McWilliams comincia a ricordare che, quando l’Irlanda aveva la sua valuta nazionale agganciata al marco tedesco (come la lira italiana, eravamo nel serpentone europeo) «abbiamo svalutato sei volte in 13 anni nello sforzo di restare competitivi rispetto ai tedeschi. Per contro, quando siamo entrati nell’euro e non possiamo più svalutare, abbiamo perso il 30% di competitività rispetto alla Germania». L’Italia ha perso il 40%.
Continua McWilliams:
«È chiaro che tutti (si noti quel tutti) i Paesi periferici necessitano di un cambiamento del valore delle valute per rendere le nostre imprese più competitive, e più esportatrici. Abbiamo anche bisogno di rendere le importazioni più costose, in modo da non importare troppo. Il tasso di cambio debole realizza entrambe queste cose. La svalutazione funziona».
E ricorda come la Finlandia e la Svezia abbiano conquistato una competitività stabile (non temporanea) dopo aver svalutato nel ‘92.
Senza svalutare, continua l’irlandese, «non possiamo tener testa alla Germania e questo rende la promessa UE di convergenza economica difficile da ottenere senza prendere pesantemente in prestito... Adesso nessuno di noi riesce a ripagare questi prestiti».
Pura e semplice realtà, quale nessuno che conti in Italia sta dicendo.
La proposta che ne viene è limpida:
«Quindi ci occorre un condono del debito o qualche rinegoziazione di esso. Il nuovo euro (del Sud, o dei Paesi periferici) andrebbe accompagnato da una massiccia cancellazione del debito, perchè se si riduce il valore della moneta in cui la gente viene pagata senza proporzionalmente ridurre il valore dei loro debiti in essere, la gente semplicemente non sarà in grado di pagare e il Paese farà default dopo la svalutazione. Le due cose vanno fatte insieme».
McWilliams preconizza ovviamente un euro-debole separato dall’euro-forte, che resterebbe ai tedeschi e ai loro satelliti.
«Il nuovo euro-debole si negozierebbe, diciamo, al 70% del vecchio. Il che significa che, in rapporto ai tedeschi, il nostro livello di vita sarebbe ridotto di un terzo da un giorno all’altro».
Tragedia sociale? Sì, ammette l’irlandese. Ma non dimentichiamo che le politiche attualmente imposteci dalla UE, dalla Germania e dal Fondo Monetario puntano esattamente a farci arretrare nel livello di vita.
«Otterremmo in un giorno ciò che le attuali politiche cercano di fare in cinque anni».
«Una botta e via»: è meglio della lenta garrota eurocratico-bancaria. In compenso, «diverremmo un luogo che attrae investimenti perchè il nostro costo del lavoro sarebbe a più buon prezzo». Naturalmente non si deve dimenticare che i redditi della gente sarebbero ridotti di altrettanto.
Un bel vantaggio sarebbe nella riduzione di tutti i debiti del 30%. Le banche che hanno prestato in euro forti, e dovessero essere ripagate in euro deboli, «sopporterebbero grosse perdite di cambio». Ma le banche nei Paesi passati alla nuova moneta potrebbero emettere titoli garantiti dalla UE e riscattabili in nuovi euro (deboli) presso la BCE.
«Questi titoli possono essere considerati capitale, in modo che le banche non falliscano».
McWilliams si preoccupa anche dei risparmiatori, che hanno i risparmi in euro-forte e li vedrebbero convertiti in euro-deboli, al 30% in meno. E prevede una soluzione:
«Ai risparmiatori si possono dare nuovi bond indicizzati sull’inflazione emessi dallo Stato e redimibili presso la BCE, ma non immediatamente».
Ciò non è anormale, in quanto generalmente la gente lascia dormire i risparmi in banca; bisogna dare un incentivo a questo comportamento, e gli Stati «dovrebbero assicurarsi che i nuovi titoli siano credibili abbastanza, che i detentori non desiderino incassarli a tambur battente».
Non è una prospettiva allegra? Ma non c’è mai il miglior modo di uscire dalla crisi, «solo il meno peggiore». Quello dei due euro a due velocità, «almeno, scongiura il caos di un’implosione caotica e il ritorno in fretta e furia a troppe diverse valute».
Perchè è questo che avverrà, per come si sono messe le cose, e per come si applicano le terapie per conto del sistema bancario: una implosione caotica dell’euro, la vaporizzazione, e il ritorno confusionario e tragico a tante valute, ciascuno per sè.
McWilliams propone invece un’alleanza monetaria fra i Paesi periferici, Italia, Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda, con una sola moneta, un euro-debole, e un taglio coordinato e controllato dei loro debiti tutti insieme.
E chi doveva chiamare a raccolta i Paesi vittime della Germania? Il più grosso dei periferici, ossia l’Italia. Se avesse avuto un minimo di autorità politica e una qualche credibilità internazionale.
Perciò non posso sopportare che Berlusconi oggi faccia sapere: «Vedete? Nominato Monti, lo spread non è sceso. Dunque non ero io la causa della crisi». Sì, è stato lui. Lui che negli anni di bonaccia non ha ridotto il debito pubblico, ma l’ha dissennatamente aumentato con spese da pessimo amministratore, mentre era prevedibile che il Paese col terzo debito del mondo, che faticava a servirlo negli anni buoni, alla prima crisi finanziaria seria si sarebbe trovato nei guai grossi, ossia senza credito. È stato lui a tralasciare quell’accordo e coordinamento fra Paesi periferici, che oggi bisognerà fare in fretta, e che nessuno qui sembra in grado di fare (noi pendiamo dalle labbra dei tedeschi, del FMI, della Goldman).
I giornali che il Cavaliere paga (Il Giornale e Il Tempo, Il Foglio e Libero) si sono scoperti una vena complottista svergognata: proprio loro che deridevano chi indicava le trame dei potere forti, strillano che i banchieri e Goldman Sachs ci hanno rubato «la democrazia» togliendo la poltrona a Berlusconi. Accade persino che alla Radio RAI di Stato si parli apertamente dei «tre di Goldman», Draghi, Monti e Papademos, si dia voce a persone che denunciano il gruppo Bilderberg, si fa il nome della Commissione Trilaterale, che fino a ieri nessun giornalista pronunciava o scriveva…
Come autori di volumi dal titolo Complotti, dovremmo rallegrarci? Invece no. Quando le teorie cospirative arrivano sui media, da una parte vuol dire che hanno perso la loro forza politica, dall’altra sono luoghi comuni fasulli: agitati oggi dal berlusconismo ormai impotente, e dalla classe politica in generale, come alibi per il suo fallimento.
Monti delegato di Goldman Sachs? D’accordo: ma voi avete forse fatto meglio? Avete fatto peggio. Saccheggio dei beni pubblici, ostacoli al Paese che lavora, mantenimento di eserciti di parassiti, fantastiche «lotte all’evasione», servilità verso le lobby interne ed estere, mancanza di visione e prospettiva, e incompetenza; la mignotto-crazia di Berlusconi è stata solo l’ultima ditata (di cacca) sulla bancarotta della nostra vita politica. A tal punto, che la maggioranza oggi spera di farsi salvare da Monti e da Draghi proprio perchè hanno alle spalle Goldman Sachs.
Saranno delusi. Perchè ormai il crack avanza ad una tale velocità, che è dubbio che anche i poteri forti ultra-sovrani stiano agendo in base a un progetto, e non siano invece sotto l’effetto del panico.
Siamo nella fase che un famoso economista, Rudy Dornbusch (morto nel 2002) descriveva così:
«La perdita di fiducia ci mette più tempo ad apparire di quanto si pensi, ma poi compare più rapidamente di quanto ognuno possa credere. Gli Stati riescono a finanziarsi finchè, di colpo, non ci riescono più. Il non-rischio resta non-rischio finchè è solo rischio».
Era almeno dal 2007, quando scoppiò la Lehman, che bisognava approntare le difese, che bisognava denunciare Goldman Sachs e vietarne per legge le invenzioni speculative e le frodi. Oggi è tardi per credere di nuovo nella classe politica. Anche nella vita pubblica è appeso il cartello: Non si fa più credito.
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