Improvvisamente Ron Paul
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Dopo quattro anni di censura e silenzio, di colpo il New York Times s’è accorto dell’esistenza di un candidato presidenziale di nome Ron Paul. Il 16 dicembre, ha dedicato alla non-persona un articolo a questo repubblicano libertario, che disturba i calcoli della vecchie volpi di partito e non piace nè alla Israeli Lobby nè al sistema militare-industriale, le due forze che possiedono il Congresso. (Paul’s ‘Ground Game,’ in Place Since ’08, Gives Him an Edge)

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Il New York Times in qualche modo, non poteva farne a meno: caucus dopo caucus, sondaggio dopo sondaggio, la non-persona inesorabilmente cresce nel favore dell’elettorato, laddove gli altri candidati repubblicani salgono per subito afflosciarsi come fuochi artificiali mal confezionati: alle loro prime comparsate in TV, rivelano tutta la loro mediocrità e nullità – specie in confronto alla crisi epocale dela sistema americano, contro cui non sanno proporre che la negazione retorica, o i soliti rimedi rovinosi.

Newt Gingrich
  Newt Gingrich
Ultimo il sinistro Newt Gingrich, capo-bastone del partito repubblicano, passato nei sondaggi dal 27% al 14% in sole tre settimane: gli è bastato apparire in TV e parlare a favore della guerra eterna per Sion e della Lockheed, insultare gli arabi, definire i palestinesi «un popolo inventato», dichiararsi toccato da Dio (lui, noto adultero) eccetera: il solito repertorio del candidato di destra. Stavolta, non è bastato.

Già il 18 novembre il noto giornalista radiofonico Matt Drudge, autore del noto sito mainstream Drudgereport, aveva scritto sul Christian Science Monitor che Ron Paul non poteva più essere ritenuto un non-candidato nella corsa alla Casa Bianca, visto che stava per vincere le primarie dello Iowa. E Drudge è un estremista sgangherato, sgangheratamente schierato coi poteri forti: ma chiunque gli riconosce un fiuto insuperato nell’annusare i trend, ossia l’aria che tira – o tirerà nel prossimo futuro.



Così, il New York Times ha parlato della possente macchina elettorale di Ron Paul, composta di giovani volontari non pagati che telefonano in ogni casa e bussano a tutte le porte; un apparato che già esisteva nella gara presidenziale del 2008 e che, come nota con stupore il massimo dei giornali conformisti, non s’è disciolto, ma ha continuato a rafforzarsi. Da ultimo raccogliendo 4 milioni di dollari in piccole offerte volontarie, un record che l’America mainstream – che ama i record – non può tacere.

Il New York Times non ha nemmeno lesinato elogi a Ron Paul e alle sue strane idee (fra cui l’abolizione della Federal Reserve) esprimendo ostilità solo su un punto: il programma anti-guerra del candidato politicamente scorretto.

La sera stessa del 16 dicembre, Jay Leno, anchorman fra i più celebri d’America, ha invitato Ron Paul nel suo talk show Tonight Show, della NBC, uno dei più seguiti degli States. Insieme all’attore e campione di arti marziali Joe Rogan, che ha dichiarato il suo entusiastico appoggio a Ron Paul.



Risultato: la migliore audience della serata televisiva. Per la prima volta, il pubblico nazionale ha visto la non-persona, lo ha ascoltato parlare per mezz’ora, ha potuto rendersi conto delle sue idee e posizioni. Al contrario degli altri candidati, Ron Paul non ha annacquato le sue posizioni per cercare di captare le simpatie dell’elettorato moderato mainstream, nè delle note lobby. Ha ripetuto la sua opposizione alle guerre senza fine in cui Obama ha ingolfato l’America anche più di Dubya Bush. Ha attaccato i suoi concorrenti, specie la Michele Bachmann e Rick Santorum (J), per il loro anti-islamismo ciecamente feroce, ma ancor più scemo e ignorante che feroce.

Tale franchezza ha indotto gli analisti a immaginare che, in realtà, c’è una tattica: per Kevin Kervick ( Examiner.com) Ron Paul non si cura di urtare la destra estrema degli evangelici for Israel e influenzata dai neocon, per attrarre invece «gli isolazionisti, i paleo-conservatori, gli indipendenti, e una frazione dell’elettorato di sinistra delusoda Obama». Inoltre, Ron Paul cerca di riportare il movimento Tea Party (di cui è stato l’ispiratore) alle sue posizioni originali anti-guerra, che aveva prima di essere comprato dai neocon. Secondo altri, Ron Paul tenta di fondere insieme il Tea Party con l’altro movimento di base che fa i titoli sui media, Occupy Wall Street.

Un’alleanza «populista» fra «destra» libertaria e «sinistra» di base ed «Antisistema» (1) che un commentatore di nome William J. Cox analizza così:

« Benchè i poteri forti e le oligarchie della ricchezza facciano tutto il possibile, attraverso i loro altoparlanti che sono i media mainstream, per convincere gliOccupantie iTea Participantsdi essere nemici gli uni degli altri, diventa ogni giorno più chiaro che i due gruppi hanno molto in comune. ... Entrambi i gruppi sostengono che le grandi imprese non devono godere degli stessi diritti costituzionali delle persone, nonostante quello che ha deciso la Corte Suprema».

In una recente sentenza, la Corte ha infatti sentenziato che le multinazionali sono «persone», e che possono donare cifre illimitate ai candidati di loro gradimento in nome della «libertà di opinione»: una libertà costituzionale di cui godono (o «non godono» oggi) gli individui.

Il sogno di entrambi i movimenti, dice Cox, è « ristabilire gli Stati Uniti come repubblica democratica, che restituisca agli elettori il controllo del loro governo». (A Voters’ Rights Amendment to unify Occupiers and Tea Partiers)

Giova sperare . Lo stesso Ron Paul sembra cosciente delle forze totali, e dei poteri tremendi che ha contro di sè. In agosto, in una intervista ad Alex Jones del sito Infowars, ha sottolineato che stava avanzando un progetto di legge (H.R. 645, National Emergency Centers Establishment Act) che portava al potere di detenere cittadini americani in campi di concentramento sotto legge marziale.

« Certo, lo so, il loro scopo è questo. Stanno preparando il quadro per provocare la violenza in questo Paese; si mettono con le spalle al muro per poi dire: ci vuole la legge marziale».

Il vecchio deputato sa che quei poteri, che storicamente hanno mandato «assassini solitari» ad attentare alle vite di un bel numero di presidenti in carica, ci mettono poco – se appena sentono realmente minacciato il loro potere, ad eliminare un candidato di base. Le provocazioni poliziesche contro il movimento «Occupy», assolutamente pacifico fino alla passività, confermano questi timori. (US preparing for unrest, martial law: Ron Paul)

Ma è un fatto che parecchi analisti mainstream stanno cominciando a considerare Ron Paul – questo 76enne con il seguito di una rockstar, ha detto qualcuno – come un attore maggior (major player) nella lotta politica per la casa Bianca; come minimo, un «power player», uno che – con la sua forza autonoma e indipendente – può condizionare la macchina del partito repubblicano.

Hanno impressionato i suoi successi nelle pre-primarie (caucuses) del cervellotico sistema americano, per esempio nello Iowa, dove Ron Paul ha radunato attorno a sè «la più grossa folla» rispetto agli altri candidati. E tutto con pochi soldi, e tanto lavoro gratuito di volontari, in gran parte studenti, che per la campagna si spostano da Stato a Stato a proprie spese. E senza il minimo sostegno da parte di nessuna delle forze del Sistema, fatto inaudito e rivoluzionario.




1) Nella ribollente realtà dell’opinione pubblica americana, ormai diventata protesta anti-sistema, vanno contati anche i gruppi che promuovono la secessione (nullification) degli Stati dalla Federazione, sulla base di un saggio di Tom Woods, Nullification: How To Resist Federal Tyranny in the 21st Century, pubblicato nel gennaio 2011. Anche costoro sono in genere sostenitori di Ron Paul. (State Sovereignty: America's Final Solution to Tyranny)



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