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Un Papa e sua figlia (parte II)
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Lucrezia: una vittima della storia

Sulla figlia di Papa Borgia, Lucrezia, se ne sono dette tante. La carrellata di accuse più o meno fondate e sovente false fu inaugurata, solo quindici anni dopo la sua morte, dal Guicciardini (che stinco di santo non era neanche lui) il quale riprese, sul suo conto, l’accusa – infondata come vedremo – di essere stata l’amante del padre e dei fratelli.

Questa accusa, insieme a quella di essere l’assassina dei suoi amanti in quanto esperta nell’uso dei veleni, fu acriticamente fatta propria, nel XVIII secolo, prima da Alexander Gordon e poi da Voltaire. Nel XIX secolo, mentre Byron per primo si accorse, studiando direttamente le fonti, che le accuse contro Lucrezia erano per lo più infondate, rincarò invece la dose Victor Hugo con la sua opera Lucrezia Borgia nella quale lo stereotipo della figlia di Alessandro VI come prototipo della malvagità femminile viene riproposto e rafforzato. Sulla stessa linea hughiana si pose anche – e non c’era da aspettarsi nulla di diverso da un massone come lui – Alexandre Dumas.

La leggenda nera su Lucrezia come amantide,  femme fatale ed assassina ha finito così per consolidarsi nella vulgata comune.

Ma la realtà storica di questa complessa, e sofferente, figura femminile è molto diversa dall’immaginario romanzato degli Hugo e dei Dumas o dagli stereotipi volterriani.

La critica storica ha infatti rivisitato la figura di Lucrezia giungendo alla conclusione che si trattò di una donna, del suo tempo, alle prese con le ambizioni del fratello Cesare e le ambiguità del padre Pontefice.

Combattuta tra quelle ambizioni, la sofferta fedeltà alla propria famiglia e l’aspirazione ad una posizione onorevole nel mondo aristocratico italiano dell’epoca, Lucrezia – come vedremo – per tutta la vita non cessò mai di cercare Dio riuscendo, alla fine, a trovarlo.

Lucrezia è una «vittima della storia» come recita il titolo del libro, scritto nel 1866, di Giuseppe Carponi, che è stato uno dei primi suoi biografi a riabilitarla. Il Carponi utilizzò documenti fino ad allora sconosciuti, provenienti dall’archivio degli Estensi di Ferrara. A questa prima riabilitazione storica fece seguito quella di Ferdinando Gregorovius, lo storico ottocentesco per niente tenero verso il cattolicesimo, che nel 1874 pubblicò, nella sua biografia di Lucrezia, altra importante documentazione. Quando Leone XIII nel 1888 aprì agli studiosi gli archivi vaticani, Ludwig von Pastor, il noto storico del Papato dal medioevo alla modernità, poté usufruire di ulteriore documentazione che smontava la leggenda nera sulla figlia di Alessandro VI. Nel 1939 fu, poi, la volta di Maria Bellonci che, nella sua biografia lucreziana, apportò nuovi documenti favorevoli alla rivisitazione della vicenda della Borgia. Fino a giungere agli studi revisionisti sui Borgia di Massimo Miglio, accreditato da Cardini come autorevole ed oggettivo anche perché insospettabile di simpatie cattoliche.

Una infanzia dorata ma difficile

La bella e saggia Lucrezia – così la descrivevano i suoi contemporanei – nacque a Subiaco il 18 aprile 1480. Era la terza figlio di Rodrigo Borgia, in quel momento arcivescovo di Valencia. La madre era l’aristocratica bresciana Vannozza Cattanei, contessa di Candia ed amante di Rodrigo per quindici anni.

Lucrezia era l’unica figlia femmina di Rodrigo Borgia. Aveva infatti solo fratelli: due maggiori, Cesare e Juan, ed uno minore, Jofré.

Lucrezia ed i fratelli vissero sempre in Italia. L’essere considerati stranieri, per via delle loro ascendenza catalana, rafforzò i loro legami parentali e Lucrezia si sentirà sempre molto legata ai fratelli, in particolare a Cesare, benché soffrisse di un forte conflitto interiore tra questo amore fraterno e l’orrore morale per i misfatti del Valentino. Misfatti dei quali, come vedremo, lei stessa sarà vittima.

Come i fratelli, Lucrezia fu educata ad un consapevole senso di superiorità per farle acquisire la convinzione che la sua famiglia, e conseguentemente lei medesima, fosse destinata ad un ruolo eccezionale nel panorama politico del tempo.

Convinzione che fu rafforzata nel 1492 quando il padre ascese al soglio di Pietro.

I suoi primi anni Lucrezia li trascorse affidata alla madre Vannozza con la quale, però i rapporti rimasero sempre molto freddi e distaccati. Al contrario di quelli con il padre che, come testimoniano i contemporanei, aveva per lei un affetto paterno addirittura smodato. Cosa sulla quale poi i detrattori di casa Borgia fecero leva per diffondere le calunnie circa presunti rapporti incestuosi tra padre e figlia.

Successivamente Lucrezia fu affidata ad Adriana Mila, una cugina di Rodrigo. Fu così che Lucrezia ricevette un’educazione di prim’ordine grazie ai migliori precettori disponibili all’epoca. Poesia, latino, arti, filosofia, insomma tutto lo scibile dell’epoca. Lucrezia acquisì una padronanza linguistica poliglotta imparando spagnolo, francese ed italiano. L’educazione religiosa, che sarà sempre molto importante nella sua vita, l’apprese nel convento di San Sisto.

La Mila era vedova di Ludovico Orsini. Assumendo, dopo la morte del marito, il ruolo di capofamiglia cercò e trovò protezione nel potente cugino alla cui volontà si assoggettò del tutto, non solo a riguardo dell’educazione di Lucrezia ma anche accettando la relazione tra Rodrigo e sua figlia, Giulia Farnese Orsini, all’epoca quattordicenne. Giulia sarà la prima intima amica di Lucrezia, cui lei rimase legata per tutta la vita.

Cresciuta in questo clima di egemonia maschile, Lucrezia, che ricambiava sinceramente l’affetto preferenziale che il padre aveva per lei, si trovò, come già accennato, per l’intera sua esistenza combattuta tra la fedeltà famigliare e l’intima ribellione alle decisioni del padre e del fratello Cesare, soprattutto quando queste, interferendo con la sua travagliata vita matrimoniale, finivano puntualmente per rovinarle le unioni coniugali alle quali lei, nonostante alcune sbandate adulterine e nonostante fossero state in alcuni casi contratte per motivi politici, si sentiva davvero, anche sacramentalmente, legata.

Una figlia da maritare per lambizione del fratello

Fin dagli undici anni Lucrezia diventò lo strumento della politica matrimoniale del suo casato. Infatti, a quell’età, fu promessa sposa a due facoltosi pretendenti spagnoli. Ma divenuto il padre Papa, le sue quotazioni matrimoniali salirono ben più in alto. Ora, infatti, da Papa, il padre aveva nella figlia uno strumento eccezionale per stringere le più opportune alleanze politiche con la famiglie che all’epoca contavano in Italia ed in Europa. L’intenzione di Rodrigo era quella di entrare nella fitta rete di alleanze matrimoniali, che legava tra loro le famiglie regnanti dei casati italiani, allo scopo di attuare il disegno di egemonia politica, perseguito dal figlio Cesare, mirante, come si visto, alla costruzione di un principato laico, dei Borgia, nel centro della Penisola.

Su proposta del cardinale Ascanio Sforza, Lucrezia, non ancora tredicenne, convolò a nozze con Giovanni Sforza, nipote del cardinale e ventisettenne duca di Pesaro, all’epoca feudo pontificio. Il duca di Milano, Ludovico Sforza, detto il Moro, che era riuscito a conquistare con un colpo di Stato il ducato anche grazie all’appoggio aragonese, rappresentava in quel momento il più potente signore dell’Italia rinascimentale. L’alleanza con gli Sforza, mediante il matrimonio della figlia con un nipote di Ludovico, era per Papa Borgia una mossa politica strategica. Queste nozze consentivano ad Alessandro VI, legandosi ai potenti Sforza, di costituire – almeno così sperava il Borgia ancora ignaro della scelta politica che di lì a poco avrebbe portato Milano ad allearsi con la Francia – una lega difensiva per lo Stato della Chiesa in vista dell’imminente invasione francese.

Infatti il re di Francia, Carlo VIII di Valois, rivendicava, quale eredità angioina, la corona del regno di Napoli, contendendola agli aragonesi. Papa Borgia non guardava favorevolmente alle pretese francesi, anche perché si opponevano a quelle degli aragonesi, ispanici come lui. Non solo: inopinatamente Ludovico il Moro, duca di Milano, tradendo l’alleanza con gli aragonesi, passò dalla parte del sovrano d’oltralpe, probabilmente temendone la potenza militare e le conseguenze sul suo dominio lombardo in caso di sconfitta per mano francese. Una mossa politica, questa di Ludovico, per la quale sarà giudicato da Machiavelli e Guicciardini come il principale responsabile dell’inizio del servaggio dei principati italiani ai sovrani stranieri.

A seguito del voltafaccia di Ludovico, lo Stato della Chiesa, se Carlo avesse avuto successo, si sarebbe trovato circondato dai domini francesi in Italia, cosa che Alessandro VI non poteva permettere sia perché assecondava piuttosto le mire politiche del figlio Cesare sia perché, da Papa, seguiva il constante orientamento della sede pontificia tradizionalmente volto ad impedire il formarsi nella Penisola di un potere tale da circondare e mettere alle strette la sede del Vicario di Cristo, minacciandone la libertà (1).

Papa Borgia, quindi, rafforzò i suoi rapporti di alleanza con gli aragonesi di Napoli facendo sposare suo figlio Jofré con Sancha, figlia di Alfonso II di Napoli. Naturalmente Carlo VIII non stette a guardare e scese in Italia. Alfonso cedette la corona di Napoli al figlio Ferdinando e fuggì in Sicilia. Alessandro VI venne a trovarsi in gravi difficoltà anche per la ribellione dell’aristocrazia romana filo-francese e fu costretto da Carlo VIII, giunto nel frattempo a Roma, a chiudersi in Castel Sant’Angelo, fino a che non decise di trattare con il Valois per offrirgli, in cambio del giuramento di fedeltà, il libero passaggio sul suolo pontificio nonché mettendogli a disposizione il figlio Cesare come guida fino ai confini con il Regno di Napoli. In tal modo Carlo VIII entrava in Napoli il 22 febbraio 1495.

Alessandro VI, però, evitato il peggio durante l’invasione francese, aveva riunito, il 31 marzo 1495, in una Santa Lega tutte le forze italiane ed europee ostili alla Francia. Contro il re di Francia si erano coalizzati Massimiliano d’Asburgo, la Spagna, Venezia e Milano (tornata sui suoi passi).

A questo punto Carlo VIII comprese che le cose si mettevano male e risalì la Penisola per essere però sconfitto dagli alleati, guidati da Francesco II Gonzaga (che, come vedremo, avrà un ruolo importante nella vita sentimentale di Lucrezia) a Fornovo, nel parmense, il 6 luglio 1495, mentre il trono di Napoli era riconquistato da Ferdinando d’Aragona. Tornato in Francia, Carlo VIII passerà le proprie rivendicazioni dinastiche su Napoli a Luigi XII, che, a sua volta, le giustificò anche per via della sua ascendenza, per parte materna, viscontea (i Visconti erano stati, prima degli Sforza, i signori di Milano).

Diffamata per una lite tra il padre e il marito

Lucrezia Borgia
  Presunto ritratto di Lucrezia Borgia dipinto da Bartolomeo Veneziano (1510 circa).
In questo quadro politico, ma prima che Ludovico il Moro passasse dalla parte di Carlo VIII, le nozze tra Lucrezia e Giovanni Sforza furono celebrate per procura il 2 febbraio 1493 e religiosamente il 12 giugno dello stesso anno a seguito del sopraggiungere del duca di Pesaro a Roma.

Pare che su ordine del padre Papa, le nozze non furono consumate immediatamente. Alessandro VI che, come si è detto, era molto legato a sua figlia, preoccupato per la giovane età della sposa impose come data della consumazione il successivo mese di novembre. Giovanni Sforza si allontanò così da Roma per ritornarvi solo nel Natale successivo.

Quando, però, come si è visto le alleanze politiche di Papa Borgia subirono un improvviso mutamento, che oppose la Santa Sede a Ludovico Sforza, anche le vicende matrimoniali della bella Lucrezia ne furono travolte.

Lucrezia che, se non per amore certo per il forte senso dei doveri impostigli dal suo nuovo status sociale, aveva, nel frattempo, seguito il marito a Pesaro, bene accolta dalla popolazione e dalla corte, assisteva dal suo nuovo dominio agli avvenimenti relativi all’invasione francese, senza troppo ingerirsi in quelle questioni politiche piuttosto assecondando quella che al momento era la sua unica ambizione: essere una perfetta castellana e coltivare, come tale, le arti e le lettere.

Ma gli avvenimenti pubblici costrinsero anche Lucrezia a prendervi parte finendo essi per intrecciarsi con la sua vita privata. Il padre Papa aveva infatti ordinato a suo marito, Giovanni Sforza, di mettersi al servizio di Francesco Gonzaga marchese di Mantova, comandante dell’esercito della Lega antifrancese. Giovanni Sforza invece avrebbe voluto porsi al servizio diretto di Ludovico il Moro.

Questo ambiguo comportamento del consorte, unito a non indifferenti pretese monetarie per raggiungere l’esercito della Lega, innescarono una lite in famiglia tra suo marito e suo padre. Una lite della quale fece le spese, in termini di immagine, la povera Lucrezia.

Iniziò in questi frangenti a formarsi la leggenda nera su di lei.

Il giorno di Pasqua del 1497, Giovanni Sforza, temendo per la sua vita, fuggì da Roma. Si vociferò che fosse stata la stessa Lucrezia a mettere in guardia il marito del brutto clima che si stava formando intorno a lui. Adirato, Alessandro VI intimò al genero di ritornare a Roma. Giovanni però si era posto sotto la protezione di Ludovico il Moro che tentò una mediazione con il Papa. Il marito di Lucrezia accusava il suocero di tenergli lontana la moglie. Non sappiamo quanto di vero vi fosse in queste accuse. Quel che è certo è che il Papa, spazientito, decise di sciogliere il matrimonio ed allo scopo di avviare il processo di annullamento accusò, a sua volta, il genero di essere impotente e di non aver pertanto consumato le nozze.

Per tutta risposta, Giovanni Sforza replicò gettando fango su Alessandro VI ed, ingrato verso Lucrezia nonché incurante delle conseguenze che sarebbero ricadute sulla moglie, accusò il suocero di incesto con la figlia.

Lucrezia diventava, dunque, vittima di una lite alla quale assisteva dal convento di San Sisto, dove si era ritirata in cerca di pace e di silenziosa preghiera nonché per evitare il gran chiasso che tali tristi vicende facevano attorno a sé.

Suo padre fece pressioni su di lei affinché confermasse davanti ai giudici l’impotenza del marito ed essere, così, dichiarata ancora intatta.

Abbandonato anche dal Moro e dalla famiglia, Giovanni Sforza finì per riconoscere, in sede processuale, la propria impotenza e per firmare il documento di nullità del matrimonio.

Al momento di questi fatti, Lucrezia aveva diciassette anni. Non è affatto certo se la dichiarazione della sua integrità verginale, sulla cui base fu annullato il matrimonio, fosse stata o meno la conseguenza di una visita medica.

È tuttavia certo che da questi avvenimenti iniziarono a diffondersi le calunnie contro di lei,
segnandone per secoli la reputazione e trasformandola, nell’immaginario collettivo, in quella che comunemente si dice essere una Lucrezia Borgia

Quasi nessuno, infatti, nonostante la confessione dell’interessato, bevve l’accusa di impotenza rivolta allo Sforza. Al contrario l’opinione pubblica dell’epoca, ieri come oggi sempre alla ricerca di scabrosità morbose con cui condire la propria libidine, mostrò di ritenere più fondata l’accusa di incesto che Giovanni Sforza aveva rivolto al Papa suocero.

Anche perché, solo pochi mesi dopo l’annullamento del matrimonio e durante la trattative del suo secondo matrimonio, dal quale il fratello Cesare sperava di trarre grandi vantaggi per le sue ambizioni politiche, Lucrezia fu coinvolta in un altro fatto di cronaca che contribuì a rafforzare la convinzione circa le sue dubbie relazioni con il padre ed il fratello Cesare.

Durante la sua volontaria reclusione in convento, le comunicazioni tra lei e suo padre furono tenute per la mediazione di un giovane spagnolo, Pedro Calderòn detto Perotto, che il 14 febbraio 1498 fu ritrovato cadavere nel Tevere, insieme alla dama di compagnia di Lucrezia, Pantasilea.

I sospetti popolari si indirizzarono immediatamente verso Cesare Borgia quale mandante di entrambi gli omicidi. Si disse che Lucrezia fosse rimasta incinta del Perotto e che essa, con l’aiuto della Pantasilea, fosse riuscita a nascondere, per tutto il tempo del processo di annullamento del matrimonio, la sua gravidanza. Ora, però, che Cesare stava preparando per la sorella un altro matrimonio politico, non era possibile far trapelare lo scandalo. Da qui il sospetto sul Valentino.

Sembra che Lucrezia abbia dato alla luce il presunto figlio di Perotto nel convento di San Sisto. Del bambino non si sa nulla. Alcuni storici sostengono che sia morto alla nascita o poco dopo. Altri lo identificano con l’infans romanus, Giovanni Borgia, del quale Alessandro VI, con proprie bolle, prima attribuì la paternità al figlio Cesare e poi a se stesso. In effetti l’infante sembra essere nato nello stesso periodo del parto di Lucrezia. La quale, del resto, accudirà sempre con grande amore, quasi materno, quello che ufficialmente era un altro suo fratello per parte di padre.

Accuse infondate e tuttavia sedimentate

Questi i fatti circa l’origine della infamanti accuse contro Lucrezia e suo padre. Si tratta ora di valutare quanto di fondato vi sia, storicamente, in queste accuse, che per essere nate in seno ad una lite familiare, come contrappunto all’accusa di impotentia sexualis rivolta a suo marito, non possono che essere immediatamente sospette allo storico.

Diversi storici sono infatti portati a ritenere le accuse di incesto come del tutto infondate proprio perché originate dal livore di Giovanni Sforza contro Alessandro VI.

Altri storici, come Maria Bellonci, d’altro canto, sono portati a ritenere, sebbene con molta prudenza, che l’atteggiamento iniziale di reticenza di Giovanni Sforza, circa la causa del suo allontanamento dalla famiglia della moglie, sarebbe indizio di una certezza, in lui, del fondamento delle sue accuse contro Papa Borgia. Si fa notare che lo Sforza pur accusando il suocero sembra volesse salvare la moglie facendola passare come soggiogata dalla cupidigia del padre e del fratello Cesare.

Ma è proprio questo atteggiamento dello Sforza ad evidenziare il carattere di scarsa fondatezza delle sue accuse, della gravità delle quali egli si rendeva perfettamente conto tanto da volerne in qualche modo esentare, da ogni attiva responsabilità, la moglie.

Dalle fonti coeve è noto agli storici il carattere impulsivo di Alessandro VI. Un carattere che manifestava una estrema passionalità in tutte le relazioni sociali. Il Borgia esternava il suo affetto paterno verso i figli con modalità eccessive. Per Lucrezia, come si è già detto, aveva un particolare affetto paterno che lo portava a coccolare la sua pupilla in forme esagerate. Del resto, un medesimo affetto soffocante Rodrigo esternava anche verso i figli maschi, ad iniziare da Cesare nel quale riponeva tutte le speranze politiche del casato. Questo eccesso di amore domestico si palesava esagerato, ad occhi estranei, anche quando coinvolgeva tra loro direttamente i fratelli, che come si è visto erano cresciuti insieme strettamente legati in un ambiente adottivo che li osteggiava perché stranieri. Lucrezia e Cesare, poi, erano particolarmente legati ed il loro affetto fraterno, nonostante le successive dure vicende che li opposero, durò fino alla fine.

Ebbene tutto questo troppo sviscerale legame di sangue, a chi come Giovanni Sforza era stato cooptato dall’esterno nella famiglia Borgia, poteva sembrare non solo eccessivo ma anche sospetto.

Visto con gli occhi di suo marito, l’affetto smodato e smodatamente manifestato di suo padre e di suo fratello verso Lucrezia poteva anche far nascere pensieri e dubbi, magari tormenti, su quali fossero i reali limiti di tale amore familiare. E questo spiegherebbe la reticenza dello Sforza nel formulare le sue accuse contro il suocero ed il cognato ed allo stesso tempo la sua convinzione che qualcosa di vero nei suoi sospetti doveva esserci pur non avendone egli alcuna prova.

Forse Giovanni era tormentato dal suo sospetto, mal nutrito e non provato, e volendo salvare la reputazione della moglie non era inizialmente disposto a rivolgere una accusa di tal gravità al suocero ed al cognato. Fino a quando non fu a sua volta accusato di essere impotente. Solo allora, nel tentativo di difendersi, lanciò l’infamante accusa contro i familiari della moglie ottenendo, però, esattamente quanto avrebbe voluto evitare, ossia la damnatio memoriae della povera Lucrezia.

Le voci sulla incestuosità dei Borgia, nate dall’accusa dello Sforza, contribuirono in modo determinante a costruire la leggenda nera su Lucrezia. Leggenda che si formò immediatamente. Il cronista Giuliano Priuli raccolse, in Venezia, le voci sulla figlia del Papa dipingendola come «la più gran puttana di Roma». Un altro cronista, il Matarazzo, la descriveva, a Perugia, come «colei che portava il gonfalone delle puttane». Persino in certi ambienti aristocratici la reputazione di Lucrezia ne uscì distrutta. Il duca di Salerno ebbe, infatti, occasione, e non esitò, di dichiarare che mai avrebbe acconsentito ad un matrimonio di un qualche suo congiunto con una donna che per pubblica fama era ritenuta «havere dormito con li fratelli».

Ora, però, al di là della leggenda popolare che si andava formando sul suo conto, nelle relazioni segrete della diplomazia del tempo, sempre attente ad ogni notizia utile alla ragion di Stato – tanto è vero che a proposito di Lucrezia esse attestano la nascosta relazione tra la figlia del Papa ed il Perotto –, nulla si dice di presunte tresche incestuose tra i Borgia.

Non solo. Tace, in proposito, anche quella che è considerata dagli storici la fonte più importante sulle vicende domestiche e politiche dei Borgia. Si tratta del Liber Notarum redatto da Burcardo di Strasburgo, il maestro delle cerimonie di Papa Borgia.

Quest’opera è piena di notizie sulla vita familiare dei Borgia oltre che sulle cerimonie e feste della corte papale come della casa privata di Alessandro VI. L’affidabilità del Burcardo è garantita dal fatto che egli non esita ad attestare, con estrema precisione, anche le scene d’oscenità alle quali, quale maestro di cerimonie, aveva assistito e forse partecipato. Visto, infatti, il ruolo che il cerimoniere aveva nella corte pontificia, laddove egli fosse stato intenzionato ad edulcorare certe vicende o a nascondere certi fatti non ne avrebbe trattato, come invece ha fatto, con la massima trasparenza entrando persino nei dettagli più piccanti.Quindi un tale, privilegiato, osservatore ben difficilmente si sarebbe astenuto dal riportare eventuali orge incestuose in casa Borgia laddove ne fosse stato testimone oculare.

Burcardo, ad esempio, non esita, essendone stato testimone diretto, a tramandare due episodi osceni riguardanti proprio la figlia prediletta di Papa Borgia. Mai però egli parla di comportamenti incestuosi tra Rodrigo, Cesare e Lucrezia.

Gli episodi osceni attestati dal Burcardo risalgono al periodo delle trattative in corso per il terzo matrimonio di Lucrezia. Il primo di questi episodi è il cosiddetto ballo delle castagne. Un’orgia che si svolse, nella notte del 31 ottobre 1501, alla presenza del Valentino, di Rodrigo e della stessa Lucrezia. Sotto loro incitamento, cinquanta cortigiane, arruolate alla bisogna, completamente nude si rotolavano, come animali, per raccogliere, prone, le castagne ad esse gettate dai Borgia. Il secondo episodio risale invece all’11 novembre dello stesso anno: Lucrezia ed il padre assistettero, divertiti, ad una monta equina lasciandosi andare a maliziosi commenti.

Ma nonostante queste scabrosità, nient’affatto taciute, il Burcardo non fa alcun cenno, neanche minimo, ad incesti familiari tra Lucrezia ed i parenti più stretti.

(fine seconda parte)

Luigi Copertino




1) Certi storici hanno visto in questa tradizionale politica papale l’impedimento secolare al formarsi in Italia di uno Stato unitario. In realtà va piuttosto osservato che, al di là della questione unitaria, è stato il Papato, con la sua presenza al centro della Penisola, a preservare, per secoli, l’identità nazionale italiana, forgiatasi nella fede cattolica, evitando all’Italia la suddivisione culturale e politica tra un sud attratto nell’orbita arabo-bizantina ed un nord attratto nell’orbita franco-tedesca cui essa sarebbe stata destinata in assenza del Papato.


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