifrare e risolvere con studio attento ed affrancato dalle fregole budgettistiche dei giganti del farmaco. Qui casca lasino, si potrebbe esclamare: sì, è cascato, ma schiacciando sotto il suo corpo rozzo e pesante milioni di sofferenti. Lasciamo parlare gli esperti. «La gente iniziò ad immaginare un mondo senza malattie... giornali, riviste, radio e televisione salutavano trionfalmente ogni nuovo farmaco come ulteriore portento terapeutico, frutto della medicina moderna. Quasi sempre si trattava di notizie gonfiate ad arte, ma i mezzi di informazione sapevano bene ciò che il pubblico voleva sentire...» (M. Petersen, pagina 156, opera citata).

Rivelatrice l’osservazione del dottor James Le Fanu: «Dato che le conoscenze scarseggiavano, lindustria optò per un metodo di ricerca decisamente più grossolano: i ricercatori assoldati dalle case farmaceutiche presero a sintetizzare milioni di composti chimici e li testarono, sperando in un colpo di fortuna che garantisse ai loro prodotti una qualche utilità terapeutica». Siamo quindi in pieno empirismo, a livello degli alchimisti che dissertavano sulla pietra filosofale. Un esempio della inaffidabilità dei controlli, dei quali abbiamo parlato sopra, si è rivelata ad esempio per il cortisone e la streptomicina. Riguardo al primo, «... i dottori stabilirono che il farmaco causava una grave forma di osteoporosi spinale e ulcere allo stomaco talvolta letali».

Quanto alla streptomicina, si moltiplicarono segnalazioni circa l’indotta sordità e fenomeni di acuta tossicità nei bambini. E si trattava solo di una parte – la meno pericolosa – di ciò che l’abuso di farmaci simili avrebbe provocato. In ogni caso, controlli o non controlli, la macchina era partita ed eventuali disavventure in un modo o in un altro si potevano accomodare. Un esempio è costituito dalla tragedia della Talidomide, prodotta dalla Merrell, società collegata al gruppo Vick, su concessione della Chemie Grünenthal tedesca. La talidomide venne venduta come forte sedativo, presentato come immune dagli effetti collaterali dei comuni barbiturici. La Merrel affermò solennemente che il farmaco era «del tutto sicuro». Le vendite riguardarono milioni di persone in tutto il mondo e, siccome la fame vien mangiando, il medicinale venne proposto non solo per alleviare sintomi tipici delle donne in gravidanza, nausea e vomito, ma addirittura quale strumento ideale per «calmare i bambini ansiosi, nervosi e irrequieti... ottimo anche per i neonati» (dalla pubblicità della ditta produttrice, Time, 23 febbraio 1962). Prima di continuare largomento il lettore memorizzi attentamente questo messaggio promozionale, perché si tratta del primo ripugnante esempio di sfruttamento dell’infanzia.

La Merrill, ottenuta la licenza, promosse la sostanza chiamando la specialità Kevadon, proponendola a ginecologi e pediatri e sollecitando alcuni medici a scrivere relazioni: queste sarebbero servite quali prove di attività e sicurezza da presentare alla FDA. Presto apparvero i segni sconvolgenti del danno provocato dalla Talidomide: migliaia di feti morti, migliaia di bambini focomelici, con mani e piedi appena abbozzati. Il British Medical Journal pubblicò nel 1960 una relazione dalla quale emergevano danni al sistema nervoso di alcuni pazienti. Il farmaco, incredibilmente, riapparirà trent’anni dopo quale inibitore dell’angiogenesi nei pazienti oncologici! Indipendentemente dall’opinabilissima azione in tal senso (svolta in misura di gran lunga più efficace e atossica dalla somatostatina...), la sostanza maledetta si sarebbe rivelata un autentico vaso di Pandora di ulteriori gravi effetti collaterali, pregiudicando, anche irreversibilmente, la trasmissione neuromotoria relativa all’intestino.

La cosa più grave è che, come si scoprì successivamente, i primi casi di bambini deformi erano stati registrati in Germania nel 1957, ma la notizia venne censurata e si dovette attendere il 1960 perché un medico di Amburgo, il dottor Lenz, riuscisse a far giungere ai mass media la notizia che una quarantina di bambini della sua città, le cui madri erano state indotte ad assumere il farmaco, erano nati deformi. Come reagì la Merrell quando apprese dei primi tragici effetti del farmaco? Tacendo, cercando di silenziare e, cosa di gravità inaudita, di accelerare l’immissione (regolare) in commercio. Un’esponente del FDA, la dottoressa Kelsey, fin dall’inizio contrariata dalla scarsità di prove scientifiche nella documentazione presentata dalla Merrell, lesse il B.M.J., e decise di riesaminare più attentamente la richiesta di autorizzazione alla vendita. Ebbene: i dirigenti della casa farmaceutica, già al corrente delle tragedie in atto, la attaccarono furiosamente.

§ 4. Qualcuno inizia a capire


I lutti provocati dalla talidomide non potevano non provocare reazioni ufficiali, che si manifestarono con un’indagine da parte del Congresso. Il senatore Kefauver-Harris propose un rafforzamento dei controlli da parte della FDA, ottenendo l’approvazione unanime del suo disegno di legge: quantomeno per la parte che riguardava specificamente l’argomento. Rimase invece senza sèguito la serie di proposte che il parlamentare aveva presentato per ridurre il prezzo dei farmaci: il primo vero e proprio braccio di ferro tra autorità governativa e Big Pharma aveva visto così prevalere l’influenza della seconda. E dire che la logica delle osservazioni era stringente: come mai, con l’intensificarsi della concorrenza, l’aumento di vendite e profitti, gli immensi risparmi ottenuti grazie al perfezionamento dei procedimenti di sintesi, i prezzi salivano anziché scendere? La cosa costituiva un’anomalia unica nella storia dell’economia... «Molti dirigenti farmaceutici mossero aspre critiche alla legge», scrive la Petersen, aggiungendo che alcune aziende farmaceutiche minacciarono di chiudere e di trasferirsi all’estero, con conseguenze devastanti sull’occupazione. Evidentemente il mondo politico americano ritenne indispensabile (o conveniente?) moderare toni e controlli, dato che negli anni successivi non si sarebbero contate le medicine autorizzate dopo controlli sommari e documentazioni lacunose o sommarie. Il settore farmaceutico, da parte sua, rivendicò le benemerenze del passato (glissando su infamie di ogni genere e sul fatto che il merito spettava quasi esclusivamente a singoli ricercatori indipendenti) ed oppose il costo esorbitante della ricerca. Se nel 1979 si stimava che un nuovo farmaco comportasse investimenti per 54 milioni di dollari, la cifra salì a 231 nel 1991 e 802 nel 2001!!! Peccato che buona parte del costo attribuito alla ricerca o fosse gonfiato o si riferisse, in realtà, a spese promozionali (comprese anche quelle inconfessabili....), pubblicitarie e di marketing! Difficile non collegare le fiere proteste con quelle dei commercianti più sfacciati: quelli che giurano e spergiurano «… non ci guadagno quasi niente», «non copro neanche le spese», «guadagno meno dei miei dipendenti»! Fra l’altro, nei lai degli spacciatori di pillole c’erano alcune piccole dimenticanze: «… la maggioranza dei farmaci salvavita fondamentali.. .oggi non sarebbe disponibile se i contribuenti non avessero preso in carico i costi della loro scoperta... La rilevanza del denaro pubblico per il settore, in realtà si estende ben oltre ciò che le case farmaceutiche vorrebbero far credere e riguarda la maggior parte delle medicine più importanti...».

In conclusione: il cittadino paga tasse per consentire a gruppi senza meriti e senza scrupoli di accumulare utili immensi rivendendogli a prezzi esageratamente gonfiati quello che lui ha già pagato sotto forma di imposte, e che spesso o non funziona o gli fa del male anziché del bene! E’ un Paese libero quello nel quale avviene ciò? Le istituzioni governative sono fantocci di cartapesta pilotati o entità autonome?

Verifichiamo allora se queste considerazioni siano unilaterali e forzate. Leggiamo qualche altro passo illuminante: «Per creare un simile sistema, le case farmaceutiche costituirono e finanziarono delle lobby capaci di esercitare pressioni politiche su Washington per modificare le leggi a loro favore, rendendo più semplice brevettare un medicinale e assicurarsene il controllo per anni ed anni. Inoltre, riuscirono a rendere illegale la pubblica diffusione del prezzo dei farmaci, con il risultato che, ben presto, nessuno fu più in grado di dire quanto costassero in realtà le medicine» (opera citata, pagina 158).

Tornando al senatore Kefauver, emergono verità ancora più sconvolgenti. Il parlamentare, durante una delle udienze al Congresso, chiese al dottor A. Dale Console, ex dirigente della Squibb & Sons, la percentuale di farmaci inutili o dannosi oggetto delle ricerche delle industrie farmaceutiche. Ecco la risposta: «Direi più della metà. E sottolinerei che la totale inutilità di molti di questi prodotti è cosa nota già al momento della loro ideazione. Prodotti inutili, ma che venderanno». Aggiunse quindi che le case farmaceutiche avevano un raro talento nel creare falsi miti, come quello costituito dal materiale informativo recapitato ai medici, ed una «… capacità unica di far passare lo sfruttamento economico per una nobile causa». L’insolenza ed arroganza degli alti dirigenti in servizio può essere esemplificata invece dalle dichiarazioni di Francis C. Brown, presidente di Schering Corporation, il quale, incalzato da Kefauver sui prezzi troppo alti dei farmaci, rispose che non erano i farmaci ad essere troppo cari, ma «… gli americani a non guadagnare abbastanza», ed all’osservazione che abbassando i prezzi si sarebbero attirati più clienti «… senatore, non possiamo moltiplicare i malati» (Atti del Congresso, 7-12 dicembre 1959). Ma vedremo che anche questo prodigio porterà ad una riedizione – anche se truffaldina – della moltiplicazione dei pani: i malati sono stati aumentati sia togliendo dalla circolazione sostanze utili, che perpetuando con farmaci inefficaci patologie altrimenti temporanee, che facendo diventare malati i sani, che inventando nuove (ed inesistenti) patologie. Sarà questo il tema di paragrafi che si succederanno.

Ma continuiamo a spulciare tra i verbali di questa inchiesta governativa, e troveremo una delle prove di un falso rato e consumato: quello dei costi della ricerca quale fattore dei prezzi elevati. Il dottor E. Giffors Upjohn, presidente dell’omonimo colosso farmaceutico, dovette ammettere che il 28,6% dei costi elencati nel conto economico era comportato da spese di promozione, sotto forma di retribuzione di un migliaio di rappresentanti!!! Quando i funzionari governativi che collaboravano con il senatore indagarono sul bilancio, scoprirono che il profitto medio netto dell’azienda (al netto, quindi, di ogni costo, degli oneri finanziari, dell’imposta sugli utili, di ammortamenti ed accantonamenti) raggiungeva il 21,4% del fatturato, circa il doppio dell’11% di aziende di altri settori. Ma perché spendere tanto in marketing? Lo chiarì il dottor Louis Lasagna, direttore dell’Istituto di Farmacologia Clinica della Johns Hopkins: troppi farmaci «… non funzionavano altrettanto bene dei farmaci più vecchi che avevano sostituito». Assai eloquente anche un articolo del farmacologo Walter Modell, il quale rivelò che le aziende si dedicavano ad una roulette permanente, incaricando i propri chimici di apportare quelle minime alterazioni alla composizione molecolare dei farmaci dei concorrenti per aggirare i limiti dei brevetti. Concluse che questa manipolazione molecolare mirava ad infilarsi in un mercato realizzato sulle scoperte realizzate da qualcun altro.

Prossimamente tratteremo in modo più specifico – e, in un certo senso, più coinvolgente – argomenti relativi a farmaci rivelatisi dannosi o inefficaci, a malattie inventate, alla corruzione ed alla campagna acquisti delle case farmaceutiche, con riferimenti anche a medicinali ampiamente diffusi, magnificati e prescritti nel nostro Paese.

Adolfo Di Bella, responsabile Pubbliche Relazioni Metodo Di Bella, fratello di Giuseppe Di Bella

Per gentile concessione dell'autore

Fonte >  Di Bellla Insieme


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