Un Papa e sua figlia (parte III)
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Il secondo matrimonio e la tragedia di una donna innamorata

Anche il secondo matrimonio di Lucrezia, iniziato sotto i migliori auspici, fu ben presto sconvolto dalle ambizioni politiche del proprio casato.

Le nozze con Giovanni Sforza erano state annullate da appena poco più di un anno quando Lucrezia sposò, il 21 luglio 1498, Alfonso d’Aragona, diciassettenne duca di Bisceglie e figlio illegittimo di Alfonso II di Napoli. L’affare era stato condotto e concluso dal fratello Cesare e dal padre Papa per stringere ancora di più i legami politici tra il casato Borgia e quello regnante sul trono di Napoli.

Lucrezia, dicono le fonti, si innamorò perdutamente del suo secondo marito che, sempre stando alle fonti, era «il giovane più bello mai visto in Roma».

La dote fu fissata in 40.000 ducati d’oro.

Iniziò così uno dei pochi periodi felici della vita di Lucrezia. I mesi successivi al matrimonio furono trascorsi dagli sposi serenamente nella propria corte domestica attorniati da poeti e letterati, cardinali e principi, secondo il miglior mecenatismo dell’epoca. Sappiamo che Lucrezia era donna di cultura raffinata. Questo periodo felice fu funestato da un aborto provocato da una caduta. Ma Lucrezia restò ben presto di nuovo incinta.

Intanto intorno alla corte di Lucrezia e di Alfonso, in Bisceglie, si andava formando un partito aragonese e questo fu l’inizio di nuovi dolori per la figlia di Rodrigo.

Infatti, l’esposizione politica del secondo marito diventò ingombrante quando suo fratello Cesare, dopo aver sperato, sempre nell’ottica di avvicinamento tra Borgia ed Aragonesi di Napoli, nel matrimonio con Carlotta d’Aragona, figlia legittima di Federico I di Napoli, cambiò prospettive ed alleanze sposando, a seguito di un viaggio in Francia alla corte di Luigi XII, Charlotte d’Albret, sorella del re di Navarra.

Mentre Lucrezia accolse con gioia la notizia delle nozze del fratello, Alfonso comprese benissimo che tale matrimonio avrebbe cambiato la politica dei Borgia, e del Papato, nei confronti del trono di Napoli. Infatti il Valentino aveva contratto matrimonio dietro la promessa, fatta a Luigi XII, del suo appoggio alla riconquista francese di Milano e di Napoli.

Alfonso d’Aragona pertanto lasciò a Roma la moglie, incinta di sei mesi, per riparare nei suoi più sicuri possedimenti.

Alessandro VI, conscio che la figlia aspettava solo di partorire per raggiungere il marito che dal canto suo la sollecitava a raggiungerlo, onde evitare un urto tra lei ed il fratello Cesare, ma anche per evitare che in un eventuale scontro tra Cesare ed il re di Napoli la figlia prediletta si trovasse nella scomoda condizione di prigioniera politica, la inviò, insieme al fratello Jofré, a Spoleto nominandola governatrice del relativo ducato.

Lucrezia dimostrò a Spoleto di essere una donna molto abile nel governo e nel comando. Buona castellana, senza dubbio, come già aveva dato mostra di essere a Pesaro, ma anche, ora, donna di insospettabile capacità politiche. Infatti, costretta dagli eventi ad allontanarsi dal casato di suo marito e ad obbedire agli ordini paterni, riuscì a tenere la piazzaforte di Spoleto così da bloccare le truppe napoletane inviate in soccorso di Milano assediata da Cesare e da Luigi XII.

In qualche modo la Provvidenza le venne in aiuto. Solo un mese dopo il suo ingresso in Spoleto, Lucrezia fu raggiunta dal suo Alfonso, rassicurato dal Papa con l’investitura a duca di Spoleto e di Nepi.

Tornata a Roma, il 14 ottobre Lucrezia diede alla luce un bimbo che fu battezzato con il nome di Rodrigo d’Aragona.

Intanto il fratello Cesare andava mietendo vittoria su vittoria, anche grazie alle sue attente alleanze con Venezia e con la Francia, ed era riuscito a costruirsi un dominio personale in Romagna.

Il 29 giugno 1500, però, Papa Borgia rischiò di rimanere ucciso a seguito di una tempesta scatenatasi su Roma. Il rischio della morte improvvisa del padre, garante del suo potere, spinse Cesare a accelerare il consolidamento del suo dominio italiano.

A questo punto il matrimonio di sua sorella con un aragonese diventava un grande ostacolo ai suoi piani, perché Napoli e la Spagna non avrebbero mai accettato di veder crescere un regno antagonista nel Centro Italia e gli avrebbero legittimamente opposto, come pretendente in caso di morte del Papa, proprio il marito di sua sorella.

Nella notte del 15 luglio 1500, Alfonso fu aggredito da sicari del Valentino, rimanendone gravemente ferito. Nonostante le amorevoli cure di Lucrezia il destino di Alfonso era segnato. Onde portare a termine l’eliminazione del potenziale concorrente, Cesare fece allontanare con un inganno la sorella dal capezzale del marito, ormai prossimo alla guarigione, e fece strangolare il cognato da un altro sicario.

Cesare Borgia aveva agito di sua iniziativa ed all’insaputa del padre, che, conscio dell’amore della figlia per il marito, mai gli avrebbe dato il consenso. Per fugare i sospetti su di sé, il Valentino diffuse la voce che i mandanti dell’assassinio di Alfonso fossero gli Orsini, nemici dei Borgia.

Tuttavia da dove provenisse l’ordine di uccidere il povero Alfonso era talmente palese e chiaro a tutti che Cesare fu costretto a giustificarsi con Alessandro VI, sostenendo che il cognato avesse a sua volta tentato di ucciderlo. Rodrigo, per amor di casato, fece finta di accettare la giustificazione, che pur sapeva essere del tutto falsa. Non così Lucrezia che, disperata per la fine del marito, forse per l’unica volta nella sua vita ruppe, sebbene solo momentaneamente, con il padre ed il fratello, ribellandosi platealmente. Iniziò, forse malata, un digiuno che certo muoveva da un impeto psicologico di, appunto, ribellione contro gli abusi del fratello sostenuto dal padre. Alessandro VI ne fu fortemente contrariato fino ad, inaspettatamente, trattarla con distacco allontanandola da sé.

Lucrezia fu rispedita a Nepi, dove soggiornò fino al successivo mese di novembre, con il figlio Rodrigo per trascorrervi il lutto.

È convinzione degli storici che da questo momento in poi Lucrezia, pur non rompendo completamente con i familiari e persino con il fratello Cesare – vedremo che sarà lei l’unica a tentare di salvarlo nella disgrazia –,  maturò una più forte consapevolezza della propria autonomia.

Ma per una donna, a quei tempi, autonomia significava innanzitutto trovare un protettore politicamente forte almeno quanto i suoi congiunti.

Il terzo matrimonio di una donna in cerca di Dio


Lucrezia partecipò in prima persona, senza delegare nessun altro, alle trattative per il suo terzo matrimonio con Alfonso d’Este, figlio di Ercole duca di Ferrara. Quella estense era una delle casate più illustri ed, all’epoca, politicamente tra le più importanti nel panorama dinastico dell’Italia del primo cinquecento. Quindi per Lucrezia sembravano aprirsi prospettive di maggior tutela e serenità. Non solo, ma come duchessa di Ferrara avrebbe anche potuto influire sulla politica italiana del tempo, senza dover sottostare alle strategie del fratello e del padre. Non dimentichiamo che la bella Borgia sapeva essere ambiziosa, ed in questo degna esponente della sua famiglia.

Gli Este però erano restii al matrimonio, per via della reputazione ormai screditata della figlia di Alessandro VI. Per superare tale reticenza Papa Borgia, in cambio del riconoscimento pontificio dei diritti francesi su Napoli, fece intervenire, presso Ercole d’Este, Luigi XII, re di Francia e protettore del ducato di Ferrara.

Le trattative andarono a buon fine ottenendo gli Este 100.000 ducati di dote nonché diversi benefici territoriali e la sistemazione economica di alcuni parenti del duca.

Durante queste trattative, Lucrezia assunse, su incarico paterno, l’amministrazione del Vaticano. Era un modo per dimostrare ai futuri parenti le grandi capacità di governo della prossima duchessa di Ferrara.

Come detto, Lucrezia prese parte attiva nelle trattative matrimoniali intessendo una stretta corrispondenza con il duca Ercole, suo futuro suocero.

Religiosa di una religiosità a modo suo profonda, Lucrezia in quei mesi si recava spesso a pregare la Vergine a Santa Maria del Popolo. Presso il medesimo santuario si sarebbe, più tardi, recata per un pubblico ringraziamento quando le trattative si conclusero positivamente.

Il matrimonio fu celebrato per procura il 30 dicembre 1501. Lucrezia raggiunse Ferrara, accompagnata dal cardinale Ippolito d’Este, fratello del marito, entrandovi solennemente il 2 febbraio 1502, giorno della Purificazione della Vergine. La scelta di questa data non sembri casuale. Lucrezia l’aveva pianificata sia, certo, per fare buona impressione sui parenti e sul popolo, sia, altrettanto certamente, per una sincera devozione mariana che andava in lei rafforzandosi insieme ad una pietà religiosa che, da lì a qualche anno, avrebbe preso sopravvento nel suo animo.

L’ingresso, per quanto studiato, fece comunque effetto. I parenti e soprattutto il marito rimasero fortemente e benevolmente impressionati dal fascino, dalla gentilezza, dall’educazione signorile e dalla cultura di Lucrezia. Anche il matrimonio dimostrò, inizialmente, di funzionare.

I rapporti con l’aristocrazia ferrarese tuttavia non furono del tutto sereni perché Lucrezia amava piuttosto circondarsi di dame di compagnia spagnole e romane, nelle quali riponeva maggior fiducia, suscitando le gelosie locali. Una certa rivalità si formò anche tra lei ed Isabella d’Este, sua cognata, che ambiva ad occupare, a corte, la posizione di prima donna.

Il fratello Cesare, intanto, non mancava di procurarle problemi. A seguito del saccheggio di Urbino da parte delle truppe del Valentino, Lucrezia, nel frattempo rimasta incinta, attraversò un periodo di forte depressione dal momento che la città saccheggiata, all’epoca del suo primo matrimonio, le aveva sempre manifestato devozione sincera. Lucrezia finì per sentirsi corresponsabile, agli occhi dei suoi ex sudditi urbinati, del misfatto fraterno. Forse anche questo, insieme ad una malattia contratta durante la gestazione, contribuì alla morte della bambina che aveva in grembo e che, appunto, venne alla luce senza vita. Fu Alfonso, suo marito, che le restò affettuosamente accanto in questi frangenti, ad aiutarla ad uscire dallo stato di prostrazione nel quale era caduta.

Quando si riprese, Lucrezia fu chiamata dal suocero, che era vedovo, a maggiori responsabilità di governo ed alla partecipazione a pubbliche cerimonie come fosse già la duchessa in carica e non la semplice moglie del futuro duca. Questo le consentì di fare della corte estense un centro culturale di prim’ordine. La vocazione al mecenatismo era sempre stata forte in lei che amava lettere ed arti come ogni buona aristocratica rinascimentale.

Prese sotto la sua protezione Ercole Strozzi, tra i maggiori poeti dell’epoca. Fu attraverso lo Strozzi che Lucrezia conobbe Pietro Bembo, un ecclesiastico umanista destinato a diventare famoso. Di chierici dediti più alle lettere ed all’erudizione filosofica che alla cura d’anime era piena l’Europa del tempo ed anche questo sarà, di lì a poco, rimproverato da Lutero alla Chiesa. Fu, infatti, solo con il Concilio di Trento che Santa Romana Chiesa tornò a porre una scrupolosa attenzione verso la formazione teologica e spirituale dei candidati al sacerdozio, anche, tra l’altro, istituendo i seminari ed imponendo ai vescovi di risiedere nelle proprie diocesi come ai parroci nelle proprie parrocchie, anziché starsene tra gli agi di famiglia o nei salotti mondani.

Tra il Bembo e Lucrezia, come testimoniato dalla fitta corrispondenza tra i due, nacque un amore inizialmente, secondo l’uso letterario del tempo, solo platonico e cortese ma ben presto anche passionale.

Comunque sia, il Bembo, come pure lo Strozzi, le rimase accanto quando sopraggiunse la notizia della morte di Alessandro VI. La scomparsa del padre Papa avrebbe, infatti, potuto significare per Lucrezia il ripudio da parte del casato estense. Tuttavia il marito non prestò alcuna attenzione a quanti volevano spingerlo, per motivi politici, ad un tale passo. Il nuovo Papa, Giulio II, era un nemico giurato dei Borgia e quindi tutto consigliava ad Alfonso di sbarazzarsi di una moglie ora diventata ingombrante. Rassicurata sulle intenzioni del marito, Lucrezia si adoperò per salvare la sua famiglia d’origine dalla vendetta dei nemici politici.

Non sappiamo quanto in questo ebbe un ruolo fondamentale il bisogno di ricomporre i dissidi familiari di fronte alla nuova avversa situazione politica o quanto, invece, un cambiamento del cuore che in lei stava lentamente maturando. Sta, però, di fatto che, dimenticato o messo da parte il rancore verso il fratello, che le aveva ucciso il precedente marito, Lucrezia si riavvicinò a Cesare ormai in evidente difficoltà stretto, come era, tra il nuovo Papa, che gli aveva ordinato di restituire allo Stato pontificio le fortezze conquistate in Romagna, e la Repubblica di Venezia, che sentito il vento cambiare aveva mutato alleanze in favore del Papa.

Lucrezia, da Ferrara, si adoperò, pagando di tasca sua, per mettere in piedi un piccolo esercito mercenario da inviare in soccorso del fratello, segretamente appoggiata in questo dal suocero il quale pur dissimulava di fronte alle proteste di Giulio II di non aver nulla a che fare con quelle che erano autonome iniziative della nuora. In realtà il duca Ercole preferiva di gran lunga una Romagna suddivisa tra piccoli potentati, più o meno alleati dei Borgia e facilmente controllabili dal più grande ducato ferrarese, ad un dominio pontificio o veneziano ai confini della sua signoria.

Ora, in quelle circostanze tutto consigliava a Lucrezia di tenere un profilo basso e di non esporsi a favore del fratello in difficoltà, con il rischio di essere allontanata anche dalla famiglia d’adozione. Se, dunque, Lucrezia invece accorse in soccorso del fratello, quanto influì, in questo suo comportamento, il richiamo del sangue, visto che il fratello a suo tempo tale legame lo aveva bassamente e miseramente tradito uccidendole un marito teneramente amato, e quanto invece influì una diversa disposizione spirituale che si faceva strada nel suo cuore?

Che non possa escludersi il fiorire in lei della Grazia, la quale comunque sempre si mostra supportatrice della natura muovendo a perfezione i sentimenti naturali, è dimostrato dal fatto che, in quegli stessi frangenti, si preoccupò della sorte del figlio Rodrigo ma anche, insieme, di quella di Giovanni Borgia, l’infans romanus, e – pur non essendo essi sua prole – dei figli del fratello, Girolamo e Camilla. Quando, infatti, trovò l’opposizione dei familiari del marito ad accoglierli a Ferrara, Lucrezia affidò i bambini ai parenti del padre assicurandosi che essi conservassero i possedimenti loro spettanti per diritto d’eredità.

L’amante cognato


Ercole d’Este morì il 25 gennaio 1505. Alfonso assunse così il titolo di duca e Lucrezia fu incoronata, il giorno stesso del marito, duchessa di Ferrara, tra le ovazioni popolari.

Onde fugare le molte voci che ormai si accavallavano circa i suoi non chiari rapporti con il Bembo, che ora come duchessa potevano procurargli gravi problemi ed altrettanto procurarne ad Alfonso, Lucrezia cessò consensualmente qualsiasi relazione con il poeta. Il quale dal canto suo, pur avendo accettato la separazione, continuò a dedicarle opere d’amor cortigiano.

Nello stesso anno dell’incoronazione a duchessa, Lucrezia ebbe un altro figlio, Alessandro che morì a pochi mesi. Il triste evento rafforzò in lei la tensione verso Dio, la quale da qualche tempo andava sempre più facendosi imperiosa nel suo animo di pari passo con le disgrazie che continuavano a funestare la sua esistenza.

Ne è in qualche modo paradossale conferma la relazione che in quel periodo nacque tra lei ed il cognato Francesco Gonzaga, signore di Mantova.

Il Gonzaga si era interessato alla liberazione del Valentino, il quale nel frattempo, dopo essere stato catturato e, dietro sottoscrizione delle richieste papali, liberato da Giulio II, era stato arrestato a Napoli e portato prigioniero in Spagna.

L’attenzione che il cognato dimostrava verso la sorte del fratello e verso il suo dolore di madre, sembrò a Lucrezia poter colmare il bisogno di un amore stabile che stava maturando nel cuore non ancora, però, capace di individuarlo soltanto nell’Amore di Dio.

Lucrezia era, in quel momento, una donna estremamente fragile. In lei l’opera della Grazia faceva spazio alla dolcezza che andava sostituendosi alla precedente ambizione. Questo la esponeva, per l’appunto, all’Amore che lei, ancora confusa, confondeva con l’amore umano del cognato.

Un’altra tragedia intervenne, in quel periodo, a funestare la sua vita. La cugina, Angela Borgia, era diventata oggetto di contesa amorosa tra il cardinale Ippolito d’Este, fratello di suo marito Alfonso, ed il fratellastro dello stesso Ippolito, Giulio. Ippolito, respinto da Angela, convinto che il motivo del rifiuto fosse Giulio, lo aveva fatto aggredire dai suoi sicari, ferendolo al volto e procurandogli la perdita di un occhio. Giulio dissimulò una finta pacificazione, propugnata dal duca Alfonso, per organizzare una congiura, insieme all’altro fratello Ferrante, ai danni di Alfonso ed Ippolito. Scoperta la congiura, i due furono condannati all’ergastolo mentre gli altri congiurati furono consegnati al boia.

Nel frattempo giungevano a Lucrezia, dalla Spagna, richieste di aiuto da parte del fratello Cesare. La duchessa di Ferrara, mentre gli faceva giungere del denaro, cercò di ottenere per il fratello l’appoggio di Luigi XII, il quale tuttavia, ora che il Valentino era caduto in disgrazia e non aveva più in mano le sorti di mezz’Italia, non si dimostrò affatto interessato alle vicende del Borgia.

La relazione matrimoniale di Lucrezia intanto andava complicandosi anche a causa di un ennesimo aborto del quale il marito la ritenne responsabile dal momento che era incorso nel mezzo di un appassionato ballo con il cognato durante i festeggiamenti del carnevale dell’anno 1507. Ciononostante Alfonso aveva ancora stima della moglie tanto che, partendo per Genova ad  incontrare Luigi XII, le affidò il governo del ducato. Durante la reggenza fu raggiunta dalla notizia della morte del fratello Cesare.

Affrontò questo ulteriore dolore con grande dignità in pubblico, riservando ai momenti di intimità ogni lacrima. Secondo una fonte, Lucrezia avrebbe commentato la notizia dicendo: «Quanto più cerco di conformarme con Dio, tanto più me visita de affanni».

Questa riflessione lucreziana, non priva di profondità spirituale ed anche di sapienza teologica, testimonia l’avvicinamento, in atto, di Lucrezia ad una più sicura fede in Cristo.

Rimasta, al ritorno del marito, nuovamente incinta, Lucrezia diede alla luce nel 1508 l’erede del casato, il futuro Ercole II.

Le vicende familiari continuarono ad intrecciarsi con quelle politiche in un modo che, senza conoscerne l’esito provvidenziale, sembrerebbe soltanto l’accanirsi di un destino cinico nei confronti di una donna la quale per tutta la vita aveva cercato di barcamenarsi tra i doveri imposti dal suo ruolo sociale ed il bisogno del tutto umano di felicità.

Mentre il marito Alfonso, alleatosi con il nuovo Papa, scendeva in guerra contro Venezia per riprendersi il Polesine, il cognato amante, Francesco, cadeva prigioniero degli stessi veneziani. Lucrezia, che intanto aveva dato al marito un secondo figlio, aiutò il cognato durante la prigionia.

Ma il Gonzaga, essendosi rovesciate le alleanze, fu inviato da Giulio II, che aveva mosso guerra alla Francia, contro Alfonso rimasto fedele a Luigi XII. Francesco Gonzaga evitò, tuttavia, forse per rispetto di Lucrezia, di invadere il ducato estense, consentendo ad Alfonso di difenderlo dalle truppe pontificie. Inevitabilmente sul marito di Lucrezia cadde la scomunica di Giulio II.

«Sono di Dio per sempre»

Si avvicinava, ormai, l’ultima fase della sua esistenza terrena e Lucrezia, stanca delle contese mondane, si ritirò, anche per ragioni di salute, nel convento di San Bernardino, da dove, dopo che Luigi XII aveva abbandonato l’Italia, ottenne un riavvicinamento del marito al Papa.

Durante il suo ritiro spirituale le sopraggiunse la notizia della morte del figlio Rodrigo, avuto dal secondo marito. Come si è detto Lucrezia si era sempre interessata a questo figlio pur lontano. La sua morte segnò ancora più profondamente Lucrezia nella sua ricerca della Pace di Dio.

La scelta di ritirarsi nel convento di San Bernardino non era stata affatto casuale. In quest’ultimo, ancora più tragico, periodo della sua vita Lucrezia si era legata al Terz’Ordine francescano ed, in particolare, alla spiritualità di San Bernardino e di Santa Caterina da Siena.

San Bernardino, come è noto, era stato il grande promotore dei Monti di Pietà, a favore dei poveri e dei lavoratori onde consentire loro di ottenere credito onesto e senza subire lo strozzinaggio degli usurai. Si comprende pertanto perché Lucrezia avesse fondato anche nella sua Ferrara un Monte di Pietà per il soccorso di quei poveri che adesso lei non disdegnava di trattare con quella stessa dolcezza con la quale aveva fatto innamorare suo cognato Francesco Gonzaga.

Lucrezia era ormai interiormente trasformata dando segni evidenti di questo cambiamento anche esteriormente. Era diventata manifestamente incline alla più pia devozione e portava, penitente, il cilicio. Rinunciò ai vestiti eleganti e scollati che un tempo portava per mostrare tutta la sua bellezza. Tornò con assiduità ai sacramenti frequentando le chiese ferraresi senza nascondersi sicché il popolo, accortosene, iniziò a guardarla con occhi diversi: non più solo duchessa ma anche, per vox populi, pia, addirittura, per i più ammirati, santa. Le sue letture, abbandonate quelle mondane e raffinate della sua mecenate corte rinascimentale, divennero quasi esclusivamente religiose.

Convinse ad aderire al Terz’Ordine Francescano anche il suo ex amante.

Lucrezia aveva finalmente trovato quel Dio che un po’ alla volta si era andato facendo strada nel suo tormentato cuore, tra ambizioni familiari e politiche ed amori coniugali o adulterini.

Aveva ormai trovato quella Pace interiore cercata per una vita intera.

Prima come figlia del Papa, poi come signora di Pesaro, quindi nell’amore del marito Alfonso d’Aragona ed infine come duchessa di Ferrara ed amante del Bembo e del Gonzaga, non era riuscita a placare il tormento del suo cuore assetato insieme di ambizione e d’Amore.

Non si era, fino a questo momento, accorta che quell’Amore aspettava soltanto che lei gli aprisse un pur piccolo spiraglio, abbandonando l’ambizione che le procurava la sua nascita. Ed a questo scopo, come finalmente comprese, la Provvidenza non le aveva affatto risparmiato le disgrazie che avevano costellato l’intera sua esistenza.

Quando, dunque, ulteriori disgrazie, dalla morte del fratello Jofré a quella della madre Vannozza e poi del cognato Francesco Gonzaga, funestarono gli ultimi suoi anni, furono da lei sopportate con una serenità mai prima mostrata.

Il Cielo, tuttavia, dopo averla provata con il dolore per richiamarla alla Grazia, non mancò di darle anche nuove gioie: ebbe altri tre figli, Eleonora, Francesco ed Isabella Maria.

Fu proprio durante l’ultima gravidanza, la quale aveva trovato una Lucrezia molto affaticata ed ormai in una età, per l’epoca, molto avanzata – aveva 39 anni –, che si manifestarono i primi gravi problemi di salute.

Il 14 giugno 1519 partorì Isabella Maria ma si ammalò di febbre puerperale. Chiese al Papa, scrivendogli una lettera il 22 giugno, l’indulgenza plenaria, che ottenne, perché è regola costantemente riconfermata dalla storia quella per la quale i Papi, anche quelli più politici o più coinvolti in rivolgimenti politici, si siano sempre ricordati, nei momenti cruciali, di essere innanzitutto ed essenzialmente Sacerdoti dispensatori della Misericordia di Cristo (1).

Dopo aver fatto testamento nelle mani del marito, Lucrezia morì il 24 giugno 1519 sussurrando ai familiari presenti le sue ultime parole: «Sono di Dio per sempre».

Fu sepolta, tra una folla immensa di popolo accorsa al funerale, nel monastero del Corpus Domini indossando l’abito di terziaria francescana. Come lei stessa aveva chiesto.

(fine)

Luigi Copertino




1
) Alcuni esempi. Gregorio VII, ricevendo a Canossa, Enrico imperatore avrebbe potuto schiacciarlo politicamente ed invece, comportandosi da Sacerdote e non da politico, accettò l’atto penitenziale del sovrano revocandogli la scomunica pur, probabilmente, consapevole che in tal modo stesse sottoscrivendo la sua fine politica. Tanto è vero che Enrico, non appena riprese, a seguito del perdono papale, il controllo della situazione, volgendola a suo vantaggio, non esitò a vendicarsi del successore di Pietro, cacciandolo da Roma a morire a Salerno, sotto protezione normanna. Pio IX non ebbe dubbi – anche contro il suggerimento di chi avrebbe voluto, in quel frangente, una dimostrazione di fermezza politica da parte del Papa – ad inviare al capezzale di Cavour e di Vittorio Emanuele II un sacerdote affinché togliesse loro la scomunica nella quale erano incorsi per i noti motivi politici.


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