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Elie Wiesel non è nemmeno Elie Wiesel
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Il Parlamento italiano ha invitato a parlare del Giorno della Memoria il noto sopravvissuto e premio Nobel Elie Wiesel. Gianfranco Fini  ha ascoltato, con il volto atteggiato a compunzione e dolore, la testimonianza del celebre personaggio, che è scampato da Auschwitz-Birkenau.

Eppure c’è il fondato dubbio che Elie Wiesel non sia Elie Wiesel, ma qualcun altro che ne ha preso il posto.

Miklos Gruner
   Miklos Gruner
A rivelare la storia ad un giornale ungherese è stato un vero sopravvissuto: Miklos Gruner, che nel maggio 1944, a 15 anni, fu internato con genitori e fratelli ad Auschwitz-Birkenau. Il giovane Gruner lavorò alla fabbrica di benzina sintetica della IG Farben, mentre i suoi parenti morivano l’uno dopo l’altro. Rimasto solo, il ragazzino fece amicizia con altri due internati, più anziani, come lui ungheresi: i fratelli Lazar e Abraham Wiesel.

Lazar Wiesel aveva allora, nel 1944, 31 anni. Gruner non dimenticò il numero con cui il suo amico era stato tatuato dai nazisti: A 7713. Nel gennaio ‘45 i detenuti furono trasferiti a Buchenwald perchè i sovietici si stavano avvicinando al campo; molti morirono nel trasferimento, avvenuto in parte a piedi: morì anche Abraham Wiesel.

L’8 aprile del ‘45 gli americani liberarono Buchenwald, e trasferirono Miklos Gruner, che aveva contratto la tubercolosi, in un sanatorio svizzero. Più tardi, Miklos Gruner si stabilì in Australia. Ma tornò spesso in Europa, e precisamente in Svezia, dove s’era stabilito un suo fratello, altro sopravvissuto. La sua storia era nota ai giornali svedesi, che l’avevano spesso intervistato.

Sicchè nel 1986 (l’anno in cui Elie Wiesel ricevette il Nobel) Miklos Gruner fu contattato dal giornale Sydsvenska Dagbladet a Malmoe, che lo invitò ad incontrare «il suo vecchio amico Elie Wiesel» onde trarne un articolo commovente. «Mai conosciuto uno con questo nome», rispose Gruner interdetto. Gli fu spiegato che «Elie Wiesel» era l’internato che lui aveva conosciuto nel lager come Lazar Wiesel. Allora Gruner accettò lietamente l’invito.

L’incontro avvenne il 14 dicembre 1986 nel Savoj Hotel di Stoccolma. «Quando mi trovai di fronte al cosiddetto Eli Wiesel», ha ricordato Gruner, «con mio grande stupore ho visto un uomo che non conoscevo affatto, che non parlava nemmeno ungherese nè yiddish, ma l’inglese con un forte accento francese. Sicchè il nostro incontro terminò dopo dieci minuti. Quell’uomo mi diede in regalo un suo libro, intitolato «Night» (Notte) di cui diceva di essere l’autore. Accettai il libro, ma dissi a tutti i presenti che quell’uomo non era la persona che diceva di essere».

Quell’uomo rifiutò di mostrare a Gruner il numero tatuato sul suo braccio. Divenuto sospettoso, Gruner spulciò tutti gli elenchi degli internati di quegli anni: un Elie Wiesel non compariva da nessuna parte. Per di più. Gruner scoprì che il libro che «Wiesel» gli aveva donato e di cui si diceva autore, era una traduzione inglese di un libro scritto in ungherese nel 1955 da Lazar Wiesel – il suo vero e vecchio amico di Gruner – e pubblicato anche in tedesco con titolo «Und di Velt hot Gesvigen».

Il Mondo tacque. Il libro che Wiesel gli aveva dato era una specie di riassunto di quello autentico, riscritto prima in francese poi in inglese, e pubblicato col titolo francese «La Nuit», e in inglese come «The Night», nel 1958. Il libro era stato venduto in 6 milioni di copie, e aveva fruttato a «Elie Wiesel» parecchi milioni di dollari.

Allora Gruner si mise alla ricerca del suo vero amico, Lazar Wiesel: voleva contattarlo, farsi spiegare cos’era successo. Non l’ha mai trovato. Il vero Lazar Wiesel è misteriosamente scomparso, e nessuno ne sa più niente.

«Eli Wiesel non ha voluto più incontrarmi», ha raccontato a suo tempo  Gruner, «è un uomo di successo, si fa pagare 25 mila dollari per 45 minuti di conferenza sull’olocausto. Ho fatto una formale denuncia all’FBI di Los Angels su questo caso di falsa identità, l’ho denunciato ai giornali e ai governi in USA e in Svezia. Risultati zero. Ho anche ricevuto minacce di morte per questo, ma io non ho paura. Ho depositato il dossier  (sul falso Wiesel) in quattro diversi Paesi: se muoio d’improvviso, essi saranno resi pubblici. Il mondo deve sapere che Elie Wiesel è un impostore; sto per pubblicare un libro che si intitolerà ‘Identità Rubata A-7713’».

Questa storia è stata riportata dai giornali ungheresi: Még mindig kísérti a haláltábor. La traduzione americana è questa: Auschwitz Survivor Claims Elie Wiesel is an Impostor.

Cosa pensare? Elie Wiese il Nobel dice di sè di essere romeno e non ungherese, di aver studiato alla Sorbona, e di essere stato collaboratore di Francois Mauriac. C’è  dunque qualche ragionevole dubbio sulla sua identità.

Miklos Gruner e Wiesel  compaiono nella più celebre foto sull’olocausto, quella presa dagli americani appena entrati nel lager di Buchenwald, il 16 aprile 1945. Gruner è il ragazzo all’estrema sinistra nella fila in basso, mentre Wiesel è il settimo da sinistra nella fila mediana. Così almeno sostiene Elie Wiesel. Gruner però sostiene che quell’uomo non è nè Lazar, nè Eli Wiesel. Chiunque sia, appare un idividuo sulla trentina, un po’ troppo vecchio per essere Eli Wiesel, che dice di essere nato nel 1928 e dunque, all’epoca aveva 17 anni. Basta fare il confronto con Miklos Gruner, il vero internato, che allora era sedicenne.



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Allora, chi è l’Elie Wiesel ascoltato con compunzione da Gianfranco Fini? Piacerebbe chiedere anche: quanto ha voluto essere pagato «Elie Wiesel» per rendere la sua veridica testimonianza?

Sappiamo che «Elie Wiesel» aveva affidato tutti i suoi risparmi, 10 milioni di dollari raggranellati coi suoi libri e una vita di conferenze, al finanziere Bernie Madoff: ed ha dunque perso tutto. Deve rifarsi il gruzzolo?

E soprattutto: dov’è finito il vero Wiesel, Lazar, ungherese, numero di matricola A -7713?


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